— I topi fanno un sonnellino? — chiese Boots.

— Le luci! — urlò Gregor alle lucciole. Ancora qualche istante e persino Boots si sarebbe resa conto che i topi non erano addormentati ma morti. Alcuni erano distesi in pozze di sangue ormai secco. Altri avevano gli occhi sbarrati e fissi nel vuoto. — Spegnetele!

Le lampadine sul posteriore di Fotofinish e Zap si oscurarono. Gregor accese la torcia che portava alla cintura ma evitò di puntarla verso terra.

— Cos’ha detto Boots? Quali topi? Abbiamo trovato i piluccatori? — chiese Hazard, lottando per mettersi seduto.

— Resta sdraiato, Hazard. Non c’è niente — replicò Howard.

— Cos’è questa puzza? — insisté Hazard.

— Viene da un ruscello putrido. Continuiamo a volare, forza — rispose Luxa.

Nessuno di loro desiderava che Hazard o Boots vedessero i cadaveri. Ma nasconderli a Thalia fu impossibile. Quando trovarono un posto dove atterrare, a circa un chilometro da quel cimitero, Gregor si accorse che il piccolo pipistrello tremava. Lui stesso si sentiva malfermo sulle gambe.

Howard preparò un letto per Hazard, poi prese da parte Gregor e Luxa. — Uno di noi deve restare con i più piccoli mentre gli altri due tornano indietro.

— Io devo andare — dichiarò Luxa.

— Resta tu, Howard. Nel caso Hazard si senta male — disse Gregor.

Lasciarono Howard, Nike e Temp a sorvegliare Hazard, Boots e Thalia. Fotofinish rimase all’accampamento mentre Zap riaccompagnava dai topi Gregor, Luxa e i loro vincolati.

Prima che se ne andassero, Howard fornì loro alcune pezze inumidite con una soluzione antisettica da tenere sul naso, come difesa dal fetore della carne in decomposizione. — Non toccateli — ordinò. — Non sapete di quale tipo di contagio potrebbero essere portatori.

Le pezze furono d’aiuto ma, quando raggiunsero i topi, Gregor non riuscì comunque a evitare i conati di vomito per il tanfo.

La luce di Zap bastava a illuminare tutta la zona. Il tunnel terminava con uno strapiombo alto una dozzina di metri. I topi dovevano essere stati spinti giù dal precipizio ed essere morti nello schianto. Alcuni, a giudicare da come erano schiacciati e dalla devastazione dei loro corpi, avevano chiaramente interrotto la caduta di altri. Molti cuccioli erano ridotti in poltiglia. Tra i morti non c’erano ratti.

Persino Zap, che sempre aveva dimostrato una notevole mancanza di compassione, parve toccata da quella scena. — Che scempio. Che scempio. Non voglio fingere che i piluccatori mi piacciano, ma che scempio.

— Immagino che siano precipitati dal dirupo — disse Gregor.

— Avrebbero trovato un modo per scalare la parete, se ne avessero avuto il tempo — replicò amaramente Luxa. — Questa è opera dei rodenti.

— Facciamo qualcosa per i corpi? — chiese Gregor.

— Non c’è niente che possiamo fare. Se li mettiamo nell’acqua, avveleniamo la nostra stessa fonte di approvvigionamento. Non abbiamo abbastanza mani per seppellirli nella pietra, e nemmeno abbastanza combustibile per bruciarli come si deve — rispose Luxa.

Tutto vero. Eppure non potevano semplicemente volare via senza fare niente.

— Dovremmo lasciare qualcosa, una lapide, una specie di messaggio — disse Gregor. Avrebbe voluto tracciare qualche frase per raccontare l’accaduto, ma scrivere sulla pietra non era una faccenda da poco. Anche solo incidere una riga sul fianco del dirupo con la spada fu una faticaccia. Mentre se ne stava lì a guardare la parete in attesa di un’ispirazione, Luxa si avvicinò e aggiunse la sottile appendice simile a un becco che trasformava la riga in una falce. In un segno segreto.

— Sarà un avvertimento per chiunque ci segua — disse. — E una lapide adatta per le tombe dei piluccatori.

Poi Luxa fece una cosa che fece sentire Gregor vicinissimo a lei e, al tempo stesso, distante milioni di chilometri. Strappandosi la pezza dal naso, si inginocchiò e posò la corona a terra davanti a sé. Incrociò i polsi, sollevò le mani con il palmo rivolto verso il basso sopra il cerchio d’oro, poi a voce alta disse:

SU QUESTA CORONA,

PER LA VITA M’IMPEGNO.

ALLA PAROLA DATA

VOTO IL MIO INGEGNO:

DI VOI TUTTI VENDICHERÒ

LA FINE ATROCE,

VOI CHE SIETE MORTI QUI

SENZA UNA VOCE.

