22

Forse era l’allusione aristotelica di mamma. Forse era adrenalina che restava nel mio corpo dopo l’incontro con Susan Grace. Di nuovo sentii un desiderio travolgente di parlare con Ryan.

Mentre guidavo lo chiamai. Mi rispose la voce della segreteria. Lasciai un messaggio.

Chiamai anche Ramsey. Rispose. Gli riferii la mia conversazione con Susan Grace.

«Che ne pensa?»

«È una ragazzina arrabbiata.»

«Chi non lo sarebbe vivendo in quella casa?»

Non potevo essere in disaccordo.

«Così la sorellina di Mason spia la sua ragazza mentre lui è confinato a Johnson City.»

«Susan Grace non l’ha messa proprio così.»

«Non sa perché Mason se ne sia andato.»

«Mi pare piuttosto che non voglia dirlo. E, permettimi, per avere sedici anni ragiona in modo alquanto articolato.»

«E non è in pensiero per Cora.»

«Decisamente no.»

«Ha detto perché?»

«No.» Due occhi rossi lampeggiarono nel buio: un cerbiatto nottambulo trasalì davanti alla luce dei fari della mia auto. Rallentai. «Ha detto che non le piace come suo fratello faccia lo zerbino di Cora. E che sua nonna la chiamava un diavolo di femmina.»

«Quel vecchio pipistrello probabilmente pensa che anche lei sia un diavolo di femmina.»

«Ne sono lusingata.»

«Quindi giocano a fare le spie per un po’, poi Mason si dà alla macchia.»

«Sì.»

«Dove alloggiava il ragazzo a Johnson City?»

«Susan Grace non lo sapeva, ma ha un numero di telefono. Te lo mando per SMS

«Teme che gli sia accaduto qualcosa?»

«Giura che lui non se ne sarebbe mai andato senza dirle nemmeno una parola.»

«A meno che non stia cercando di prendere le distanze da un omicidio.»

«Potrebbe essere così. Oppure potrebbe essere stata Cora…»

«In che senso?»

«… ad aver bisogno di sparire.»

Ramsey riflettè un attimo. Poi disse: «Brice. Non conosco quel cognome».

«Susan Grace sostiene che la famiglia potrebbe trovarsi ad Asheville.»

«Quindi pensa che abbiano lasciato Avery.»

«Li troverà?»

«Sono già sul pezzo.» Era la frase preferita di Ramsey.

Gli dissi della foto di Edward Gulley.

«Ecco perché la nonna non ha mandato il nipote a scuola» disse.

«Sono sorpresa che non lo abbia annegato alla nascita.»

«Qual è il suo problema?»

«Sono già sul pezzo.»

«Che sfacciataggine.»

Ero quasi alla periferia di Charlotte quando Ramsey mi richiamò.

«Brice, Joel e Katalin. Joel è un saldatore. Katalin una fornaia. Hanno una figlia, Saffron, che va alle scuole elementari. Persero un bambino, River, nell’estate del 2011. Aveva nove mesi. Poco dopo la morte di River si sono trasferiti da Avery ad Asheville.»

«Ha provato a chiamarli?»

«Ho parlato con Joel. Brevemente.»

«Come morì il bambino?»

«Sindrome della morte improvvisa infantile.»

«Magnifico.»

«Cosa?»

«La maggior parte degli esperti definisce quella sindrome come la morte inspiegabile, che avviene in genere durante il sonno, di un bambino apparentemente sano di meno di un anno. Significa “cause indeterminate”. Parlerà col coroner per conoscere tutta la storia?»

«Sì, se riesco a rintracciarlo.»

«La morte avvenne mentre Cora si occupava di lui?»

«Joel si è rifiutato di parlare di Cora Teague.»

«Avevano conosciuto Cora tramite la Santità del Signore Gesù?»

«Neanche questo era un argomento gradito.»

«Gli ha chiesto perché la licenziarono?»

«Terribilmente sgradito.»

«Ha chiesto come mai lasciarono la Chiesa?»

«Anche questo era vietato.»

«Come ha reagito?»

«Ha riattaccato.»

«Che sensazione ne ha ricavato?»

Per un lungo momento non sentii altro che il respiro di Ramsey. Poi disse: «Avevo la sensazione che ci fosse molto di nascosto».

Cercai di concentrarmi sulla guida. Ma la mente continuava a girare a vuoto. Che sarebbe successo quella mattina aprendo il calco di gesso? La mia idea aveva funzionato? Se sì, che volto avrei visto? Quello di Cora Teague? Perché Hazel Strike mi aveva chiamata sabato? Perché era così urgente che la richiamassi? Aveva notizie da darmi? O era allarmata e cercava aiuto? A chi si era rivolta mentre ero impegnata? Quella persona l’aveva uccisa?

Strike era tornata a trovare John e Fatima Teague, o nonna Gulley, o i Brice? Uno di loro si era sentito così minacciato o esasperato da venire a Charlotte per farla smettere con quel tormento? Le cose erano sfuggite di mano?

