VIII

LE MURA DI SENONES
Ottobre del 356 d.C.

L’immagine di Murrula si era come stemperata nella mente di Victor. Era passato un anno dall’ultima volta che era stato con lei, e non aveva più avuto sue notizie. Le speranze di rivederla si affievolivano un po’ di più ogni giorno, e la nostalgia prendeva il posto della visione sbiadita impressa nel suo ricordo.

«Questa città è un buco sudicio.»

Il draconarius stava rientrando da un giro di pattuglia, insieme a Filopatròs.

Il greco alzò le spalle. «Sì, ma dormiamo a palazzo e passeremo l’inverno al caldo, amico mio.»

«Ti accontenti di poco, graeculo

«Dì un po’, franco, hai bevuto veleno in questi giorni? Ti dà così noia, avere un tetto sopra la testa?»

Draco mormorò qualcosa tra sé, poi guardò il cielo carico di nuvole. «Torniamo in città, prima che si metta a piovere.»

«È meglio, anche perché il nostro Cesare ci starà già cercando, visto che ogni giorno disertano in tanti. Penserà che siamo passati con i Germani. E vista la tua razza…»

«Sono un franco, non un germano.»

«Bah, sempre barbari siete.»

«Fottiti, sodomita d’un greco.»

«Ah, quanto a fottere, forse il nostro principe sarà impegnato. Ieri è arrivata la nobilissima Elena, per cui…» Per non lasciare dubbi, Filopatròs fece un gesto osceno.

«Tu dici?»

«È sua moglie, no?» disse Corax, poi ghignò. «Certo che è brutta forte, sembra un uomo. Uno dovrebbe essere proprio affamato, per…»

Suo malgrado, Victor si lasciò sfuggire un mezzo sorriso.

«Chissà se nel codazzo di matrone che si è portata dietro c’è da combinare qualcosa di buono. Non c’è solo la legna, per scaldarsi d’inverno…»

Il franco sbuffò. «Non illuderti, quelle sono tutte nobildonne. Non ti degneranno neanche di uno sguardo.»

«Si vede che vieni da un villaggio di rozzi barbari… In una raffinata città come Antiochia, le giovani e belle aristocratiche erano meglio delle baldracche. Si sceglievano i guerrieri più forti e virili, per farsi possedere.»

«Davvero? Tu allora devi essere rimasto all’asciutto.» Victor scoppiò a ridere, mentre l’altro lo copriva di insulti irripetibili. «E comunque, qui non siamo ad Antiochia, siamo in un buco di nome Senones, in mezzo alla Gallia.»

«Da bere, almeno, non ne manca.»

«Che aspettiamo, allora?»

Rallentarono nel passare davanti al corpo di guardia, alla porta della città. Uno degli ufficiali, un grassone che si dava arie da generale, alzò il bastone rivolto a Victor. «Sei tu il draconarius del Cesare, vero?»

«Chi lo vuole sapere?»

«La strige lo vuol sapere, per venire stanotte a bersi il tuo sangue.»

Le sentinelle si misero a ridere. Victor li guardò e pose la mano sul pomo della spada. «Se è del sangue che volete vedere, posso accontentarvi subito. Allora?»

«Ehi, stavo scherzando. Volevo dirti che il Cesare ti sta cercando.»

«Grazie. Torna pure a poltrire.»

Filopatròs scosse il capo. «Lo sapevo, che dovevamo tornare prima.»

I due protectores spronarono i cavalli e raggiunsero rapidamente il palazzo. Salirono lo scalone d’ingresso e subito un servitore li chiamò.

«Il nobilissimo Giuliano vi aspetta nel suo studio.»

Victor si chiese il motivo di tanta agitazione.

Le guardie alla porta fecero loro cenno di affrettarsi. «Muovetevi, è da un pezzo che vi sta cercando.»

Entrarono nella sala, dove Giuliano era intento a dettare lettere ad alcuni segretari. Sallustio controllava la corrispondenza e un uomo canuto, non più giovane, era semisdraiato su un triclinio coperto di cuscini.