Le parole riecheggiarono forte nel tunnel. Quelli non erano versi improvvisati, frasi estemporanee. Seguivano un rituale preciso e avevano un tono severo, ufficiale. Gregor era certo che si trattasse di un giuramento. Qualcosa che promettevi di onorare anche a costo della vita. Veniva da uno strazio così profondo nell’animo di Luxa che Gregor avrebbe voluto abbracciarla. Ma nel contempo quel voto l’aveva anche allontanato da lei. Gli aveva ricordato di essere solo un visitatore in uno strano mondo in cui la gente giurava vendetta, le corone erano importanti e le regine gli erano precluse.

Guardandola mentre si rialzava, Gregor non vide più la dodicenne che era andata in cerca di indizi sui suoi amici topi. Ciò che vide fu il futuro capo di Regalia e dei suoi potenti eserciti, e seppe che, in un modo o nell’altro, i ratti avrebbero pagato col sangue.

Nel tunnel, intanto, stava succedendo qualcosa. Lievi sussurri, ronzii, un fruscio d’ali. A Gregor tornò in mente quello che aveva detto Howard sul fatto che nell’Antro di Ade vivevano molte creature. Fino a quel momento si erano tenute nascoste, ma c’erano, guardavano, ascoltavano, e ora reagivano al breve discorso di Luxa. Lei le sentì e, per qualche motivo che Gregor non capì, sorrise.

Il gemito li colse di sorpresa. Zap ravvivò la sua luce e videro un leggero movimento in mezzo a quel mare di immobilità. La punta di una coda sussultava. Ignorando l’avvertimento di Howard di non toccare nessuno, Luxa si precipitò accanto al topo e gli si accucciò vicino, accarezzandogli il pelo. Il ferito non riusciva a parlare.

— Portiamolo da Howard — disse Gregor. Insieme, lui e Luxa caricarono il topo sul dorso di Ares. Gregor montò sul collo del pipistrello, ma Luxa rimase a terra. — Non vieni? — le chiese.

— No. Noi restiamo ad accertarci che non ci sia ancora luce in qualcun altro — rispose Luxa. Nel Sottomondo, la parola “luce” era sinonimo di “vita”.

Gregor guardò le vittime. — Torneremo a darvi una mano — disse.

— Non siete obbligati — ribatté Luxa. — Aurora e io possiamo cavarcela.

— Torneremo — ripeté Ares.

Gregor e Ares consegnarono il topo semisvenuto a Howard e raggiunsero di nuovo il fondo del precipizio. Controllarono i piluccatori uno a uno. In alcuni casi, era chiaro che erano morti. In altri, invece, era impossibile capirlo, perciò tastarono polsi o tesero l’orecchio per cogliere un alito di fiato dalle narici. Non c’erano altri sopravvissuti.

Una volta rientrato all’accampamento, Gregor si lavò per bene in un ruscello vicino, ma gli sembrava di non riuscire a togliersi dalla pelle il fetore dei topi morti. E le immagini di quei corpi… be’, sapeva che sarebbero tornate a visitare i suoi sogni per molto tempo.

Howard lavorò sodo, e a lungo, sul topo ferito. Aveva una zampa anteriore fratturata, che lui immobilizzò. Applicò un balsamo sui suoi piedi scorticati e sanguinanti. Per circa un’ora gli somministrò cucchiaiate d’acqua a intervalli regolari, dopodiché preparò una pappetta leggera a base di pesce, briciole di pane e brodo e gliene fece mangiare un po’. L’acqua e il cibo rianimarono il topo a sufficienza da consentirgli di pronunciare qualche parola, a partire dal suo nome: Cartesian. A quel punto, Howard fu in grado di verificare meglio l’estensione delle sue ferite. Le costole del topo erano contuse, anche se non sembravano rotte. Aveva ricevuto un colpo alla testa. E poi aveva sofferto per la disidratazione e la fame. Quelle informazioni non erano sufficienti per capire cosa fosse capitato a Cartesian, ma bastavano per curarlo. Howard preparò un impiastro per la testa del topo, gli diede un po’ di antidolorifico e un’altra medicina per ridurre il gonfiore, quindi continuò a nutrirlo.

Boots avrebbe tanto voluto aiutare, così Howard le affidò il compito di cantare una ninna nanna a Cartesian. La bimba si accovacciò a qualche metro di distanza e attaccò sottovoce alcune canzoncine che aveva imparato a casa. Erano soprattutto sigle di programmi per bambini che guardava alla TV Poi si lanciò nel repertorio del Sottomondo, che comprendeva le canzoni sui tessitori, i pesci e i pipistrelli.

