La croce di Lorena

Emmanuel Rubin era un tipo singolare. Convinto che un’espressione di sollievo poteva solo tradire un precedente stato d’incertezza, di apprensione, si era fatto una regola rigorosa di mascherare ogni apparenza, ogni sintomo che potesse rivelare un simile stato d’animo, indipendentemente dai sentimenti che potevano turbarlo.

Quella sera, tuttavia, il sollievo traspariva inconfondibilmente dal suo volto, dall’atteggiamento col quale andò incontro all’ospite che arrivava. Era la sera del banchetto che riuniva mensilmente i Vedovi Neri e Rubin faceva gli onori di casa, era lui che riceveva. Erano già le sette e venti e solo in quell’istante, quando mancavano appena dieci minuti all’inizio, l’ospite d’onore si faceva vivo.

Rubin gli andò incontro quasi correndo, e tuttavia ben attento a non versare una goccia del secondo aperitivo. «Signori» disse ai presenti, prendendo il nuovo venuto per un braccio, «ecco il mio ospite, il magnifico Larri.» Poi, a bassa voce, sommersa dai convenevoli di benvenuto: «Ma dove diavolo ti eri cacciato?».

«Ho preso la metropolitana, e il treno si è fermato per un guasto» rispose Larri, ricambiando sorrisi e strette di mano.

«Chiedo scusa» disse Henry, cameriere ineguagliabile e immancabile ai banchetti dei Vedovi Neri. «Manca poco all’inizio del banchetto. Se l’ospite volesse dirmi cosa preferisce, gli potrei servire l’aperitivo e si risparmierebbe tempo.»

«Ecco una buona idea» rispose Larri, visibilmente divertito. «Grazie, cameriere. Penso che un Martini dry andrà benone… ma non tanto dry, non tanto secco, insomma… Meglio un tantino bagnato, si fa per dire.»

«Certo, signore» rispose Henry.

«Vedi, Larri» riprese a dire Rubin «come ti avevo detto ognuno di noi, qui, vanta la sua brava laurea. E adesso scusami se mi perdo in dettagli noiosi. Questo signore alto, col portamento eretto, coi baffi ben curati e le sopracciglia nere, è il dottor Geoffrey Avalon, di professione avvocato. È un gentiluomo terribilmente serio, che non sorride mai, anche perché l’ultima volta che ha sorriso è stato multato per oltraggio alla corte.»

«Se lei conosce Manny, come io penso, saprà certamente che non riesce mai ad essere serio» replicò Avalon, sorridendo amabilmente.

«Oh sì, lo conosco» rispose Larri.

Avalon continuava a sorridere e osservava quei due uomini esteriormente così simili entrambi erano di statura inferiore al metro e settanta, entrambi avevano un’espressione marcatamente inquisitoria, entrambi portavano la barbetta disordinata anche se quella di Larri era un tantino più lunga e si congiungeva con due folte basette.

«Ed eccoti, vestito in modo da far morire chiunque abbia un minimo di gusto per l’eleganza, il nostro imbrattatele, il dottor Mario Gonzalo, che farà il diavolo a quattro per farti la caricatura e dopo che te l’avrà fatta insisterà per convincerti che ti somiglia. Il dottor Roger Halsted tortura gli studenti delle superiori col pretesto di insegnar loro il poco di matematica che sa. Il dottor James Drake è un chimico a riposo per raggiunti limiti di età che è riuscito a strappare una laurea in filosofia perché aveva studiato a memoria tutto il programma degli esami. Infine, ti presento il dottor Thomas Trumbull, che lavora per il governo con un incarico che non osa rivelare a nessuno. Si spaccia per un esperto in fatto di cifrari, e intanto passa il tempo come può sperando che il Congresso non venga a saperlo.»

«Manny» replicò stancamente Trumbull «se si potessero rifare le votazioni, non c’è dubbio che tutti e cinque voteremmo contro di te.»

«Signori» disse Henry «la cena è servita.»

La prima portata comprendeva l’aragosta, fatto raro alle cene dei Vedovi Neri da quando i prezzi di quella squisitezza eran saliti alle stelle, ma Rubin, che come padrone di casa sosteneva l’onere della spesa, si limitò ad una stretta di spalle. «Amici» disse, «il mese scorso ho venduto una brochure ed ho fatto un buon affare. Festeggiamo l’avvenimento.»

«Possiamo festeggiarlo, certo» disse Avalon. «Ma l’aragosta influisce negativamente sulla conversazione; spezzare il guscio, rompere le chele, estrarre quanto vi è di commestibile e intingerlo nel burro fuso, sono tutte operazioni che richiedono la massima concentrazione» concluse sorridendo, concentrando l’attenzione sulla pressione che stava esercitando sullo schiaccianoci.

«In questo caso, dovrei avere il monopolio della conversazione» disse il magnifico Larri, sorridendo contento a Henry che gli metteva dinanzi un vassoio colmo di costolette ai ferri.

«Larri è allergico al pesce» spiegò Rubin.

Come Avalon aveva previsto, la conversazione languì davvero sino a quando tutte le aragoste furono debellate in quella battaglia conviviale. Solo allora, Halsted domandò: «Larri, cos’è mai che la rende magnifico?».

«È un nome d’arte» rispose Larri. «Sono un prestigiatore, un illusionista straordinario, il massimo exposeur vivente.»

Trumbull, che sedeva alla destra di Larri, formò una serie di rilievi e di avvallamenti sulla fronte abbronzata. «Cosa diamine significa exposeur?»

Rubin prese a tamburellare nervosamente sul bicchiere. «Niente interrogatori prima del caffè» disse.

«O santa pazienza» sbottò Trumbull «ma io ho chiesto solo qual è il significato di una parola!»

«Le decisioni del padrone di casa non si discutono» replicò Rubin.