«Finalmente. Dove eravate?»

«Un giro di pattuglia intorno alle mura, Cesare.»

«Avete notato qualcosa di strano?»

I due si guardarono, sorpresi. «No, nobilissimo.»

Giuliano fece uscire i segretari. Poi sventolò una piccola pergamena sotto i loro occhi. «Ho appena ricevuto questo messaggio. Vi dice niente il nome di Apodemio?»

Victor si morse le labbra e non disse niente. Ricordava bene l’incontro nelle scuderie di Vienne, e le minacce nei confronti di Murrula.

«È una spia della rete comandata da quell’assassino sanguinario di Paolo Catena,» continuò il Cesare «un grandissimo figlio di una meretrice, come tutte le spie, del resto.»

«Così parla un Cesare» disse solenne l’uomo sul triclinio.

«Miei fedeli, vi presento Prisco, mio grande amico e acuto filosofo, appena giunto dall’Oriente. Allieterà un po’ il nostro inverno qui a Senones con il calore dei suoi ragionamenti. Prisco, questi sono Draco e Corax, i più valenti dei miei protectores

Prisco li salutò con un cenno cortese. «Il nome Corax riguarda il suo grado di iniziazione al culto mitraico?»

«Attento a come parli» disse il Cesare, sorridendo. «Filopatròs è un seguace del Nazareno. Corax viene dagli occhi neri e dal naso gonfio che gli aveva fatto Victor lo scorso inverno, per una storia di donne.»

Tutti risero. Prisco guardò Filopatròs: «Può essere un segno del destino. La vita è abbastanza lunga per darci il tempo di cambiare le nostre idee. Meglio la fine di un errore, che un errore senza fine».

«Filopatròs è convinto della sua scelta» disse Giuliano «ed è libero di professare la fede che vuole.»

«Grazie, nobilissimo.»

«Non ringraziarmi. Vedrai quando ti troverai al cospetto del Sol Invictus!» Anche il greco si unì alla risata.

«E Draco? Anche lui è un galileo?»

Giuliano mise una mano sulla spalla di Victor. «Il nostro Draco non riesce a trovare la sua strada. Ma una vecchia lo ha paragonato ad Attis e io sono sicuro che Cibele prima o poi gli mostrerà la giusta via. Vero, Draco?»

«E se forzassimo un po’ la mano alla Mater dei?» suggerì Prisco. Il tono era serio, ma nei suoi occhi c’era un che di ilare.

Giuliano annuì convinto. «Giusto. Avanti Draco, chiedi a Cibele un favore, un favore importante. Se si realizzerà, vorrà dire che forse è il caso che tu renda omaggio alla Madre degli dei.»

«Io credo solo in quello che vedo, Cesare.»

Giuliano si strinse nelle spalle. «È un peccato. Se si fissa una sola stella, si perde la bellezza dell’immensità del Creato. Me l’hai detto tu, ricordi?» Sorrise, poi srotolò la pergamena e il sorriso se ne andò. «Ma torniamo a noi» disse Giuliano. «Vi dicevo di Apodemio. Il nostro spione sarà nostro ospite per qualche giorno, con il compito di “valutare la situazione”. Significa che ficcherà il naso ovunque, per poi riferire a Florenzio, a Marcello, a Paolo Catena e ancora più su. In sua presenza, bocche cucite e occhi bene aperti. Per quanto ne so, potrebbe già avere delle spie a palazzo, anche se il mio fiuto mi dice di no.» Giuliano li guardò attentamente. «Voi sarete le mie spie. Apodemio viene a spiare noi? E voi spierete lui.»

I due protectores annuirono.

«State pronti a eseguire qualunque mio ordine.»

«Sì, nobilissimo.»

«E ora, io e Sallustio faremo visitare al nostro ospite questa amena località. Filopatròs, dai ordine di far sellare i cavalli.»

