Gregor, Luxa, Ares e Aurora indietreggiarono velocemente fino alla roccia piatta. Il loro attacco aveva dato vita all’intera volta, un groviglio di serpenti che sibilavano e si contorcevano. Erano molto diversi tra loro. Alcuni sottili come matite. Altri grossi come mazze da baseball. Somigliavano talmente ai rampicanti che Gregor non riusciva a distinguerli dalle piante, a meno che non ne vedesse le teste.

E di teste da vedere ce n’erano in abbondanza. La decapitazione del primo rettile aveva scatenato una guerra totale. Teste di serpenti sbucavano dalla vegetazione e saettavano verso di loro da ogni parte. Lingue guizzanti, zanne scintillanti. Soffocando la paura, Gregor strinse i denti e passò al contrattacco a colpi di spada. Pensò all’allenamento con le sfere di sangue a Regalia. Il principio era lo stesso. Rendere inoffensivo il proiettile prima che ti colpisca. Quello che non riusciva a centrare con la spada, lo allontanava con la fiaccola.

Solo i serpenti più grossi erano in grado di arrivare fino alla roccia, ma Gregor e Luxa non potevano fare altro che tenerli a bada.

Con suo grande sollievo, Gregor avvertì il ronzio della furia attraversargli il corpo. Accolse con gioia la scarica di adrenalina, l’acuirsi dei sensi, il prevalere degli istinti.

Ripred aveva avuto ragione a dire che in certe occasioni Gregor sarebbe stato felice del suo dono, del suo essere furia. Forse stava cominciando a capire meglio il fenomeno, perché quel giorno riusciva a combattere senza perdere coscienza delle sue azioni e senza temere la sua trasformazione.

Adesso, per esempio, era del tutto consapevole del fatto che Ares, dietro di lui, tremava. I pipistrelli erano completamente inermi. Intrappolati sotto la cupola, non potevano alzarsi in volo per fuggire o combattere con i loro artigli.

— Fatevi più piccoli che potete! — ordinò loro Luxa. Ares e Aurora si strinsero l’uno all’altra. — Gli striscianti non possono raggiungervi, con me e Gregor qui!

Lui continuava a mozzare teste ma la violenza dell’attacco sembrava aumentare. Anche i serpenti più piccoli si erano uniti agli altri.

— La giungla! — urlò Aurora. — Si restringe! — Aveva ragione. I serpenti si stavano facendo sempre più vicini. La cupola era ancora integra, ma di parecchi centimetri più stretta da ogni parte. Di lì a poco, i serpenti li avrebbero raggiunti e allora sarebbe stato impossibile respingerli tutti.

— Alla caverna! — gridò Luxa agli altri. — C’è un solo ingresso, e quello possiamo difenderlo!

Muovendosi in sincrono, si spostarono a poco a poco verso l’imbocco della caverna. Gregor intravide la spada e la fiaccola di Luxa turbinare, tracciando una specie di disegno a croce per trattenere i serpenti, mentre Aurora e Ares entravano in un frullio d’ali. Gregor e Luxa, con le spalle che si toccavano e la schiena rivolta verso l’apertura, restarono fuori a fronteggiare l’assalto incessante. Per ogni serpente che uccidevano, sembrava ce ne fossero altri due pronti a sostituirlo. Era solo questione di tempo prima che anche un solo rettile riuscisse a passare, che anche una sola serie di zanne arrivasse a toccarli, e a quel punto le loro difese sarebbero crollate.

— Così non va! — urlò Gregor per sovrastare i sibili. — Continueranno finché non saremo troppo stanchi per combattere!

Se solo Ripred fosse stato lì! Per quanto il ratto esasperasse Gregor, in battaglia non c’era compagno migliore di lui. Ripred sì che avrebbe saputo come uscirne vivo!

Ripred… Ripred… cos’avrebbe fatto? Gregor cercò di immaginare il grosso ratto sfregiato al suo fianco in quel momento. Ma non ci riuscì. Ripred non se ne sarebbe stato fermo all’imbocco della caverna a prendere a sberle i serpenti. Lui avrebbe… avrebbe…

— Voglio provare una cosa — gridò Gregor. — Fa’ uscire i pipistrelli, se ci riesci!