«E allora cercherò di indovinare» disse Trumbull, fissando arcigno Rubin. «Un exposeur è uno che espone, che esibisce trucchi; uno che, ricorrendo a inganni, a sotterfugi di qualche genere finge di ottenere effetti che attribuisce a forze sovrannaturali o paranaturali.»

«Non c’è male, per uno che tira a indovinare» disse Larri, inarcando un sopracciglio e sporgendo sprezzantemente il labbro inferiore. «Io stesso non avrei saputo trovare una definizione più azzeccata.»

«Cioè, ciò che altri riescono a fare affermando di ricorrere a vere e proprie arti magiche, lei può farlo con semplici trucchi teatrali» disse Gonzalo.

«Precisamente» rispose Larri. «Per esempio, supponiamo che un iniziato affermi di poter piegare un cucchiaio ricorrendo a forze occulte. Ebbene, io posso fare la stessa cosa ricorrendo a forze naturali… Così.»

Larri aveva afferrato il cucchiaio, piegandolo di un paio di centimetri, e adesso lo mostrava agli altri commensali.

«È normale» osservò Trumbull. «Chiunque potrebbe riuscirci in quel modo!»

«Ah sì!» replicò Larri. «Ma il cucchiaio che io ho piegato, come avete visto tutti quanti, non costituiva il fenomeno in sé. Quel cucchiaio serviva solo per captare, per focalizzare i raggi eterei che hanno effettuato il lavoro materiale. Quei raggi che hanno piegato il suo cucchiaio, dottor Trumbull!»

Trumbull abbassò gli occhi, fissandoli sul cucchiaio che aveva davanti, e che era piegato quasi ad angolo retto. «Ma come ha fatto?» domandò.

«È disposto a credere nelle forze sovrannaturali?» domandò Larri, stringendosi nelle spalle.

Drake scoppiò a ridere. «Larri l’ha piegato poco fa, mentre tu non guardavi» disse, respingendo il piatto coi resti spolpati dell’aragosta e accendendosi una sigaretta.

«Dottor Trumbull, l’ho fatto quando lei si è voltato udendo Manny che picchiettava sul bicchiere» ammise Larri, apparentemente impassibile al veder scoperto il trucco. «Comunque, avrei preferito che vi foste distratti tutti quanti.»

«Figuriamoci se io faccio attenzione a quel che fa Manny» protestò Drake.

«Ma se nessuno mi avesse visto» domandò Larri «avreste creduto nell’intervento di forze occulte?»

«Nemmeno per idea» replicò Trumbull.

«Nemmeno in assenza di una spiegazione logica per un fatto che avevate sotto gli occhi? Vediamo… Permettetemi di mostrarvi qualcosa… Ecco, supponete di voler giocare a testa e croce…»

Tacque mentre Henry serviva la torta di fragole, respinse il suo piattino e riprese. «Supponiamo che vogliate giocare a testa e croce senza frullare la moneta, senza sollevarla nemmeno… Questo penny, per esempio… Ci sono diversi modi per riuscirci; il più facile consiste nel toccarlo rapidamente perché, come sapete tutti quanti, un dito è sempre un tantino appiccicoso, specie quando si è a tavola, e allora la moneta si solleva e si può farla girare in fretta… Adesso è croce… Toccatela, ed ecco che viene testa.»

«Però qui non ci sono giochi di prestigio» osservò Gonzalo. «Noi vediamo la moneta che gira.»

«Precisamente» ammise Larri. «Ed è per questo motivo che io ricorrerò a questo espediente. Copriamo la moneta con qualcosa, in modo che non si possa toccarla, che non si possa sollevarla per contatto diretto. Vediamo… Ecco» aggiunse, dopo essersi guardato intorno, afferrando una saliera. «Possiamo servirci di questa.»

Larri posò la saliera sopra la moneta. «Era testa, vero?»

«Un momento» intervenne Gonzalo. «Come possiamo sapere che era veramente testa? Potrebb’essere croce, e quando lei la scopre potrebbe dire che prima era testa e che si è girata.»

«È vero» ammise Larri. «La sua osservazione mi fa piacere, dottor Gonzalo. Dottor Drake, lei che ha già scoperto il trucco precedente, vuol controllare per rassicurare tutti i presenti? Io solleverò la saliera e lei dirà se è testa o croce.»

Drake guardò. «Testa» disse, con la sua voce tranquilla.

«Signori, penso che possiate prestar fede a quanto vi è stato detto dal dottor Drake, vero? E adesso osservatemi bene mentre metto la saliera sopra la moneta, osservate bene, accertatevi che la moneta non viene mossa, che non gira…»

«Non si è mossa» disse Drake.

«Ora, per evitare che le mie dita possano scivolare mentre eseguo questo trucco, copro la saliera con questo tovagliolo» riprese a dire Larri, ripiegando accuratamente il tovagliolo attorno alla saliera. «Però, con questo espediente, ho distratto la vostra attenzione dalla moneta e adesso potreste pensare che l’ho girata senza che ve ne foste accorti.» Tacque brevemente e sollevò il tovagliolo assieme alla saliera che nascondeva, poi domandò: «Dottor Drake, vuole controllare ancora una volta, per cortesia?».

Drake si chinò in avanti: «È sempre testa» disse.

Larri riabbassò lentamente, con cura, il tovagliolo e la saliera che nascondeva. «La moneta resta sempre lì com’era?»

«È sempre testa» rispose Drake.

«E allora ecco la magia che vi avevo promesso» disse Larri, premendo con la mano.

Il tovagliolo s’afflosciò, schiacciato, sulla tavola. Sotto non c’era più la saliera.

Seguì qualche istante di silenzio. Alla fine, Gonzalo domandò: «Dov’è finita la saliera?».

«In un’altra dimensione» rispose allegramente Larri.

«Ma lei aveva detto che avrebbe girato la moneta.»

«Ho mentito.»

