— Non se ne parla! — esclamò Gregor. — Io vengo con voi!
— Non puoi — disse Luxa. Fece guizzare lo sguardo tutto intorno come se tentasse di trovare un buon motivo. — E Boots e Hazard?
— Non lo so, possono… Howard, potresti riportarli tu — suggerì Gregor.
Ripred, Howard e Luxa si scambiarono un’occhiata. Gregor ebbe una terribile illuminazione. Non lo volevano con loro. Pensavano a come si era bloccato nel combattere contro Twirltongue e ritenevano che sarebbe andato in pezzi un’altra volta.
— Voi non mi credete in grado di combattere — constatò. — Va bene, d’accordo. Avrò anche dato i numeri quando ho perso la torcia, ma qui non è che sia proprio buio, con i vulcani e tutto il resto, e penso ci siano state volte in cui ho dimostrato…
— Non è questo, Gregor. Sappiamo tutti che sei capace di combattere. E molto meglio di me — replicò Howard.
— E allora? Sei ancora arrabbiata con me? — chiese a Luxa.
— No — rispose lei.
— Quindi? — insisté Gregor.
— Non gli hanno detto niente? — indagò Ripred.
— A che proposito? — chiese Gregor, ormai seccato.
— Solo questo: devi tornare a Regalia. Adesso che la guerra è iniziata, non ci sei di nessuna utilità senza la tua spada — rispose Ripred.
Perplesso, Gregor portò la mano al fianco. Le sue dita si strinsero intorno all’elsa della sua arma. — Io ce l’ho, una spada.
— Non sto parlando di una spada qualsiasi. Parlo della tua spada — ribatté Ripred. — Non l’avrai persa nella galleria, vero? Quando hai combattuto contro Twirltongue?
— Cosa? — disse Gregor, del tutto confuso. — Sì, quella l’ho persa. L’ho lanciata contro i ratti che erano dietro di me. E allora? Di spade ce ne sono… quante? Migliaia, forse.
— No, Gregor. Lui intende la spada che ti ha regalato Vikus. La spada di Sandwich — chiarì Howard.
— Ah, quella — replicò Gregor. Giusto, Vikus aveva cercato di regalargli una spada grandiosa, tempestata di pietre preziose, che un tempo era appartenuta a Sandwich, ma Gregor l’aveva rifiutata. Però sapeva dov’era: si trovava nel museo. L’aveva sempre considerato uno strano posto in cui tenerla, visto che il museo custodiva gli oggetti provenienti dal Sopramondo. Era su uno scaffale, avvolta nella stessa seta dentro la quale gliel’aveva presentata Vikus. Per la prima volta, Gregor si chiese se la spada di Sandwich fosse lì perché tutti ormai la credevano sua, che l’avesse accettata o meno. — Non è proprio mia.
— Sì, invece. Lo dice la profezia di cui ti ho accennato, quella che parla di uccidere il Flagello. La Profezia del Tempo — obiettò Ripred.
— E dice anche che mi serve la spada di Sandwich? — chiese Gregor.
— Tra le altre cose. Credevo che Vikus ti avesse informato almeno dell’importanza della spada. Del fatto che fossi destinato a ereditarla — rispose Ripred. — Che tutti noi la consideriamo tua. Questo ti ricorda qualcosa?
— No. Solo che Vikus sembrava contento del mio rifiuto — ribatté Gregor.
— Un eterno ottimista, vostro nonno — commentò Ripred, rivolto a Luxa e Howard.
— Sì. Forse dovremmo fare in modo che passi un po’ più di tempo sul campo — replicò Luxa, decisa.
— Ma sentiti! — ridacchiò Ripred.
— Sai cos’ha detto quella volta che i tessitori ci avevano presi prigionieri? Che secondo lui le cose avrebbero dovuto andare diversamente perché aveva stipulato un nuovo accordo commerciale con loro — disse Luxa. — Avevo undici anni, eppure sapevo già che era un’idiozia.
Ripred sogghignò. — Poteva anche aver ragione.
— Potevamo anche morire — ribatté Luxa.
— E saremmo morti se non fosse stato per tuo nonno — intervenne Gregor, di colpo protettivo nei confronti di Vikus. — I ragni erano sul punto di uccidermi finché non ho fatto il suo nome.
