— Ucciderlo? — ripeté Gregor, sbalordito. Lui era più del parere che al Flagello servisse uno psicologo o che dovesse essere tenuto sotto osservazione. Sì, era un disastro, forse anche un po’ pazzo, ma quante ne aveva passate? E Gregor non pensava che il Flagello avesse spinto di proposito Razor giù dal dirupo. Non dopo tutto quel piangere e quel succhiarsi la coda. Certo, la faccenda del cannibalismo era ripugnante, ma forse i ratti mangiavano i ratti. Durante la sua prima missione, avevano visto un ragno divorarne un altro, e in quel caso Ripred non aveva avuto problemi. Quanto al fare del male agli altri ratti… be’, i rodenti combattevano in continuazione tra loro. Magari il Flagello aveva solo bisogno di qualcuno che gli insegnasse a trattenersi. A Gregor, una furia che non aveva ancora “imparato a controllare i suoi poteri”, condannare a morte il ratto bianco sembrava una misura piuttosto drastica.

— Sì, ucciderlo. E non possiamo permetterci di aspettare a lungo — confermò Ripred.

— Ma… io ho già avuto l’occasione di ucciderlo. E non l’ho fatto, ricordi? — obiettò Gregor.

— Allora le cose erano diverse — commentò Ripred.

La mente di Gregor non riusciva a elaborare così velocemente le parole di Ripred. Provò a prendere tempo. — Se hai tanta voglia di vederlo morto, perché non lo uccidi tu stesso?

— Per la profezia — rispose Ripred.

Profezia? Per quanto ne sapeva Gregor, non c’era nessuna profezia. Anzi, una delle cose che gli avevano reso la vita più facile, negli ultimi tempi, era non avere una profezia sospesa sulla testa. Nessun avvertimento da parte di Bartholomew di Sandwich, il fondatore di Regalia, che secoli prima aveva riempito un’intera stanza del palazzo incidendovi le sue visioni spaventose. Gregor “il guerriero” era stato menzionato in tre profezie, fino a quel momento. Impossibile che ce ne fossero ancora. Eppure…

— Non c’è nessuna profezia — replicò Gregor. Magari era solo un’altra delle mezze verità di Ripred, come quella che aveva usato per attirarlo nel Sottomondo a cercare una cura contro l’epidemia.

— Tutti noi pensavamo che ti servisse una pausa dopo le ultime due. Ma credimi, la profezia esiste — insisté Ripred. — Si chiama Profezia del Tempo.

— E dice che uccido il Flagello? — chiese Gregor.

— Questa è la mia interpretazione, sì. Ma non preoccuparti: ci sarò io a darti una mano — rispose Ripred. Il ratto cominciò a camminare su e giù mentre ripassava il piano. — Guarda, lo facciamo domani, durante la tua lezione. Porta la spada — disse. — E non parlarne a nessuno!

A Gregor quella storia non piaceva per niente. — Neppure a Vikus? — Il vecchio era il capo del Consiglio regaliano e il nonno della sua amica Luxa, attuale regina di Regalia. Ma, cosa più importante di tutte, era uno dei pochi Sottomondo che tenessero davvero a Gregor.

— Soprattutto a Vikus. Andrebbe fuori di testa se sapesse che ho portato quaggiù il Flagello. Il Consiglio non ci vuole neanche me. Qualunque cosa tu dica a Vikus, lui si riterrà obbligato a riferirla al Consiglio. Tra l’altro, si sente talmente in colpa per il coinvolgimento di sua moglie nella faccenda dell’epidemia da essere diventato praticamente inutile — spiegò Ripred. — Perciò domani, stessa ora, stesso posto. Porta la spada e ci sbarazzeremo del Flagello.

Gregor strinse le labbra. Discutere con Ripred in quel momento non aveva senso. Era evidente che il ratto avesse già esaminato nel dettaglio la necessità di uccidere il Flagello. Meglio non contraddirlo finché non avesse capito cosa fare. Perché allearsi con Ripred nel segreto di una caverna per assassinare il Flagello gli pareva decisamente sbagliato.

— A domani, allora — disse solo.