«Non c’è alcun mistero» disse Avalon. «Ha fatto in modo che concentrassimo la nostra attenzione sulla moneta per distrarci da quel che stava facendo. Quando ha sollevato il tovagliolo, ha fatto cadere la saliera nell’altra mano, poi ha posato il tovagliolo vuoto sulla moneta.»

«Mi ha visto fare quello che dice, dottor Avalon?»

«No. Anch’io, come gli altri, fissavo la moneta.»

«E allora lei tira a indovinare.»

Rubin, che si era tenuto fuori dalla conversazione sino a quel momento e intanto aveva finito la torta di fragole e attendeva che gli altri facessero altrettanto, intervenne. «La tendenza generale è di spiegare questi trucchi con la logica, cosa evidentemente impossibile. Scienziati ed altre menti razionali sono abituati a trattare problemi universali, ma l’universo non ricorre a trucchi; si comporta, direi, lealmente. Quando hanno a che fare con un mistico che agisce diversamente, sulla base di altri concetti, essi si sentono corbellati, si sentono presi in giro dinnanzi a cose che apparentemente non hanno alcun senso e finiscono per rendersi ridicoli. I maghi, del resto, sanno cosa possono aspettarsi, sanno su quali particolari devono concentrare la loro attenzione» riprese a dire dopo qualche istante di silenzio. «Hanno sufficiente esperienza e non si lasciano distrarre; ciò che è apparentemente sovrannaturale non li impressiona affatto ed è per questo motivo che i prestigiatori, in generale, non si esibiscono nemmeno se un collega li osserva.»

Gli ospiti stavano sorseggiando il caffè e intanto Henry preparava tranquillamente il brandy, quando Rubin batté sul bicchiere facendolo tintinnare per richiamare l’attenzione e disse: «Signori, è venuto il momento di passare all’interrogatorio, supposto che voi poveri idioti abbiate lasciato ancora qualcosa da chiedere. Geoffrey, vuoi essere tu a torchiare il nostro ospite, questa sera?».

Avalon si schiarì forte la gola, si alzò e fissò il magnifico Larri dall’alto al basso da sotto le sopracciglia arruffate e folte. Calcando sul tono normalmente profondo della voce, prese a dire: «Secondo le nostre regole, chiediamo sempre ai nostri ospiti di dare qualche ragione che giustifichi la loro esistenza, ma se l’ospite di questa sera si esibisce ogni tanto in esercizi di magia, sia pure fasulla, io, almeno, riterrò che la sua esistenza è sufficientemente giustificata e passerò oltre, sorvolando su questo particolare.

«La tentazione di chiederle come ha fatto, di conoscere il segreto del trucchetto di poco fa è forte, ma comprendo perfettamente che l’etica della sua professione non le permetterebbe di svelarci il segreto. Anche se tutto ciò che viene detto qui è soggetto al vincolo del segreto più assoluto, anche se nulla di quanto si è detto sinora è mai trapelato, io mi asterrò dal porle questa domanda.

«Mi permetta, invece, di chiedere qualcosa sui suoi fallimenti, sui suoi fiaschi. Lei si è qualificato come un exposeur. C’è mai stata, nella sua carriera, una dimostrazione che, per supposizione, avrebbe dovuto essere mistica, che lei non sia riuscito a effettuare ricorrendo ai metodi del prestigiatore e che non sia riuscito a spiegare come fatto perfettamente normale e ottenibile con metodi normali?»

«Non ho tentato di spiegare tutti gli effetti che ho potuto osservare o dei quali ho avuto notizia» rispose Larri. «Ma quando ho studiato un effetto, un fenomeno e ho cercato di ripeterlo, ci sono sempre riuscito.»

«Nessun fiasco? Mai?»

«Nessuno, mai.»

Avalon rifletté su quella risposta, ma mentre si preparava a formulare un’altra domanda, Gonzalo lo prevenne. «Larri, un momento, per cortesia» disse, chinandosi in avanti con la testa posata sul palmo delle mani e con le dita intrecciate in modo da non spettinarsi. «Si sbaglierebbe pensando che lei ha cercato di risolvere soltanto i casi più facili? Non può darsi che lei abbia evitato di affrontare i casi più difficili?»

«Se ho compreso, lei pensa che io abbia evitato con cura di guastare la mia reputazione con qualche insuccesso, lei pensa forse che abbia evitato di affrontare fenomeni complessi per non perdere quella fiducia che nutro nella razionalità dell’ordine universale? Se lo crede davvero, commette un grosso errore. Molti fenomeni, comunemente attribuiti a forze occulte, ad una sorta di potere mistico inspiegabile, sono semplici sciocchezze di nessuna importanza, sono rozzi palesemente falsi e io evito di occuparmene. Mi interesso, invece, di quelli più complessi e difficili, che attirano la mia attenzione per la loro natura insolita, per il loro apparente distacco da tutto quanto vi è di razionale. Insomma, sono proprio i fenomeni che, secondo lei, io tenderei ad evitare, quelli che mi interessano di più.»

Gonzalo tacque e Avalon riprese. «Larri, il semplice fatto che lei possa ripetere un fenomeno ricorrendo ai trucchi della prestidigitazione non significa che quello stesso fenomeno non possa essere causato da una persona dotata di poteri misteriosi ricorrendo a forze sovrannaturali. Il fatto che gli esseri umani possano costruire macchine capaci di volare non significa che gli uccelli sono macchine create dall’uomo!»

«Questo è vero» ammise Larri. «Ma, a sostegno della loro pretesa capacità di operare fenomeni mediante poteri sovrannaturali, i mistici lasciano intendere, o affermano esplicitamente, che non vi sono altri mezzi per ottenere gli stessi risultati. Se io dimostro che lo stesso fenomeno è ottenibile ricorrendo ad espedienti naturali, il carico della prova ricade su di loro, toccherà a loro dimostrare che lo stesso fenomeno lo si può ottenere solo dopo che i mezzi impiegati da me sono impossibili, che non funzionano. Io non conosco un mistico solo che abbia accettato le condizioni poste da un illusionista, volte a garantire che non vi fossero trucchi, che sia riuscito a fare ciò che si proponeva.»