— Sì, sì, non c’è bisogno che tu difenda Vikus. Difendi la spada, piuttosto. Sai dov’è? — tagliò corto Ripred.
— Sì — disse Gregor.
— Bene. Torna là, mettila alla cintura e non permettere che lasci più il tuo fianco — sentenziò Ripred.
— Perché tante storie per dirmi della profezia? — chiese Gregor. — Ne ho affrontate quattro, ormai. Com’è possibile che questa sia peggiore?
— Non sapevamo se si sarebbe realizzata davvero. Alcuni pensavano che prima avrebbero dovuto verificarsi certi eventi. E dopo oggi, pare proprio che ci siamo — rispose Howard.
— Quindi? — lo sollecitò Gregor.
— Quindi nessuno vuole parlartene perché… le probabilità che… senti, non sappiamo nemmeno se la stiamo interpretando nel modo giusto — continuò Ripred. — Di solito ci sbagliamo, no?
Gregor capì di non poter più aspettare che fosse Vikus a dargli delle spiegazioni. — Cosa dice, Ripred?
— Dice… be’, suggerisce… che probabilmente dovrai… — Ripred si interruppe bruscamente. — Te lo dirà Vikus. Quella ragazza matta, com’è che si chiama? Nerissa. Chiedilo a lei. Te lo spiegherà meglio di me — disse Ripred.
— Ma…
— Basta! — lo interruppe Ripred. — Chiederai quando arrivi a Regalia. Potrai partire non appena il tuo vincolato avrà dormito a sufficienza. Prendi i cuccioli, Cartesian e Temp.
— A combattere, resto io, a combattere — protestò Temp.
— No, Temp — disse Luxa, inginocchiandosi davanti a lui. — Ti vorrei al mio fianco, ma abbiamo molto più bisogno di te a Regalia. Dovrai andare dai brulicanti, raccontare loro quello che è successo e convincerli a unirsi alla nostra causa.
Indeciso, Temp spostava il peso da una zampa all’altra.
— E ti chiedo anche un altro favore — proseguì Luxa. — Ho bisogno che adesso ti occupi di Hazard come hai fatto con Boots per conto di Gregor. Lo affido alle tue cure.
— A me, il ragazzo affidi, a me? — si sorprese Temp.
— Se tu accetti. Perché non c’è nessun altro tra noi che avverta il pericolo con altrettanta rapidità e precisione — confermò Luxa. — O che lo affronti con il tuo stesso coraggio.
Era vero, e l’avevano scoperto tutti nel modo peggiore. Temp li aveva avvertiti di non esplorare l’isola degli acari, loro l’avevano ignorato e la vincolata di Howard, Pandora, era stata divorata viva. Temp li aveva avvertiti di non gironzolare per la giungla seguendo il profumo dolce dei frutti, loro l’avevano ignorato e uno dei ratti, Mange, era stato inghiottito da un baccello carnivoro. Temp li aveva avvertiti del gas vulcanico, Luxa l’aveva ignorato e sia lei che Aurora ne sarebbero rimaste avvelenate se Ripred non fosse stato lì ad ascoltare. Sì, era vero, ma…
Gregor riandò con la mente alla ragazza che aveva incontrato quando era giunto per la prima volta nel Sottomondo. La ragazza che si era presa gioco degli scarafaggi… della loro lentezza, della loro incapacità di combattere, della loro vigliaccheria…
Ne aveva fatta, di strada.
— Davvero, dici, davvero? — chiese Temp.
— Davvero, dico, davvero — rispose Luxa. — Lo farai, Temp?
— Sì — replicò lo scarafaggio.
— Ti ringrazio — disse Luxa. Gli posò la mano sulla testa e le antenne di Temp ebbero un fremito. Fu l’unico bel momento di una giornata molto cupa.
Gregor si offrì volontario per fare la guardia mentre gli altri riposavano. Tanto avrebbe passato la giornata successiva in groppa ad Ares. Luxa disse che non riusciva a dormire e si allontanò fino al bordo della roccia. Si sedette, le gambe penzoloni nel vuoto, indifferente al precipizio che si apriva sotto di lei. La tristezza disegnata sul suo viso faceva male al cuore di Gregor. Gli sembrava di non riuscire a staccarle gli occhi di dosso. Non aveva importanza. Luxa non se ne accorgeva nemmeno. Ma qualcun altro sì.
— Com’è la storia tra te e la regina? — gli chiese sottovoce Ripred.
