La prima raffica, venuta da sotto, catapultò Nike verso l’alto, mandando Gregor e Cartesian a sbattere contro la volta della galleria e bloccandoli tra il pipistrello e la roccia. Per sua fortuna, Gregor era chino in avanti. Lo zaino attutì un po’ il colpo, anche se i bordi delle torce supplementari e del binocolo gli si piantarono nella schiena. Aveva il viso affondato nel collo di Nike. Si sforzò di girare la testa da una parte, in modo da riuscire almeno a respirare.
Nike stava combattendo per sottrarsi alla fortissima corrente, quando quella si placò di botto. Scesero di qualche metro e la seconda raffica li colpì alle spalle. Il pipistrello chiuse le ali mentre schizzavano lungo la galleria come una pallottola lungo la canna di un fucile, per poi ritrovarsi in un ampio spazio aperto.
A quel punto il vento fu incontrollabile.
Non una, ma decine di correnti si intrecciavano tra loro nella caverna. Era possibile individuare i singoli flussi d’aria. Avevano tutti lo stesso aspetto nebbioso di quello che aveva portato Gregor nel Sottomondo la prima volta, prelevandolo dalla sua lavanderia, e ognuno di essi emetteva una debole luce bianca. Gregor fu strappato via da Nike quasi all’istante e sballottato dalle correnti che lo aggredivano da ogni parte. Si sentiva come un aquilone che qualcuno facesse volare nel bel mezzo di una tempesta. Un aquilone con il filo spezzato che non aveva speranza di essere riportato indietro.
Per fortuna, la torcia era saldamente agganciata al passante della sua cintura. Mentre girava e rigirava nel vuoto, intravide gli altri. Sembravano impotenti quanto lui.
Si fece prendere dal panico per un attimo quando la luce della torcia illuminò il fondo della caverna, quindici metri più giù. Ma poi si accorse che non stava precipitando. E neppure gli altri. Le correnti li tenevano in aria, facendoli svolazzare come foglie in un giorno d’autunno.
Gregor portò la mano alla torcia ed ebbe l’impressione di avere la situazione appena più sotto controllo. Fu colto alle spalle da una folata d’aria particolarmente violenta e lottò per liberarsene.
Ripred gli veleggiò accanto, le quattro zampe allargate come uno scoiattolo volante. Urlò qualcosa a Gregor, ma lui non sentì, assordato dal mugghiare del vento. Qualche istante più tardi, dopo essersi schiantato contro Howard e avere quasi afferrato Boots mentre gli sfrecciava davanti con un’aria perplessa ma non molto spaventata, Gregor superò un’altra volta Ripred, che volava nella stessa posizione di prima. Stavolta, però, riuscì a distinguere le parole del ratto: — Smetti di lottare!
Smettere di lottare? Gregor si rese conto di avere ogni muscolo del corpo così teso che avrebbe potuto spezzarsi da un momento all’altro, perché in effetti stava cercando di resistere al vento. Di arrivare in un modo o nell’altro a controllare le correnti con le gambe e le braccia. “Smetti di lottare” pensò. “Rilassati e basta!” Che male c’era a provare? Fece uno sforzo enorme per distendere i muscoli. Non era facile. Ogni nuova raffica lo faceva irrigidire. “Rilassati!” si impose. “Non puoi lottare. Pensa a Ripred!” Gregor tese le braccia sopra la testa e allungò il corpo. D’un tratto, il vento non lo strattonava più. Lo trasportava. Fu scagliato fuori rotta quasi subito, ma soffocò l’impulso di resistere. “Rilassati!” ordinò a se stesso, allungandosi di nuovo. Il flusso d’aria lo portava con sé senza difficoltà. E a quel punto capì. Se non si opponeva alla corrente, poteva cavalcarla. L’euforia dilagò dentro di lui. “Sto volando!”
