Un secondo boato, più forte, fece tremare il terreno. — Fuori di qui! — urlò Ripred.
L’intera grotta piombò nel caos mentre cercavano di montare in groppa ai pipistrelli. Avevano cambiato cavalcatura così tante volte durante il viaggio che nessuno sapeva bene quale fosse il proprio posto. Gregor afferrò Boots e balzò su Ares, ma poi gli tornò in mente che non c’era un altro pipistrello in grado di trasportare Ripred. Scese e scivolò su una batteria, il che fu una fortuna, perché gli ricordò di rimettere tutta la roba gettata a terra nello zaino e caricarselo sulle spalle. A quel punto, Boots era corsa via e si era arrampicata sul dorso di Temp.
— Alt! — gridò Ares. — Luxa, Hazard, Gregor e Boots su Aurora. Howard, Temp e Cartesian su Nike. Thalia, vola sotto di me, nel caso dovessi stancarti.
Vagarono a casaccio ancora un po’ ma, seguendo le istruzioni di Ares, riuscirono tutti a trovare posto. Gregor finì davanti, con Boots appesa al collo. Hazard e Luxa montarono dietro di loro.
Nell’istante in cui uscirono dalla grotta, i pipistrelli furono trascinati dalla violenta corrente che soffiava da una grotta più in alto. Era la stessa corrente che aveva dissolto l’aria color cenere e li aveva protetti dal gas velenoso, impedendogli di arrivare a loro. Ora, invece, li stava portando dritti verso il vulcano ardente.
Gregor temeva che i pipistrelli sarebbero usciti di testa un’altra volta, ma in realtà se la stavano cavando benissimo. Non era tanto la singola corrente a sconvolgerli, quanto l’incontro di più flussi d’aria che si era verificato in precedenza. Quasi subito sentì Aurora allontanarsi dal vulcano e tuffarsi nel vento. Era così forte che quasi non riuscivano ad avanzare. Strinse Boots tra le braccia, cercando di ripararla il più possibile. Cambiando tattica, tutti i pipistrelli fecero un improvviso dietrofront e volarono dritti verso il vulcano. All’inizio sembrò una pazzia, ma poi Gregor capì che l’unico modo per fuggire era proprio cavalcare la corrente che soffiava sopra il vulcano.
Tra la forza del vento e la potenza delle ali dei pipistrelli, volavano a una velocità incredibile. Il vulcano, fino a quel momento solo un’immagine lontana, si innalzò rapidamente davanti a loro.
Gregor rimase impressionato dalla “regina”. Era maestosa e imponente, ma soprattutto inferocita. Nubi di vapore uscivano sibilando dalle fenditure lungo i suoi fianchi. Lava liquida colava dalla cima e fluiva verso il basso in torrenti fiammeggianti. Anche con il vento nelle orecchie, Gregor sentiva il brontolio gonfiarsi fino a diventare ruggito.
Mentre volavano sopra il vulcano, Gregor vide il lago di lava che ribolliva al suo interno. L’aria gli bruciava i polmoni. Una calda luce rossa pervadeva ogni cosa, compresa la fossa in cui giacevano i topi. Gregor schiacciò la guancia contro Boots per impedirle di girare la testa da quella parte. Lui, invece, si costrinse a guardare i corpi dei piluccatori per mantenerne l’immagine chiara e viva nella mente. Sapeva che, quando fosse tornato a Regalia, avrebbe dovuto essere in grado di raccontare la loro storia, e di raccontarla nella maniera più completa possibile. Avrebbe dovuto far capire alla gente l’enorme portata di quanto era successo. E ancora stava succedendo. Tantissime cose dipendevano da quello.
Gregor cominciò a sentirsi stordito. Era probabile che alcune delle esalazioni provenienti dal vulcano seguissero la corrente insieme a loro. Capì che i vapori dovevano avere effetti anche sui pipistrelli, ma nessuno di loro dava segno di voler rallentare. Si lasciarono alle spalle il vulcano con la stessa rapidità con cui vi si erano avvicinati.
