Il secondo nome
«C’è mancato poco che non venissi, questa sera» stava dicendo Roger Halsted, con aria piuttosto mesta.
«Un incidente d’auto?» domandò Geoffrey Avalon, fissandolo dall’alto del suo metro e novanta.
«No! Nulla di così drammatico» rispose Halsted. «Ma Alice aveva una delle sue crisi di femminismo e per tutto il pomeriggio non ha fatto che protestare perché la società dei Vedovi Neri è un’organizzazione maschilista.»
«Ma l’ha sempre saputo sin dall’inizio, mi sembra» disse Avalon.
«Sicuro, ed è dall’inizio che le sta sullo stomaco e che protesta. Ma oggi è stata più dura… Deve aver visto qualcosa alla televisione o sui giornali, oppure ha scambiato qualche idea con un’amica… Ad ogni modo era veramente fuori di sé e non le so dar torto.»
Rubin s’avvicinò immediatamente lasciando Gonzalo, anfitrione di quella serata, col quale aveva scambiato insulti sino allora, all’altra estremità della sala e, avvicinatosi a Halsted, disse: «Stavi parlando di tua moglie, Roger?».
«Sì, infatti.»
«Te l’ho letto in faccia. Sembri un funerale! Malissimo, caro. I Vedovi Neri non hanno moglie!»
«Davvero?» ribatté seccamente Halsted. «E tu gliel’hai detto a Jane?»
«Durante le nostre riunioni, volevo dire, e tu hai capito benissimo.»
«Ti ho udito più volte nominare Jane alle nostre cene, e poi, quello che devo dire ha a che fare proprio con le nostre riunioni. Mi dispiacerebbe doverci rinunciare.»
«E chi potrebbe costringerti?» domandò sdegnosamente Rubin, con la barba che tremolava in un sogghigno.
«La mia coscienza» replicò Halsted. «Mi sembra che basti, e mi sembra che non valga la pena distruggere un matrimonio per questo.»
«E perché dovrebbe rovinare il tuo matrimonio? Anche se garantiamo alle donne uguaglianza di diritti… politici, economici, sociali, perché questa uguaglianza dovrebbe impedirmi di trascorrere una serata al mese in compagnia di amici che mi vanno a genio anche se il caso vuole che siano tutti uomini?»
«Andiamo, Manny, lo sai benissimo che non è così» intervenne Avalon. «Non è affatto un caso se a queste riunioni partecipano solo uomini. Le regole del nostro circolo impongono tassativamente che i partecipanti siano tutti maschi.»
«E che siano anche intelligenti» rispose Rubin «e che siano sopportabili. Se uno di noi ha qualcosa contro una nuova candidatura, non importa quanto banale o immaginario possa essere il motivo, l’aspirante socio viene respinto. Basta il veto di uno solo di noi, prescindendo dai desideri, dalla volontà di tutti gli altri, e chi pone il veto non deve nemmeno spiegare il perché.»
«Manny» sbottò Avalon «di solito non ti mostri così ottuso. Non si può rifiutare l’affiliazione di una donna per il semplice motivo che le donne non possono proporsi come membri. Non la vedi la differenza? Ciascuno di noi può portare l’ospite che crede quand’è lui che riceve; può portare anche un individuo che verrebbe rifiutato immediatamente se venisse proposto come socio, ma l’ospite dev’essere di sesso maschile. Non si può portare come ospite una donna. La vedi adesso la differenza?»
«Precisamente!» disse Halsted. «Se avessimo posto il veto all’ammissione di negri, di ebrei, di irlandesi e via dicendo, ci avrebbero accusati di razzismo e nessuno di noi l’avrebbe passata liscia. Siccome abbiamo messo al bando soltanto le donne, nessuno ci trova da ridire! Questa è cecità morale.»
«Bene! Bene!» esclamò Rubin. «E voi due cosa suggerireste? Di ammettere le donne?»
«No!» esclamarono Halsted e Avalon, con una prontezza e un sincronismo davvero significativi.
«E allora perché discutete tanto?»
«Io volevo solo far notare l’immoralità della nostra scelta» rispose Halsted.
«Vuoi forse dire che, avendone riconosciuta e ammessa l’immoralità, adesso ti senti libero di essere immorale?»
«Nemmeno per idea. Secondo me, l’ipocrisia aggrava il peccato, non lo cancella. Non c’è niente che sia più sciovinisticamente maschilista del dire, come fa spesso Manny: “Io non sono un maschio sciovinista, ma…”.»
«Io non mi sognerei mai di dire che “non sono sciovinisticamente maschilista, ma…”» disse Gonzalo, che era venuto a unirsi al gruppo, e pareva decisamente soddisfatto e contento di sé. «Dico, invece, che sono sciovinista e maschilista, e per di più mi aspetto che ci sia una donna a prendersi cura di me.»
«Ma così ammetti che non sei capace di badare a te stesso» osservò Rubin. «Del resto, l’ho sempre sospettato, sai?»
Gonzalo si guardò rapidamente dietro le spalle, in direzione del suo ospite e, accertatosi che non poteva udirlo, disse piano: «Senti, continua a parlare di femminismo per tutta la durata della cena; parlane a proposito e a sproposito, fa’ pure. È una fortuna che tu abbia iniziato per conto tuo».