Il greco si inchinò e uscì dallo studio. Quando i suoi passi furono lontani, Giuliano si avvicinò a Victor. «Devo sapere se posso fidarmi di te, Victor. Devo sapere se sei pronto a tutto, pur di eseguire un mio ordine.»

«Puoi fidarti, Cesare. E sono pronto a tutto.»

«Apodemio è un lurido farabutto, ma in questo momento può metterci nei guai. Trattalo bene e riferiscimi qualsiasi cosa.»

Victor annuì.

«Domani sera, al banchetto per celebrare l’arrivo di mia moglie Elena, lo avrai accanto. Vedi di farlo bere, in modo che parli. Fra qualche giorno se ne andrà, ma voglio scoprire chi sono i suoi informatori qui dentro. Dovrai seguirlo, osservare come si comporta, dove va, con chi ha contatti. E tieni sempre con te il tuo scramasax

«Sì.»

«Alla tua destra, a tavola, ci sarà un posto libero. Porta chi vuoi.» Giuliano gli prese la destra e vi depose un pezzo di pergamena ripiegato. «So di chiederti molto, ma posso anche darti molto.»

Il Cesare si avviò alla porta, insieme a Prisco e Sallustio. Prima di uscire si voltò. «E approfitta del pomeriggio per riflettere sul desiderio da esprimere.»

Rimasto solo, Victor guardò il biglietto piegato. Pensò alle parole di Giuliano. Pensò ad Apodemio, a Cibele, Attis… e a Murrula. Quello era il suo desiderio, che altro?

Il rumore di zoccoli sul selciato lo riportò alla realtà. Dalla finestra al presente. Draco lanciò un’occhiata nel cortile e vide il Cesare e i suoi consiglieri avviarsi al portone d’ingresso, con Filopatròs di scorta. Poi aprì il messaggio: «Poiché so di poter contare su di te, ho fatto trasferire i tuoi effetti personali nell’ala riservata agli alti ufficiali. Il tuo posto è tra i fedelissimi, dove sono certo che starai più comodo. Fatti accompagnare dal valletto».

Victor lo rilesse, incerto, poi andò alla porta. Fuori, oltre alle due guardie, c’era un giovane valletto che gli disse di seguirlo. Attraversarono i corridoi del palazzo, entrarono in un’anticamera e il giovane si fermò davanti a una porta. «Il tuo alloggio, draconarius

Victor lo congedò e aprì la porta.

Nel vederlo entrare, Murrula soffocò un grido.

Rimasero immobili l’uno di fronte all’altra, sbalorditi. Victor l’aveva tanto desiderata che adesso era come annichilito. Era bellissima. Indossava un abito stretto in vita da una cintura, e un mantello fermato da due fibule a forma di aquila. I capelli erano raccolti in trecce unite in un complesso nodo, con un luminoso spillone in avorio.

«Murrula?»

Prima ancora della risposta, erano già stretti in un abbraccio da togliere il fiato.

«Victor, ho avuto tanta paura…»

«Quanto mi sei mancata!»

«E ora siamo insieme…»

«Sei riuscita a trovarmi.»

«Sì.»

«Dunque le mie lettere ti sono arrivate!»

Il flusso di gioia si interruppe per un attimo.

«Quali lettere?» disse lei, incerta.

Victor la guardò.

«Le mie. Ti ho mandato messaggi un po’ di volte, da quando sono qui in Gallia, ma non mi hai mai risposto.»

Murrula fece no con la testa. «Non ho ricevuto nessuna lettera. E comunque» chinò il capo, imbarazzata «non so leggere…»

Victor le strinse le spalle e sospirò. Ora capiva. Non era stato Filopatròs, a fare il nome di Murrula. In qualche occasione, quando mandava rapporti edulcorati all’attenzione di Paolo Catena, aveva affidato ai corrieri del servizio di spionaggio anche le lettere per la sua amata, chiedendo come favore che le recapitassero. Invece i bastardi le avevano consegnate a Catena e al maledetto praepositus sacri cubiculi, il gran ciambellano Eusebio. Victor aveva creduto di essere un privilegiato, e invece era ancor più sorvegliato degli altri. Un errore che sarebbe potuto costare caro a Murrula.

