Al più nudo
«E quello si era offerto di pagare la cena!» stava dicendo Emmanuel Rubin, con voce sorda, scandalizzata, fissando con insolita ferocia negli occhi da gufo l’ospite d’onore alla conviviale serata dei Vedovi Neri.
«Sì, infatti, si era offerto di pagarla» replicò Mario Gonzalo, come se niente fosse.
«Immagino che tu avrai accettato.»
«Niente affatto, anche se non vedo perché non dovrebbe pagarla, se vuole. Se c’è qualcuno che desidera pagare il privilegio di cenare con noi, non vedo perché non dobbiamo permetterglielo.»
«Perché così finiremmo per rinunciare alla nostra libertà di sceglierci gli ospiti, pezzo d’idiota, e la nostra libertà non ha prezzo per tutti noi, tranne che per te. Credi forse che io sia disposto a cenare col primo che capita solo perché lui paga il conto? Io, i miei amici, i miei compagni me li scelgo. Accidenti a te, basterebbe il fatto che si era offerto di comprarci per squalificarlo come nostro ospite.»
«Insomma, non ha pagato, e allora perché non ti calmi e non cerchi di ragionare? Agli altri l’avevo già detto e ho lasciato te per ultimo proprio perché sapevo che avresti trovato da ridire in ogni modo. Il nostro ospite si è messo in contatto con me…»
«E tu lo conoscevi?»
«No» rispose pazientemente Gonzalo «però si è presentato. È Matthew Parris, avvocato. Sapeva del club dei Vedovi Neri e voleva conoscerci, spinto da motivi professionali. Voleva conoscerci tutti quanti e ha chiesto di poter intervenire a una delle nostre cene offrendosi di pagare il conto se questo poteva facilitare la cosa. Siccome pareva un tipo interessante, io non ho trovato niente da ridire sulla sua richiesta.»
«E perché dovremmo trattare di questioni professionali durante la cena?» replicò Rubin, sempre malcontento. «Cosa vuol fare? Citarci in tribunale?»
«No» rispose Gonzalo, volgendo gli occhi al cielo come se stesse per perdere la pazienza ostentata sin lì. «Parris è venuto a nome di Ralph Ottur, e siccome noi continuiamo a invitare Ralph, così Parris ha saputo della nostra riunione, ha saputo che dovevo essere io a fare gli inviti questa sera, e su incarico di Ralph, si è messo in contatto con me. Ralph, almeno, dovresti conoscerlo.»
Gli occhi di Rubin lampeggiarono dietro le spesse lenti. «Certo che Ralph lo conosco, ma mi sorprende che lo conosca anche tu. Non sapevo che tu fossi diventato membro prima che lui se ne andasse.»
«Manny, la memoria s’indebolisce con l’età.»
Rubin ignorò la battuta. «Sono passati dodici, forse quindici anni, da quando se n’è andato e allora la nostra società era appena agli inizi, prima ancora che ci s’incontrasse al Milano, prima che Henry si unisse a noi» aggiunse, volgendosi a fissare Henry e sorridendo «e adesso non pare neanche immaginabile che i Vedovi Neri potessero riunirsi senza Henry come, del resto, in quei tempi parevano impossibili le riunioni senza Ralph. Se n’è andato in California nel 1965, se non sbaglio. Eravamo ragazzi, allora.»
«A me sembra che fossimo sulla quarantina» disse Avalon, che si era avvicinato e lo fissava con aria solenne nel volto dalla barba ben curata. «Non eravamo tanto ragazzini nemmeno allora, non ti pare?»
«Oh, be’« replicò Rubin. «Insomma, Mario, si può sapere cosa vuole Ralph da noi?»
«Non lo so» rispose Gonzalo. «Parris non ha voluto dirmelo. Non hai avuto più notizie di Ralph negli ultimi tempi?»
«Nemmeno una parola, da anni. Non risponde nemmeno agli inviti che gli mandiamo. E tu, Geoff, hai saputo più niente di lui?»
«No» rispose Avalon. «Tom Trumbull dice che Ralph insegna navigazione nell’istituto di Tecnologia della California, ma non l’ha saputo da Ralph.»
«E va bene! Ma adesso, Geoff, dimmi, cosa dobbiamo fare di questo avvocato che Mario ha invitato?»
«Trattarlo come ogni altro ospite. Cosa vorresti fare?»
Henry s’avvicinò con l’espressione soddisfatta della persona sicura di sé che gli era caratteristica. «Signor Gonzalo» disse garbatamente «siamo pronti per iniziare, se lei vuol essere così gentile da avvertire i signori.»
Henry tornò a riempire le tazzine del caffè mentre Gonzalo batteva ritmicamente col cucchiaino sul bicchiere dell’acqua. «Jim» disse, rivolgendosi a Drake «tu che sei il socio più anziano e quello che meglio di tutti conosceva Ralph Ottur nei vecchi tempi, vuoi fare gli onori della torchiatura?»
James Drake si accese un’altra sigaretta e senza perdersi in preamboli si rivolse all’ospite della serata. «Signor Parris, come giustifica il fatto di esistere?»