Per un attimo, fu totalmente assorbito dal suo nuovo dono. Quello non era affatto come cavalcare i pipistrelli, su cui era solo un passeggero. Quello era proprio Gregor che sfrecciava nel cielo… be’, non proprio nel cielo… che sfrecciava nell’aria come un supereroe. La libertà, la sensazione di potenza erano straordinarie. Se avesse avuto sempre le ali, pensava Gregor, non avrebbe mai temuto che qualche creatura del Sottomondo potesse suonargliele. Fece un urlo selvaggio e andò a sbattere in pieno contro Ripred. Scivolò lungo il corpo del ratto, ma riuscì ad afferrargli la coda e a tenersi stretto.
— Ce la stiamo proprio spassando, vero? — gridò Ripred, sovrastando il vento. — Hai dato un’occhiata ai tuoi amici, ultimamente?
Subito imbarazzato per il fatto che si stava divertendo un sacco, Gregor fece luce intorno con la torcia. Individuò Luxa sopra la sua testa, ed era chiaro che già padroneggiava il trucco di cavalcare i venti. Anzi, era in vantaggio su di lui, perché sembrava capace di spostarsi da una corrente all’altra senza perdere il controllo. Quando rotolò su un fianco per prendere un’altra corrente, Gregor vide che aveva Boots sulla schiena. La bambina era avvinghiata al corpo di Luxa con le braccia e le gambe. Passò anche Temp, con Hazard aggrappato alla corazza. Cartesian non faticava minimamente, dal momento che dormiva e si spostava nel vento con facilità. Howard, invece, era ancora in balìa dei venti perché stava tentando di dirigersi verso i pipistrelli. Poveri pipistrelli! Erano loro ad avere i problemi più seri.
Quelle lunghe, bellissime ali non costituivano un vantaggio, in una situazione del genere. Raccoglievano tutte insieme troppe correnti diverse. Avendo cavalcato venti più leggeri per tutta la vita, i pipistrelli non riuscivano a reprimere l’istinto di manovrare allo stesso modo in mezzo a quella specie di tormenta. Ma ogni volta che aprivano le ali, anche solo di pochi centimetri, le raffiche li facevano girare in tondo come trottole. Ares, che era il più grande e aveva l’apertura alare più ampia, era quello più in difficoltà.
— Ares! — urlò Gregor. Lasciò andare la coda di Ripred, ma scoprì che il ratto lo teneva per lo zaino con gli artigli delle zampe posteriori.
— Qual è il tuo piano? — gridò Ripred.
Gregor non aveva un piano. Stava solo ubbidendo all’impulso di aiutare il suo pipistrello. — Non lo so! Non lo so!
— Dobbiamo atterrare! — urlò il ratto. — Trovare un punto d’appoggio!
— D’accordo! — rispose Gregor, anche se non aveva idea di cosa diavolo stesse parlando Ripred.
Il ratto cominciò a spostarsi da una corrente all’altra, allontanandosi sempre più dal centro della tempesta. Gregor, ancora trascinato per lo zaino, si girò per capire dove stessero andando e si accorse che si dirigevano dritti verso una delle pareti di roccia della caverna. — No! — gridò, dibattendosi per liberarsi prima dello schianto. Ma all’ultimo minuto, Ripred catturò un’altra corrente e Gregor si ritrovò a strisciare sul fondo di una grotta.
— Concedimi un po’ di fiducia, per favore — commentò disgustato il ratto.
— Scusa — replicò Gregor. Si mise seduto, sfregandosi il gomito che si era graffiato sul pavimento. Vedeva i suoi amici volare qua e là, fuori dalla grotta. — E adesso?
— Dobbiamo trovare un modo per portarli dentro. Lì non hai niente di utile tipo una corda, vero? — chiese Ripred, dando un colpetto allo zaino di Gregor.
— No — rispose Gregor.
— No — sospirò Ripred. — Be’, allora immagino che dovremo servirci della mia coda.
Il ratto si piazzò di spalle sul bordo della grotta, aggrappandosi al fondo con gli artigli e lasciando sventolare la lunga coda all’esterno.
— Adesso cosa facciamo? — chiese Gregor.
— Aspettiamo — disse Ripred. — Niente paura, capiranno.