«E nessun effetto ottenuto da altri l’ha messo in difficoltà? Mai? Nemmeno i trucchi realizzati da altri illusionisti?»

«Oh, sì! Molti risultati ottenuti da altri illusionisti mi hanno messo in difficoltà, nel senso che non sapevo come facessero per realizzarli. In molti casi sono riuscito a ottenere gli stessi effetti ricorrendo a metodi diversi, ma non è questo l’aspetto che ci interessa. Sino a quando si ottiene un effetto apparentemente inspiegabile ricorrendo a metodi, a mezzi naturali, il fatto che io sappia ripeterlo oppure no non ha alcuna importanza. Io non mi vanto di essere il miglior illusionista del mondo, ma sono certamente un illusionista migliore di qualsiasi mistico.»

Halsted, con l’alta fronte arrossata, balbettando quasi per l’ansia di parlare, domandò: «Ma insomma, non c’è niente che possa meravigliarla? Nemmeno una sparizione come quella che lei stesso ha operato poco fa, con la saliera?».

«Vuol dire quella?» domandò Larri, indicando la saliera. «Quella era semplicemente lì, sulla tavola, ma nessuno ha visto che la posavo proprio lì.»

Halsted rimase imbarazzato per qualche istante. «Ma lei non è mai rimasto sorpreso da nessuna sparizione?» domandò, riprendendosi. «Una volta ho sentito raccontare che alcuni illusionisti avevan fatto sparire addirittura un elefante.»

«In verità, far sparire un elefante è un giochetto da ragazzi, tanto è facile. Posso assicurarle che non c’è nulla di misterioso nella magia di far scomparire qualcosa.» Larri tacque brevemente; uno sguardo strano, un misto di tristezza e di avvilimento, turbò fugacemente i suoi lineamenti. «Non nella magia dell’atto. Solo che…»

«Sì?» lo sollecitò Halsted, vedendo che taceva. «Solo che?»

«Può accadere nella vita reale» rispose Larri, sorridendo e cercando di non dar peso a quel che diceva.

«Un momento» intervenne prontamente Trumbull. «Non le permetteremo certo di sorvolare su questo argomento. Se nella vita reale lei è stato testimone di una sparizione che non ha saputo spiegare, vogliamo saperlo.»

«No, no, dottor Trumbull» rispose Larri, scuotendo la testa. «Non si tratta affatto di una sparizione misteriosa, inesplicabile. Niente del genere. Solo che… ho perso qualcosa che non riesco a trovare… E questo mi rattrista.»

«I particolari» replicò Trumbull.

«Non ne vale la pena. È una storia banale… e in un certo senso…»

Larri non terminò la frase, ma Trumbull fu pronto ad incalzarlo. «Accidenti!» tuonò «siamo tutti qui che pendiamo dalle sue labbra, ci asteniamo volutamente dal formulare domande che potrebbero metterla in imbarazzo, non le chiediamo che ci sveli i trucchi suscettibili di violare l’etica della professione. Li violerebbe, forse, se ci raccontasse questa storia?»

«Non si tratta affatto di questo…»

«Bene, allora, caro signore. Io le ripeterò quel che le ha già detto Geoffrey. Tutto quanto vien detto qui è sempre rimasto e rimarrà sempre segreto, ma il patto che regola queste riunioni comporta l’obbligo di rispondere a tutte le domande. Vero, Manny?»

Rubin si strinse nelle spalle. «È così, Larri. Se non vuoi rispondere, devo dichiarare chiusa la riunione.»

Larri si appoggiò allo schienale, visibilmente depresso. «Non potrei fare una cosa simile dopo la gentilezza con la quale sono stato accolto da voi tutti. Vi racconterò dunque quella storia, e quando l’avrete udita comprenderete che effettivamente non ne valeva la pena. Si tratta di una donna, che avevo conosciuto per caso; l’ho persa di vista e non riesco a rintracciarla. Non c’è altro.»

«No!» ribatté Trumbull. «C’è dell’altro, eccome! Come e dove l’ha incontrata? Come e dove l’ha persa di vista? Perché non è riuscito a rintracciarla? Vogliamo conoscere tutti i particolari.»

«Se ci racconterà i particolari, può anche darsi che possiamo aiutarla» disse Gonzalo.

«Non lo credo» replicò Larri, ridendo ironico.

«Potrebbe rimanere sorpreso» disse Gonzalo. «In passato…»

«Silenzio, Mario» intimò Avalon. «Non fare promesse che magari non potresti mantenere. Vuole raccontarci i particolari della sua storia, Larri? Le promettiamo che faremo del nostro meglio per aiutarla.»

«Apprezzo la vostra offerta, signori» rispose Larri, sorridendo stancamente «ma vi accorgerete che starsene seduti qui a conversare non serve a nulla.»

Larri si accomodò meglio sulla sedia e incominciò. «Avevo terminato le mie rappresentazioni in una città dell’interno… I particolari ve li rivelerò in seguito, se proprio lo vorrete, ma per ora non hanno alcuna importanza, tranne uno: l’avvenimento che sto per narrarvi è accaduto circa un mese fa. Dovevo trasferirmi in un’altra città, distante circa duecentocinquanta chilometri, per una rappresentazione da tenersi al mattino, e quel trasferimento comportava un piccolo problema di trasporti.