«Per il momento, cercando di rendere lei, in un certo senso, più ricco» rispose Parris. «O se non proprio lei, dottor Drake, uno qualunque di voi.»
«E non sa dirci chi in particolare?»
«Purtroppo no, signori. Per saperlo, dovrei completare la lettura del testamento.»
«Testamento? Che testamento?» domandò Drake, posando la sigaretta sul portacenere e fissandolo a disagio.
Un silenzio profondo si era fatto fra i commensali. Henry, che stava servendo il brandy, si fermò come imbambolato.
«Mi è stato ordinato di non svelare il minimo particolare sino a quando non fossi stato invitato ad una cena dei Vedovi Neri e sino a quando non fossi stato sotto il vostro torchio» rispose Parris, con la massima serietà «e cioè sino a questo momento.»
«Bene, allora» rispose Drake. «Il momento è venuto. Lei può procedere.»
«Mi dispiace dovervi comunicare che Ralph Ottur è morto il mese scorso» prese a dire Parris. «Dopo la morte della sua povera moglie, circa tre anni fa, aveva fatto vita da recluso e, obbedendo al suo volere, della sua morte non è stata data alcuna comunicazione. Ma benché avesse rotto definitivamente con il suo passato newyorkese dopo che si era trasferito in California, non aveva dimenticato affatto i vecchi amici del club dei Vedovi Neri e mi aveva incaricato di portare a ciascuno di voi una di queste buste e consegnarvele se foste stati tutti presenti. Questa sera ci siete tutti.»
Le buste vennero consegnate a ciascun socio. I Vedovi Neri le fissarono sbalorditi. Su ciascuna busta c’era il nome di ogni socio scritto in bei caratteri con inchiostro di china.
«Questo è il suo monogramma» disse Drake, piano. Ogni busta recava l’immagine stilizzata di quella che era indiscutibilmente una lontra con un pesce in bocca.
«È la stessa, uguale per tutti?» domandò Trumbull.
«Leggila e lo sapremo subito» replicò Gonzalo.
Trumbull esitò brevemente, poi prese a leggere con voce monotona: «“Be’, smettetela di restar lì impalati come tanti idioti. Non c’è alcun motivo perché dobbiate restare sulle spine. Tutto ciò che accade è il volere del destino e smettetela di comportarvi in quel modo. Ricordatevi che modo, in inglese, si dice mood, e che letto alla rovescia diventa doom e che doom vuol dire fato, destino funesto. Io sono stato sempre con voi, in ispirito, ogni mese, anche se ero lontano, anche se non avete avuto più mie notizie e sono con voi anche adesso, pronto per l’ultima partita”».
«È uguale alla mia» disse Gonzalo.
Gli altri confermarono che anche le loro erano uguali.
«Bene, allora» disse bruscamente Parris «adesso leggerò il testamento… Non tutto, voi capite, ma solo quella parte che riguarda il vostro circolo. Se siete pronti…»
Tacquero tutti, e Parris incominciò a leggere. «“È mio desiderio e mia volontà fare un lascito ai Vedovi Neri, un club del quale sono stato un socio fondatore, verso i soci del quale ho sempre nutrito un affetto profondo. Conseguentemente, voglio devolvere una somma in denaro, che, dopo aver pagato le tasse, deve ammontare a diecimila dollari. Questa somma dovrà andare a uno dei seguenti signori, ciascuno dei quali era socio del club all’ultima riunione alla quale presi parte anch’io e che, per quanto mi è dato sapere, sono ancora in vita. Essi sono: Thomas Trumbull, James Drake, Emmanuel Rubin, Geoffrey Avalon, Roger Halsted e Mario Gonzalo.”»
Parris sollevò gli occhi dal foglio e si guardò intorno. «Tanto per la forma» disse «siete in sei riuniti attorno a questo tavolo, e penso che siate i sei che ho nominato. Ci sono variazioni?»
«C’è un settimo socio» disse Gonzalo. «Henry, il nostro cameriere, è il migliore dei Vedovi Neri presenti e passati.»
«Henry non era socio quando c’era Ralph» disse Halsted. «Accidenti, non posso crederlo che è morto. Ve lo ricordate quella volta che ci sfidò a trovare una parola inglese di uso corrente che contenesse le lettere “ufa” scritte in quell’ordine? Ci diede da pensare per tutta la serata.»
«Sì» rispose Drake. «E fosti tu a trovarla. Ecco perché te la rammenti ora, a distanza di tanti anni.»
«Silenzio!» intimò Rubin, con la barbetta che tremolava. «Chiedo silenzio. C’è ancora da leggere il testamento. Perché Ralph dice che uno di noi dovrà ereditare la somma, e perché uno solo e chi?»