«Ma allora… come sei arrivata qui?»

«Mesi fa, arrivò alla locanda un ufficiale con alcuni soldati. Mi fece chiamare e mi disse che veniva da parte del Cesare delle Gallie. Mi chiese se il mio nome fosse Murrula, e se avessi frequentato un franco di nome Victor, partito per la Gallia. Mi disse di non mentirgli, perché era importante. E che se avessi mentito, avrei perso l’occasione di cambiare vita.»

«E tu, che gli hai detto?»

«Cosa dovevo dirgli? Gli ho detto che ero Murrula e che ti avevo visto due volte, certo, ma che non sapevo più nulla di te.»

«Sei stata brava. E adesso sei qui con me, è questo che conta.»

«L’ufficiale mi disse di prendere le mie cose, e diede dei soldi all’oste… per comprarmi.» La voce della ragazza si incrinò. «Il padrone voleva di più, ma ha chiuso il becco quando i soldati hanno sguainato le spade. Mi fecero salire su un carro coperto, e partimmo subito per Augusta Taurinorum.»

Il franco le versò una coppa d’acqua dalla brocca sul tavolo.

«Per tutto il viaggio ho avuto addosso gli occhi di quegli uomini. Immaginavo cos’avevano in mente, ma per fortuna l’ufficiale li ha tenuti a bada. Ad Augusta Taurinorum mi hanno affidata a un diacono che mi ha ospitata per qualche giorno.»

«Ti ha trattata con rispetto?»

«A parte dirmi di pregare ogni ora e farmi vestire di lana ruvida, vuoi dire?»

Victor sospirò. E quello era un uomo di Dio… «Dopo pochi giorni, per fortuna, c’era un convoglio che partiva per Vienne. Questa volta non ero sola, ma non conoscevo nessuno, e mi guardavano con diffidenza. Dovevo fare da aiutante a una levatrice che andava a Vienne per far partorire la nobilissima Elena, moglie del Cesare d’Occidente e sorella dell’augusto imperatore.» Murrula digrignò i denti. «Una donna odiosa, perfida. Non ha fatto altro che umiliarmi per tutto il viaggio.»

Victor le asciugò le lacrime.

«Abbiamo fatto sosta in diverse città della Gallia. Mi guardavo intorno, e ogni tanto chiedevo a quell’arpia cosa diceva la gente. Non parlavano d’altro che di guerra e altre sventure, tutti impauriti, anche al riparo delle mura. In viaggio i soldati di scorta erano sempre sul chi vive. Secondo me, in caso di attacco sarebbero scappati e ci avrebbero abbandonato al nostro destino.»

Draco non disse niente, ma era già successo. Nei convogli con una scorta esigua, spesso i soldati disertavano pur di non rischiare la vita. Per questo si tatuavano le reclute con i nomi dei reparti. Per punirle in caso di fuga e successivo ritrovamento.

«Siamo arrivati a Vienne in piena estate, circa tre mesi dopo la partenza da Mediolanum. Alloggiavo a palazzo, e come aiutante della levatrice ho assistito al parto di Elena.»

Murrula scoppiò in un pianto convulso.

«Su, coraggio.» Victor l’accarezzò. «È stata una disgrazia, ma contro il destino…»

«Non è stata una disgrazia.»

Il franco la strinse forte al petto. «Parla piano, mia dolce amica» le sussurrò all’orecchio «qui anche i muri hanno orecchie. Il bambino è nato morto, non è così?»

Murrula gli si aggrappò, e lui sentì la disperazione nella voce, un filo pronto a spezzarsi. «No, Victor. Il bambino era vivo.» Un singhiozzo. «Ma lei lo ha ucciso.»

Lui la fissò, gli occhi sbarrati. «Cosa?»

«La levatrice ha ucciso il figlio del Cesare.»

Draco scosse il capo, incredulo. «Ne sei sicura?»