«Perché?» domandò Avalon, con una voce che non aveva mai conosciuto le tonalità basse da quand’era nata. «Quale sporco complotto stai…»
«Ssstt!» fece Gonzalo. «Voglio far cantare il mio ospite. Ha qualcosa che lo rode, ma non vuol sputare il rospo e io, invece, l’ho invitato proprio per questo. Potrebbe essere interessante.»
«Sai di che si tratta?» domandò Halsted.
«Solo così, vagamente…» rispose Gonzalo.
Henry, la cui raffinatezza nel servire nobilitava quei conviti, venne garbatamente a interromperlo: «Chiedo scusa, signor Gonzalo: la cena è servita».
Gonzalo collocò l’ospite alla propria destra. «Vi ho presentato tutti quanti al signor Washburn?»
Ci fu un brontolio generale di conferma. Lionel Washburn era un uomo dalla bellezza quasi classica, con una testa coperta da una massa di capelli scuri accuratamente tagliati, occhiali con montatura scura, camicia bianca, abito blu scuro e scarpe nere tirate a lucido. Vestiva con innegabile ricercatezza senza, per questo, sentirsi a disagio. Doveva avere circa trent’anni. «C’era una discussione sulla monosessualità di questa assemblea?» domandò senza tante perifrasi. «Ho sentito…»
«Nessuna discussione» s’affrettò a dire Gonzalo. «È un’assemblea di soli uomini e non si discute. Io ho invitato te, Lionel, ma non ti ho detto di portare anche la tua ragazza.»
«Non ho nessuna ragazza» rispose Washburn, scandendo bene le parole. Poi, con tono più calmo: «Da quando vi riunite solo fra uomini?».
«Sin dall’inizio. Ma tocca a Jim dirti com’è andata. Jim, il mio ospite vorrebbe sapere com’è nata la nostra società… Se non ti dispiace, naturalmente.»
James Drake sorrise e spostò di lato la sigaretta per vedere chiaramente in faccia le persone che gli stavano davanti. «A me non dispiace, ma penso che gli altri siano stanchi di sentirselo raccontare. Comunque… Nessuna obiezione?»
«Tante obiezioni» rispose Trumbull, intento a tagliare l’abbondante razione di agnello. «Comunque, vai avanti. Henry, se le riuscisse di racimolare un altro po’ di salsa alla menta, gliene sarei infinitamente grato. E Jim, io ti consiglierei di far stampare una buona volta il libro della nostra genesi, così potrai darlo agli ospiti appena arrivano e risparmierai a noi la noia di udire ogni volta la stessa tiritera. Grazie, Henry.»
«Adesso che ci siamo levati Trumbull dai piedi, posso continuare» disse Drake. «Circa trent’anni fa, io mi sposai, ma quella è un’età in cui è facile sbagliare. Credo proprio di esserne stato affascinato, allora, anche se adesso non rammento perché. Comunque, i miei amici non lo erano altrettanto.»
«Noi, invece, rammentiamo benissimo perché!» replicò Avalon, respirando a lungo, rumorosamente.
«Ne sono convinto» rispose Drake, allegramente. «Come risultato, mi ritrovai di punto in bianco respinto dai vecchi amici, che mi voltarono le spalle, mentre io non potevo soffrire gli amici di mia moglie e, dopo un certo tempo, dovetti constatare che non riuscivo a sopportare nemmeno lei. Proprio in quel periodo, Ralph Ottur ebbe l’idea di fondare un club col solo scopo di potersi incontrare con me senza la presenza di mia moglie. Adesso Ottur è in California; ha messo casa laggiù e mi dispiace. Bene! Per non avere mia moglie fra i piedi, il club doveva essere aperto ai soli uomini, ed ecco spiegato perché non sono ammesse le donne. Lo chiamammo il club dei Vedovi Neri perché le femmine di questa specie di ragni divorano i maschi dopo l’accoppiamento, e noi, invece, eravamo ben decisi a sopravvivere.»
«E sua moglie conosce le origini del club?» domandò Washburn.
«Non è mia moglie» rispose Drake. «Non lo è più, voglio dire. Ho divorziato da lei dopo sette anni di matrimonio.»
«E siete tutti soci fondatori?»
Drake scosse la testa. «Io, Geoff e Tom siamo i tre fondatori. Gli altri si sono iscritti dopo. Alcuni altri soci sono morti, altri vivono lontano e non possono partecipare.»
«Ma se è così, la ragione che poteva avervi indotti a fondare il club non esiste più. E allora perché continuate a escludere le donne?»
«Perché vogliamo che resti così» intervenne prontamente Gonzalo. «Perché a me le donne piacciono quando stanno al posto che compete loro e io so dove esattamente si trova quel posto, so benissimo che non si trova qui.»
«È un’affermazione d’un cinismo disgustoso» disse Halsted col lieve balbettio che lo molestava nei momenti in cui l’emotività prendeva il sopravvento.
«Tu devi dire così perché sei sposato e temi che, se non ti alleni costantemente, possa scapparti qualcosa di compromettente, qualcosa di sciovinistico, di maschilista, magari davanti a tua moglie, e allora ti troveresti nei guai. Io non sono sposato, e conseguentemente sono un uomo libero; le mie ragazze sanno come la penso, e se non ne sono soddisfatte, possono sempre andarsene per i fatti loro.»
