Nelle settimane seguenti, Gregor scese nel Sottomondo praticamente tutti i giorni, ma non ebbe notizie di Ripred. Non sapeva cosa pensare. Che Ripred avesse ucciso il Flagello e ripreso la sua solita vita? Che fosse finito in qualche guaio? Il ratto era l’animale più tosto del Sottomondo, ma quel silenzio continuava e Gregor cominciava a chiedersi se non gli fosse successo qualcosa.

Capì che anche Vikus era preoccupato. — Non è da Ripred lasciarmi all’oscuro così a lungo — gli confidava, e Gregor doveva soffocare di continuo la tentazione di raccontargli tutto quello che sapeva. Non poteva. E non solo perché Ripred gli aveva raccomandato di tacere, ma anche perché il vecchio era così angustiato dall’imminente processo a sua moglie Solovet che Gregor non voleva dargli altre preoccupazioni. All’inizio, sembrava che Solovet se la sarebbe potuta cavare con un semplice ammonimento e forse la destituzione dai suoi incarichi. Tuttavia, quando si era saputo il vero numero delle vittime dell’epidemia, i ratti e anche gli umani avevano esercitato pressioni sempre maggiori perché venisse processata. A quanto si diceva, la dottoressa Neveeve, esecutrice materiale della ricerca, e già giustiziata per il ruolo avuto nel contagio, era stata solo un capro espiatorio. Doveva essere Solovet, capo dell’esercito regaliano e mandante diretta dello studio della pestilenza come possibile arma, ad assumersi la responsabilità ultima dell’accaduto.

Così Gregor teneva per sé i suoi pensieri e cercava di concentrarsi sugli aspetti piacevoli della vacanza estiva. Come il fatto che sua madre migliorasse ogni giorno di più, che Lizzie scrivesse lettere in cui pareva proprio si stesse godendo il campeggio, e che nel Sottomondo ci fossero tantissime cose divertenti da fare, se nessuno ti attaccava. Nuotare, esplorare grotte, giocare a palla sui pipistrelli. A volte c’erano persino delle feste.

Una mattina – lui e Boots erano appena atterrati nella Sala Alta – Hazard, pieno di entusiasmo, corse incontro a Gregor con un piccolo rotolo in mano. — È un invito! Alla mia festa di compleanno! Perché compio sette anni! Ci venite, vero? — chiese, prima ancora che Gregor potesse srotolare la pergamena.

— Certo che ci veniamo — rispose Gregor. — Allora, cosa vorresti per il tuo compleanno?

— Non lo so — rispose Hazard. Si girò verso Luxa per farsi aiutare.

— Forse gli piacerebbe qualcosa che venga dal Sopramondo. Qualcosa che qui non abbiamo — suggerì lei.

Hazard annuì con forza. — Sì, qualcosa che non ho mai visto!

— Mmm, devo pensarci… — replicò Gregor. Ma sapeva già cosa regalargli.

Il violino del museo aveva fruttato una bella cifra. Sufficiente a tirare avanti per sei mesi. Al momento, quindi, non erano costretti a contare ogni centesimo. Così, la mattina della festa, Gregor e Boots presero la metro e andarono al grande negozio di giocattoli in centro, a comprare il regalo per Hazard. Gregor trovò subito quello che voleva. Era un disco di plastica con immagini di animali lungo il bordo. Si girava una freccia, la si puntava su un’immagine, si tirava una levetta, e ne usciva il verso dell’animale. Dato che Hazard era bravissimo nell’imitazione delle creature del Sottomondo, Gregor era abbastanza sicuro che avrebbe apprezzato il giocattolo. Boots trovò una piccola collezione di animali della giungla da abbinargli e, a quel punto, visto che era stata molto brava a non seccarlo con richieste continue, Gregor le disse che poteva scegliere anche qualcosa per sé.

Fu una bella sorpresa per Boots, che prese la faccenda molto sul serio. Provò quasi tutti i giochi del reparto dei più piccoli prima di vederlo… un vestito da principessa! Era composto da tre pezzi: una tiara di plastica tempestata di gemme, una gonna rosa trasparente con l’elastico in vita e uno scettro che si accendeva premendo un pulsante. Boots era letteralmente sopraffatta dalla bellezza del costume. — Posso avere questo, Gre-go? Perché sono una pincipessa? — chiese, speranzosa.