Parris si raschiò la gola. «Non lo so. Giunto a questo punto, obbedendo alle istruzioni ricevute, devo aprire la busta contraddistinta dal numero uno. Eccola…»
«No, aspetti prima di aprirla» disse bruscamente Rubin. «Mario, sei tu che fai gli onori di casa e che comandi, questa sera, ma ascolta: se il lascito fosse da dividersi in parti uguali fra tutti noi o se fosse devoluto al club, non ci sarebbe niente da obiettare. Ma il fatto che debba toccare a uno solo di noi potrebbe creare invidie e risentimenti. Io propongo che, chiunque sia a meritarsi la somma, la devolva alla creazione di un fondo per il club nel suo insieme.»
«Io sono d’accordo» disse Gonzalo. «Nessuna obiezione?»
Nessuno obiettò. «Apra la busta, avvocato» disse Gonzalo.
Parris l’aprì; ne tirò fuori un cartoncino formato nove per dodici, lesse e sul volto gli si dipinse un’espressione incredula che non sfuggì a nessuno, poi disse: «Signori, qui è scritto: “Al più nudo” e null’altro».
«Cosa?» sbottò Trumbull, indignato.
Parris voltò il cartoncino dall’altra parte, guardò e scosse la testa: «Non c’è scritto altro, potete accertarvene».
Il biglietto passò di mano in mano.
«Ma non capite?» disse Avalon, sogghignando. «Nella sua lettera lo diceva pure che questa sarebbe stata l’ultima partita, l’ultima sfida! Eccovela, dunque.»
«Ma che razza di partita, che sfida è?» domandò Gonzalo.
«Non certo fra le migliori delle sue» brontolò Rubin. «Continua, Geoff, spiegaci la tua idea.»
«Secondo la mitologia greca, la ninfa marina Teti sposò il mortale Peleo e alle nozze vennero invitati tutti gli dei e tutte le dee dell’Olimpo. Solo la dea della discordia, Eris, non era stata invitata. Furiosa per l’affronto, la dea vi andò ugualmente e, gettata una mela d’oro in mezzo all’allegra comitiva di dei e di dee, se ne andò. Mercurio raccolse il pomo, al quale era unito un breve messaggio che diceva soltanto: “Alla più bella”. Tre dee tesero immediatamente la mano: Era, regina del cielo; Atena, dea della saggezza; Afrodite, dea della bellezza e dell’amore. La lite che ne scaturì diede origine alla guerra di Troia.»
«Precisamente» disse Rubin «e io proporrei di non prestarci al gioco di Ralph. Io non capisco cosa diavolo vuol dire con quel “più nudo”, ma se ci mettiamo a disputare su chi di noi può essere il più nudo che cercava, e quindi quello che deve ereditare i diecimila dollari, finiremo per essere scontenti tutti quanti, perdenti e vincitore, anche se verseremo la somma in un fondo comune. Poco fa, il signor Parris ha detto che gli idealisti preferiscono la vittoria alla sopravvivenza, ma io non sono dello stesso parere; io non voglio vedere la fine del nostro club per una banale contesa su chi deve vincere diecimila dollari.»
«Senti! Senti!» commentò sarcasticamente Gonzalo. «Persino tu sei capace di dire qualcosa di sensato una volta ogni tanto. E allora mettiamoci d’accordo, diciamo che ciascuno di noi è, almeno per la sua parte, almeno per un sesto, il più nudo di tutti, prendiamo la somma e la versiamo nel fondo comune.»
«Perfetto!» commentò Avalon. «Non vedo che possano esserci obiezioni a questa proposta.»
Fra i presenti tornò il silenzio, ma Parris intervenne. «Purtroppo, le mie istruzioni mi imponevano di permettere la discussione e poi di aprire un’altra busta contraddistinta col numero due.»
«Be’…» rispose Gonzalo, sorpreso. «La apra, allora.»
Parris aprì la seconda busta, ne tirò fuori un foglio ripiegato e lo aprì. Era un messaggio scritto a macchina, fitto fitto. L’avvocato lo guardò appena e subito sogghignò.
«Signori, ecco cosa dice: “Non dubito affatto che a quest’ora Geoffrey Avalon, che è così simpaticamente pedante, avrà già spiegato le connessioni del messaggio col pomo della discordia e con le nozze di Teti con Peleo…”.»
«Non ho mai negato di essere un pochino pedante» mormorò Avalon, che era arrossito sino alla radice dei capelli. «Spero solo di non esserlo mai stato in misura tale da riuscire insopportabile o offensivo per nessuno, o almeno, se lo sono stato, mi sarei augurato che gli amici me lo dicessero.»
«Non occorre che ti scusi» disse Trumbull. «Siamo tutti pedanti. Continui pure, signor Parris.»
Parris annuì e riprese a leggere dov’era rimasto: «“…di Teti con Peleo. Può anche darsi che qualcuno degli altri, magari Manny Rubin, suggerisca di rifiutare il giochetto e dividere la somma. Niente del genere! Spiacente di dover insistere, ma il denaro deve andare ad una sola persona, e cioè a quella che riuscirà a dimostrare di essere la più nuda a soddisfazione dell’esecutore testamentario, in mancanza di che nessuno di essi potrà ereditare detta somma. Direi che Geoff può spiegare la ragionevolezza di questa disposizione, supposto che non l’abbia già fatto”».