PIPISTRELLO, PIPISTRELLO,

VIENI SOTTO IL MIO CAPPELLO,

DI BUONA PANCETTA

TI DARÒ UNA FETTA,

E QUANDO POI LO INFORNO,

TI DARÒ IL CONTORNO,

MA SOLO A MEZZOGIORNO.

Poi cantò la strofa del brano sulla regina, i piluccatori e il tè, perché pensava che, in quanto topo, a Cartesian sarebbe piaciuta di più.

NELLA TUA RETE I PILUCCATORI CATTURA,

GUARDALI AGITARSI PIENI DI PAURA

FINCHÉ ADDORMENTATI

CADRANNO ADDIRITTURA.

PER INTERE FAMIGLIE DI PARTIRE È L’ORA,

CHISSÀ SE LE RIVEDREMO ANCORA.

Poco a poco, Cartesian scivolò nel sonno e Howard fece i complimenti a Boots per l’eccellente lavoro di cantante. Entusiasta del suo nuovo talento, Boots cominciò ad andare da tutti a cantare ninne nanne. Una metà dei viaggiatori era così stanca che si addormentò davvero. L’altra metà finse di dormire finché la stessa Boots non si appisolò. A quel punto, Gregor, Luxa, Howard, Aurora, Nike e Ares si riunirono per consultarsi al bagliore della lampadina di Fotofinish.

— Be’, per quanto tragiche siano state le nostre scoperte di oggi, almeno sappiamo di essere sulle tracce dei piluccatori — esordì Howard.

— Non ne abbiamo gran merito — ribatté Luxa. — Abbiamo scelto questa strada perché è la sola via di uscita. Possiamo essere certi di seguirli fino all’altro capo dell’Antro di Ade.

— E poi? — chiese Gregor.

— E poi cosa? — chiese a sua volta Luxa.

— E poi continuerai a seguirli, vero? Invece di tornare a Regalia — disse Gregor. Luxa non rispose, ma lui sapeva di avere ragione. Non sarebbe tornata a casa. Non dopo essersi inginocchiata e aver pronunciato quelle parole sopra la corona.

— Non possiamo seguirli. Abbiamo dei feriti che devono essere riportati a casa — obiettò Howard. — E credo che ci siano abbastanza prove da presentare al Consiglio, adesso che abbiamo Cartesian come testimone.

— Voi rientrate. Aurora e io proseguiremo sulle tracce dei piluccatori — replicò Luxa. — Qualcuno deve farlo.

— Ma non sarai tu, cugina. Non ti lascerò qui da sola, dovessi trascinarti a Regalia — dichiarò Howard.

— Ha fatto una specie di giuramento — intervenne Gregor. — Al dirupo.

— Giuramento? — Howard guardò Luxa e sul suo viso apparve una grande tristezza. — Dimmi che non era il “Voto ai Morti” — sussurrò. Luxa annuì. — Oh, Luxa, cos’hai fatto? Non hai neppure l’età. Non sei regina. L’esercito non è ai tuoi ordini. Come intendi adempiere al tuo voto?

— Nell’unico modo che ho — rispose Luxa. — Io seguo i piluccatori e il Consiglio manda l’esercito a seguire me.

— Però non hanno mandato un esercito quando sei rimasta intrappolata nel labirinto dei ratti — obiettò Gregor.

— Perché la credevano morta — intervenne Howard. — Ora lo faranno. Saranno costretti. Soprattutto se ha pronunciato il voto.

— E come verranno a saperlo? — si stupì Gregor. — Gli umani non hanno sentinelle nell’Antro di Ade.

— Credi che contino solo le orecchie umane? — lo derise Fotofinish. — Gli alati l’hanno sentita. Quel piluccatore l’ha sentita. Zap l’ha sentita ed è già venuta a dirmelo. Sei nell’Antro di Ade, non nella Terra Morta. Chi lo sa quante altre creature erano lì nel buio ad ascoltare?

“Molte” pensò Gregor, ricordando gli strani rumori che avevano seguito il voto di Luxa. Ecco perché aveva sorriso. Voleva che la sentissero.

— Nel giro di qualche ora, mezzo Sottomondo saprà che l’ha pronunciato. E non potrà rinnegarlo — disse Howard.

— Non lo farei neanche se potessi — aggiunse Luxa.

— Ma hai solo… quanti? Dodici anni? — esclamò Gregor. — Vale lo stesso?

— In questo caso, sì — rispose Howard. — Quando la notizia del voto raggiungerà il Consiglio, i nostri nemici lo sapranno già. Non ci sarà modo di sconfessarlo o di negarlo. E, date le circostanze, non avremo altra scelta.

— Cioè? — chiese Gregor.

Luxa lo fissò con calma. — Ho appena dichiarato guerra ai ratti.