— Va bene, Pincipessa. Mettilo nel cestello — rispose lui.

Ma la bimba non riusciva a staccarsene. Lo portò tra le braccia per tutta la strada fino a casa, stringendoselo forte al petto e mormorando di tanto in tanto: — P come pincipessa. — Nell’attimo stesso in cui arrivarono all’appartamento, Boots volle indossare il suo abito da principessa, che in effetti era favoloso, dopodiché ripartirono per andare alla festa nel Sottomondo.

La signora Cormaci aveva una di quelle macchine fotografiche con cui si scatta una foto che si sviluppa all’istante. Disse a Gregor di passare a casa sua a prenderla. — Voglio delle foto. E fanne qualcuna per il festeggiato, così avrà un ricordo del suo giorno speciale.

Luxa aveva dato il massimo nei preparativi. L’arena era addobbata da festoni di stoffa a colori vivaci. C’erano lunghi tavoli stracolmi di cibo. Al centro troneggiava una torta enorme, decorata con pipistrelli, scarafaggi e altri animali. Almeno quindici musicisti suonavano allegre melodie.

Hazard si precipitò subito da loro e Gregor gli consegnò i regali. Fu così affascinato dal giocattolo di Gregor che si sedette immediatamente sul muschio a giocarci, tirando più volte la levetta per sentire il nitrito del cavallo, il glu glu del tacchino e l’abbaiare del cane. Alla fine Luxa gli ricordò con gentilezza che aveva degli ospiti di cui occuparsi.

L’arena era affollata di bambini eccitati, pipistrelli volteggianti e persino una decina di scarafaggi. Gli insetti circondarono subito Boots, ammutoliti dall’ammirazione per il suo abito da principessa. Boots salì sull’ampia corazza nera del suo amico Temp per dare una dimostrazione del funzionamento dello scettro, facendolo lampeggiare ripetutamente.

— Ma cosa diavolo si è messa, quella bambina? — Gregor si girò e vide sua madre, tutta avvolta da strati di coperte e seduta in poltrona vicino a un tavolo del banchetto. Scuoteva la testa divertita, guardando Boots.

— È una principessa, mamma — le rispose. — Non puoi aspettarti che si presenti a una festa con dei vestiti vecchi. — La abbracciò forte. — Che effetto fa essere fuori dall’ospedale?

— Sono al settimo cielo — rispose lei.

Gregor tirò fuori la macchina fotografica della signora Cormaci, tentando di usarla. Nessuno capì cosa stesse facendo finché non riuscì a fermare un attimo Hazard e Thalia, che scorrazzavano in giro, e a scattargli una fantastica foto, stretti l’uno all’altra in un intreccio di braccia e ali. Quando l’immagine si fece più nitida, i Sottomondo rimasero sbalorditi. Non si erano mai visti ritratti in una fotografia. Per loro era qualcosa di magico. Quando Gregor riunì alcuni bambini per una foto di gruppo, i piccoli si immobilizzarono ben eretti, le braccia rigide lungo i fianchi, i visi dalle espressioni serissime. Gregor fece dire loro “cheese” almeno dieci volte prima che cominciassero a ridacchiare e dimenticassero quanto fosse importante comparire in una fotografia.

Quando Luxa annunciò che le danze sarebbero iniziate di lì a poco, Gregor si affrettò a sedersi vicino a sua madre. Come ballerino non era un granché neppure nel Sopramondo e l’ultima cosa che voleva era mettersi in mostra davanti a un mucchio di gente… ballando cosa, poi? Minuetti e roba simile? Qualcosa con dei passi, comunque.

Tutti i bambini Sottomondo e parecchi adulti, invece, confluirono al centro del campo per partecipare. Il primo ballo si chiamava “Pipistrello, Pipistrello” e richiedeva un compagno. Un coro di alcuni umani accompagnava i musicisti, ma anche molti bambini conoscevamo le parole della canzone. Boots, che doveva aver imparato i passi quando giocava nella nursery, era occupatissima a ballare con Hazard e a cantare:

PIPISTRELLO, PIPISTRELLO,

VIENI SOTTO IL MIO CAPPELLO,

DI BUONA PANCETTA

TI DARÒ UNA FETTA,

E QUANDO POI LO INFORNO,

TI DARÒ IL CONTORNO,

MA SOLO A MEZZOGIORNO.