«Disgraziatamente, le mie doti magiche non sono tali da consentirmi uno spostamento di duecentocinquanta chilometri in un batter d’occhio, non mi consentono nemmeno di procurarmi lì per lì un paio di stivali delle sette leghe. Come se non bastasse, avevo rinunciato all’auto, perché non mi va di viaggiare su strade secondarie di notte, quando sono stanco e assonnato. L’unico mezzo disponibile era un pullman che fa più fermate di un telegramma urgente e impiega normalmente quattro ore per effettuare il tragitto e io mi ero rassegnato, avevo già pensato di schiacciare un pisolino durante il viaggio.

«Ma quando le cose incominciano ad andare storte, vanno storte tutte quante, e come potete immaginare, persi il pullman. Il successivo partiva dopo due ore e io mi accinsi ad aspettarlo nella stazioncina al capolinea, un locale misero da fare pietà, dove l’unico passatempo consisteva nel leggere alcuni avvisi affissi alle pareti; non c’era un’edicola per comprare un giornale, un bar per prendere un caffè. Cercai di consolarmi pensando che lì dentro, almeno, non pioveva. Mi accinsi all’attesa, mezzo assonnato, e di colpo la mia fortuna mutò.

«Entrò una donna. Io, signori, non mi sono sposato e non ho mai avuto una di quelle che i giovani d’oggi chiamano una relazione seria. Qualche relazione casuale, forse, ma nel complesso, anche se può sembrare un’affermazione trita, mi sento sposato con la mia arte e trovo che, in generale, questa relazione sia più soddisfacente di quella che potrei avere con una donna.

«Nulla mi lasciava credere che quella donna fosse migliore delle altre anche se, in complesso, era piuttosto bella; poteva avere poco più di trent’anni, grassottella quanto bastava per emanare un’aria di bonaria tranquillità e non era nemmeno molto alta di statura.

«“Bene” disse, guardandosi intorno sorridendo. “Vedo che ho perso l’autobus.”

«Sorrisi anch’io. Mi piacque la sua calma, l’ammirai perché non appariva irritata, perché non protestava, non se la prendeva con nulla e con nessuno. La sua era stata un’osservazione tranquilla, quasi divertita, e valse a rasserenare me, che ero già irritato e di pessimo umore per conto mio. “Siamo in due” risposi, subito contagiato da quella tranquillità. “Non ha nemmeno la soddisfazione di essere la sola ad aver perso l’autobus.”

«“Tanto meglio” rispose lei. “Così almeno potremo parlare, e l’attesa ci sembrerà più breve.”

«Io ero sbalordito. Quella donna non mi trattava con diffidenza; il dubbio che potessi essere un potenziale malfattore, che avrei potuto importunarla o minacciarla non la sfiorava nemmeno e Dio sa che non sono particolarmente attraente, che non ho l’aspetto della persona rispettabile. Pareva che quella donna avesse letto nel mio pensiero, che avesse scoperto l’intimo segreto del mio carattere e che l’avesse trovato soddisfacente e non potete credere quanto quella constatazione mi facesse piacere; ne ero così felice che se fossi stato dieci volte più stanco e assonnato di quello che ero, sarei rimasto sveglio per parlare con lei.

«Parlammo, infatti. In capo a un quarto d’ora ero convinto che quella era la conversazione più amabile, più piacevole di tutta la mia vita, lì in quella stazione miserabile, poco prima di mezzanotte. Adesso non saprei raccontarvi tutto quello che ci dicemmo, ma rammento benissimo quali argomenti non sfiorammo nemmeno. Non parlammo affatto di magia, di illusionismo.

«Io posso suscitare l’attenzione di chiunque coi miei trucchi, ma non è di me che ci si interessa. Il pubblico si interessa a quel che fanno velocemente le mie dita, ascolta incuriosito quello che dico e se anche non mi dispiace suscitare l’interesse altrui in questo modo, non potete credere quanto sia piacevole essere ammirati per se stessi. Ebbene, pareva proprio che quella donna provasse piacere ad ascoltarmi e io provavo piacere a conversare con lei.

«Per fortuna la matinée che mi attendeva non era molto impegnativa e io non mi ero portato appresso il baule sul quale molte etichette proclamano a tutti la mia professione. Il mio bagaglio si riduceva a due valigie, grosse e anonime. A quella sconosciuta non dissi nulla di quanto mi riguardava, non chiesi nulla sul suo conto. Accennò vagamente che si recava a casa di suo fratello, che lui abitava vicino alla fermata dell’autobus e che lei avrebbe dovuto svegliarlo per colpa di quel ritardo, ma lo disse solo per esprimere la sua soddisfazione per l’occasione che le si offriva. Per godere della mia compagnia non le dispiaceva nemmeno disturbare suo fratello e io ne ebbi piacere.

«Non parlammo nemmeno di politica, né di affari mondiali, né di religione né di teatro. Parlammo degli esseri umani, della gente, delle cose buffe, strane, peculiari che avevamo potuto osservare negli altri. Ridemmo per due ore, durante le quali nessun altro entrò a tenerci compagnia. Non mi era mai capitato nulla di simile prima d’allora, non mi ero mai sentito tanto vivace né tanto felice, e quando l’autobus finalmente arrivò, alle due meno dieci del mattino, non so dirvi quanto ne fui contrariato. Io avrei voluto che non arrivasse mai, avrei voluto che quella notte non avesse mai fine.

«In autobus, non fu ovviamente come prima, anche se i passeggeri eran pochi e noi avevamo trovato due poltroncine libere e sedevamo l’uno accanto all’altra. Nella stazione eravamo rimasti soli tutto il tempo, avevamo potuto ridere e scherzare spensieratamente; lì dovevamo parlare a bassa voce, perché gli altri passeggeri volevano dormire.

«Certo che non era poi tanto male nemmeno lì. Averla accanto, sentirla così vicina mi dava una sensazione piacevolissima e io mi sentivo arzillo come un giovanotto, anche se sono piuttosto maturo. Mi sentivo tanto giovanile da provare imbarazzo se qualcuno mi osservava.