E prima che Luxa potesse obiettare, Gregor stava già sferrando fendenti per aprirsi un varco a ritroso fino alla roccia. Nella sua mente c’era soltanto un’immagine. L’immagine di Ripred che respingeva gli umani nell’arena, che tranciava le piante dai baccelli gialli, che si batteva contro le formiche. Quando si trovava in pesante inferiorità numerica, Ripred aveva sempre puntato sulla stessa tecnica di combattimento. Ruotava su se stesso. Piroettava a una tale velocità che qualunque avversario arrivasse fino a lui incontrava necessariamente i suoi artigli. Gregor disponeva solo di una spada, ma aveva anche una fiaccola ed era un bersaglio molto più piccolo di Ripred. Se solo fosse riuscito a ruotare abbastanza in fretta…

Nello stesso istante in cui toccò la roccia coi piedi, Gregor cominciò a piroettare. Ruotò tenendo la spada tesa in avanti e la fiaccola proprio dietro la schiena. Veloce, sempre più veloce, finché tutto divenne indistinto, le teste che cadevano, il sangue che sprizzava e i corpi che si contorcevano. Smise di pensare, si abbandonò e lasciò che i sensi da furia si impadronissero completamente di lui. A un certo punto, il numero dei serpenti diminuì, ma Gregor non rallentò.

Fu la spada di Luxa, allungata per fermare la sua, che alla fine lo riportò con i piedi per terra. L’impatto del metallo, quando le due lame si toccarono, fu così violento che quella di lei si spezzò in due. Nel momento in cui finì di ruotare su se stesso, Gregor cominciò a barcollare paurosamente da una parte all’altra della radura, sopraffatto dalle vertigini. Crollò tra i rampicanti, trasformati in un intrico di serpenti decapitati, e si afferrò a tutto quello che poteva mentre il mondo gli ondeggiava intorno. Era una delle sensazioni peggiori che avesse mai provato. In seguito pensò di aver vomitato, ma non riuscì mai a ricordare con chiarezza cosa fosse successo.

Poi un paio di artigli lo sollevò in aria e lo depositò in groppa ad Ares. — No — protestò Gregor. — Mi gira troppo la testa.

— Tieniti forte al mio pelo! — ordinò Ares. — Dobbiamo toglierci da qui!

Gregor strinse il pelo di Ares, desiderando solo che tutta quella storia finisse.

Passò il tempo. Il mondo riacquistò stabilità. Ares atterrò da qualche parte e Luxa aiutò Gregor a scendere dal dorso del pipistrello. Gregor si sedette per terra e tentò di orientarsi. Luxa gli portò alla bocca le mani a coppa piene d’acqua e lui bevve avidamente. Il suo cuore rallentò i battiti. Stava bene.

Non erano più nella giungla. Gregor fu lieto di avvertire sotto di sé il fondo di pietra di una galleria. Tuffò tutta la faccia nel torrente freddo, non tanto per bere quanto per schiarirsi le idee. Quando si rimise seduto, sentendosi rinvigorito, gli altri tre lo fissavano, a disagio.

— Stai male? — chiese Ares.

— No, adesso no — rispose Gregor. — Ho avuto solo un po’ di vertigini, con tutto quel girare in tondo.

— La tua mente… è tranquilla? — chiese Luxa, esitante.

— Credo di sì — replicò Gregor. — In effetti, sto benone. — Ed era così. Come quando aveva corso per chilometri in pista e poi si era sentito un po’ euforico. Solo che stavolta la sensazione di benessere era molto più intensa. — Perché?

Nessuno rispose.

— Cosa c’è che non va? — insisté.

— Quando combattevi, era come se qualcosa ti possedesse — disse Aurora. — L’espressione del tuo viso è cambiata. Emettevi suoni che non erano umani.

— Stavo lottando contro un’infinità di serpenti. Era solo quella faccenda della furia — ribatté Gregor.

— Io non l’avevo mai visto — continuò Aurora. — Tranne con le sfere di sangue, ma non era lo stesso.

Ripensandoci, Gregor si accorse che era vero. Aurora non era mai stata presente quando combatteva davvero. — Be’, divento sempre così. Diglielo, Luxa.

— No, Gregor, stavolta è stato diverso — obiettò Luxa. — Non come quando ti ho visto batterti contro le tagliole.

— In che senso? — chiese Gregor. A lui non era sembrato poi così diverso. Anzi, per un po’ aveva avuto la sensazione di avere la situazione più sotto controllo.