Un ballerino svolazzava qua e là come un pipistrello e il compagno doveva convincerlo a mettersi al suo fianco fingendo di offrirgli del cibo. La danza prevedeva passi e movimenti delle mani che dovevano seguire il testo, proprio come aveva sospettato Gregor.

— È curioso. Mi sembra di conoscere le parole di questa canzone — disse a sua madre.

— È nel libro delle filastrocche di Boots, a casa — commentò lei. — La leggevo anche a te, quando eri piccolo. Sarà vecchia di secoli.

— Ah, giusto — ricordò Gregor. Aveva letto il libro a Boots, naturalmente, ma non aveva fatto il collegamento. Era strano pensare che lui e Luxa avessero sentito le stesse filastrocche, quando avevano l’età di Boots.

I musicisti eseguirono ancora un paio di canzoni, una che parlava di tessitori che filavano una ragnatela e un’altra di una gita in barca, poi ci fu una breve pausa.

Rossi in viso e senza fiato, Luxa, Howard, Hazard e Boots raggiunsero Gregor e sua madre.

— Perché non balli, Gregor? — chiese Hazard.

— Non conosco nessun ballo — rispose lui.

— Sì, invece — obiettò sua madre. — Conosci l’Hokey Pokey.

— L’Hokey Pokey? Cos’è? Ce lo mostri? — implorò Hazard.

Gregor sollevò la macchina fotografica. — Mi dispiace, ma sto facend…

— Ma certo che ve lo mostra! — esclamò sua madre, afferrando la macchina fotografica.

E a quel punto, con suo immenso imbarazzo, Gregor venne trascinato al centro del campo per insegnare l’Hokey Pokey a circa duecento persone. Non solo fu costretto a eseguire i movimenti ma dovette anche cantare la canzone finché i musicisti non ebbero imparato il motivo e colto più o meno il senso del testo. Per fortuna, Boots era accanto a lui e si agitava tutta con grande entusiasmo, perché Gregor aveva solo voglia di sprofondare nel muschio e sparire. Non gli fu d’aiuto vedere Luxa e Howard, in disparte, che ridevano fino alle lacrime del suo disagio evidente. L’Hokey Pokey non esaltava certo la sua immagine di guerriero.

La canzone, però, ebbe un enorme successo tra i bambini del Sottomondo. La impararono così in fretta che, quando il pezzo venne ripetuto, Gregor riuscì a sgattaiolare di nuovo al suo posto.

— Grazie mille, mamma — disse.

— È stato un piacere — replicò lei.

Annunciarono una nuova canzone e i bambini cominciarono a gridare: — Chi fa la regina?

— Luxa, naturalmente! — esclamò Hazard, e corse a prenderla. Lei protestò mentre Hazard la trascinava al centro di un ampio cerchio di bambini, ma in realtà non sembrava che le dispiacesse. Perché avrebbe dovuto? Per Luxa la danza era del tutto naturale, quanto lo era il volo per un uccello. Mentre i bambini battevano le mani e si muovevano in un senso, Luxa girava su se stessa nella direzione opposta.

DANZA LA REGINA ALLA LUCE DEL FUOCO,

CONQUISTA LA NOTTE

COME FOSSE UN GIOCO,

D’ORO S’AMMANTA, ARDENTE E MAI FIOCO.

PER INTERE FAMIGLIE DI PARTIRE È L’ORA,

CHISSÀ SE LE RIVEDREMO ANCORA.

Poi una decina di bambini la raggiunse al centro del cerchio e mimò le movenze dei piluccatori (era così che i Sottomondo chiamavano i topi).

NELLA TUA RETE I PILUCCATORI CATTURA,

GUARDALI AGITARSI PIENI DI PAURA

FINCHÉ ADDORMENTATI

CADRANNO ADDIRITTURA.

PER INTERE FAMIGLIE DI PARTIRE È L’ORA,

CHISSÀ SE LE RIVEDREMO ANCORA.