Avalon, imbarazzatissimo, si raschiò la gola. «Penso che non sia necessario» disse.
«Va bene, Geoff, non ti preoccupare» disse Rubin. «Lascia fare a me, lo sapete tutti che non sono affatto pedante.»
«Già! Non sei abbastanza intelligente» brontolò Gonzalo.
Rubin lo sbirciò, bieco, e prese a parlare, spiegando la sua idea. «Come ha detto Geoff, tre dee si disputavano la mela d’oro. Mercurio, che l’aveva raccattata da terra, capì al volo che quella non era disputa che potesse risolvere un povero dio innocente come lui e rifiutò di decidere chi delle tre la meritasse e uno dopo l’altro rifiutarono anche gli altri dei, tutti quanti. Dopo una lunga discussione, venne deciso di rifilare l’incarico della decisione ad un misero mortale e il prescelto fu un giovinetto, un povero pastorello che pascolava le greggi sul Monte Ida, non lontano da Troia.
«Le tre dee apparvero assieme al giovinetto, ciascuna nel pieno fulgore della propria bellezza e ciascuna di esse, temendo di non poter vincere con mezzi leali, cercò di corrompere colui che era stato eletto giudice: Era gli offrì la potenza e il dominio sul mondo intero; Atena gli offrì il dono della saggezza; Afrodite gli offrì in sposa la più bella ragazza del mondo.
«Il pastorello era cresciuto abbastanza per trovare l’offerta fattagli da Afrodite la più allettante delle tre e assegnò a lei la mela d’oro. È indubbio che Venere avrebbe vinto anche in una gara leale, ma la scelta risultò ugualmente disastrosa. La più bella ragazza nel mondo d’allora era Elena, regina di Sparta, moglie di Menelao. Il pastorello la rapì alcuni anni più tardi, e Afrodite lo aiutò nell’impresa, ma quel rapimento fu la causa che fece scoppiare la guerra di Troia.
«Il pastorello si chiamava Paride ed era uno dei cinquanta figli di Priamo, re di Troia. La disputa fra le tre dee è uno dei temi preferiti dai pittori, ed è nota come “il giudizio di Paride”. Chiaro che Ralph non ha saputo resistere alla tentazione di giocare con le parole, se pensate che in inglese Paride si dice Paris e non Parris, come scrive Ralph e come si chiama il suo esecutore testamentario.»
«Ma sembra che a me sia toccata la sorte peggiore» ribatté l’avvocato, sorridendo amabilmente. «Anziché dover scegliere fra tre dee particolarmente avvenenti, devo decidere fra sei uomini nessuno dei quali mi sembra molto attraente.»
«Per la verità, lei non deve prendere alcuna decisione» replicò Rubin. «Ralph non può costringerci a stare al suo giochetto e se l’unico modo per entrare in possesso della somma consiste nel litigare fra di noi, io suggerisco di lasciar perdere. Possiamo fare a meno di quei diecimila dollari… Ne abbiamo fatto a meno sin qui! Invece, nessuno di noi potrebbe fare a meno dell’amicizia reciproca che ci unisce.»
«Be’» protestò Halsted, che non pareva così disposto a mollare «quel denaro non ci farebbe male. Ci servirebbe per ridurre le spese delle nostre cene. Io, almeno, trovo sempre più difficile affrontarle, un po’ per l’inflazione, un po’ per le tasse. E siccome fra tutti quanti io sono quello che ha meno capelli, non possiamo metterci d’accordo e dire che il più nudo sono io e smetterla di discutere?»
«Potremmo anche metterci d’accordo e dire che “il più nudo” significa quello che è meno vestito. Allora io mi spoglierei, rimarrei con maglietta e mutande soltanto, incasserei e verserei nel fondo comune» disse Gonzalo.
«Dio benedetto!» sbottò Rubin. «Io sarei disposto a darti diecimila dollari se ti vedessi infagottato sino al collo, ma non se ti vedessi seminudo!»
«Oh se potessimo trasformarci!» mormorò Drake, con occhi sognanti. «Sarebbe tutto più facile. Una bella cravatta per tutti quanti e niente altro.»
«Un momento, un momento, signori» disse Parris. «Questa è una cosa seria. Io disapprovo i testamenti come questo, ma sono l’esecutore della volontà del defunto e devo agire con serietà e correttezza. Non so davvero cosa intendesse dire il povero signor Ottur con “il più nudo”, ma per oscura che possa essere la definizione, non c’è dubbio che è vincolante. Se qualcuno di voi può dimostrare cosa vuol dire quel “il più nudo” e poi può dimostrare che uno di voi è più nudo degli altri, io gli consegnerò la somma stabilita, altrimenti non potrei. La calvizie, o la nudità, non mi sembrano spiegazioni capaci di soddisfare il significato della frase. Provate ancora.»
«Nemmeno per idea» replicò Rubin. «Roger, tu dovresti vergognarti… tu e la tua calvizie. Se sei tanto alle strette, ti aiuterò a pagare il conto quando verrà il tuo turno.»