Un altro boato minaccioso scosse la terra sotto di loro. Il volo proseguiva, ma Gregor si sentiva peggio. E se lungo il tratto che stavano percorrendo si fosse formata una sacca di gas velenoso che li avrebbe sopraffatti da un momento all’altro? Rafforzò la presa su Boots.
— Stai bene, Boots? — strillò per sovrastare il vento.
— Sonno — rispose lei. — Faccio un pisolino.
— Oh, no. Niente pisolini! — urlò Gregor, attraversato da un guizzo di paura. — Sta’ sveglia, va bene?
— Va bene — disse Boots con voce flebile, ma Gregor si accorse che cercava di rannicchiarsi contro di lui.
— Una galleria! Trovate una galleria! — sentì urlare a Ripred.
Si stavano avvicinando a una gigantesca parete di pietra che segnalava l’estremità della caverna. I pipistrelli presero a sfrecciare dentro e fuori le aperture nella parete, tentando di valutare se portassero solo a una grotta oppure a una galleria e quindi a una via di fuga.
Sopra di lui, Gregor vide Nike che cominciava a girare in cerchio davanti a un’apertura. Howard agitava le braccia all’impazzata perché li raggiungessero. Aurora si tuffò dritta verso la galleria. Nike era entrata per prima, seguita da Ares, che adesso aveva Thalia tra gli artigli. Aurora chiuse la fila.
Gregor si sentì subito più sicuro, nella galleria. L’aria era ancora sgradevole ma, almeno, erano fuori dalla portata del vulcano. Allentò un po’ la stretta su Boots. Stava giusto voltandosi per dare un’occhiata a Luxa e Hazard quando la “regina” esplose.
Nient’altro poteva giustificare il boato assordante che gli fece battere i denti, spedì scintille di colore a turbinargli davanti agli occhi e lo privò dell’udito, lasciandogli solo un fischio stridulo nelle orecchie.
Una folata di aria bollente li investì e poi non ci fu più aria, solo una nuvola ardente di cenere e polvere che oscurò ogni altra cosa. Gregor lottò per respirare, per vedere, pensò che doveva proteggere Boots sollevandole la maglietta sul viso. Sentì che stava perdendo conoscenza e che la presa di Luxa sulla sua spalla si allentava poco a poco. “No” avrebbe voluto gridare. “Resisti! Resisti! Boots!” Quello fu il suo ultimo ricordo…
Quando rinvenne, era steso a pancia in giù sopra quella che pareva una grossa roccia. Una sporgenza aguzza gli sosteneva il mento. Cominciò subito a tossire. Nel mettersi seduto, alzò una nuvola di cenere che gli rese ancor più difficile respirare. Mosse qualche passo barcollante e cadde con violenza dalla roccia, atterrando in uno strato di cenere alto più di un metro. Si sforzò di rimettersi in piedi e cominciò ad avanzare faticosamente in mezzo a quella roba mentre agitava le mani alla cieca davanti a sé. La testa gli pulsava tanto da fargli pensare che il dolore l’avrebbe spaccata in due. Quando finalmente raggiunse un muro di roccia, si tenne forte e vomitò finché dallo stomaco non gli uscì più nulla tranne la bile. Tremante e disorientato, si appoggiò al muro e cercò di schiarirsi le idee.
“Cos’è successo?” pensò. Ricordava il vulcano… il volo… la vista dei topi che brillavano nel rosso della luce… luce… aveva bisogno di luce.
Cercò a tentoni la torcia appesa alla cintura e trovò l’interruttore. All’inizio pensò che fosse rotta. Poi capì che la lente protettiva di plastica era offuscata dalla cenere. Batté la torcia contro il muro e la ripulì meglio che poté con l’interno della camicia.
La luce rivelò una vasta galleria avvolta in una coltre di polvere grigia. Come la neve, la cenere si era depositata formando alti cumuli in certi punti. In altri, il fondo era coperto solo da uno strato sottile. Gregor arrancò fino a un angolo relativamente sgombro e cercò di orientarsi. A un dato momento, doveva essere svenuto, scivolando dal dorso di Aurora. Ma allora Boots dov’era? L’aveva avuta tra le braccia. Dov’erano Luxa e Hazard? Dov’erano gli altri?
