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La ricerca di Marra era stata vana. A casa non c’era, il cellulare era staccato, al bar La terrazza non lo vedevano dal giorno prima. Mentre Rambaldi meditava sul da farsi, con un tempismo da serie tv ricevette la telefonata del maggiore Fulvio Tosti, responsabile della Sezione rilievi scientifici del comando provinciale di Pisa.

«Ciao, Rambo. Ocché fai a Peccioli?»

«Spero che tu abbia chiamato perché ci sono delle novità, non per fare conversazione.»

«Il solito sgobbone. Ci sono, ci sono le novità. Tanto per cominciare ho appena avuto il tossicologico e ti confermo che la ragazza, la Roberta Savio, è stata narcotizzata. Triclorometano inalato a distanza ravvicinata.»

«Perché non lo chiami Cloroformio, come tutti?»

«Perché triclorometano l’è più figo. Comunque, oltre a questo, ho scoperto qualcosa recuperando le cartelle cancellate dalla memoria del pc. Tieniti forte… fotografie di gente che spaccia. Una gang di motociclisti. Ho controllato gli scatti, sono stronzi già noti alle forze dell’ordine. Fanno parte di un gruppo di bikers che si muove nel giro della provincia di Pisa. Sì, lo so, detta così, fa ridere. Si fanno chiamare…»

«Nómadas» lo anticipò Rambaldi.

«Maremma… occome fai a saperlo?»

«Lascia stare. Mandami tutto qui, da Santamaria, voglio dargli un’occhiata. Che altro?»

«Abbiamo scoperto anche una mail indirizzata a un certo Saverio. Ti giro anche quella?»

«Sì, grazie. Fallo subito per favore.»

«Ci mancherebbe. Ti porto pure uno spritz?»

«No, meglio un Crodino ai frutti rossi. E non scordarti le patatine.» Rambaldi riattaccò prima che Tosti potesse ribattere.

Le foto erano 8, sembravano scattate di nascosto, con un cellulare al massimo ingrandimento, stando alla qualità scadente. Rambaldi e Santamaria le studiarono sul pc del comandante di stazione. Ritraevano due uomini, uno magro e calvo, l’altro più anziano, sui 50, con lunghi capelli bianchi raccolti in una treccia. Indossavano giubbotti senza maniche simili a quello che Mauro aveva visto addosso a Saverio Marra due sere prima al bar. Nelle foto, i due scambiavano qualcosa con altre persone a bordo di ciclomotori o attraverso i finestrini di autovetture. In un paio di immagini era evidente la scritta Nómadas sul retro dei gilet di pelle. Sullo sfondo si alternavano degli alberi, la parete sbiadita di una costruzione e un muretto di pietra sormontato da una rete metallica.

Qualcuno li aveva fotografati di nascosto mentre spacciavano. La prospettiva cambiava, il fotografo si era spostato o le immagini erano state scattate in momenti diversi. Le proprietà associate ai file fotografici non riportavano la data di creazione. Rambaldi sapeva che qualcuno si era preoccupato di cancellare quel dato. Non era difficile, bastava un programma di ritocco fotografico. Ma un tecnico esperto, con i software giusti, avrebbe potuto risalire alle informazioni anche esaminando un singolo pixel di ogni foto.

«Li conosco,» disse Santamaria «sono Ponziani e Rubini, due della banda. Non riesco a capire dove sono. Anche se forse qualcuno in grado di dircelo c’è.»

«Che ne dici?» chiese Santamaria all’appuntato Bruno Galassi, il più anziano dei suoi collaboratori. Era l’uomo di maggiore esperienza nella squadra, grande conoscitore del territorio di competenza della stazione. Galassi non era particolarmente alto. Portava una divisa stirata a puntino e la folta chioma di capelli bianchi pettinata con la riga laterale. Si abbassò avvicinando gli occhi chiari allo schermo e aggrottò le sopracciglia, per concentrarsi meglio. Fece scorrere più volte le immagini studiandole in silenzio.