«C’è una specie di dongiovannismo che lascia perplessi nella tua affermazione» disse Avalon. «Non ti dispiace se ti piantano?»
«Qualche volta sì» ammise Gonzalo. «Ma mi dispiacerebbe molto di più se si mettessero a litigare con me. E poi, ce ne sono sempre delle altre.»
«È disgustoso!» tornò a ripetere Halsted.
«Infatti, la verità è quasi sempre disgustosa» replicò Gonzalo. «Ma perché voi, esimii maschilisti, non mi dite perché non volete le donne alle nostre riunioni? Ditemelo e, se potete, cercate di spiegarvi adducendo a pretesto motivi che non siano sciovinistici.»
Fra i presenti scese un silenzio imbarazzato. «Henry, lei è dei nostri, è un Vedovo Nero anche lei e io non le permetterò di farla franca. Preferirebbe che partecipassero anche donne a questi convegni mensili?»
«No, signor Gonzalo» rispose prontamente Henry, la cui faccia bonaria si era aperta a un sorriso beato. «Non mi piacerebbe affatto.»
«Ahah!» esclamò Gonzalo. «Adesso sì che si comporta come un uomo onesto, e non come questi ipocriti che deve servire! Mi spieghi perché non le vuole.»
«Come lei, signor Gonzalo, nemmeno io sono sposato, ma temo di non avere la sua multiforme esperienza in fatto di donne giovani.»
«E questo cosa c’entra?»
«Intendevo solo spiegare la situazione per il caso in cui la mia teoria potesse apparire infantile, pazza o altro ancora a uomini più navigati di me. Mi sembra, comunque, che molti uomini rammentino la madre come il più autorevole rappresentante dell’autorità negli anni dell’infanzia; anche quando il padre viene rappresentato come un misterioso dispensatore di castighi, una specie di orco, è però sempre la madre quella che sgrida, che sbraita, che incita a fare, che schiaffeggia e ci impedisce sempre di fare quello che vorremmo. Da questo trauma prolungato non ci riprendiamo più.»
«Andiamo, via!» esclamò Rubin, con voce nella quale si avvertiva lo sdegno mascolino. «Vorrebbe farci credere che gli uomini hanno paura delle donne?»
«Infatti, credo che molti abbiano paura delle donne» rispose Henry. «Si può affermare tranquillamente che gli uomini provano un senso di sollievo, un senso di liberazione quando sono in compagnia di soli uomini e si sentono anche più liberi quando sanno che le donne non possono intromettersi. Questo sodalizio è nato col proposito di tener lontane le donne partendo dal pretesto di tenerne lontana una soltanto. Quella donna non c’è più, se n’è andata, ma il rifugio al quale le donne non possono accedere rimane, è necessario ancora e nessuno si sognerebbe di sopprimerlo.»
«Be’, questo almeno non è un esempio di sciovinismo esasperato» disse Avalon.
«Ma è completamente falso» replicò Rubin, con gli occhi che lampeggiavano dietro le lenti spesse. «Quanti di noi, qui, hanno paura delle donne?»
Fu Washburn che intervenne a quel punto. Coi bei lineamenti contorti in una maschera furiosa, batté con tanta forza il pugno sul tavolo da far traballare piatti e bicchieri e Henry, che stava versando il caffè, si fermò a guardarlo. «E lei si aspetta che nessuno abbia il coraggio di ammetterlo, vero?» disse. «Invece, il vostro cameriere ha ragione, solo che non ha detto tutto quello che c’era da dire. Certo che abbiamo paura delle donne! E perché non dovremmo averla? Le donne sono delle mangiatrici di uomini, delle arpie. Non c’è legge che possa tenerle a freno; non c’è regola che rispettino. Sono la rovina degli uomini e di tutto quanto c’è di decente e di umano e io me ne infischio se non ne vedrò nemmeno una, mai più, in tutta la mia vita.»
Tacque e si passò una mano sulla fronte che gli si era imperlata di sudore nella foga della discussione, poi si scusò. «Chiedo scusa, signori. Non volevo lasciarmi andare.»
«Ma perché…» incominciò Trumbull. Ma si fermò vedendo Gonzalo che alzava una mano per farlo tacere.
«Dopo, Tom» disse Gonzalo, sorridendo con aria di trionfo. «È quasi venuta l’ora della torchiatura. Sceglierò te come grande inquisitore, e allora potrai chiedere quello che vorrai.»
Infatti, non trascorse molto tempo prima che Gonzalo passasse al rituale tintinnare del bicchiere, mentre Henry serviva il brandy. «Adesso, Tom, tocca a te» disse.
Trumbull aggrottò ferocemente la fronte sotto la massa arruffata dei capelli crespi e bianchi, e incominciò. «Signor Washburn, io penso che Mario le avrà raccontato del rito della torchiatura cui vengono sottoposti i nostri ospiti durante la cena che speriamo sia stata di suo gradimento. Le avrà spiegato che ci attendiamo risposte esaurienti e veritiere alle nostre domande, anche a quelle più imbarazzanti. Da parte mia, posso assicurarle che nulla di quanto viene detto qui esce all’esterno di queste mura. Detto ciò, mi permetta di aggiungere che se anche non mi reputo un buon giudice in materia di bellezza virile, mi sembra che le donne dovrebbero giudicarla un bell’uomo.»