Wendell Clyde aveva saputo dell’incontro di Strike con me all’MCME? Del suo continuo interesse alla sparizione di Cora Teague? Clyde l’aveva affrontata? L’aveva colpita a morte, gettando poi il corpo nel lago?

Susan Grace rispuntò nei miei penseri. Per due volte mi aveva indirizzato domande in modo fastidioso. Una volta in macchina, una volta a casa.

Era solo un modo di parlare? O dovevo prenderla alla lettera?

Mi chiedevo se Ramsey lo avesse notato. Avrei dovuto chiederglielo.

Il semaforo all’incrocio tra Queens Road e Queens Road West era rosso. È Charlotte: inutile fare domande. Aspettando il verde schiacciai il tasto di chiamata rapida.

Tre squilli, poi uno sbuffo: «Slidell».

«Sono la dottoressa Brennan.»

«Lo so.»

Sto bene, testa di cazzo. Grazie per avermelo chiesto.

«Mi stavo chiedendo se ci sono stati progressi su Strike.»

«No, non abbiamo fatto strike.» Potevo sentire voci di sottofondo, e un telefono che squillava. Mi immaginai Slidell nella stanza della squadra omicidi.

«Lavorate fino a tardi» dissi.

«Sei preoccupata per qualcosa in particolare?»

Gli dissi della mia conversazione con Susan Grace.

«La ragazza pensa che al nome di Cora Teague non possa accompagnarsi nulla di buono.»

«Sì» dissi.

«Teague le ha rubato l’attenzione del suo fratellone. È gelosa.»

«Forse. Ma mi ha posto un paio di domande in un modo che mi ha dato fastidio.»

La gola di Slidell emise un rumore indecifrabile.

«Ha chiesto a sua nonna: qualcuno almeno ci prova? E ha chiesto a me: qualcuno di voi lo sta veramente cercando?»

«E quindi?»

«Non sono domande strane?»

«Lo hai detto tu che è una ragazza stramba. Senti, adesso…»

«Significa che altri sono alla ricerca di Mason.»

«Questo cosa ha a che fare con Strike?» Impaziente.

«Forse la ricerca di Cora Teague ha condotto Strike fino a Mason. E forse non era la sola a cercare.»

«Stai parlando di quel segugio informatico rivale, Wendell Clyde?»

«Hai un’idea migliore?» dissi in tono brusco. Lo scetticismo di Slidell mi stava rendendo scorbutica. Ed ero stanca.

«Forse. Sto pensando che è ora di uscire per fare qualche domanda.»

Calma.

«Strike mi disse che sarebbe tornata ad Avery. Probabilmente ha fatto visita a John e Fatima Teague, a nonna Gulley e forse ai Brice. Potrebbe aver fatto arrabbiare o spaventare qualcuno.»

Slidell cominciò a parlare. Proseguii.

«O forse Wendell Clyde ha saputo del viaggio di Strike, è impazzito e l’ha fatta fuori.»

Un lunga pausa. Poi: «Quando c’è stata questa campagna telefonica?».

«Strike mi ha chiamato tre volte sabato. Suppongo che lei si trovasse ad Avery quando anch’io ero lì.»

«Ma non ti ha mai parlato.»

«No.»

Slidell rispose con un silenzio. Lungo.

«Ho visitato il nido di Strike oggi. Un secchio di merda fuori Derita.»

«Derita è una zona assolutamente rispettabile.»

«Sì. Tutta ragazzini e barboncini e ricami della nonna incorniciati alle pareti.»

Roteai gli occhi. Data la mia fatica, non era un buon segno.

«Di certo Strike non si intendeva di arredamento. Un paio di camere da letto, una cucina, un bagno, un soggiorno-stanza da pranzo, tutto di colore giallo pipì. L’unica cosa artistica di quel posto era un calendario attaccato col nastro adesivo alla porta del frigorifero. C’era la pubblicità di una marca di mangime per uccelli in un angolo.»

Mi chiesi quali eccellenti opere adornassero le pareti di Slidell.

«Segni di effrazione?» Chiesi.

«No.»

«Sembrava che Strike fosse stata uccisa lì?»

«Niente sangue, non c’era mobilio fuori posto, né vetri rotti, cassetti rovistati.»

«Nessun segno di lotta.»

«O qualcuno ha fatto pulizia.»

«Hai richiesto l’intervento della Scientifica?»

«Non ci ho mai pensato.»

Prendo fiato.

«Sai se hanno trovato un portachiavi contenente un registratore ad attivazione vocale?»

Sentii il cigolio delle molle e immaginai che Slidell stesse raggiungendo la lista degli oggetti ritrovati dai tecnici.

«Niente del genere, in quel letamaio. Perché?»

«Strike ne aveva uno quando venne da me la prima volta. Disse che lo aveva trovato al belvedere della contea di Burke dove erano stati scoperti i primi resti nel 2013.»

«Cosa c’era sul registratore?»

Descrissi le tre voci.

«Per George Washington! Non l’hai spinta a lasciar perdere?»

«Non avevo motivo di farlo» replicai seccamente.