Luxa scelse le parole con attenzione. — Pareva che… ti divertissi.

— Cosa? Be’, non mi divertivo affatto! — esclamò Gregor. — E questa è una cosa proprio perfida da dire!

— Non intendevo… — iniziò Luxa.

— Andiamo a casa — tagliò corto lui. In silenzio, si sfregarono via il sangue dalla pelle e salirono sui pipistrelli. Solo quando fu in groppa ad Ares, lontano da Luxa e Aurora, Gregor osò chiedere: — Cos’ho fatto?

— Hai combattuto splendidamente. Un giorno sarai un grande guerriero come Ripred — rispose Ares.

— Ecco, è proprio quello che pensavo. Come avrebbe fatto Ripred a tirarci fuori da lì? È così che mi è venuta in mente la piroetta! — esclamò Gregor, entusiasta, poi si bloccò. Perché tanto entusiasmo? Aveva avuto uno scontro terribile, sanguinoso. Doveva essere il sollievo per essere sopravvissuto. O era qualcos’altro? — Perché Luxa dice che mi divertivo?

— Perché, mentre la battaglia andava avanti, tu hai cominciato a sorridere — ribatté Ares.

— Io sorridevo? — disse Gregor. Il pensiero gli diede la pelle d’oca. Nel Sopramondo non si faceva mai coinvolgere nelle risse a meno che non ci fosse costretto. La violenza fisica non gli era mai piaciuta e aveva una pessima opinione dei ragazzi che la praticavano. Colpire un’altra persona lo disgustava. — Sorridevo?

— Sopramondo, non ricamarci troppo sopra. Lo sanno tutti che essere una furia non è una scelta — replicò Ares. — Solo che vederti così ci ha colti di sorpresa. Perché sappiamo che la morte non ti dà alcuna gioia.

Gregor non parlò più per il resto del viaggio a Regalia.

Avevano abbandonato le fiaccole nella giungla. Gregor si strappò il nastro adesivo dal braccio e rimise la torcia elettrica alla cintura, spegnendola. Voleva che il buio lo nascondesse mentre cercava di capire quel nuovo aspetto della sua trasformazione. Ma non lo capiva. L’euforia che era seguita alla battaglia si esaurì, lasciandolo svuotato e, sotto sotto, intimorito da se stesso.

Desiderava con tutte le sue forze vedere Ripred, parlare di quanto aveva appena vissuto con l’unica altra furia che conoscesse. Ma non aveva idea di dove trovare il ratto. Ripred era partito in tutta fretta all’inseguimento del Flagello. Potevano essere ovunque…

Mentre risaliva verso la vecchia nursery insieme a Luxa, Gregor si rese conto di avere un altro problema.

— Ascolta — sussurrò Luxa, afferrandogli un braccio. Un rumore di passi lungo il corridoio. Erano stati via tutta la notte e buona parte della giornata. La madre di Gregor e il Consiglio regaliano avrebbero dato di matto se avessero saputo della loro spedizione segreta.

— Lascia la tua arma — disse Luxa a Gregor. Entrambi si slacciarono in fretta le cinture e le posarono sulle scale. Luxa chiuse il guscio della tartaruga, spinse Gregor su un vecchio letto e si tuffò in un altro a circa tre metri di distanza. — Dormi — ordinò a Gregor, e subito finse di farlo anche lei.

Gregor si era appena appiattito sul giaciglio chiudendo gli occhi quando i passi si fermarono davanti alla porta.

Sentì la voce di Vikus che chiedeva: — Mareth ha fatto ispezionare la vecchia nursery?

— Non credo che quest’ala sia stata nemmeno controllata. Viene usata così di rado — rispose Howard.

— Credo di vedere una luce — disse Vikus.

Gregor, che aveva acceso la torcia mentre lui e Luxa salivano le scale fino alla nursery, non aveva pensato di spegnerla. Ormai era troppo tardi. Sentì Vikus e Howard entrare nella stanza.

Vikus fece una risatina sollevata. — Ah, eccoli! A quanto pare, hanno dormito qui tutta la notte. Luxa, svegliati — la sollecitò sottovoce.

Gregor sentì la mano di Howard che gli scuoteva la spalla. — Anche tu, Gregor. Prima che il Consiglio mandi l’esercito a cercarvi.

— Cosa? — disse Gregor nel suo miglior tono assonnato. Si mise seduto e fece un finto sbadiglio. — Cosa succede?