Halsted avvampò di sdegno. «Io non sono tanto alle strette» sbottò, puntando verso Rubin un dito accusatore «e non chiederei mai aiuto a te nemmeno se morissi di fame.»
«Bene! Bene!» mormorò Avalon. «Il pomo della discordia sta già facendo il suo effetto, è ovvio. Manny ha ragione. Lasciamo le cose a questo punto, visto che siamo ancora in buona armonia.»
Halsted si passò una mano sulla fronte ancora aggrottata, ma non fiatò.
«Scusa, Roger» disse Rubin. «Non avevo alcuna intenzione di offenderti.»
Halsted rispose con un gesto della mano, come per dire che faceva niente, che tutto era già dimenticato. Parris riprese la parola, ma lo fece con tutta l’aria di chi si scusa per la parte che gli toccava recitare. «Le istruzioni che ho ricevuto mi dicono che, dopo avervi lasciato tutto il tempo per discutere, devo aprire una piccola busta segnata col numero tre.»
«Ma quante ne ha in tutto, di quelle buste?» domandò, piano, Drake. «Non potrà mica continuare per tutta la nottata!»
«Questa è l’ultima» rispose l’avvocato.
«Non la apra nemmeno!» ruggì Rubin. «Non c’è niente al mondo che potrebbe farci cambiare idea!»
«Il mio dovere mi costringe ad aprirla e leggervene il contenuto» rispose Parris. «Comunque, non posso costringervi ad ascoltare; perciò se qualcuno di voi preferisce andarsene…»
Ma nessuno si mosse. Nemmeno Rubin.
Parris aprì la busta, ne sbirciò appena il contenuto e subito si fece triste. «Penso che vi convenga ascoltare» disse alla fine. «Ecco cosa dice: “I miei amici potrebbero decidere, tutti d’accordo, di rinunciare al lascito piuttosto che stare al gioco. In questo caso, o se accettassero la sfida proposta e non riuscissero a risolvere l’enigma, io dispongo e voglio che il denaro sia elargito, senza alcuna condizione, al Partito Nazista d’America”.»
Dai Vedovi Neri eruppe un coro di protesta.
«Dice proprio così» replicò Parris. «Leggete pure.»
«Ma lei non può fare una cosa simile» protestò Halsted.
«Io sono tenuto, per legge, a obbedire. Sono solo un tramite usato per trasmettere il denaro agli aventi diritto, non posso agire di mia iniziativa. Naturalmente ciascuno di voi, o anche tutti insieme, potete impugnare il testamento, ma non vedo con quale pretesto possiate farlo. Ciascuno può comportarsi come vuole con quanto gli appartiene, purché resti nei limiti fissati dalla legge. Ebbene, non mi sembra che questo testamento oltrepassi quei limiti.»
«E allora diamoci da fare» disse Halsted. «Io dico che sono il più nudo perché sono il più calvo, ma non lo dico per vincere la somma, capisci Manny? Lo dico solo per non farla cadere in mano ai nazisti. E adesso, avvocato, se lei accetta questo punto di vista, ci dia il denaro. Noi lo verseremo nella cassa comune e la faremo finita.»
«Vorrei poterla accontentare» rispose Parris, esitando. «Il guaio è che non posso.»
«E perché no? Vuole dunque che quel denaro cada in mano ai nazisti?»
«Certo che no» rispose Parris, piuttosto indignato. «Ma io ho un solo dovere: rispettare la volontà del mio cliente, e lui vuole che uno di voi dimostri di essere il più nudo di tutti portando argomenti irrefutabili a sostegno di questa affermazione affinché io possa ritenermi soddisfatto e possa designarlo fra tutti e sei, dopo di che il denaro apparterrà al vincitore, che sarà libero di farne ciò che crede, tenerselo, dividerlo in parti uguali, costituire un fondo comune per qualsiasi scopo, legale o meno che sia.»
«Ne è proprio sicuro?» domandò Trumbull. «Non ci sono altre letterine piene di furberie?»
«No, assolutamente» rispose Parris. «La lettura è completa. A questo punto devo rammentarvi che qui si tratta “del giudizio di Parris” e non di Paris. Voglio dire che dovrete convincere me della validità della soluzione proposta, altrimenti dovrò devolvere la somma ai… ai… Insomma, non ho scelta.»
«Secondo quanto ci ha raccontato Manny, Paride, il figlio di Priamo, venne corrotto da una delle tre dee. Potrebbe significare…»
Parris lo interruppe con faccia seria. «Signor Gonzalo, la prego, non finisca di esprimere ciò che pensa. Non lo troverei di buon gusto.»
«E allora non abbiamo scelta» commentò Rubin. «Dobbiamo accettare e giocare questa partita come ci impone Ralph. Chi, dunque, è il più nudo?»
«Non possiamo rispondere se prima non sappiamo cosa voleva dire quel vecchio bast… Insomma, nihil nisi bonum e tutto il resto. Cosa diavolo intendeva Ralph con “il più nudo” se non voleva dire il più calvo?» domandò Halsted.