Sentii una voce. Dal suono sembrava che Slidell avesse premuto il ricevitore sul suo petto. Stavo svoltando nel vialetto quando riprese a parlare.

«Quindi la casa non ha fruttato nulla di interessante?» Volevo entrare in quella casa.

«Non ho detto questo. Una camera da letto era piena fino all’altezza delle ascelle di cartoni pieni di raccoglitori per documenti. Un disordine mentale degno di una puntata di Hoarders

«Casi da cybersegugio?»

«Ho messo dei ragazzi a studiare le carte.»

«C’è anche Cora Teague?»

«Ho messo dei ragazzi a studiare le carte.»

«E il computer?»

«Niente cellulare. Niente computer.»

«Hai dato un’occhiata alla sua auto?»

«Non saprei come cavarmela senza di te.»

«Doveva avere un portatile. Con quello passava un sacco di tempo…»

«Il fantastico mondo del web. La casa ha il wi-fi.»

Spensi il motore. Fuori dai finestrini, i prati e i giardini di Sharon Hall sembravano bui e deserti quanto i campi di Heatherhill.

«Avete localizzato Wendell Clyde?» chiesi.

«Sì. Il rospo vive ancora a Huntersville. Come prima cosa, domani metto quella testa di cazzo in arresto per discutere dei suoi recenti successi.»

«Vuoi che…»

«Posso farcela da solo.»

Entrambi infrangemmo un record di velocità terrestre nel chiudere la telefonata.

Erano quasi le undici. Benché esausta, sapevo che quel campanellino subliminale sarebbe stato spietato nell’impedirmi il sonno.

Dopo aver placato Birdie, mandai a Ramsey un SMS col numero di Mason di Johnson City. Poi mi incollai a Internet e iniziai a cercare. Non c’era molto. Ma quello che trovai spiegava perché la piccola sinapsi avesse preso fuoco.

Oscar Mason era stato un pioniere nel campo della fotografia e della radiografia medica e, per oltre quarant’anni, aveva guidato la sezione fotografica presso il Bellevue Hospital di New York. Nel corso della sua carriera aveva fornito centinaia di illustrazioni per lavori pubblicati da medici associati con l’ospedale e il suo collegio medico. Mason si era ritirato nel 1906 ed era morto nel 1921.

Bene. Calzava. Edward Gulley sarebbe stato tra i suoi ultimi soggetti.

Mason era stato inoltre presidente della sezione fotografica dell’American Institute, e aveva occupato una carica presso l’American Microscopical Society. Impressionante. Ma perché avevo sentito parlare di lui?

Continuai a leggere.

Tombola.

Nel 1866 al Bellevue era stato costruito un obitorio sul modello di quello ben più grande di Parigi. All’inizio dell’anno successivo Mason si era occupato, tra l’altro, di fotografare i deceduti che non avevano ancora un nome. Foto e cadaveri venivano numerati in modo corrispondente e i corpi venivano esposti, fino a un massimo di settantadue ore, su tavole di pietra dietro un muro di vetro e ferro. I resti non identificati e non reclamati venivano sepolti nel cimitero cittadino di Hart Island.

In quel momento avvertii un tonfo nella mia mente. Tornando ai primordi della storia, avevo sentito parlare di Mason in un corso sull’evoluzione dei sistemi della medicina legale. Avevamo studiato esempi del suo lavoro e letto un rapporto annuale in cui egli richiedeva una struttura che gli permettesse di fotografare cadaveri al coperto. Seguii altri link. Trovai un elemento che catturò la mia attenzione.

«Le foto più importanti di Oscar Mason sono apparse nei grandi atlanti di dermatologia di George Henry Fox.»

Il web è una creazione meravigliosa. Dovetti cercare poco per trovare l’Atlante fotografico delle malattie della pelle di Fox. Quattro volumi interi, pubblicati tra il 1900 e il 1905 e ora di pubblico dominio. Erano stati digitalizzati, colorati e caricati.

Guardai immagine dopo immagine. Scorsi l’indice. Non trovai menzione di una «sindrome ectodermico-dentale di origine sconosciuta». Nessuna lastra che mostrasse Edward Gulley con i suoi occhi ombreggiati, la pelle macchiata, le unghie traballanti e la dentatura rovinata. Ma lo stile era inconfondibile. La pagina di nonno Gulley veniva da una pubblicazione di Fox.

Benché non fosse necessario, presi la foto che avevo scattato col mio iPhone prima di separarmi da Susan Grace. Mentre zio Edward mi fissava tristemente, compilai una lista delle sue stranezze.

Questo round occupò più tempo. Ma la mia diligenza pagò. Alle due del mattino avevo la diagnosi di Mason ed Edward Gulley.

Mi buttai a letto rattristata, ma anche esultante. E confusa.

Il sonno mi colse rapido e pesante.

Anche il subconscio è una creazione meravigliosa.

Un’ora dopo ero completamente sveglia. Questa volta l’esplosione della sinapsi fu clamorosa.

Sapevo di chi era la faccia che avrei visto al mattino nel calco.