La ragazza annuì. «Il bambino respirava. Lei ha… ha visto che era un maschio e… e lo ha soffocato.» Murrula scoppiò di nuovo a piangere. «Non sono riuscita a fermarla Victor, non ho potuto!»

«Calma, ti prego, calma.»

«Già durante il viaggio mi aveva minacciata, dicendo che dovevo ubbidirle e tenere la bocca chiusa, o era peggio per me. Ho avuto tanta paura, perché ho visto che aveva contatti con dei corrieri, e anche i soldati la temevano. Pensa che l’ho vista intrattenersi anche con un alto funzionario, che mi hanno detto essere il prefetto di Vienne. Una semplice levatrice… Com’è possibile?»

«Il prefetto? Un uomo di nome Florenzio?»

«Sì, Florenzio, un uomo odioso, che dopo aver parlato con lei mi guardava come se fossi un pezzo di carne da mettere arrosto…»

Un agens in rebus, una spia, altro che “semplice levatrice”. Catena aveva bisogno di arrivare ovunque, e non avrebbe potuto mettere uno dei suoi sicari accanto a Elena che partoriva. Ma chi poteva sospettare di una levatrice? Il Divino Costanzo non era ancora riuscito ad avere figli, e visto l’ascendente che il giovane Cesare si stava conquistando, il suo erede maschio poteva diventare il futuro imperatore di Roma. Motivo sufficiente a spiegare un delitto così mostruoso.

«L’ho vista soffocare il piccolo come vedo te adesso. Non so se si è accorta che l’ho vista, perché ho subito abbassato lo sguardo.»

«Eravate sole?»

«Le altre aiutanti si stavano occupando della madre, e non hanno visto nulla.»

A Draco vennero i brividi. Chissà se era stata Cibele a evitare che Murrula facesse la stessa fine dello sventurato figlio di Giuliano.

«La settimana dopo, poco prima di ripartire alla volta di Mediolanum, sono stata convocata da un gentile eunuco di nome Euterio. Mi ha detto che dovevo rimanere a Vienne, nascosta, ma di non avere paura, perché ero sotto la protezione di Flavio Claudio Giuliano. Non appena l’esercito fosse rientrato dalla spedizione a Colonia Agrippina, sarei partita per venire da te.»

«Un eunuco gentile e buono? Sarebbe il primo che sento…»

«I Germani lo catturarono che era ancora bambino, lo evirarono e lo vendettero ai Romani. È cresciuto alla corte di Costanzo, dove lavora, ed è stato lui a darmi abiti e gioielli adatti a comparire al cospetto del Cesare d’Occidente.»

Victor le asciugò con delicatezza un’ultima lacrima.

«Dopo qualche tempo è arrivato a Vienne un greco, un uomo cortese e molto istruito, ed Euterio mi ha affidata a lui. Sono arrivata qui grazie al greco e alla sua scorta, ancora una volta nascosta per tutto il tragitto. E questa mattina, finalmente, siamo giunti qui a Senones.»

Il franco la strinse di nuovo, come se volesse accertarsi che non era un sogno. Poi la guardò negli occhi. «Ascoltami bene, Murrula. Di quello che mi hai detto, specie del figlio del Cesare, non devi far parola a nessuno. Hai capito bene?»

«Ho capito, Victor. Dunque, neppure qui siamo al sicuro?»

Draco scosse il capo. «Purtroppo no, Murrula, o almeno non del tutto. C’è una cappa di sospetti che aleggia un po’ su tutti, e ci sono spie e informatori ovunque: spie dell’imperatore, spie di Catena, gente pronta ad accusare chiunque capiti, se occorre, anche se è innocente. Ogni volta che incontro qualcuno, lo guardo in faccia e mi chiedo se è un amico o un nemico.»

Lei lo strinse, e Victor si chinò a baciarla con dolcezza.

«Cosa c’entriamo noi con tutti questi intrighi?»

«Forse niente.»

«Allora andiamo via, scappiamo.»