Washburn arrossì al complimento. «Non oserei mai cercare di spiegare i gusti femminili. Comunque, è vero, e in certe occasioni ho constatato che posso interessare le donne.»
«Lei è molto modesto» rispose Trumbull. «E vale anche l’inverso? Le donne la interessano?»
Washburn rimase incerto per un po’, poi, aggrottando la fronte, chiese: «Vuole forse sapere se sono un “diverso”?».
«Di questi tempi, sarebbe una domanda perfettamente lecita» rispose Trumbull, stringendosi nelle spalle «come sarebbe lecita una risposta chiara e affermativa, qualora ne fosse il caso. Comunque, io le chiedevo, senza alcuna curiosità personale, se lei prova interesse per le donne solo in considerazione dello sfogo collerico di poco fa sulle donne in generale.»
Washburn si rasserenò. «Capisco cosa vuol dire. Le donne mi interessano, anche troppo, se è per questo, e non sono un “diverso”. Inoltre, il mio sfogo non era contro l’altro sesso in generale, ma ce l’avevo con una donna, una soltanto, e con me stesso.»
Trumbull esitava. «La cosa più logica da fare sarebbe quella d’interrogarla, signor Washburn» disse alla fine. «Chiederle cosa c’è stato di tanto sconvolgente fra lei e quella donna; eppure io esito, perché, sotto un certo aspetto, si tratta di una questione strettamente personale sulla quale vorrei evitare di indagare, mentre, d’altro canto, i particolari potrebbero rivelarsi interessantissimi, se lei permette che mi esprima così. Immagino che tutti noi, nella nostra gioventù…»
«Se tu mi permetti, adesso, Tom» intervenne Avalon, calcando su quel tu permetti «direi che fai sfoggio di un’insolita combinazione di delicatezza e di curiosità. Col tuo permesso, io sono pronto a sollevarti dall’incarico di condurre l’interrogatorio.»
«Se credi di potertela cavare restando nei limiti fissati dal buon gusto e dalla decenza, fa’ pure» rispose ruvidamente Trumbull.
Avalon inarcò le sopracciglia arruffate e lo fissò. «Tom, ho una buona opinione di te, eppure non ti ho mai considerato un modello di buone maniere. Signor Washburn, non ho alcun desiderio di esacerbare inutilmente piaghe che magari sono ancora aperte, ma permetta che tiri a indovinare. Il suo scoppio d’ira si è manifestato durante una discussione sul femminismo. Possiamo dunque pensare che quella infelice esperienza, quale che sia, abbia a che fare col femminismo?»
«Sì, accidenti, ha proprio a che fare con quello» rispose Washburn.
«Bene! Forse è superfluo chiederlo, ma quanto accadde a lei, capita anche a molti altri uomini? Lasciando stare il grande dolore che può averle procurato e l’infelicità che a lei potrebbe anche sembrare unica nel suo genere, non potrebbe darsi che in momenti di maggior calma lei veda in quel che le è accaduto uno dei mille e mille episodi che formano il destino dell’umanità di sesso maschile?»
Washburn pareva immerso nei suoi pensieri e Avalon continuò più delicatamente che poteva. «Dopo tutto, milioni e milioni di persone sono stati piantati dalla persona che amavano, milioni di persone sono state vendute, milioni di amanti sono stati traditi.»
«Quel che è capitato a me, è capitato a tanti e tanti altri, come lei suggerisce» rispose Washburn, mettendo in mostra denti candidi e bellissimi. «Questo io lo riconosco. Non è un fatto così raro perdere la donna che si ama. Essere derisi e umiliati…» aggiunse, inghiottendo a fatica. «Può essere il destino di molti. Ma sotto un certo aspetto io sono stato particolarmente male adoperato.»
Avalon annuì. «Molto bene! Io non formulerò domande dirette. Basterà che lei ci racconti solo di quell’aspetto del suo problema.»
Washburn abbassò gli occhi sul bicchierino del brandy e prese a parlare in fretta. «Mi ero innamorato. Non era la prima volta e lei… lei non era la donna più bella che avessi conosciuto… e nemmeno la più simpatica. Per la verità, non riuscimmo ad andare d’accordo. La sua compagnia era sempre come una corsa pazza su una stradaccia tutta buche con un’auto scassata e senza sospensioni, ma non potevo farne a meno, non potevo rinunciare a lei. Mi sembra di non potermi rassegnare nemmeno ora, ma non chiedetemi il perché, non chiedetemi di analizzarne i motivi. Posso solo dire che mi ero lasciato accalappiare, irretire, intrappolare e che la desideravo, la volevo e non riuscivo ad averla.
«Lei si comportava come se mi odiasse, agiva come se avesse voluto ingigantire il mio desiderio di lei solo per mostrare al mondo intero che io non potevo averla, non potevo prenderla.
«Era una femminista accanita. Nella vita aveva successo. Era una illustratrice di riviste giunta al vertice della carriera ed era compensata profumatamente, eppure non le bastava. Per soddisfarla, io dovevo far fiasco. Non c’era verso di litigare vantaggiosamente con lei. Vinceva sempre. Naturalmente, era un’intellettuale e io non lo sono affatto… anche se mi reputo intelligente…»
«L’intelligenza è il diamante e l’intellettualismo ne costituisce solo le sfaccettature» sentenziò Rubin. «Io ho conosciuto molti cristalli di rocca magnificamente sfaccettati! Cosa fa lei per guadagnarsi da vivere?»