Gregor mosse la torcia all’imbocco della grotta, disegnando un otto per attirare l’attenzione. Ripred aveva ragione. Luxa si fece largo tra le correnti e afferrò la coda. Il ratto la tirò dentro e Gregor le tolse Boots dalla schiena prendendola in braccio.
— Ehilà, cosa mi racconti, Boots? — chiese.
— Luxa è un pistrello — rispose la piccola. — Vado cavallo. Volo, anche.
— Sei stata brava — disse Gregor. — Adesso dobbiamo far entrare gli altri.
— Io aiuto! — esclamò Boots, correndo verso l’imbocco della grotta.
Gregor riuscì per un soffio ad afferrarle la caviglia e a riportarla dentro mentre già si lanciava nel vuoto. — Ferma! No, Boots. Ho un incarico speciale per te.
— Per me? — ripeté lei, subito interessata.
Non ce l’aveva, in realtà. Pensò di farla cantare ancora, ma la cosa non avrebbe mantenuto viva la sua attenzione se nessuno si fosse addormentato. Gregor frugò nel suo zaino, in cerca di un’idea, e trovò il binocolo. — Ecco — disse. — Sei la nostra sentinella. Guarda con questo e dicci quando vedi qualcuno che ci vola davanti.
Era un compito inutile. Tra la luce delle correnti e quella della sua torcia, non dovevano certo faticare per individuare gli altri. Ma offriva a Boots qualcosa da fare. — Temp è grande. Temp è piccolo. Temp è grande. Temp è piccolo — diceva con aria d’importanza mentre alzava e abbassava il binocolo.
— Attenzione, arriva il brulicante — avvertì Ripred.
Temp si avvicinò in volo e si aggrappò alla coda del ratto. Ripred lo trascinò dentro e Hazard si lasciò scivolare dalla corazza dello scarafaggio.
— Hazard, stai bene? — chiese Luxa, abbracciandolo.
— Sì, io sto bene. Ma i pipistrelli no — rispose Hazard.
I pipistrelli sembravano davvero in guai grossi. Incapaci di domare le correnti, continuavano a esserne sballottati senza speranza.
Dopo Temp fu la volta di Howard, che entrò nella grotta trascinando Cartesian per la coda. — Non so come far arrivare qui gli alati — disse. — Ho provato a cavalcare Nike per aiutarla, ma l’ho messa ancor più in difficoltà. Si stanno stancando in fretta.
— Dobbiamo fare qualcosa — esclamò Luxa.
— Forse potremmo formare una catena umana — suggerì Gregor.
— E attaccarvi tutti alla mia povera coda? — chiese Ripred. — Non riuscirei mai a reggervi, il vento è troppo forte.
— Non possiamo abbandonarli e basta! — insisté Luxa. — Io torno là!
Era sul punto di rituffarsi tra le raffiche quando Ripred la bloccò con la coda. — Qual è il tuo piano?
— Io… io non ho un piano — replicò Luxa.
— Oh, peccato — commentò il ratto. Lasciò cadere la coda, ma Luxa non saltò.
— Tu ne hai uno? — chiese Luxa.
— Può darsi, se qualcuno me lo chiede gentilmente — ribatté Ripred.
— Ti dispiacerebbe dirmi qual è il tuo piano? — chiese Luxa in tono gelido.
— Per favoooore — la istruì il ratto.
— Per favore — ripeté Luxa a denti stretti.
— Benone. Raggiungi gli alati. Comincia dalla più piccola. Blocca le sue ali con le gambe. Dovrai lottare con lei. Per i pipistrelli, tentare di volare è come per voi respirare: dubito che riescano a farne a meno. Conducila qui — disse Ripred. — Non permetterle di aprire le ali. Capito?
— Sì — rispose Luxa, e si tuffò nelle correnti.
— Sì, grazie! — le gridò dietro Ripred.
Luxa non ci mise molto a raggiungere Thalia. Una volta lì, le servirono non solo le gambe ma anche le braccia per tenere ferme le sue ali. Poi fu in grado di guidarla verso la grotta. Quando Thalia arrivò a portata della coda di Ripred, la afferrò nell’unico modo possibile, coi denti.
— Ahia! — si lamentò il ratto, trascinando dentro lei e Luxa. — Va bene, va bene, adesso molla, piccola vipera.
