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Stazione Carabinieri di Peccioli. Ore 22.43

Le immagini in bianco e nero scorrevano per l’ennesima volta sul monitor, nell’ufficio del maresciallo Santamaria. Il sottufficiale le osservava in piedi, con le mani appoggiate al ripiano della scrivania, mentre il riflesso luminoso baluginava sulle lenti dei suoi occhiali da vista.

Roberta Savio, la custode del museo archeologico di Peccioli, accompagnava fuori la coppia di turisti inglesi e li salutava stringendo loro le mani. Le cifre digitali in alto a sinistra indicavano le 19 e 52 del giorno precedente, lunedì 18 marzo. La ragazza controllò l’orologio da polso, chiuse la porta e raggiunse un armadietto di fronte all’ingresso, sopra il quale erano esposti il registro delle presenze e pile di dépliant informativi.

Roberta aprì lo sportello del mobiletto, chiuso a chiave, si accovacciò sui talloni e iniziò ad armeggiare con la consolle dell’impianto di videoregistrazione.

Alle 19 e 53 il monitor si fece buio.

Mauro Rambaldi, allungato su una poltroncina reclinabile, con i piedi sulla scrivania, si passò una mano sul volto, poi allargò le braccia e gonfiò il torace, distendendo il collo con la testa abbandonata all’indietro. Era il suo modo di fare stretching, un vano tentativo di scacciare la stanchezza e raccogliere le idee.

«Basta. Non ne posso più» sentenziò appoggiando i piedi a terra e riacquistando la posizione eretta. «Facciamo il punto e chiudiamo la baracca.»

Il maresciallo Santamaria, con la cravatta allentata e il primo bottone della camicia aperto, continuava a osservare lo schermo buio. «Stava aspettando una visita.»

«È così» rispose Rambaldi indicando il monitor. «Ha spento l’impianto di tv a circuito chiuso perché aveva un appuntamento con qualcuno e non voleva che le telecamere li riprendessero.»

«Forse pensava di riaccenderle dopo.»

«Ma l’assassino non gliene ha lasciato il tempo.»

Santamaria si rifece il nodo alla cravatta.

«Vediamo di riepilogare quel poco che siamo riusciti ad appurare» disse Rambaldi. «Inizi lei.»

«La vittima era una brava ragazza, poco incline ai divertimenti, tutta casa e… museo. Così almeno hanno riferito quelli che abbiamo ascoltato oggi. Tocca a lei capitano.»

«Sì… Roberta non aveva social account, e per una ventottenne è una cosa rara. Dobbiamo capire se non navigasse sotto pseudonimo. E il suo smartphone non è stato ritrovato. Il pc di casa è protetto da password, ma a quello penserà la Scientifica e ci farà sapere qualcosa a breve. A lei la palla.»

«I due inglesi non hanno visto niente. Stando a quello che ci dicono i colleghi di Firenze, che li hanno rintracciati in un hotel del centro, quando sono usciti dal museo era buio e per strada non hanno incontrato nessuno. A parte qualche persona in piazza del Popolo… Dalle telecamere del parcheggio comunale risulta che siano ripartiti, con la loro Ford Fiesta noleggiata, alle 20.07. Un orario compatibile con quello di uscita dal museo. E poi hanno 79 e 81 anni, è vero che sono ancora arzilli ma è poco probabile che fossero in grado di ucciderla e sistemare il cadavere in quel modo, dopo essere tornati sui loro passi. E anche con i tempi non ci siamo. Prego.»

«Chi l’ha strangolata ha una discreta forza fisica. Un uomo, a giudicare dai lividi sul collo. Roberta non era piccola fisicamente e avrà cercato di difendersi. È qualcuno con un forte ascendente su di lei. L’altra sera era vestita in modo elegante, scarpe costose, un abbigliamento inusuale per la ragazza, secondo la direttrice della Fondazione. Questo, unito al fatto che ha spento le telecamere, lascia pensare a un incontro galante.»

«Sì, ma perché al museo?» chiese il maresciallo Santamaria. «Viveva da sola… poteva ricevere tutti gli uomini che voleva. Perché correre un rischio?»

«Perché glielo avrà chiesto l’assassino. Doveva trovarsi sul posto della messinscena, non avrebbe potuto trasportarla lì dopo averla uccisa da un’altra parte.»