«Sono agente di cambio» rispose Washburn.
«E se la cava bene? Voglio dire, bene quanto la sua femminista?»
«Sì» rispose Washburn, arrossendo. «Inoltre, ho anche ereditato una discreta fortuna, ma pareva che lei ne fosse risentita.»
«Permetta che cerchi d’indovinare» disse seccamente Rubin. «Secondo quella fanciulla, lei guadagnava più denaro con meno cervello solo perché era un uomo. Lei aveva maggior successo con minor merito perché era un uomo e forse aveva ereditato quella fortuna solo perché era un uomo. Forse sua sorella avrà avuto una parte più piccola di quella eredità.»
«Sì, pressappoco» ammise Washburn. «Diceva che il mio modo di vestire, il mio portamento, tutto quello che mi riguardava era fatto apposta per mettere in maggior risalto la mia mascolinità, la mia buona salute e la mia ricchezza; diceva che avrei anche potuto portare un’insegna al neon con scritto: “Io posso comprare le donne che voglio”.»
«E non ha mai tentato di difendersi?» domandò Trumbull.
«Ma certo, e ogni volta che mi ci provavo eran litigi. Le chiedevo perché una donna che non voleva essere penalizzata per il sesso al quale apparteneva, insistesse tanto per dare enfasi a quel sesso. Perché non si decideva a smettere il trucco e non affrontava il mondo con la faccia pulita come fanno gli uomini. Perché non indossava abiti che mettessero meno in risalto le caratteristiche del suo corpo, i seni, le natiche. Le dicevo che anche lei avrebbe potuto portare un’insegna luminosa che dicesse: “Mi vendo ad alto prezzo”.»
«Chissà come le piaceva» brontolò Rubin.
«Può scommetterci che non le piaceva affatto» rispose cupamente Washburn. «Replicava che una società maschilista l’aveva costretta a comportarsi così per potersi difendere, che non avrebbe mai rinunciato all’unica arma che le avevano lasciato. Io le rispondevo che, con me, non aveva alcun bisogno di armi strategiche, che ero pronto a sposarla senza trucchi e senza che dimenasse le anche, così com’era quando usciva dalla doccia, coi capelli ancora bagnati e coi foruncoli sulle spalle, ma lei replicava: “Per far che? Per cuocerti i pasti e pulirti la casa”. Io rispondevo che non era necessario, che avevo la governante, e lei ribatteva: “Ma è naturale! Un’altra donna!”.»
«E cosa sperava di ottenere, sposandola?» domandò Halsted. «Avreste continuato a litigare così per tutta la vita. Sarebbe stato un inferno. Perché non rinunciare finché era in tempo?»
«Perché?» ripeté Washburn. «Già, perché? Perché uno non smette di drogarsi? Perché non smettiamo di respirare se l’aria è inquinata? E cosa posso saperne io del perché! Non è che uno possa ragionare in questo genere di cose. Forse… forse… se mi si fosse offerta l’occasione, sarei riuscito a cambiarla.»
«Nemmeno per idea» disse Rubin. «Quella è rompiballe e non c’è pericolo che cambi.»
«Hai detto una sciocchezza» disse Halsted. «È maschilismo bello e buono il tuo. Sempre così: un uomo è ambizioso, ma la donna, se fa le stesse cose, è priva di scrupoli. L’uomo è costante, la donna ostinata. L’uomo è spiritoso, la donna è sfacciata. Ciò che nell’uomo è spirito agonistico, diventa ripicca nella donna. Quando l’uomo è un capo capace di farsi obbedire, la donna è invece una rompiballe.»
«Chiamalo come ti pare» replicò Rubin. «Di’ pure che quella donna era un giglio, se vuoi. Io sostengo che la sua ambizione mirava soltanto a far rimpiangere al nostro amico il giorno in cui era nato e che ci sarebbe riuscita.» Poi, rivolgendosi a Washburn: «Dallo sfogo di poco fa, debbo immaginare che il fallimento è stato completo. Se è così, mi congratulo con lei, e se conoscessi un metodo per domare quella femmina, ebbene, mi rifiuterei di insegnarglielo».
«Non c’è pericolo» rispose Washburn, scuotendo la testa. «Ha sposato un altro, una povera vittima, un imbecille… Le ultime notizie che ho dicono che sta in cucina e sfaccenda in casa.»
«Ha dunque abbandonato la carriera?» domandò Avalon, sbalordito.
«No» rispose Washburn. «Lavora e fa la massaia. Quello che non riuscirò mai a capire è come abbia potuto sposare proprio quello lì.»
«L’amore è cieco» sentenziò Trumbull. «Certe scelte non si spiegano. Forse quell’altro riesce a tenerla allegra, forse riesce a dominarla senza discutere. Forse è attratta dal suo profumo, chi può saperlo? Del resto, come spiegherebbe il fascino che esercitava su di lei? Nella sua descrizione, non c’è nulla che la renda attraente per me.»