Thalia schiuse i denti e giacque esausta sul fondo della grotta.
— Credo di poter portare qui Aurora. Non so gli altri — disse Luxa, ansante per la fatica.
— Vuoi che vada io a prendere Ares, Gregor? — chiese Howard. Era molto più grosso e più forte di Gregor. Avrebbe avuto senso che fosse lui a occuparsi del pipistrello più grande.
— No, è il mio vincolato. Lo farò io — replicò Gregor.
Non aveva la minima idea di cosa lo aspettasse. Di nuovo nel vento, si diresse verso il suo pipistrello senza troppi problemi, nuotando tra una corrente e l’altra finché non si trovò a qualche metro da lui.
Solo a quella distanza si rese conto di quanto Ares stesse soffrendo. Il suo corpo si contorceva violentemente nel tentativo di sfuggire alle correnti. Era come se il pipistrello fosse bloccato da un orribile campo di forze che gli permetteva di muoversi soltanto per pochi metri in ogni direzione prima di strattonarlo di nuovo verso il proprio centro.
Il particolare che più spaventava Gregor era il verso che usciva dalla gola di Ares. Non era fatto di parole o di quegli stridii alti e chiari che sentiva a volte. Somigliava a un grido. Un urlo di dolore incessante e tormentato. Essere prigioniero tra le correnti sembrava farlo letteralmente impazzire.
Gregor si sentì cento volte più in colpa per essersi divertito a volare senza accorgersi del guaio in cui si trovava Ares.
Mettere le braccia intorno al collo del pipistrello fu il primo problema. Ogni volta che Gregor riusciva a raggiungere la distanza giusta, una delle potenti ali di Ares si tendeva di colpo e lo mandava a volteggiare più lontano. Gli faceva male e lo rallentava, perché poi Gregor doveva faticare per tornare da Ares e ricominciare tutto daccapo. Ripred aveva ragione. Il pipistrello non aveva il benché minimo controllo sull’impulso di volare.
Dopo una decina di tentativi, Gregor riuscì finalmente a schivare i sussulti delle ali e ad allacciare le braccia intorno al collo di Ares. Il resto del suo corpo, invece, sventolava all’impazzata. Non aveva modo di stringere le gambe intorno alle ali. Sapeva che Ares non lo faceva apposta, ma sembrava proprio che volesse scrollarselo di dosso.
— Smetti di lottare! — disse al pipistrello come Ripred aveva detto a lui. Ma non era nemmeno sicuro che Ares lo sentisse. Continuava a urlare senza sosta e i movimenti del suo corpo non erano cambiati.
— Smetti di lottare! Arrenditi! — ordinò. Ancora nessun cambiamento. Gregor non sapeva per quanto sarebbe stato in grado di tenere duro. Poi il colpo di fortuna: una corrente lo fece volare lungo disteso sul dorso di Ares proprio mentre le sue ali si chiudevano. Gregor serrò le gambe intorno ai fianchi del pipistrello. — Sono io! — gli gridò all’orecchio. L’urlo si interruppe e Ares parve rendersi conto per la prima volta della presenza di Gregor. — Ti tengo! Non aprire le ali! Non aprire le ali, Ares!
Ora Gregor avvertiva un diverso tipo di lotta, quella di Ares che tentava di resistere all’istinto di allargare le ali mentre le correnti lo colpivano. — Sopramondo… non ci riesco!
— Sì che ci riesci. Tienile chiuse. Volo io, tanto per cambiare. D’accordo? — disse Gregor.
— D’ac… cordo! — balbettò Ares. — Non… abbandonarmi!
— Non ti abbandonerò! Te lo prometto! — replicò Gregor.
I progressi erano lenti. Gregor non aveva ancora acquisito sicurezza nel volare da solo, perciò guidare il corpo del pipistrello nel labirinto delle correnti era un’arte del tutto nuova da padroneggiare, per lui. Tanto più che sentiva di dover continuare a parlare, rassicurando Ares, ricordandogli di tenere chiuse le ali. Se taceva anche solo un istante, subito avvertiva le prime vibrazioni dell’urlo risalire di nuovo nella gola di Ares.