«Ben presto ebbi l’impiccio di una donna col figlio, un ragazzetto di circa otto anni, per quel che potevo giudicare. Il bimbo non dormiva; forse, eccitato di trovarsi per la prima volta su un pullman, restava sveglio e mi guardava. Ne vedevo gli occhi fissi su di me ogni volta che un lampione stradale gettava un po’ di luce all’interno e io avevo un bell’augurarmi che si addormentasse. Quegli occhietti penetranti continuavano a fissarmi mettendomi a disagio.

«Il movimento regolare dell’autobus, quel parlottare sommesso, la sensazione di essere fuori dalla realtà, la pressione del suo corpo contro il mio… quel senso di confusione fra sogno e realtà finirono per spezzare il limite che separava la veglia dal sonno. Io non volevo addormentarmi, per una volta o due mi ridestai con un sussulto, ma quando mi ridestai una volta ancora, compresi che avevo dormito a lungo e il sedile accanto al mio era vuoto.»

«Era scesa mentre lei dormiva, immagino» disse Halsted.

«Nemmeno per un istante ho pensato che fosse svanita nel nulla» rispose Larri. «Naturalmente, l’ho cercata nell’autobus. Non potevo chiamarla perché il nome non me l’aveva detto, ma sull’autobus non c’era più.

«Il ragazzino prese a parlare fitto fitto, in francese. Io parlo il francese abbastanza, ma non dovetti faticare perché sua madre, che si era destata, tradusse subito. “Voglia scusare, signore” disse in un ottimo inglese “cerca forse la signora che era con lei?”

«“Sì” risposi. “Ha visto dov’è scesa?”

«“Non io, signore. Dormivo. Ma mio figlio dice che la signora è scesa in quel luogo dove c’è la Croce di Lorena.”

«“Dove?”

«La donna ripeté il nome e lo ripeté anche suo figlio, in francese. “Dovete scusare mio figlio, signore, ma lui ha una grande venerazione per il defunto generale De Gaulle e benché sia così giovane conosce bene la storia della Francia Libera durante l’ultimo conflitto. Se dice che ha visto quel simbolo, e cioè la Croce di Lorena, vuol dire che c’era.”

«Li ringraziai e andai dall’autista. Ma a quell’ora della notte gli autobus che fanno servizio su quella linea fermano dovunque ci sono passeggeri da far scendere o da far salire e lui si era fermato parecchie volte per far scendere o salire qualcuno, sicché non ricordava dove si era fermato, dove aveva fatto scendere passeggeri e dove li aveva fatti salire. Era un fatto piuttosto singolare, bisogna riconoscerlo.»

Avalon si raschiò la gola. «Forse l’autista avrà pensato che avesse cattive intenzioni e avrà preferito tacere per non mettere nei guai quella donna.»

«Forse» ammise Larri, avvilito. «Ma indipendentemente da tutto ciò, restava il fatto che l’avevo perduta. Quando tornai al mio posto, trovai un biglietto infilato nella tasca della giacca che avevo messo sulla reticella; lo lessi alla luce di un lampione alla prima fermata, dove i due francesi, mamma e figlio, scesero. Diceva: “Grazie infinite per una compagnia deliziosa. Gwendolyn”.»

«Comunque, adesso sa come si chiama» osservò Gonzalo.

«Avrei preferito conoscere il cognome, il suo indirizzo, il suo numero di telefono» replicò Larri. «Il nome di battesimo non serve.»

«Be’, sai» disse Rubin. «Può darsi che l’abbia taciuto deliberatamente, o perché non aveva alcun interesse a continuare la conoscenza, o magari perché era sposata. Un intermezzo romantico è una cosa, un pericolo continuo, per una donna sposata, è un’altra cosa.»

«Forse si è sentita offesa perché si era addormentato» disse Gonzalo.

«Forse» ripeté Larri. «Ma se l’avessi rintracciata, avrei potuto scusarmi; se avesse nutrito dubbi o preoccupazioni avrei potuto rassicurarla. Se poi non si fosse sentita offesa, se non avesse avuto nulla da temere, avrei potuto coltivare la sua amicizia invece di dover trascorrere il resto della mia vita ad arrovellarmi.»

«E ha fatto tutto il possibile per rintracciarla?» domandò Gonzalo.

«Certo» rispose ironicamente Larri. «Quando un mago si trova dinanzi al caso di una donna che scompare, deve scoprire com’è andata. Ho rifatto due volte, in auto, il tragitto di quell’autobus per cercare quella Croce di Lorena. Se l’avessi trovata, mi sarei fermato e avrei chiesto ai vicini se conoscevano una donna che si chiama Gwendolyn, l’avrei descritta e se fosse stato necessario avrei potuto chiedere informazioni all’ufficio postale, alla polizia locale.»

«Ma quella Croce di Lorena non l’ha trovata, immagino» disse Trumbull.

«Infatti.»

«Matematicamente, è un problema finito» disse Halsted. «Ma poteva tentare in tutti gli uffici postali lungo il tragitto.»

«Se la disperazione raggiungesse un certo livello, proverei» rispose Larri, sospirando. «Ma, matematicamente parlando, sarebbe un tentativo abbastanza meschino. E perché non sono riuscito a trovare quella Croce di Lorena?»

«Può darsi che il ragazzino si sia sbagliato» gli fece osservare Trumbull.

«Nemmeno per idea. Un adulto avrebbe potuto sbagliarsi, ma un bambino infatuato di un eroe? No, assolutamente. Gli adulti hanno accumulato tanta irrazionalità che possono benissimo diventare inattendibili anche come testimoni oculari, ma un ragazzino di otto anni, che sia anche sveglio, è tutt’altra cosa. Non cercate mai di incantare con trucchi un ragazzino sveglio; se ne accorgerebbe subito.