— Sono contento che tu capisca, Gregor. Non abbiamo altra scelta, tutto qui. — E su quelle parole, Ripred sparì, svanendo nell’ombra.

Con una gran confusione in testa, Gregor risalì lentamente verso la città.

— Sopramondo! — La voce lo riportò alla realtà. Si era diretto meccanicamente al piano dell’ospedale. Vide Howard, fermo fuori dalla stanza di sua madre. Gregor non riusciva mai a guardare l’amico senza paragonarlo all’Howard di prima dell’epidemia, sano, robusto e con una pelle perfetta. Parecchi mesi dopo essere sfuggito per un soffio alla morte, era ancora sottopeso di una decina di chili. Le cicatrici violacee che lo segnavano non sarebbero mai scomparse, anche se i dottori confidavano che si sarebbero un po’ scolorite.

La malattia aveva dato una nuova direzione alla vita di Howard. I regaliani l’avevano messo a lavorare nell’ospedale ancora affollato di pazienti colpiti dall’epidemia, e lui faceva pratica per diventare medico. Giovane e forte, Howard si era ripreso più in fretta della maggior parte dei malati. Molti, però, stavano ancora lottando, come la madre di Gregor, e Howard aveva il compito di assisterli.

— Sopramondo, abbiamo una sorpresa per te! — disse Howard.

— Spero sia bella — replicò Gregor, pensando che un’unica sorpresa orrenda da parte di Ripred era il massimo che poteva affrontare, per quel giorno.

— Vieni a vedere tu stesso — lo sollecitò Howard, facendogli cenno di entrare nella stanza.

Gregor trovò la madre seduta in poltrona. La sua faccia si aprì in un gran sorriso. — Ma guarda! E tu cosa credi di fare, fuori dal letto?

— Chi, io? Sono in piedi dalle sei. Ho preparato una bella colazione, sono andata a farmi un giro su un pipistrello e adesso pensavo di cambiare la disposizione dei mobili di questa stanza. L’arredamento comincia ad annoiarmi — rispose lei.

Gregor rise. Sua madre non aveva fatto nessuna di quelle cose, naturalmente. Era la prima volta che si alzava dal letto da quando si era ammalata. — Forse dovresti tenerti i mobili per domani.

— Sì, in effetti sarà il caso che ti riportiamo a letto — confermò Howard. — Meglio non strafare, il primo giorno. — Allungò una mano per aiutarla ad alzarsi.

— No, Howard, prima lascia che ci provi io — disse lei. Si rimise in piedi con grande determinazione. Il letto era solo a cinque o sei passi, ma lei riuscì a stento a raggiungerlo e all’ultimo momento crollò sulle coperte.

Howard e Gregor accorsero e la aiutarono a sistemarsi. — Ottimo, davvero ottimo — le disse Howard, incoraggiante. — Qualcosa in più ogni giorno, e in men che non si dica recupererai le forze. Io vado, adesso. Devo fare il giro delle medicine.

— Proprio un bravo ragazzo, quell’Howard — osservò lei quando si fu allontanato.

— Il migliore — commentò Gregor.

— Sarà un medico eccellente — disse sua madre. — Magari sarai medico anche tu, un giorno.

Gregor annuì, ma non aveva mai nemmeno sognato di fare il medico. In realtà, non aveva idea di cos’avrebbe voluto diventare. Da quando era precipitato nel Sottomondo, gli pareva di averlo già, un lavoro. Guerriero. Ma non era un’occupazione che gli piacesse o che desiderasse, e di sicuro non un tipo di impiego che sua madre poteva vedere di buon occhio per un figlio dodicenne. Lei sapeva che i Sottomondo lo consideravano il guerriero delle profezie, ma sembrava turbata ogni volta che qualcuno accennava alla cosa.

— Dov’è Boots? — chiese, tanto per cambiare argomento.

— Oh, è venuta a trovarmi, poi Luxa l’ha portata al campo a fare un po’ di movimento — rispose lei. — Lizzie è partita? Tutto bene?