«Forse voleva dire il più povero, quello di noi che è più spoglio di denaro, di beni, di averi» suggerì Gonzalo. «Nel qual caso, io potrei propormi come candidato.»
«Oppure voleva dire il più piccolo» insinuò Avalon. «Quello che, per così dire, esiste appena, nel qual caso il candidato saresti tu, Manny.»
«Geoff, tu avrai venti centimetri più di me, ma sono venti centimetri di ossa con niente dentro» replicò Rubin. «Cosa ne direste se si trattasse del socio che ha il guardaroba meno fornito, nel qual caso dovremmo immediatamente scartare Mario?»
«Signori! Signori!» intervenne Parris. «Degli argomenti addotti sin qui non ce n’è uno che possa convincere. Siate seri, vi prego.»
«Lei ha proprio ragione» rispose Rubin. «Questa faccenda è troppo seria, non è il caso di scherzare, ma mi sta tanto antipatica che non riesco a concentrarmi. Io suggerirei di far intervenire immediatamente Henry senza perder altro tempo.»
Henry, che era rimasto in piedi accanto alla dispensa, ascoltando attentamente, scosse la testa. «Mi rincresce, signori, ma non sarebbe giusto. Il defunto signor Ottur non mi conosceva, non poteva considerarmi un socio del club. Come conseguenza, non posso partecipare alla gara.»
«Ma lei è socio adesso» replicò Trumbull, contrariato dal rifiuto. «Forse lei non è qualificato per ereditare la somma stanziata, ma può ugualmente darci suggerimenti, aiutarci. Andiamo, Henry, veda di fare qualcosa.»
«Non credo di esserne in grado, signor Trumbull. Sono socio del club, ed è vero, ma è altrettanto vero che sono anche l’unico a non aver conosciuto il signor Ottur. Non so che tipo fosse e come la pensasse.»
«Quanto a questo, non ci sono segreti» replicò Trumbull. «Lei ha sentito i nostri discorsi, ha ascoltato cosa dicevamo di lui, sa che amava i giochi di parole. Andiamo, Henry! Se lei non ha conosciuto Ralph, è altrettanto vero che Ralph non ha conosciuto lei, non sapeva nulla della sua capacità di analizzare i particolari più insignificanti…»
«Farò del mio meglio, signor Trumbull» rispose Henry, sospirando. «Posso fare alcune domande? Per esempio, sbaglio pensando che il povero signor Ottur non era un simpatizzante della causa nazista?»
«No, che diamine» esclamò subito Rubin. «È vero semmai l’inverso. Negli anni dell’immediato dopoguerra Ralph si era trovato nei guai perché alcuni lo ritenevano troppo di sinistra!»
«Quindi non voleva che quel denaro finisse ai nazisti?»
«No, certo.»
«E quindi sperava che voi avreste vinto quella somma.»
«Secondo me, sì» rispose Avalon. «Ma forse ha sopravvalutato le nostre capacità.»
«E non ritenete che, pur di farvi vincere, vi abbia dato uno spunto, una traccia qualunque?» domandò Henry.
«Che tipo di traccia? Che tipo di spunto?» domandò Gonzalo.
«Non lo so, signor Gonzalo, ma vediamo. Il nome del signor Ottur si pronuncia normalmente?»
«Lei vuol sapere se si pronuncia Otter (lontra) domandò Trumbull.
«No. Si pronuncia Ottur, con la “u”.»
«Quando vi sono state consegnate le prime buste, il signor Drake ha detto qualcosa circa il monogramma del signor Ottur…»
«Alludevo al disegno che c’è su quelle buste» spiegò Drake.
«Infatti, mi era sembrato che si trattasse proprio di quello. Ma il signor Ottur ha usato sempre lo stesso monogramma?»
«Sì, almeno da quando lo conoscevo io, ed erano parecchi anni.»
«Posso capire la lontra, ossia otter in inglese, che ha un chiaro riferimento al nome del signor Ottur, anche in considerazione della passione del defunto per i giochi di parole. Ma il pesce in bocca alla lontra è forse una trota?»
«Io non ci ho mai pensato» rispose Avalon, rompendo il silenzio generale che era seguito alla domanda. «Può darsi che sia una trota. Ma perché questa domanda?»
«Solo perché trout, come si chiama in inglese la trota, è l’anagramma di ottur. Sono le stesse lettere disposte in maniera diversa. Una lontra che tiene in bocca una trota ha un doppio riferimento al cognome del defunto se noi teniamo conto dell’anagramma. Questo particolare si addice a quello che era il carattere del signor Ottur?»
«Decisamente sì» rispose Rubin. «Il significato della lontra è chiaro per tutti, ma io non ho mai pensato alla trota. Ralph non ne aveva mai accennato, almeno che io rammenti, ma del resto non dava mai spiegazioni su quanto lo riguardava; preferiva lasciar indovinare agli altri. Ma cos’ha a che fare tutto questo col problema che dobbiamo risolvere noi?»