«Non posso, Murrula.»

«Perché no?»

Victor si staccò da lei e andò alla finestra, da cui entrava un filo di sole. Il franco tese la mano, come a toccarlo. «Perché in mezzo a tanto marciume, mi è parso di vedere… una luce. Qualcuno in cui vale la pena aver fede.»

«Parli di un dio?»

Victor accennò un sorriso mesto. «Gli dei hanno altro da fare, che occuparsi di me.»

«Non bisogna mai smettere di sperare.»

Il franco si voltò. La bellezza di lei lo incantava. Le sfiorò il viso con la punta delle dita. Non avrebbe dovuto dubitare anche di Murrula, in fondo? Non avrebbe potuto essere anche lei una agens in rebus di Catena, e la storia del bambino una trappola per metterlo alla prova? Quegli occhi verdi in cui era pronto a perdersi erano la porta della felicità o la via della dannazione?

Non aveva una risposta. Ma sapeva di volerla, e per questo era disposto ad affrontare qualunque pericolo. «Ho chiesto di poterti rivedere, e sono stato esaudito. Oggi, questa grigia città sembra un giardino imperiale.»

«Dunque gli dei si occupano di te.»

Victor pensò a Giuliano. «Se è così, che siano ringraziati.»

La pioggia autunnale aveva preso a scendere con forza, e il Cesare e il suo piccolo seguito tornarono a palazzo fradici. Giuliano entrò nel suo studio, seguito da un codazzo di servitori che volevano asciugarlo, e si trovò di fronte Victor.

«Che fai ancora qui, protector? Per quanto tu sia coraggioso, non puoi difendermi dai malanni dell’umidità.»

Il franco gli si inginocchiò davanti e gli baciò l’anello. «È accaduto un miracolo, Cesare.»

Giuliano sorrise. «Lo so. Ringrazia Cibele, che ha un tale potere sugli eventi.»

«Preferisco ringraziare l’uomo che lo ha reso possibile.»

«Noi non siamo nulla senza gli dei, Draco.» Congedò con un cenno i servitori. «Alzati e aiutami a mettere una tunica asciutta, poi ti mostrerò una cosa.»

Victor slacciò il corpetto di cuoio del Cesare, grondante di pioggia, e lo aiutò a toglierlo.

«È bella come quando l’hai lasciata?»

«Molto di più, nobilissimo.»

«Bene. Ancora non ho avuto il piacere di vederla, ma spero di rimediare presto.»

«Come posso mostrarti tutta la mia gratitudine, mio Cesare?»

«Vedrai che non ti mancherà l’occasione» disse Giuliano, con un sorriso serafico.

«Permettimi almeno di rimborsarti ciò che hai speso.»

«Sono carico di debiti, Draco, qualche solido in più o in meno non fa differenza. Quella donna è tua, è un mio regalo. Ti chiedo solo di non farle condurre la vita che ha condotto finora. Non tollero che si pratichi la prostituzione, nel mio seguito.»

«Su questo hai la mia parola.»

«Bene. Quanto al resto, decidi tu se vuoi farne la tua schiava, o la tua sposa. In ogni caso, visto che sarà gradita ospite qui a palazzo, credo che dovrebbe lasciar perdere quel nome o nomignolo da Suburra. Trovale un bel nome latino, o greco… o meglio ancora della sua terra. Da dove viene?»

«Da Aquincum, in Pannonia.»

«Mmm, le terre del Danubio» disse il Cesare, con un’espressione di apprezzamento. «Quadi, Sarmati, Iagizi… gente fiera e forte, che ci ha sempre fatto sudare sangue. Un po’ come voi Franchi, insomma.»

Draco fece per sorridere, ma si trattenne. Non era il momento.

«Bene, ora che mi hai ringraziato, perché non vai a tenere compagnia alla tua bella amica? Non vorrai che si senta sola, con tanti baldi soldati in circolazione…»

«C’è un’altra ragione per cui sono qui, nobilissimo.»

«Di che si tratta?»