«Ma se lo preferiva a me, perché non l’ha detto chiaro e tondo?» esclamò Washburn, furibondo. «Se lo preferiva a me per un motivo qualunque, non poteva dirlo? Perché dare al nostro rapporto l’impronta di un vero e proprio test? Perché umiliarmi così?»
«Un test?» domandò Rubin, sorpreso. «E quale?»
«Ecco cosa intendevo dire prima affermando che, in un certo senso, ero stato male adoperato da lei. Mi ha detto di volersi assicurare che io fossi il tipo d’uomo col quale potesse andare d’accordo e mi ha sfidato a trovare un secondo nome proprio, formato da una sillaba sola, che tutti gli studenti dovrebbero conoscere, magari senza rendersene conto. Mi ha fatto anche capire che sottoponeva l’“altro” allo stesso test. Che ci fosse un altro uomo lo sapevo, ma quell’intrusione non mi preoccupava affatto. Dio benedetto, perché avrei dovuto preoccuparmi per la presenza di un misero, stupido impiegatuccio di un’impresa di pubblicità? Di un tipo che andava in giro in maglietta, e beveva birra?»
«Ma lei non avrà creduto che quella donna avrebbe scelto un uomo preferendolo a un altro solo perché sapeva risolvere un indovinello!» disse Avalon. «Queste cose accadono solo nelle favole, ma non accadono nella realtà.»
«Adesso sì, lo capisco» rispose Washburn. «Comunque, ha sposato quell’altro affermando che aveva trovato la risposta. Disse che quel povero idiota era stato promosso, mentre io avevo fatto fiasco. Perderla era già doloroso, ma lei aveva organizzato la cosa in modo da farmi cadere in un confronto destinato a mettere alla prova la nostra intelligenza, contro un uomo che io disprezzavo… ma quello non era un test, era un’idiozia. Immaginiamo di scegliere un nome di una sillaba sola: John, Charles, Ray, Gorge… un nome qualunque fra quanti ce ne sono… Chi poteva giudicare se era quello giusto o no? Lei, soltanto lei! Ma se voleva sposare quell’altro, perché darsi tanto da fare per rendermi ridicolo?»
«E se la domanda avesse avuto la sua logica?» domandò Halsted, che si era fatto pensieroso. «Quello che dobbiamo trovare è un secondo nome di una sillaba sola, un nome che tutti gli studenti conoscono, magari senza saperlo.»
«Studenti, ragazzi» sbottò sarcasticamente Washburn. «Tutti nomi maschili, tutto sciovinismo.»
«Roger, continua» disse Gonzalo. «Tu sei un professore, insegni e conosci i ragazzi, gli scolari maschi e femmine. Cos’è che tutti i ragazzi che vanno a scuola conoscono senza magari rendersene conto?»
«I ragazzi a cui io insegno, dovrebbero sapere l’algebra» rispose cupamente Halsted. «Però l’algebra non la conoscono davvero. Se la parola algebra fosse un nome di una sillaba sola, avremmo trovato la risposta.»
«Cerchiamo di essere metodici» suggerì Drake. «Solo gli esseri umani hanno un secondo nome e quindi possiamo incominciare da questo. Dobbiamo scoprire un personaggio, che tutti gli studenti conoscono, che abbia un secondo nome.»
«Ma anche così, cosa ci si ricava?» domandò Washburn. «Tanto per incominciare, com’è possibile conoscere qualcuno, o qualcosa, e contemporaneamente non conoscerlo? E anche se fosse possibile, chi ci assicura che ci sia una sola persona che abbia questa peculiarità? E, al contrario, se ce ne fossero molte, come si fa a scegliere, fra le tante, proprio quella giusta? No! Quella strega voleva solo prendermi in giro.»
«Stando alla realtà, i secondi nomi sono molto spesso piuttosto insoliti» osservò Avalon. «Oggi tutti quanti hanno un secondo nome, ma in passato un secondo nome dato a una persona era cosa piuttosto insolita, almeno mi sembra. Pensate a personaggi famosi come George Washington, Abraham Lincoln, Napoleone Bonaparte, William Shakespeare… Anche gli antichi greci avevano un nome solo: Socrate, Platone, Demostene… Questo riduce ulteriormente il campo delle ricerche.»
«Ma fra i personaggi illustri abbiamo Robert Louis Stevenson, Franklin Delano Roosevelt, Gustavus Adolphus Vasa.»
«E chi sarebbe questo Gustavus Adolphus Vasa?» domandò Gonzalo.
«Un re di Svezia che regnò agli inizi del 1600» rispose Halsted.
«Bene! Tutti gli studenti di Svezia sapranno chi era Gustavus Adolphus Vasa, ma penso che noi dovremmo tenere presente le cognizioni che possono avere gli studenti americani» disse Gonzalo.
«Sono d’accordo» disse Avalon.
«I romani avevano addirittura tre nomi» disse Rubin, pensieroso. «Giulio Cesare si chiamava, in realtà, Caio Giulio Cesare; Cassio, l’uomo che lo assassinò, si chiamava Caio Cassio Longino. Ogni studente americano conosce Giulio Cesare e Cassio grazie al Giulio Cesare di Shakespeare perché glielo fanno studiare a scuola, ma nessuno di essi sa che si chiamavano Caio Giulio Cesare e Caio Cassio Longino; come conseguenza, penserebbero che Giulio era il nome di battesimo, Cesare il cognome, che Cassio era il cognome mentre invece sono entrambi secondi nomi. Potrebbe darsi benissimo che si debba cercare qualcosa del genere.»