«Signori, mi sembra che la prima lettera non fosse affatto necessaria per la comprensione del testamento, e quindi si poteva benissimo eliminare» rispose Henry. «Inoltre, io non vedo affatto la necessità di fare a ciascuno di voi una copia della stessa lettera quando sarebbe stato sufficiente una copia sola, da leggere alla presenza di tutti, com’è accaduto per i tre messaggi che han fatto seguito al primo e che facevano parte dello stesso testamento.
«Dopo questa considerazione, sono costretto a pensare che il signor Ottur voleva essere ben sicuro che ciascuno di voi ricevesse una copia del suo monogramma, voleva accertarsi che ognuno potesse vederlo e studiarlo magari per usarlo come spunto nella ricerca della soluzione. Quel monogramma è un gioco di parole e un anagramma che si rifanno al suo cognome. Può darsi che la soluzione del problema sia nascosta proprio in questo bisticcio di parole, in questo anagramma.»
I sei Vedovi Neri, seduti a tavola, tacevano immersi nei loro pensieri.
«Insomma» disse Drake, alla fine «mi sembra degno, in tutto e per tutto, di Ralph. Ma se fosse così, lasciatemi dire che Drake si può anche anagrammare e allora diventa raked, che vuol dire rastrellato, e un campo rastrellato è certamente spoglio e nudo. Inoltre, basta cambiare una lettera per avere naked, che vuol dire spogliato, e chi è spogliato è certo il più nudo di tutti.»
«Raked non mi sembra esente da obiezioni» disse Parris. «Quanto a naked mi sembra addirittura improbabile. Non penso che siano permesse sostituzioni di lettere.»
«E allora permettetemi di suggerire un gioco di parole» disse Rubin. «Il mio nome può scindersi in due parole inglesi: Rub in, che significa far penetrare frizionando. Ora, oli e creme coi quali ci si massaggia penetrano nei pori e lasciano la pelle completamente nuda. Cosa ne pensate?»
«Anche più inverosimile di raked» rispose Parris.
«E allora anche Gonzalo potrebbe anagrammarsi. Diventerebbe a zo long, che potrebb’essere un a so long pronunciato da un tedesco. So long vuol dire addio, in altri termini, e quando qualcuno dice addio, resta senza compagnia.»
«Bontà divina!» esclamò Rubin.
«Sì, privo, nudo di compagnia. Del resto, non ho trovato di meglio» replicò Gonzalo, col tono di chi vuole scusarsi.
«E allora, se proprio vogliamo alterare la pronuncia» disse Halsted «il mio nome, anagrammato, può diventare stealdh, che sarebbe la pronuncia errata di stealth, che significa rubare. Il derubato può anche restar nudo, mi pare.»
«Peggio che mai» replicò Rubin.
«Peggio di tutti sto io» disse Trumbull. «Le uniche due vocali del mio cognome sono due “u” e con quelle non si fa niente.»
«Signori» disse nervosamente Parris «mi sembra che continuiate a considerare questa sfida con scarsa serietà. Nessuno dei vostri suggerimenti ha il benché minimo valore. Per cortesia, se volete che quella somma non cada in certe mani, cercate di far meglio di quel che avete fatto sinora.»
Avalon, che taceva da un po’, abbassò modestamente le palpebre e s’abbandonò ad un ghigno satanico. «Ma io, signori, ho trovato la soluzione, e mi fa piacere poter dire che al nostro Henry, il nostro impareggiabile cameriere, è sfuggita la chiave del segreto. Henry, non se la prenda; anche Omero, come dicono i poeti, sonnecchia di tanto in tanto!»
«Molto più spesso di me, signor Avalon. Ma quale chiave mi sarebbe sfuggita?»
«Ma certo! Nella prima lettera non c’era solo il monogramma, come lei, Henry, ha fatto giustamente osservare, ma Ralph faceva notare anche che mood diventa doom se letto a rovescio. Questa affermazione è quasi un non sequitur e noi dovremmo chiederci perché è stata fatta.»
«Perché Ralph ha… o meglio, aveva, di quelle idee» rispose Rubin.
«Senza dubbio. Ma se ti vuoi prendere il disturbo di leggere Avalon a rovescio, allora vedrai che diventa no lava, e senza giochi di parole, senza dover anagrammare niente. Proprio come ha fatto Ralph con mood nella sua lettera.»
«Oh, finalmente!» sbottò Parris, improvvisamente eccitato. «È la proposta più sensata udita sin qui. Ma perché no lava e cioè niente lava?»
«Perché un terreno sul quale non è passata la lava è solitamente nudo» rispose Avalon.
Parris rifletté su quella risposta, ma poi scosse la testa. «Ma il terreno sul quale non è passata la lava può essere benissimo fertile e ricco di vegetazione. Non è detto che debba essere brullo e nudo. Potrebb’essere benissimo brullo anche il terreno sul quale la lava è passata.»
«E sta bene» replicò Avalon. «Allora possiamo disporre diversamente le lettere che formano il mio nome e otteniamo on lava, che vuol dire sulla lava. Ora mi pare che sulla lava non debba esserci vegetazione, e un terreno senza vegetazione è senza dubbio nudo, un deserto.»