«Può essere località Cedri» disse dopo un paio di minuti. «Vede questo?» continuò indicando un punto su una foto «A me pare il recinto degli ulivi dietro alla canonica. Ha presente la strada poderale che prosegue per parecchi chilometri e passa proprio di lato alla chiesa? È piena di piazzole e radure nella boscaglia. Fino a Iano ci saranno al massimo due o tre case nell’arco di otto, dieci chilometri. Il posto ideale per rifornirsi e proseguire, per poi fermarsi da qualche parte a consumare indisturbati, lontano dagli occhi di tutti. Soprattutto dai nostri.»

«Diavolo d’un Galassi» esclamò il maresciallo Santamaria. «Ora che mi ci fai pensare… Ma sì, potrebbe essere proprio la chiesa di San Giorgio Martire a Cedri. Dici che ’sti balordi si sono spostati lì a spacciare?»

«Probabile maresciallo» rispose l’appuntato. «Da quando li abbiamo beccati cambiano posto di continuo. Vuole che prenda Surricchio e Varricchio per un sopralluogo? Magari li pizzichiamo di nuovo.»

«Per il momento no» rispose Mauro Rambaldi. «Comunque ottimo lavoro, appuntato.»

«Comandi signor capitano» rispose lui, abbozzando il saluto e tornando a occuparsi di noiose faccende amministrative.

Rambaldi e Santamaria passarono a controllare la mail recuperata dai file cancellati di Roberta Savio. Era indirizzata a savemarra@gmail.com. L’oggetto recitava: Fidati di me. Il testo era abbastanza breve.

Saverio,

ti scrivo per tranquillizzarti, il tuo segreto è in buone mani. Non farei nulla per danneggiarti, credimi. Ci tengo alla tua amicizia, e alle sensazioni meravigliose che riesci a darmi. Puoi fidarti di me!

Roberta

La data risaliva alla sera del sabato precedente, qualche ora dopo l’incontro tra Roberta e Saverio ripreso dalle telecamere del museo.

Santamaria si grattò la fronte. «Segreto? Forse si riferisce allo spaccio. Del resto nascondeva le foto sul suo computer. Magari il Marra c’è dentro fino al collo e la ragazza l’aveva scoperto, e a quel punto lui…»

«Lui cosa?» lo interruppe Rambaldi «L’ha uccisa per farla tacere? E ha messo su quella pantomima di Isadora? Come avrebbe fatto la Savio a scoprire il coinvolgimento di Marra? Una ragazza impacciata e asociale che insegue degli spacciatori e li fotografa senza farsi vedere? Mi pare improbabile. E poi lui nemmeno appare in queste foto… No, c’è qualcosa che non torna. Ciò non toglie che dobbiamo rintracciare Marra il prima possibile. Ho bisogno di parlargli.»

«Faccio partire le ricerche? Avvertiamo il comando provinciale?»

«Aspettiamo ancora qualche ora. Prima voglio fare un sopralluogo in quel posto, la chiesa di San Giorgio.»

«Vengo con lei.»

«No meglio che vada solo. Non mi conoscono, mi fingerò un cliente. Forse ho una spiegazione per la mail a Marra, ma voglio verificarla con lui.»

«Capitano, insisto. Mi terrò a distanza, da solo, in borghese.»

«Non mi serve la balia.»

Santamaria aveva una grande stima del superiore, ma in quell’istante pensò che fosse anche un po’ stronzo. Rambaldi parve leggergli nel pensiero: «Se i motociclisti sono lì non interverrò, la chiamerò e valuteremo se procedere a un fermo, ok?».

Per nulla convinto, Santamaria annuì. Rambaldi era il capo, non poteva che obbedire ai suoi ordini.

«È molto distante Cedri?» domandò alla fine il capitano.

«Diciassette chilometri, ci impiega un quarto d’ora. Le spiego come arrivarci.»