«Molte culture usano patronimici come secondi nomi» disse Avalon. «Tutti i russi ne hanno uno. Pietro I di Russia, meglio noto come Pietro il Grande, si chiamava, in realtà, Pietro Alexeievich Romanov, dove Alexeievich significa figlio di Alessio. Ma ogni ragazzo lo conosce come Pietro il Grande.»
«Ci sono anche altre possibilità» disse Rubin. «Alcuni secondi nomi sono usati come primi nomi anche dagli americani. Il presidente Grover Cleveland si chiamava in realtà Stephen Grover Cleveland, ma aveva abbandonato il primo nome per il secondo. Lo stesso può dirsi di Thomas Woodrow Wilson e di John Calvin Coolidge. Come se non bastasse, molti scrittori modificano i loro nomi, usando pseudonimi. Mark Twain si chiamava Samuel Langhorne Clemens e Lewis Carroll si chiamava Charles Lutwidge Dodgson, ma tutti gli studenti conoscono soltanto Mark Twain e Lewis Carroll.»
«Scusate, signori» disse impazientemente Washburn «ma a che serve tutto ciò? Pensate che giovi a risolvere il problema? Potreste trovare centinaia di nomi, ma come è possibile trovare quello giusto?»
«Stiamo semplicemente delimitando le dimensioni del problema, signor Washburn» rispose Avalon, con aria solenne.
«E sbagliate tutto» replicò Gonzalo. «I secondi nomi che ho udito sino ad ora, hanno tutti più di una sillaba, da Giulio sino a Lutwidge. Perché non proviamo a immaginare un secondo nome di una sillaba sola e procediamo a ritroso? Se vogliamo prendere in considerazione i presidenti americani, possiamo iniziare dalla lettera “s”. Mi sembra che più monosillabico di una sola lettera non ci possa essere niente. Ebbene, fra i nostri presidenti abbiamo avuto Harry S Truman, dove la S era soltanto una esse e non l’iniziale di un nome. Ogni scolaro americano ha sentito parlare di Harry S Truman, ma quanti di essi sanno che la S non significa nulla perché non è l’iniziale di un nome?»
«Se è per questo» disse Drake «tutti gli scolari americani conoscono Jimmy Carter, ma nessuno, o quasi nessuno di essi, sa che ha anche un secondo nome e quel secondo nome è Earl. Earl ha una sillaba sola.»
«Ma anche così, ci restano sempre un milione di risposte possibili» osservò Washburn.
«Accidenti, signori!» ruggì improvvisamente Trumbull. «Voi dimenticate la terza possibilità, quella cruciale. Io me ne sto zitto e quieto aspettando che uno di voi se ne accorga e invece continuate a muovervi, pedanti e solenni, in un cerchio senza vie d’uscita.»
«E questa terza possibilità sarebbe?» domandò tranquillamente Avalon.
«Quello che vi ci vuole è un secondo nome di una sillaba sola, e questa è la prima necessità. Dovete rispettare quella tiritera circa gli scolari, ed è la seconda necessità. Infine, quella donna voleva scoprire se Washburn era un uomo col quale lei potesse andare d’accordo, ed è la terza. Questo significa che l’indovinello allude in qualche modo allo sciovinismo maschile, dal momento che la donna è una femminista fanatica. Se ne deduce che un maschio sciovinista, quale lei pensa che sia Washburn, non potrà mai trovare la risposta giusta.»
«Bontà divina!» esclamò Rubin. «Tom, hai detto qualcosa di sensato! Quale altra sorpresa hai in serbo per noi? Non dirmi che hai già trovato la risposta!»
«Non precisamente» rispose Trumbull, scuotendo la testa. «Però io suggerisco di limitarci a prendere in esame nomi di donna. Una femminista obietterebbe che molte donne hanno avuto un ruolo importante nella storia, ma che lo sciovinismo maschile tende a cancellarne la memoria e, conseguentemente, ogni studente dovrebbe conoscerle, e invece non le conosce.»
«No, Tom» protestò Halsted. «Non è questa la traccia da seguire. Non è questo che ogni studente dovrebbe sapere. Si tratta di qualcosa che i ragazzi sanno e non sanno.»
«Inoltre» disse Rubin «anche se ci limitassimo alle sole donne, non sgombreremmo affatto la strada della ricerca. Anche se ci limitassimo alle sole femministe che hanno avuto un ruolo importante nella storia, abbiamo Susan Brownell Anthony, Carrie Chapman Catt, Helen Gurley Brown, Gloria Steinem, Betty Friedan… Quale di esse ha un secondo nome di una sillaba sola?»
«Non è detto che debba essere una femminista» disse Drake, con gli occhietti che parevano fissi su un invisibile punto a media distanza. «Potrebbe trattarsi benissimo di una donna che ha dato un contributo etico sociale alla storia, come quella che ha scritto La capanna dello zio Tom e con quel libro, come disse Lincoln, favorì lo scoppio della guerra civile.»
«Harriet Beecher Stowe» disse impazientemente Rubin. «Ma Beecher è di due sillabe!»