«E che ce ne facciamo del vincolo di leggere il nome a rovescio?» disse Gonzalo. «L’hai suggerito con mood e doom.»
«E sta bene» rispose Avalon. «Dobbiamo eliminare anche questa possibilità.»
«Mi piaceva no lava» disse Parris. «Però non era convincente. Il motivo per cui mi piaceva è da ricercarsi nella possibilità di leggere il nome a rovescio, che mi sembra una soluzione ragionevole. Proprio per questo, on lava, che comporta un anagramma, mi sembra inaccettabile.»
Ci fu un certo silenzio, sino a quando Rubin perse la pazienza. «Insomma! Questa storia diventa sempre meno divertente ad ogni minuto che passa. Non finirà che dovremo dare il denaro a chi ci è poco simpatico, anche con l’aiuto di Henry?»
«E va bene» rispose Gonzalo. «Chiediamoglielo, dunque. Henry, dov’è che sbagliamo?»
«Non ne sono sicuro, signor Gonzalo» rispose il cameriere. «Però mi sembra che, sin qui, non abbiamo fatto altro che ricercare giochi di parole o di anagrammare i nostri cognomi, che è quanto dire che abbiamo ricercato le possibili risposte potenziali. Ora, io mi chiedevo se, per caso, non dobbiamo prendere in considerazione anche la domanda che ci è stata formulata.»
«Non capisco cosa vuol dire» disse Avalon.
«Mi è venuta l’idea che la frase to the barest, ossia al più nudo, si presta a un gioco di parole, e allora può diventare to the bearest, che significa al più orso, ossia a quel socio fra noi che è solitamente il più orso del gruppo.»
«Terribile!» esclamò Trumbull. «Terribile come gioco di parole e terribile nel significato. Comunque, non mi sembra che sia più facile designare il più orso di noi di quanto non lo sia designare il più nudo.»
«Non lo so, Tom! Non lo so!» replicò Gonzalo. «Tu hai un carattere tremendo. Tu, per me, sei il più orso di tutti noi!»
«Non finché c’è Manny vivo!» replicò rabbiosamente Trumbull.
«Accidenti!» urlò Rubin. «Io non ho mai perso la pazienza in vita mia!»
«Sì, come adesso» replicò Halsted.
«Signori» riprese ad esortarli Parris. «In questo modo non risolverete niente. Se nessuno di voi non riesce a trovare qualcosa di meglio, temo che dovremo rinunciare.»
«Ma a mio modo di vedere, adesso abbiamo la soluzione che cercavamo!» disse Henry. «Se accettiamo l’ipotesi che la risposta consista nel cercare quale dei soci è più orso degli altri, vogliate osservare che basta spostare una sola lettera e rubin diventa bruin, il nome comunemente dato all’orso delle nostre saghe epiche, il nome che si usa ancora nelle favole. Mi sembra che ci sia anche una squadra di hockey che si chiama così.»
«Questa sì che posso accettarla!» esclamò energicamente Parris. «È una soluzione ben precisa, adatta, ed è l’unica possibile.»
Un lungo applauso salutò la trovata di Henry, che divenne rosso come un peperone.
«E allora, siccome il denaro tocca a me» disse Rubin «lo devolvo al fondo comune col vincolo che gli interessi maturati vengano dati a Henry quale onorario per il suo servizio.»
Tutti applaudirono ancora.
«Signori, non fatelo, vi prego» disse Henry. «Verrei pagato troppo.»
«Andiamo! Andiamo, Henry!» disse Rubin. «Vuol forse rifiutare?»
Henry rifletté ben bene. «No» rispose con un profondo sospiro. «Accetto, con tanti ringraziamenti.»
(Titolo originale: To the barest)
Conclusione
Non voglio che i Vedovi Neri entrino a far parte del mondo vero e reale. Nel racconto La ragnatela c’era un omicidio e altri soci sono entrati a far parte del sodalizio, ma non voglio che queste cose accadano anche ai Vedovi Neri. Nessuno deve morire, non devono esserci altri soci.
E nessuno di quelli esistenti deve invecchiare. Henry era sulla sessantina nel primo racconto e benché da allora sian trascorsi pressappoco dieci anni è sempre sulla sessantina e sulla sessantina rimarrà, indipendentemente da quanto io possa vivere ancora e da quanto possa durare la serie di questi racconti. E così Avalon continuerà a guardare dall’alto del suo metro e novanta e la barbetta di Rubin continuerà a vibrare per l’indignazione.
Ma le esigenze della trama e la spinta della nostalgia mi hanno indotto ad introdurre Ralph Ottur come il fondatore del club e a darlo per morto. È certo che il club “La Ragnatela” è stato fondato da Fletcher Pratt, scrittore di fantascienza e storico navale, morto più di vent’anni fa, ma ancor oggi ricordato con affetto da quanti l’hanno conosciuto.
Con questo racconto prendo congedo dai miei gentili lettori, con la solita promessa di mantenere viva la fiamma dei Vedovi Neri sino a quando vivrò.
FINE