C’era stato un momento in cui Gregor aveva creduto di essere quasi arrivato, ma poi si era girato e aveva visto la luce all’interno della grotta allontanarsi mentre un’altra forte raffica spazzava via lui e il pipistrello. Le sue gambe cominciavano a tremare per lo sforzo di tenere bloccate le ali di Ares. Gregor aveva bisogno di aiuto, ma tornare indietro a cercarlo era impossibile. Come era impossibile lasciar andare Ares dopo la promessa che gli aveva fatto.
Si rese conto di non avere più la forza per guidarlo da nessuna parte. Poteva solo tenere duro. Forse di lì a poco sarebbero svenuti entrambi e allora gli altri…
Qualcuno atterrò alle sue spalle. Gregor quasi si afflosciò per il sollievo. Poi ricordò che non era lui quello da soccorrere e rafforzò la presa sulle ali di Ares. Accostò la testa al pipistrello, chiuse gli occhi e continuò a parlare, parlare, parlare finché in qualche modo si ritrovarono distesi sul fondo della grotta.
Gregor rilassò gli arti irrigiditi e voltò la testa. Sia Howard che Luxa erano dietro di lui, su Ares.
— Abbiamo dovuto metterci in due per portare dentro Nike — disse Howard. — Pensavamo che potesse servirti una mano.
— È così. Grazie — replicò Gregor. Guardò Luxa. Ricordò che era stato sul punto di dirle qualcosa quando le correnti lo avevano scaraventato contro la volta della galleria.
Il naso di Ripred lo spinse giù da Ares. — Via. Via. Lascialo respirare.
Gregor si lasciò rotolare su un fianco e si rimise in piedi, barcollante. I quattro pipistrelli erano distesi a terra, troppo scossi per alzarsi.
— Bene, qui finisce la nostra corsa — disse Ripred, scoraggiato. — Ci vorranno ore perché si riprendano.
— Andrebbe meglio se potessero stare appesi — osservò Howard, passando le mani su Nike.
— C’è una sporgenza là dietro — suggerì Hazard.
— Bene, Hazard. Ottimo — ribatté Howard. — Vediamo se riusciamo a farci salire Thalia.
Gregor non sapeva bene cosa stessero facendo, ma aiutò Howard a portare Thalia fino a una sporgenza di roccia, dove la girarono a testa in giù. Gli artigli del pipistrello si chiusero immediatamente sul bordo, e il suo corpo parve rilassarsi. Nei viaggi, di solito i pipistrelli dormivano in piedi, stretti l’uno all’altro, ma di certo per loro quella era la posizione di riposo più naturale.
Gregor e Howard spostarono i pipistrelli uno a uno sul retro della grotta e li appesero alla sporgenza. Gli alati mossero gli artigli solo per avvicinarsi. Nessuno di loro parlò, ma sembravano più tranquilli.
— Riposatevi — disse Howard. — Va tutto bene. Riposatevi.
Si radunarono tutti vicino ai pipistrelli, il più lontano possibile dalle raffiche ululanti. Temp scoprì alcuni funghi commestibili. Li staccarono dalla parete della grotta e li divorarono seduta stante, famelici per tutta quella fatica. Poi si passarono una sacca d’acqua.
— A dormire, andate voi, a dormire — disse Temp. — Di guardia sto io, di guardia.
Non sembrava esserci un gran rischio che qualcosa entrasse nella grotta, così tutti accettarono la sua offerta.
Qualche tempo dopo, Gregor si svegliò sentendo gli altri respirare. Il frastuono del vento era scomparso. Vedeva la sagoma di Temp, seduto pazientemente sul davanti della grotta. Mentre si girava di lato, schiacciò l’orecchio contro la pietra e sentì un altro suono. Deboli raspate inframmezzate da una specie di tamburellare. Si mise seduto e trovò Ripred sveglio nel buio accanto a lui.
— Sento qualcosa. Che graffia qua e là — disse Gregor.
— Lo so. Niente di cui preoccuparsi. Torna a dormire — rispose Ripred.