Gregor aggiornò la madre con le notizie da casa. La partenza per il campeggio di Lizzie. Il progetto di vendere il violino. L’ondata di caldo. Lei annuiva, assimilando golosamente ogni briciola di informazioni. Gregor cercò di farsi venire in mente altri dettagli per prolungare il resoconto, ma gran parte della sua mente era presa dall’incontro con Ripred e il Flagello.

— Hai la testa da un’altra parte, oggi — osservò sua madre. Le sue dita corsero a una cicatrice violacea sulla guancia. Era una cosa che faceva quando cominciava a preoccuparsi. Sfregarsi quella cicatrice. — Cosa c’è, Gregor?

— Non c’è proprio niente — rispose.

Lesse nel suo sguardo che non gli credeva, ma per fortuna in quel momento entrò Howard con la medicina e disse che la paziente aveva bisogno di riposare.

— Ci vediamo presto — la salutò Gregor, lieto di avere una via di fuga. Uscì a cercare i suoi amici. Se Luxa aveva portato Boots al campo dell’arena, doveva esserci una partita o un allenamento. Sperò che non stessero usando le sfere di sangue per le esercitazioni di tiro al bersaglio. Anche in giornate migliori di quella, non gli piaceva stare a guardare le sfere di cera che esplodevano, spruzzando liquido rosso sangue quando venivano colpite dalle spade. Al momento, la violenza di quello spettacolo era più di quanto riuscisse a reggere.

Al suo arrivo, Gregor scoprì che era in corso un tipo di addestramento molto più innocuo. I bambini stavano imparando a volare sui pipistrelli. A una prima occhiata, sembrava che i piccoli piovessero dal cielo. Ma nessuna di quelle gocce di pioggia toccava mai terra. Ogni pipistrello conduceva il suo cavaliere molto in alto sull’arena e poi si capovolgeva, lasciandolo cadere nel vuoto. Il bimbo precipitava per due metri, o anche venti, prima di essere raccolto da un secondo pipistrello e riportato in aria.

Mareth dirigeva l’esercitazione. Il soldato era in piedi al centro del campo, appoggiato a una stampella. I dottori gli avevano fabbricato una protesi fatta di cuoio e lisca di pesce per sostituire la gamba mancante, ma lui stava ancora imparando a usarla. La regina di Regalia, Luxa, gli faceva da assistente, se così si può dire, perché in quel momento tutti e due ridevano a crepapelle per la scena che si svolgeva sopra le loro teste. Mareth indicava Boots, intenta a provare la capriola che le stava insegnando Luxa. Quando un pipistrello la lasciava cadere, la bambina si raggomitolava ed eseguiva alcune rotazioni in aria. Ma inevitabilmente perdeva il controllo del movimento e scendeva sbandando verso terra, battendo le braccia all’impazzata quasi fossero ali. — Io! — strillava, come per ricordare ai pipistrelli che le serviva un passaggio.

— Rimani raccolta, Boots! — gridava Luxa tra le risate. — Tieni strette le ginocchia!

— Tengo trette le ginocchia! — confermava Boots. Poi si lanciava in un’altra capriola che ben presto degenerava nella consueta scenetta dell’uccellino. — Io!

— Quasi, Boots! Prova un’altra volta! — gridava Luxa, incoraggiante. Gregor smise per un attimo di guardare i bambini e i pipistrelli e si concentrò solo su di lei. Non si era ancora abituato alla vista di una Luxa felice.

Restare bloccata nella giungla per tre mesi insieme ad Aurora, il suo pipistrello ferito, e a una colonia di topi, aveva cambiato Luxa. Era contentissima di essere a casa e i suoi sudditi andavano praticamente in estasi nel vederla. Era come se, per la prima volta, si fossero accorti di quanto erano fortunati ad avere quella dodicenne come loro futura sovrana. Luxa non avrebbe avuto pieni poteri regali fino ai sedici anni, ma già a dodici aveva una grande influenza e poteva esprimere il suo voto nelle riunioni del Consiglio in cui si decideva della politica di governo. Nonostante la sua testardaggine e un atteggiamento che spesso faceva uscire dai gangheri i consiglieri, Luxa era intelligente, forte e indiscutibilmente coraggiosa. Tra la giovane regina e il suo popolo era quindi sbocciata una simpatia reciproca.