«Come se non bastasse» continuò dopo una breve esitazione «su quella strada non c’è nemmeno un ristorante, un supermercato, un negozio o qualcosa del genere, che si chiami Croce di Lorena. Ho controllato tutte le pagine gialle di tutti gli elenchi telefonici dei paesini lungo quella strada.»

«Piano!» disse Avalon. «Qui lei sbaglia. Se anche avesse visto l’insegna, il ragazzino non avrebbe capito, se è vero che parlava solo francese, come suppongo. Il nome francese è Croix de Lorraine, e la scritta in inglese non poteva avere alcun significato per lui. Ne consegue che deve aver visto proprio il simbolo, la croce con due bracci orizzontali, come questa…»

Avalon allungò una mano, e Henry fu pronto a passargli un menu, sul rovescio del quale l’altro tracciò il simbolo:

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poi continuò: «Per l’esattezza, quella croce è chiamata, più correttamente, croce patriarcale, o croce arcivescovile, perché le due traverse stanno a simbolizzare l’alto ufficio che hanno patriarchi e arcivescovi e non vi sorprenderà affatto sapere che la croce papale ne ha addirittura tre. La croce patriarcale venne adottata come simbolo da Goffredo di Buglione, uno dei condottieri della Prima Crociata; e siccome Goffredo era duca di Lorena, quel simbolo finì per essere chiamato Croce di Lorena. Come noi tutti sappiamo, quella croce venne adottata come simbolo della Francia Libera di De Gaulle durante la guerra contro i nazisti…».

Avalon tacque, tossicchiò e fece del suo meglio per assumere un’aria modesta.

«Capisco, per il simbolo, dottor Avalon» disse piuttosto impazientemente Larri «e io non m’aspettavo nemmeno che il ragazzo comprendesse le parole del nome in inglese. Penso, comunque, che sarete tutti d’accordo nel ritenere quasi inevitabile che un locale con quel nome sfoggi anche il simbolo. E allora io ho cercato nelle pagine gialle, per il nome, e lungo la strada, per il simbolo.»

«E non l’ha trovato?» domandò Gonzalo.

«No, ve l’ho già detto. Ed ero disperato quanto bastava per prendere in considerazione particolari che certo avrebbero potuto sfuggire al ragazzo, di notte, col buio; mi son detto che poteva avere la vista eccezionalmente acuta, che la sua attenzione poteva essere stata attirata particolarmente da un simbolo che in lui suscitava tanto interesse e perciò ho passato in rassegna tutti i segni sulle vetrine, su tutte le insegne e persino i graffi e gli scarabocchi dei ragazzini sui muri, dannazione.»

«Se si fosse trattato di uno scarabocchio su un muro, si potrebbe pensare che è stato cancellato subito dopo che il ragazzo l’aveva osservato e prima che lei andasse a controllare.»

«Non ne sarei tanto sicuro» gli fece osservare Rubin. «L’esperienza m’insegna che quella specie di graffi sui muri non si cancellano mai. Ce ne sono alcuni sui muri della nostra casa, che…»

«Ma la tua casa è a New York» lo interruppe Trumbull. «Nelle piccole cittadine si è meno tolleranti per quelle manifestazioni di anarchia.»

«Un momento!» replicò Gonzalo. «Cosa ti fa credere che le scritte, i graffi sui muri siano un segno di anarchia? Per essere precisi…»

«Signori! Signori!»

Come accadeva sempre quando la voce di Avalon surgeva alla potenza del suo volume baritonale, tutti tacquero. «Non siamo qui per discutere i meriti e i demeriti delle scritte sui muri, ma per discutere un altro problema: come possiamo rintracciare questa donna, che è scomparsa? Larri non ha trovato un ristorante, un negozio, niente che abbia quel nome, non ha visto nemmeno l’ombra di quel simbolo lungo tutto il tragitto. Come possiamo aiutarlo?»

Drake alzò una mano e li fissò a uno a uno attraverso il fumo della sigaretta. «Calma» disse. «Non ci sono problemi. Non avete mai visto una chiesa di rito russo-ortodosso? Sapete com’è la croce ortodossa? Ecco…» concluse, tracciando un segno sul rovescio del menu e mostrandolo agli altri.

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«Il ragazzo, con la testa piena di racconti sulla resistenza francese, avrà visto quella croce e l’avrà scambiata per una Croce di Lorena. E allora, Larri, basterà che lei cerchi una chiesa Russo-Ortodossa lungo quella strada. Io credo che non ce ne sia più di una.»

Larri rifletteva, ma non sembrava troppo convinto. «La croce con la seconda traversa posta di sbieco dovrebb’essere sul campanile della chiesa, non è vero?»

«Penso di sì.»

«E non c’è nemmeno d’aspettarsi che sia illuminata. E in questo caso, come avrebbe potuto vederla, il ragazzo, alle quattro del mattino?»

Drake spense la sigaretta. «Be’, dopo tutto, normalmente sulle porte, sulle facciate delle chiese vengono affissi manifesti, che so io. Poteva esserci una croce russo-ortodossa…»

«L’avrei vista» disse Larri, fermamente.

«E non poteva essere un simbolo della Croce Rossa?» intervenne Gonzalo, ma senza troppa convinzione. «Potrebb’esserci qualche ufficio della Croce Rossa lungo quella strada…»

«La Croce Rossa ha per simbolo la croce greca» osservò Rubin, «una croce coi quattro bracci di uguale lunghezza e io non vedo come un patito della resistenza francese potrebbe scambiarla per una Croce di Lorena. Ecco, guarda qui.»

+

«Secondo me» disse Halsted, «la spiegazione più semplice è che Larri non ha visto quella croce. E se lei insiste nell’affermare che, da buon illusionista, è un osservatore ben allenato e che la croce non le sarebbe sfuggita se ci fosse stata, cosa che a me sembra impossibile, allora vuol dire che quel simbolo era su qualcosa di mobile, su un autocarro parcheggiato, per esempio, e che non c’era più quando lei è andato a controllare.»