«È vero» rispose Drake «ma io l’ho menzionata solo come un esempio! E cosa ne direste della donna che compose l’inno di combattimento della Repubblica, Julia Ward Howe? Quante sillabe ha Ward?»
«E come la mettiamo con quel particolare che tutti i ragazzi conoscono senza saperlo?» domandò Avalon.
«Ogni studente conosce a memoria: “I miei occhi hanno visto la gloria del Signore che viene” eppure non ne conoscono l’autore, una donna. Questo, almeno, è quanto sosterrebbe una femminista.»
Ci fu un confuso vociare di protesta, sino a quando la voce profonda di Avalon sommerse tutte le altre. «E cosa ne dite, allora, dell’autrice di Piccole donne? Di Luisa May Alcott? Cosa rispondete adesso? Ward o May?»
«Nessuna delle due» rispose bruscamente Washburn.
«E perché no?» domandò Drake. «Come fa a saperlo?»
«Perché io conosco quel nome. Me lo scrisse quando mi annunciò che si era sposata.»
«Signore, lei ha taciuto informazioni che potevano essere utili per la ricerca!» obiettò Rubin, indignato.
«Niente affatto» rispose Washburn. «Io non lo sapevo affatto quando cercavo la risposta, e ora che lo conosco penso che abbia scelto un nome qualsiasi perché io continuassi a sentirmi un idiota.
«Nemmeno adesso che ho la risposta intendo comunicarvela, perché se ve la dicessi potreste immaginare una soluzione che potrebbe essere sbagliata, mentre invece dobbiamo trovare una soluzione logica senza conoscerla anticipatamente. Comunque, si tratta di un nome femminile, e questo è un riconoscimento che devo al signor Trumbull.»
«E ti sentiresti meglio se riuscissimo a dirti quel nome e a spiegartene il perché?» domandò Gonzalo.
«Credo di sì» rispose cupamente Washburn. «Almeno potrei pensare che era una prova leale e che avrei potuto sposarla se fossi stato più in gamba. Ma c’è qualcuno che possa dirmi qual è quel secondo nome?»
Washburn si guardò intorno, ma vide solo sei facce impenetrabili, sei sguardi pensierosi.
«Henry, lei non ha una qualche idea su questo argomento?» domandò Gonzalo.
Il cameriere, che stava togliendo i bicchieri del brandy ormai vuoti, continuò il suo lavoro. «Se il secondo nome non è Ann, temo proprio di non poter essere d’aiuto» rispose tranquillamente.
Washburn cacciò un urlo insensato e spostata rumorosamente la sedia balzò in piedi. «Ma è proprio Ann!» gridò. «Come ha fatto a scoprirlo? Ha tirato a indovinare o aveva un buon motivo per pensare che fosse Ann?»
Nella sua eccitazione, il giovanotto si era avvicinato al cameriere e pareva sul punto di afferrarlo per le spalle e scuoterlo, ma si trattenne.
«I signori qui presenti hanno fornito i pezzi del mosaico» rispose Henry. «Io non ho fatto altro che metterli insieme, ciascuno al suo posto. Il signor Rubin ha parlato di pseudonimi, come nel caso di Mark Twain; il signor Trumbull aveva fatto notare che poteva esserci di mezzo il femminismo. Io allora ho pensato che poteva esserci stato, nella storia, qualche caso in cui un nome femminile si era nascosto sotto uno pseudonimo maschile e ho cercato di scoprire se c’era un caso del genere che potesse essere conosciuto da tutti gli studenti. Ora, un libro di testo obbligatorio nelle nostre scuole per non so quanti decenni, è stato Silas Marner. Tutti gli scolari lo conoscono e sanno che è stato scritto da George Eliot. Io pensavo che si trattasse di uno pseudonimo e sono andato a controllare nell’enciclopedia mentre voi discutevate animatamente, così ho scoperto che il vero nome di George Eliot era Mary Ann Evans.»
«Ma allora era una domanda onesta!» esclamò Washburn, con tanto d’occhi sgranati. «Questo mi fa piacere, ma lei crede che quello sgorbio di suo marito l’abbia indovinato?»
«Può darsi benissimo» rispose Henry. «Comunque, penso che potrebbe farle bene se lo credesse anche lei.»
(Titolo originale: Middle name)
Il racconto l’ho iniziato durante un viaggio in treno, quando ho dovuto recarmi a Richmond, in Virginia, per un convegno, continuandolo poi durante la permanenza in quella città.
Tanto “La Ragnatela” quanto i “Vedovi Neri” sono circoli strettamente riservati a soli uomini, ed è vero. Solo gli uomini possono divenirne soci e per di più “La Ragnatela” ebbe effettivamente l’inizio che in questo racconto è stato attribuito al “club dei Vedovi Neri”.
Bisogna riconoscere che i circoli riservati ai soli uomini sono decisamente passati di moda. Non posso certo esprimere giudizi sulle altre organizzazioni similari, ma su questo argomento sento rimordermi la coscienza. Per fortuna, Janet è una donna molto comprensiva e tollerante ed è così pazzamente infatuata di me da consentirmi di essere socio non di una, ma di ben quattro organizzazioni esclusivamente maschili.
Bene! Godo di questa libertà e metto a tacere la coscienza cercando di dirmi che, dopo tutto, ho sempre fatto il possibile per far accettare anche le donne, ma finora è stato tutto inutile.