Tutto questo contribuiva alla felicità di Luxa, ma Gregor sapeva che la sua vera fonte di gioia era Hazard, il cugino Mezzomondo trovato nella giungla: sei anni, riccioli neri e occhi verdi come un lime. Quando il padre del bambino, Hamlet, era stato ucciso da un esercito di formiche, Hazard era rimasto orfano. Luxa l’aveva portato con sé a Regalia e, fedele alla parola data, ne aveva fatto un fratello minore. Il piccolo abitava negli appartamenti reali con lei, mangiava con lei, la seguiva come un cucciolo. E Luxa si era concessa di volergli bene.

Molto in alto sopra la sua testa, Gregor individuò Hazard che cadeva da un pipistrello. Hazard era più grande della maggior parte degli altri bambini ma, per lui, cavalcare un alato era una tecnica ancora nuova. Pur autorizzandolo a partecipare alle esercitazioni di volo, Luxa aveva severamente proibito a chiunque di addestrarlo all’uso delle armi. L’ultimo desiderio di suo padre era stato che Hazard diventasse tutto fuorché un guerriero, e Luxa aveva promesso di rispettarlo. Mentre gli altri ragazzini della sua età si allenavano a combattere, Hazard sviluppava il suo già eccezionale talento per le lingue. In genere, i regaliani non si sforzavano affatto di imparare gli idiomi delle altre creature. Ma Hazard era cresciuto nella giungla, dove aveva cercato di comunicare con qualsiasi forma di vita disposta a dialogare con lui. Al suo arrivo a Regalia, parlava correntemente il sibilante ed era in grado di cavarsela con parecchie altre lingue animali. Vikus, nonno di Hazard come di Luxa, gli aveva organizzato un gruppo di insegnanti privati. Dando prova di molta più pazienza con lo sveglio e volenteroso Hazard di quanta non ne avesse mai dimostrata con Gregor, Ripred gli stava insegnando a squittire in ratto. Temp, lo scarafaggio che aveva salvato Boots da numerosi disastri, istruiva sia Hazard che la “principessa” nella lingua ticchettante dei brulicanti. E Purvox, una femmina di ragno rosso, era stata ingaggiata per dargli lezioni sulle strano sistema di comunicazione di vibrazioni usato dai tessitori. Nel tempo libero, Hazard tentava di parlare coi pipistrelli, anche se alcuni dei loro suoni erano decisamente troppo acuti per l’orecchio umano.

Mentre Gregor si dirigeva verso i suoi amici, qualcuno fece le fusa alle sue spalle: — Salta. — Lui fece un passo e, allargando le gambe, spiccò un balzo più in alto che poté. Un attimo dopo, volava sul dorso di Ares. Gregor provava sempre un senso di sicurezza con Ares. Erano vincolati, loro due, una cosa sola, un umano e un pipistrello che avevano giurato di difendersi l’un l’altro fino alla morte. E dopo aver affrontato insieme una serie di difficoltà incredibili, erano anche grandi amici.

— Come ti vanno le cose? — chiese Gregor.

— Bene. Mi vanno bene — rispose Ares.

Gregor passò la mano sul collo di Ares. Uno strato nuovo di lucido pelo nero cominciava a nascondere le cicatrici violacee dell’epidemia. Il pipistrello di Gregor, prima vittima del contagio, non solo era riuscito a sopravvivere, ma era stato protagonista di un’eccezionale guarigione. Dopo appena qualche settimana di terapia, si era messo a implorare i dottori di dimetterlo dall’ospedale. Temendo che sarebbe tornato nella sua grotta isolata, fuori Regalia, prima di essersi ristabilito completamente, i dottori l’avevano lasciato uscire, ma solo sotto la custodia di Luxa. Perciò adesso Ares abitava con lei, Hazard e Aurora nell’ala reale del palazzo. Secondo Gregor, era probabile che il pipistrello preferisse comunque stare con i suoi amici piuttosto che vivere da solo in quella grotta.