— Non c’è niente — rispose Gregor. — Credevo che dormissi.
— Ti sei affezionato molto a lei — osservò Ripred.
— Non lo so. Immagino di sì — disse Gregor.
— Vuoi un piccolo consiglio? — continuò Ripred.
— Non disturbarti. So cosa vuoi dire. Che è tutta una stupidaggine — ribatté Gregor.
— Proprio il contrario. Volevo dire che la vita è breve. E nella vita ci sono poche cose buone, in realtà. Non fingere che questa non stia accadendo — disse Ripred.
Era il consiglio meno “da Ripred” che Gregor potesse immaginare di ricevere. Il ratto lo stava forse prendendo in giro? No, sembrava in buona fede.
— È una follia. Voglio dire, non è che noi due potremo mai… — Gregor non sapeva neppure come terminare la frase.
— Ragazzo, c’è una guerra in corso. Potremmo essere tutti morti nel giro di un giorno o due. Non mi spingerei troppo in là nel futuro, se fossi in te — dichiarò Ripred. Fece uno sbadiglio enorme. — Be’, io sono esausto. — Girò tre volte su se stesso e si sdraiò. Meno di un minuto dopo stava russando.
Gregor restò seduto ancora un po’, guardando Luxa. Poi si ritrovò a camminare verso di lei. Non aveva pensato a cosa dirle, a come spiegarle che era interessato a lei e a quello che le succedeva. Così le si sedette vicino e basta. Di fianco, ma senza far penzolare le gambe dal bordo. Dopo tutte le ore in volo, evitava ancora le grandi altezze.
Luxa parlò per prima. — I piluccatori nella fossa. Non erano della Fonte. Venivano dalla giungla. Molti di loro erano miei amici. Ho visto nascere parecchi cuccioli. A uno ho persino dato il nome.
Non aveva ancora pianto. E neanche lui. Né per i piluccatori né per Thalia. Quello sarebbe venuto dopo. Se ne avessero avuto il tempo.
— Loro amano la matematica, sai? — disse lei. Gregor non lo sapeva, e in generale non sapeva molto dei topi, ma tacque. — Così l’ho chiamato Cube.
— È un bel nome — commentò Gregor.
— Oggi era nella fossa — proseguì Luxa. — Ho riconosciuto le sue macchie.
Un vento leggero soffiava su di loro, caldo e afoso, portando con sé gli odori della giungla sottostante. I pensieri di Gregor passarono dalle vittime della fossa a Hamlet e Frill, che erano morti nella giungla durante la battaglia contro le formiche. Si chiese se sui loro corpi fossero già cresciuti i rampicanti. Era probabile, a quel punto…
— Gregor, pensavo a quello che hai detto nella galleria — riprese Luxa. — Sul fatto che qui sei solo un visitatore.
— Lascia perdere, è stato solo uno scatto di rabbia — protestò Gregor.
— No, ascolta. Avevi ragione — insisté Luxa. — Quando arriverai a Regalia, a prescindere da quello che ti diranno, sappi che non sei obbligato a restare. Questo non è il tuo mondo. E non è la tua guerra. Se dovessi decidere di tornare a casa tua dopo aver letto la profezia, io non te lo rinfaccerei.
— Dev’essere proprio una bella profezia — ironizzò Gregor.
Ma lei evitò l’argomento e proseguì. — Anche coinvolgerti nel dramma dei piluccatori è stato ingiusto, da parte mia. A loro tu non devi niente.
— Non ho cercato di aiutarli perché gli dovevo qualcosa — obiettò Gregor. — Quello che gli stava succedendo era sbagliato.
— Ma quando vedrai ciò che ti chiede la profezia, anche questo potrebbe non bastare — disse Luxa. — Io ho dichiarato guerra per il bene dei piluccatori. Tu, invece, non hai una storia in comune con loro. Noi umani del Sottomondo abbiamo molte ragioni per considerarci debitori dei topi. Per te, invece, cos’hanno mai fatto?
Il vento le scompigliò i capelli, scoprendole il viso e permettendo a Gregor di vedere chiaramente i suoi occhi. Chiedevano una risposta. Luxa aveva bisogno di sapere se poteva contare su di lui.
— Ti hanno salvato la vita — rispose Gregor.
E, solo per un istante, l’espressione di Luxa si addolcì e lei sorrise.