Con la sensazione di essere al sicuro perché c’era il ratto a proteggerlo, Gregor fece come gli era stato detto.
Erano passate ore, probabilmente, quando sentì Howard che gli scuoteva una spalla. — Gregor, le correnti vanno e vengono. Dobbiamo muoverci finché sono ferme.
Gregor era così rigido e ammaccato che faticò ad alzarsi in piedi. Poteva solo immaginare quanto dovessero sentirsi male i pipistrelli. Adesso erano a terra, occupati a mangiucchiare alcuni funghi. Gregor andò da Ares. — Ehi. Sei tutto intero?
— Sì — replicò Ares, ma la sua voce era fioca.
— Non dovrà accadere mai più che ci ritroviamo in mezzo a quelle correnti — disse Nike.
— È una follia — aggiunse Aurora.
E Thalia cominciò a piangere al solo ricordo. Si rannicchiò patetica tra le ali di Nike.
— Ehi, Thalia. Ne ho una speciale per te — intervenne Gregor in tono gentile. — Cosa dice un muro a un altro muro?
— Non lo so — singhiozzò il pipistrello.
— Ci troviamo all’angolo — disse Gregor.
La battuta impiegò qualche istante per fare presa, poi i singhiozzi di Thalia si intrecciarono alle risatine fino a trasformarsi in risate autentiche. Un po’ più acute del solito, ma sempre risate. Anche gli altri pipistrelli risero, felici di vedere Thalia finalmente serena.
Dovevano muoversi. Da qualche parte, i piluccatori erano in pericolo. Il tempo, prezioso, stava finendo. I pipistrelli avevano ancora bisogno di riprendersi, ma la partenza non poteva essere evitata.
— Abbiamo idea di dove i ratti tengano i topi? — chiese Gregor.
— Se seguiamo questa caverna, secondo me incroceremo la strada che i ratti gli hanno fatto percorrere — rispose Ripred.
— Non volate in spazi aperti. Tenetevi vicini alle pareti. Accertatevi di avere sempre in vista almeno una grotta dove possiamo rifugiarci se le correnti riprendono — disse Luxa.
— Questo sì che è un buon piano, Altezza. È esaltante che tu ne abbia uno — commentò Ripred. Ma Luxa era troppo stanca per fare qualcosa di più che scoccargli un’occhiataccia.
Partirono, volando vicini alle pareti. Gregor continuava ad aspettarsi che la caverna finisse o che si riducesse a una serie di gallerie. E invece continuava all’infinito. Era di gran lunga lo spazio aperto più grande che avesse visto nel Sottomondo, a eccezione della Distesa d’Acqua. Notò il primo vulcano dopo circa un’ora. Era tranquillo, a parte i pennacchi di fumo che si alzavano dalla cima. Ne superarono altri. Alcuni brontolavano minacciosi. Da uno colavano costanti torrenti di lava. Non c’erano vere e proprie esplosioni, ma l’aria era calda e fetida.
Di tanto in tanto, le correnti si risollevavano e loro si lanciavano velocemente nelle grotte vicine finché le raffiche non calavano abbastanza da consentire un volo sicuro. Il lato positivo consisteva nel fatto che, dopo una tempesta, di solito l’aria era un po’ più respirabile. Al quinto atterraggio, Gregor cominciò a pensare che i pipistrelli stessero esagerando. Le correnti erano poco più che una brezza. Poi capì che la fermata non aveva niente a che vedere col vento.
Ripred ordinò a tutti di appiattirsi sul fondo della grotta prima di ricordarsi che non era lui a comandare. — Scusa — disse a Luxa. — Una vecchia abitudine.
— Fate come dice — ribadì Luxa. Lei era già a terra e sbirciava fuori da dietro un mucchietto di sassi. Gregor si stese sulla pancia e si affrettò a raggiungerla.
All’inizio non capì cosa stesse guardando. C’era un vulcano. Con un bagliore dorato che usciva dalla cima. Non era una ragione per fermarsi
Poi sentì la voce di Cartesian bisbigliare alle sue spalle: — Gli altri.