— Quand’è che si mangia? — chiese Gregor tra i brontolii del suo stomaco.

Mareth fischiò, riportando sul campo i pipistrelli e il loro giovane carico.

— Dev’essere adesso, perché l’allenamento è finito — rispose Ares.

Dieci minuti dopo, erano seduti intorno a un grande tavolo imbandito. Oltre a Gregor, Luxa, Hazard, Boots, Ares e Aurora, c’era una giovane femmina di pipistrello, Thalia, per cui Hazard si era preso una cotta. Era di un tenue color pesca striato di bianco come un gatto soriano, non ancora cresciuta del tutto, e aveva una passione per le barzellette che Gregor trovava inquietante. Aveva modificato alcune freddure del Sopramondo apposta per lei. “Perché il pipistrello attraversa il fiume? Per arrivare dall’altra parte.” Una cosa del genere poteva davvero farla ridere per dieci minuti buoni.

Quel giorno, le raccontò la vecchissima “Qual è il colmo per un pesce? Perdersi in un bicchier d’acqua”. Purtroppo, Thalia aveva la bocca piena di cibo quando arrivò la battuta, sicché corse il rischio di morire soffocata mentre scoppiava a ridere.

— Pensi che crescendo le passerà? — bisbigliò Gregor a Luxa.

— Me lo auguro. Hazard ha una gran voglia di vincolarsi con lei — rispose lei in un sussurro.

Gregor fece un pasto abbondante a base di pesce alla griglia, funghi marinati e pane fresco. Però contribuì poco alla conversazione perché continuava a pensare a Ripred e al Flagello. Dopo pranzo, quando gli altri tornarono nell’appartamento di Luxa a giocare, Gregor dichiarò di dover fare una puntata al museo. In realtà, voleva solo un po’ di tempo per pensare. Malgrado l’ammonimento di Ripred, l’impulso di Gregor era quello di scovare Vikus e raccontargli tutto. Però era anche vero che Vikus avrebbe potuto sul serio rivolgersi al Consiglio. E quasi tutti i membri del Consiglio erano degli idioti. Se solo fosse riuscito a scoprire cosa diceva la profezia che aveva menzionato Ripred…

Nerissa! Gregor girò sui tacchi, allontanandosi dal museo e dirigendosi alla stanza di pietra che ospitava le profezie di Sandwich. Nerissa passava molto tempo proprio lì. Se c’era qualcuno che poteva dire a Gregor cosa lo aspettasse, quella era lei. Cugina di Luxa, faceva parte della famiglia reale e aveva persino portato la corona nei pochi mesi in cui tutti avevano pensato che Luxa fosse stata uccisa dai ratti. Ma a differenza della forte cugina, Nerissa era magra al punto da sembrare emaciata, psicologicamente fragile, e aveva la capacità di cogliere scorci del futuro… a volte. Non era in grado di controllare le sue visioni più di quanto Gregor riuscisse a gestire i propri poteri di furia in combattimento. Capitava spesso che non sapesse se ciò che aveva visto sarebbe accaduto di lì a un’ora o fosse successo un secolo prima. Eppure, quando aveva ragione, aveva ragione in pieno.

Come aveva sperato, Gregor trovò Nerissa seduta tutta sola nella stanza delle profezie. Il suo aspetto era tornato quello dei giorni precedenti al trono. I lunghi capelli aggrovigliati le ricadevano fino alla vita, ed era infagottata in strati su strati di abiti male assortiti. — Saluti, Sopramondo — lo accolse con il suo sorriso spettrale.

— Ciao, Nerissa — ricambiò lui, e decise di andare dritto al punto. — Senti, pensavo alle profezie. Su di me. Ce ne sono altre?

— Sì — confermò Nerissa. — Una in particolare.

— Dice ancora che devo uccidere il Flagello? — chiese Gregor.

Nerissa gli rivolse uno sguardo interrogativo. — Non si capisce. È probabile che debba morire — replicò. — Perché lo chiedi, Gregor? — Lui non rispose: farlo avrebbe significato denunciare Ripred. — Qualcuno ti sta mettendo delle idee in testa a proposito del Flagello. Ma puoi dire a questo “qualcuno” che la profezia in questione riguarda il futuro, non il presente.