Quando iniziò la strofa finale, a quanto capì Gregor, tutti cominciarono a fingere di servirsi fette di torta e versarsi tè a vicenda.

ORA L’OSPITE BUSSA SODDISFATTO,

CHE LO SI ACCOLGA

COME ABBIAMO SEMPRE FATTO:

CHI TAGLIA, CHI VERSA,

ERA QUESTO IL PATTO.

PER INTERE FAMIGLIE DI PARTIRE È L’ORA,

CHISSÀ SE LE RIVEDREMO ANCORA.

Quelle parole non avevano molto senso per Gregor, ma tutti i ballerini sembravano sapere bene ciò che stavano cantando. Ricordò che anche molte filastrocche del Sopramondo erano poco chiare. Soprattutto le più vecchie. “Giro giro tondo”… “Ambarabà ciccì coccò”…

Cosa significavano?

Poco dopo, Gregor era al tavolo del buffet e si preparava a riempirsi il piatto quando comparve Luxa, che gli afferrò la mano. — Vieni, Gregor. Hazard dice che devi fare coppia con me per questo ballo.

— Luxa, io non so ballare, va bene? Credevo di essere stato chiaro — ribatté Gregor.

— Ma questo è un ballo facile e le parole ti dicono esattamente cosa fare. Dai, o Hazard penserà che non ti piace la sua festa — lo pregò lei.

Gregor sospirò e mise giù il piatto a malincuore. — D’accordo, ma solo per stavolta. — Lasciò che Luxa lo guidasse fino al campo. Si stava formando un altro cerchio, ma stavolta tutti avevano un compagno.

— Comincia facendomi un inchino, e poi segui solo le parole — disse Luxa. D’un tratto, la musica iniziò e Gregor si scoprì a inchinarsi come il personaggio di un cartone animato.

FORZA, SII ALLEGRO E VIENI A DANZARE.

PRENDI LA MIA MANO, NON INDUGIARE.

UNO, DUE, TRE PASSI AVANTI,

UNO, DUE, TRE PASSI INDIETRO.

GIRA IN TONDO

SU IN ALTO

CIÒ CHE PORTI POSA A TERRA.

Non se la cavò malissimo. L’ultima parte, quella del “su in alto” e “ciò che porti posa a terra” era un tantino complicata. Doveva sollevare Luxa, farla girare e rimetterla giù. Lo fece, anche se in ritardo di quattro battute rispetto agli altri, ma a quel punto Luxa sparì di colpo e lui cominciò a zigzagare lungo il cerchio, afferrando la mano tesa di un ballerino dopo l’altro, finché non si ritrovò di nuovo davanti a Luxa, sprofondato in un altro inchino.

SCACCIA LA TRISTEZZA E VIENI A DANZARE,

SE PRENDI LA MIA MANO,

LA FOLLIA VEDRAI SFUMARE.

UNO, DUE, TRE PASSI AVANTI,

UNO, DUE, TRE PASSI INDIETRO.

GIRA IN TONDO

SU IN ALTO

LASCIATI ANDARE.

Gregor ripartì e percorse ancora il cerchio. Alla terza strofa, anche se non l’avrebbe mai ammesso, stava davvero cominciando a divertirsi.

SII SPENSIERATO E VIENI A DANZARE.

STRETTI PER MANO

NON CI POTRANNO SEPARARE.

UNO, DUE, TRE PASSI AVANTI,

UNO, DUE, TRE PASSI INDIETRO.

GIRA IN TONDO

SU IN ALTO

E CIÒ CHE HAI INIZIATO VA’ A TERMINARE.

A quel punto, ogni ballerino faceva un passo indietro per un ultimo inchino al compagno o alla compagna con cui aveva danzato.

Mentre si raddrizzava, Gregor si ritrovò a fissare gli occhi viola di Luxa.

Aveva le guance rosee per tutto quel ballare. Rideva, ma non di lui.

— Sei andato benissimo — disse.

— Sì, davvero — replicò Gregor.

In quel momento, accaddero due cose inaspettate. Gregor si accorse di pensare che Luxa fosse molto carina. E una corona d’oro cadde dall’alto, atterrando sul muschio proprio in mezzo a loro.