Luxa si sfregò gli occhi, batté le palpebre e alzò uno sguardo confuso verso suo nonno. — Oh. Siamo rimasti qui tutta la notte? Stavo mostrando la nursery a Gregor. Poi lui ha cominciato a raccontare una storia interminabile su quanto era stato coraggioso nel Dedalo. Devo essermi addormentata.

Gregor ci mise un momento per accorgersi che Luxa cercava di riprodurre i loro soliti scambi di battute. Stava tentando di comportarsi come se non avessero affrontato l’orribile notte appena trascorsa. Sarebbe stato al gioco.

— Ah sì? Dovresti sentirti quando continui a parlare di quanto sia duro essere regina — la rimbeccò Gregor, stiracchiandosi. — Che ora è, comunque?

— È quasi ora di pranzo — rispose Vikus.

— Bene. Muoio di fame — disse Luxa.

— Venite a mangiare, allora. E io ordinerò a Mareth di sospendere la vostra ricerca. Cosa vuoi che dica al Consiglio, Luxa?

— Qualcosa di molto drammatico. Di’ loro che sono sgattaiolata fuori durante la notte, ho evitato le guardie e sono fuggita nella giungla — replicò Luxa.

Gregor scosse la testa, ma lei sapeva quel che faceva.

— Sì. Molto spiritoso. Vedi di stare più attenta a dove dormirai stanotte, Altezza — ribatté Vikus. Poi uscì dalla nursery.

Howard restò indietro. Li stava scrutando da vicino. Un po’ troppo da vicino. — Era una storia interessante. Quella sulla giungla. E spiegherebbe una cosa — disse Howard.

— Cosa, Howard? — chiese Gregor, improvvisamente guardingo.

— Questo — rispose Howard. Allungò la mano verso i capelli di Luxa e tirò via un pezzo di rampicante. Era piccolo, cinque centimetri al massimo, con tre minuscole foglie grigio-verdastre. Gregor non se ne era nemmeno accorto. Purtroppo.

— Oh, quello? — Come se niente fosse, Luxa tolse il rampicante dalla mano di Howard e se lo arrotolò intorno a un dito. — Devo averlo raccolto quando sono andata a vedere i campi, ieri mattina. Il Consiglio mi ha chiesto di prendere confidenza con i raccolti in modo da poter distinguere al volo un’annata buona da una cattiva, quando sarò regina.

— Davvero? Non so di nessun raccolto che somigli a quel rampicante. Cugina… — insistette Howard. — Cos’è?

— Be’, non sono ancora un’esperta, Howard. È per questo che devo andare a vedere i campi — replicò Luxa senza scomporsi.

Lo sguardo di Howard passò dall’uno all’altra. — Voi due sembrate stanchi. Dovreste riposare un po’. — Rivolse loro un sorriso e se ne andò.

Prima di andare a pranzo, Gregor si lavò nel bagno e si infilò dei vestiti puliti. Il tessuto scuro e la luce fioca della nursery avevano nascosto il fatto che gli indumenti erano schizzati del sangue secco dei serpenti. A operazione conclusa, andò a trovare sua madre. Vikus era già stato da lei, così, dopo una breve ramanzina sulla sua sconsideratezza, a Gregor fu permesso di andare a mangiare.

Quando raggiunse la sala da pranzo, trovò Vikus, Howard, Luxa, Hazard e Boots riuniti intorno al tavolo. I domestici cominciarono a servire mestoli di stufato e a distribuire il pane.

Stavano giusto mettendosi a mangiare quando Mareth comparve sulla porta e parlò con voce rapida e ansante. — Vikus, perdona l’intrusione, ma si è verificata una cosa che proprio non riusciamo a capire — disse.

— Di cosa si tratta, Mareth? — chiese Vikus.

— I nostri ricognitori stavano pattugliando il fiume che viene dalla Fonte — rispose il soldato. — Hanno tirato fuori dall’acqua questa. Era incastrata tra due rocce, lungo la riva. — Mareth fece cenno a qualcuno in corridoio. Due Sottomondo entrarono, portando tra loro una grossa cesta rotonda, ben chiusa da un coperchio. L’esterno intrecciato era ancora gocciolante. Posarono con cura il loro carico sul pavimento e Mareth tolse delicatamente il coperchio.

Dentro la cesta si agitavano sei cuccioli di topo.