— Come lo sai? — disse Gregor.

— Perché i fatti di cui parla non sono ancora accaduti. Anzi, è possibile che non accadano mai. Come sospetto che ben sappia il tuo “qualcuno”. Forse lui crede di poter controllare il destino, ma non è così — spiegò Nerissa.

“Sa che si tratta di Ripred” pensò Gregor. — Mi mostri la profezia? — chiese ad alta voce.

— No. Adesso non ti sarebbe di alcuna utilità. Se devo essere sincera, penso che sarebbe estremamente dannosa. Per la salvezza tua e dei tuoi cari, credo che dovresti a tutti costi evitare di conoscerne il contenuto. Certo, se vuoi chiedere a Vikus di parlartene, io non posso fare niente per impedirtelo — replicò Nerissa.

Dopo un avvertimento del genere, cosa poteva dire? E poi Gregor aveva già escluso di chiedere a Vikus, così si limitò a un’alzata di spalle, come se in fondo non gli importasse. — No, se credi che mi confonderebbe e basta, fa niente.

Da una parte, era sollevato all’idea di non dover affrontare il problema dell’uccisione del Flagello, almeno per il momento. A quanto aveva detto Nerissa, era addirittura possibile che quel problema non si sarebbe mai posto. Dall’altra, però, capiva che l’opinione di Nerissa avrebbe avuto ben poco effetto su Ripred. Il ratto, come molti altri, aveva una scarsa considerazione delle sue capacità profetiche.

Per quanto si scervellasse, quando il giorno dopo venne l’ora della lezione, Gregor si ritrovò senza grandi soluzioni per le mani. Mentre toglieva le sbarre della porta di pietra, provò a ripassare il piano. Avrebbe incontrato Ripred e cercato di convincerlo a non uccidere il Flagello. Ma in realtà non credeva che ci sarebbe riuscito, così aveva previsto anche un piano di emergenza e si era appeso la spada alla cintura, nel caso avesse dovuto proteggere la vita del ratto bianco. L’idea di sfidare Ripred era ridicola, naturalmente, ma forse Gregor avrebbe potuto tenerlo impegnato abbastanza a lungo da permettere al Flagello di scappare.

Sapendo che, se avessero combattuto, Ripred avrebbe subito cercato di togliergli la luce, Gregor si era fissato una torcia all’avambraccio col nastro adesivo. Invece di una fiaccola, che gli avrebbe occupato una mano, aveva scelto una grossa lampada a olio, simile a quelle che si erano portati nella giungla. Al bisogno, poteva sempre posarla a terra.

Mentre si avvicinava alla caverna, si preparò mentalmente, cercando di organizzare le proprie argomentazioni in difesa del Flagello. Ma quando arrivò, il punto di ritrovo era deserto. Niente Ripred. Niente Flagello. Nessuno. Aspettò dieci, forse quindici minuti. Non era da Ripred arrivare in ritardo. Anzi, aveva la caratteristica di sbucar fuori prima del previsto. Proprio quando era sul punto di tornare a Regalia, Gregor sentì un rumore leggero, come un raspare, nella galleria da cui il giorno prima era giunto il Flagello.

— Ripred? — chiamò sottovoce. Nessuna risposta. — Pearlpelt? — Il leggero grattare si ripeté. — C’è qualcuno lì? — Gregor mise giù la lampada a olio e sistemò la torcia fissata al braccio. Mentre si infilava nella lunga galleria, ebbe la sensazione che il rumore indietreggiasse, allontanandolo dalla lampada, dalle scale e dalla città sopra di lui. — Ehilà? — Entrò in una piccola grotta. Un rumore diverso, come una risata soffocata, venne dalla sua sinistra. Un formicolio sgradevole corse lungo il collo di Gregor. All’improvviso, si rese conto di aver commesso un terribile errore.

Si girò di scatto, preparandosi a correre verso la porta. Tre ratti emersero improvvisamente dall’ombra e gli bloccarono la strada. Gregor non ne riconobbe nemmeno uno.