«Il ragazzo l’ha detto chiaro e tondo che quella donna era scesa nel luogo dove c’era la Croce di Lorena» replicò Larri. «Io ritengo che anche un ragazzo di otto anni sappia distinguere fra un luogo e un veicolo.»

«Ma parlava francese? Forse lei avrà capito male…»

«Io non lo parlo tanto male il francese» rispose Larri. «E poi, la madre tradusse, e siccome era francese io penso che non avrà frainteso quello che diceva il figliolo.»

«Ma non era inglese, la signora! Può darsi che si sia espressa male… Può darsi che il ragazzo intendesse dire qualcosa di diverso, che non abbia parlato affatto di una Croce di Lorena…»

Avalon alzò un braccio per chiedere silenzio. «Un momento, signori» disse. «Vedo che Henry, il nostro stimato cameriere, sorride. Cosa c’è, Henry? Sentiamo.»

Fermo accanto alla dispensa, Henry disse: «Devo ammettere che trovo piuttosto divertente il fatto che voi, signori, possiate dubitare dell’affermazione di quel ragazzo. Secondo me, è quasi certo che ha visto una Croce di Lorena».

Un silenzio imbarazzante fece seguito a quelle parole.

«Henry, come può esserne così sicuro?» domandò Larri, alla fine.

«Evitando di perdermi in troppe sottigliezze.»

«Lo sapevo» tuonò Avalon. «Siamo troppo complicati. Henry, come possiamo ottenere una maggior semplicità?»

«Ma è facile, signor Avalon. Il fatto è accaduto di notte. Anziché guardare tutte le insegne, dappertutto, anziché prendere in considerazione tutti i tipi di croce, perché non incominciamo a chiederci quali sono le poche cose che possono rassomigliare a una Croce di Lorena visibili di notte, lungo una strada di una certa importanza?»

«Ma una Croce di Lorena?» domandò Gonzalo, incredulo.

«Certo» rispose Henry. «Fra altre cose e specie se non la chiamiamo Croce di Lorena. Quella che il ragazzo ha definito una Croce di Lorena a causa del suo particolare interessamento per quell’oggetto, per noi avrebbe tutt’altro significato e la sua somiglianza con quella croce non la vedremmo affatto. Ciò che vi è accaduto sin qui, signori, rispecchia fedelmente quel che vi è accaduto poco fa quando il signor Larri vi ha ingannati col trucco della moneta e della saliera. Noi tutti avevamo concentrato l’attenzione sulla moneta e non abbiamo fatto caso alla saliera, e adesso ci concentriamo tutti quanti sulla Croce di Lorena e non cerchiamo una possibile alternativa.»

«Henry» disse Trumbull «se lei non la smette di parlare per enigmi, noi la licenziamo. Cosa diavolo potrebbe essere una Croce di Lorena se non fosse una Croce di Lorena?»

«Cos’è questo?» domandò gravemente Henry, tracciando un segno sul menu e porgendoglielo…

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«Quella è una Croce di Lorena… inclinata» rispose Trumbull.

«No, signore, e lei non l’avrebbe mai scambiata per tale se non avessimo parlato di Croci di Lorena per tutta la sera. Queste sono lettere di una parola inglese, di una parola che si incontra frequentemente sulle nostre strade, basta che lei vi aggiunga qualche altra lettera… così…»

Henry scribacchiò rapidamente qualcosa e la croce divenne:

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«L’unica insegna che lungo una strada di traffico dev’essere ben visibile giorno e notte, è quella delle stazioni di rifornimento. Il ragazzo ha scorto una Croce di Lorena in quel segno, mentre il signor Larri vi ha scorto soltanto una doppia X perché ha letto l’intera parola: EXXON. Tutte le scritte che riportano quel nome, sulle insegne, sulla pubblicità, lo scrivono in quel modo.»

Larri avvampò. «Henry, lei vuol dire che se mi fermo a tutti i distributori della EXXON che ci sono su quella strada e chiedo di Gwendolyn…»

«Molto probabilmente, il proprietario di uno di quei distributori è suo fratello, e con ogni probabilità, i distributori della EXXON su quella strada non saranno più di quattro o cinque.»

«Dio benedetto» mormorò Larri. «Henry, lei è un mago.»

«Oh, sono soltanto un uomo alla buona…» rispose Henry «anche se, forse, non lo sono nel senso peggiorativo del termine.»


(Titolo originale: The cross of Lorraine)


Eleanor Sullivan, la deliziosa direttrice della «Ellery Queen’s Mystery Magazine», che fu la prima a leggere il racconto, rimase colpita dal fatto che, pur avendo visto l’insegna della EXXON chissà quante volte, non aveva mai notato la Croce di Lorena che vi era inserita.

Decise quindi di fare un esperimento. Poco dopo aver letto il racconto, uscì in auto con un amico, al quale disse: «Su un’insegna lungo la strada c’è una Croce di Lorena che si vede benissimo. Vedi se ti riesce di trovarla».

Quell’uomo sapeva com’era fatta una Croce di Lorena e incominciò a osservare tutte le insegne che vedeva. Si può anche pensare che quella croce fosse l’argomento principe della conversazione, ma Eleanor non lo disse. Invece, per facilitare la ricerca, si fermò deliberatamente in un distributore della EXXON con la scusa di fare benzina, ma il suo amico non s’accorse nemmeno allora della somiglianza di quella doppia X col simbolo che cercava ed Eleanor dovette spiegargliela.

Ma il fatto non deve sorprendere. Non è detto che si riesca a vedere quello che si offre al nostro sguardo; in quello che ci capita sott’occhio noi scorgiamo solo quello che ci aspettiamo di vedere. Nel caso in discussione, gli americani sono abituati a vedere in quel simbolo una doppia X, è quello che si aspettano di vederci ed è quello che vedono.