“Dove sono gli altri?” Gregor ricordò il grido terrorizzato di Cartesian. “Dove sono gli altri?”
A fatica, tornò verso la roccia, trascinando i piedi nella cenere, tentando di individuare chiunque potesse essere caduto insieme a lui. A perlustrazione conclusa, non aveva trovato nessuno ma in compenso stava soffocando per la polvere. Si avviò lungo la galleria nella direzione in cui era orientata la sua testa quando si era svegliato, sperando di poter trovare il resto del gruppo più avanti.
La superficie liscia della cenere non presentava impronte. Attutiva i suoi passi, rendendoli appena percettibili alle sue orecchie ancora ronzanti. Non si era mai sentito così solo in vita sua. Non lo era mai stato, probabilmente. Non c’era segno di vita da nessuna parte. Era un miracolo che fosse sopravvissuto, che non fosse morto asfissiato durante l’eruzione. Forse sarebbe successo, se la roccia non gli avesse tenuto il mento sollevato. Se fosse precipitato a terra, con ogni probabilità sarebbe rimasto sepolto vivo dalla cenere.
“Dove sono gli altri? Dove sono gli altri?” La voce di Cartesian urlava nella sua testa.
E se nessuno di loro fosse sopravvissuto? E se avessero perso conoscenza e fossero caduti tutti sul fondo della galleria? Magari gli stava passando davanti proprio in quel momento, mentre camminava strascicando i piedi nella cenere, ignaro dei loro corpi sotto…
Gregor si fermò e si premette il palmo delle mani sugli occhi. “Non farlo. Non pensare cose del genere. Continua a camminare e basta. Devi continuare a camminare.”
Era impossibile misurare quanto tempo fosse trascorso. La galleria non cambiava. Il respiro gli usciva a brevi rantoli irregolari. Ogni centimetro di lui, dentro e fuori, sembrava rivestito da uno strato di cenere.
Si ricordò della bottiglia d’acqua nello zaino e la aprì. Rimescolò in bocca il primo sorso, lavandosi via la polvere dai denti, e lo sputò per terra. Poi ne bevve un altro, lungo e abbondante, senza preoccuparsi di razionare l’acqua. Sentendosi un po’ meglio, riprese ad arrancare.
A un certo punto, si accorse di un leggero venticello che gli soffiava sul viso. “Un’altra corrente” pensò, e si chiese se dovesse provare a rifugiarsi dietro una roccia. Ma il venticello restava lieve e portava con sé un’aria decisamente più gradevole di quella che aveva respirato fin lì. Gli calmò il male al petto e il dolore alle tempie.
Pensò che il luccichio che scorgeva in lontananza fosse solo un riflesso della sua torcia. Ma quando la rivolse verso terra, continuò a vederlo. Si mosse più in fretta, facendo alzare altra polvere. — Ehi! — cercò di gridare. Ma non sentì nemmeno la sua stessa voce.
Poi riuscì a distinguere una figura, grigia e spettrale come tutto ciò che lo circondava. Intravide di nuovo una luce, ora più brillante. Gregor si mise a correre… be’, più che altro a galoppare in modo impacciato, perché si era fatto male a un ginocchio quando era sceso dalla roccia.
— Ehi! — gridò ancora, e stavolta riuscì a sentirsi e la figura si girò.
Gregor si fermò di colpo. Un’occhiata all’espressione di Howard confermò quello che aveva temuto. Qualcuno era morto.
— Chi è? — chiese Gregor, il cuore che gli si schiantava contro le costole. — Boots?
Howard fece un passo di lato, strizzando gli occhi verso le figure grigie davanti a lui. Boots stava bene. Era seduta sul dorso di Temp, e teneva in mano lo scettro con la sua minuscola luce. A prima vista, sembravano tutti a posto. Ripred, Cartesian, Luxa, Hazard, il grappolo dei quattro pipistrelli… Ma aveva contato male. C’erano solo tre pipistrelli stretti l’uno all’altro.
Distesa a terra, quasi nascosta dalla polvere, la testa posata nel grembo di Hazard, c’era Thalia.