«Giusto, domanda stupida e risposta ovvia. E con questo, mi sa tanto che i fatti li abbiamo finiti signor capitano. Siamo in alto mare… Aspettiamo i tabulati del suo numero di telefono per provare a risalire alla persona che aspettava.»

«Mi sembra impossibile che in paese nessuno sapesse che la ragazza aveva una tresca» disse Mauro riabbottonando i polsini della camicia.

«Ha assistito anche lei ai colloqui… ci fosse stato qualcuno in grado di dirci qualcosa di utile. Un dettaglio, un particolare. Niente. Era considerata un’asociale che aveva fatto voto di castità.»

Rambaldi scosse il capo, stanco: «Sono le prede più facili per chi conosce l’arte della manipolazione e delle lusinghe. Aspettiamo l’esame dei filmati dell’intera settimana e preghiamo che salti fuori qualcosa».

«Il brigadiere Corda è a buon punto. Per domani a mezzogiorno avrà visionato tutto e ci darà un primo responso. Ha chiamato Antonio Marino, il comandante della stazione di Pontedera. Ha confermato che i genitori di Roberta Savio hanno effettuato il riconoscimento della salma. Il collega ha raccolto le prime dichiarazioni ma non è emerso niente. A parte che sono distrutti, era figlia unica. Dicono che nessuno poteva avercela con lei fino a quel punto.»

«Domani li sentirà anche lei, mentre io passerò al comando provinciale. Tosti della Scientifica ha promesso di darmi qualcosa in mattinata. Per fortuna mi deve un paio di favori. Anche sui tabulati dovrebbero esserci notizie già da domani.»

«Capitano, con tutto il rispetto, questo riepilogo dei fatti è stato una vera schifezza.»

«Lei che idea s’è fatto?» chiese Rambaldi al sottufficiale. «Che sensazione ha?»

«Mah… Io la penso come lei. La ragazza, abituata a stare sola, a lavorare di fantasia, ha trovato qualcuno che l’ha raggirata. Circuita. I vestiti eleganti, l’impianto TVCC staccato, sanno di ordini ricevuti, di comportamenti indotti.»

«Vada avanti.»

«Il tizio, chiunque sia, se l’era studiata. Sapeva che la Savio era facilmente influenzabile. S’è preparato la scena del crimine senza testimoni e ha messo in atto il piano. Le ha preso il telefono perché magari comunicavano con un’app di messaggistica e sapeva che per noi quella roba non è rintracciabile, a meno di non avere il cellulare. Magari, chissà, le aveva fornito una scheda intestata a lui, e dopo averla uccisa se l’è portata via.»

«Prosegua, Santamaria» il capitano incrociò le braccia.

«Il soggetto, uomo o donna che sia, non ha scelto a caso il luogo della messinscena.»

«La teca di Isadora» annuì Rambaldi. «Roberta era solo un pretesto.»

«Sì. A lui interessava uccidere in quel modo. Lasciare un messaggio.»

«Che messaggio?»

«Questo, almeno per ora, non possiamo saperlo» tagliò corto Santamaria e si mise il cappello in testa. «Che ne dice se per stasera la chiudiamo qui? Domattina saremo più lucidi e operativi. Non abbiamo nemmeno cenato. Vorrei invitarla a casa mia, mia moglie ha preparato l’arrosto e l’ha lasciato nel forno, in caldo. Anche se è tardissimo dovrà pure mettere qualcosa sotto ai denti…»

«Grazie. Lei vada pure, io preferisco sistemare le cose nell’appartamento della Fondazione. Per un po’ sarà casa mia.»

«Quale le hanno dato, quello grande o quello piccolo?»

«Il grande, credo… ha almeno dieci posti letto, su tre piani. Dentro c’è persino un biliardino da bar… Temo che mi ci perderò.»

«Comunque, per l’arrosto, guardi che mia moglie è napoletana, una cuoca coi fiocchi! Non voglio insistere ma davvero, mi farebbe piacere se…»

«Sono a posto così. Ci vediamo domattina alle otto.»

Santamaria annuì sorridendo. «Capitano, posso farle una domanda?»

«Certo.»

«Lei di omicidi ne ha risolti parecchi. Quella cosa che dicono nei telefilm, che le prime ventiquattr’ore di indagini sono fondamentali… è vera?»

«Verissima. Purtroppo.»

«Quindi considerando che la ragazza è morta ieri notte, in teoria noi saremmo già fottuti?»

«Mi fa piacere che sia così ottimista maresciallo… Si concentri su quell’arrosto ora, ne riparliamo domattina.»