«Ecco, si tratta… di tuo figlio, Cesare.»

Intento ad asciugarsi con un telo, Giuliano si bloccò. Poi riprese a strofinarsi, lentamente, come se stesse riflettendo. «Sai che è un argomento doloroso, per me. Perché vuoi riprenderlo? Che altro c’è da dire?»

«Murrula mi ha detto che… che ha assistito al parto della nobilissima Elena, tua sposa, come aiutante di una levatrice con cui ha viaggiato da Mediolanum a Vienne.»

Giuliano annuì. «L’imperatrice Eusebia ha insistito per far assistere la sorella da una levatrice del palazzo imperiale.»

«Capisco. Vedi, Cesare, Murrula pensa che la levatrice non… non ha fatto il suo dovere, con tuo figlio.»

«Lo pensa anche Elena, se è per questo. Si è addirittura convinta che quella donna gliel’abbia ucciso.»

Victor rimase di sasso. Questa non se l’aspettava.

Il giovane aveva finito di cambiarsi, e si stava asciugando i capelli. «Non ha prove, ma lo sente in quanto madre.»

«La nobilissima Elena ha ragione, Cesare. Tuo figlio è stato ucciso.»

Giuliano lo fissò come se fosse un fantasma. Andò alla finestra, e rimase per un po’ assorto nei suoi pensieri, come ad ascoltare lo scrosciare della pioggia. «Ogni giorno mi chiedo perché Helios ha scelto proprio me, per una simile prova. Perché pensa che sono così forte da superare qualunque ostacolo? È come se gli dei amassero giocare con i nostri destini, Victor. Noi tutti, piccoli e grandi uomini, rientriamo nel loro disegno. Saremmo qui, ora, se non fossero esistiti Giulio Cesare, Ottaviano Augusto, Marco Aurelio? E dove saremmo, senza Costantino il Grande e il suo maledetto sogno?»

Il franco chinò il capo, in silenzio.

«Ma i grandi hanno il potere di mutare il destino dei piccoli. E i forti possono mutare il destino dei deboli.» Giuliano si rivolgeva al suo protector, ma era come se parlasse a sé stesso. «Ma i deboli possono diventare forti, e far tremare chi si credeva più forte di loro. Forse perché così è scritto nel disegno degli dei… Cosa sarebbe successo, se quel bambino fosse cresciuto? Forse sarebbe diventato un imperatore. Costanzo non ha ucciso un bambino. Ha eliminato un potenziale pericolo futuro, ha spazzato via un ipotetico pretendente al trono. Dal suo punto di vista ha senso, ne ha già eliminati tanti. Peccato che fosse mio figlio…»

Draco scosse la testa, come a scacciare il disgusto che gli saliva in gola, come un acre reflusso.

«Elena piangeva, nel dirmelo. Sai, ogni volta che la guardo mi rammento che è la sorella dell’uomo che ha sterminato la mia famiglia. La guardo, e mi chiedo se gli occhi che mi guardano sono di mia moglie, o se sono quelli di Costanzo che mi controllano, scavano dentro di me, nelle mie carni, nel mio spirito.» Giuliano sorrise, ma era un sorriso amaro. «Forse è per quello che si è rassegnata a seguirmi in questa Senones dal cielo grigio, lei che ama tanto Roma e la sua villa sulla Nomentana, baciata dal cielo azzurro. Perché gliel’ha ordinato suo fratello, che vuole tenermi costantemente sotto controllo…»

«Sono certo che ti è devota, mio Cesare» disse Victor, imbarazzato.

«Dici? Un sacerdote dev’essere devoto, qualunque sia il dio che prega. Una moglie dovrebbe amarti, darti amore, capisci? Ma come può darmi amore, se io stesso non so cos’è, l’amore per una donna? Uno di questi giorni, dovresti spiegarmi esattamente cosa si prova.»

Il franco fece una smorfia. «Io?»

«Sì, Draco. La notte in cui ti feci uscire dal carcere, ricordi? Quando pronunciasti il nome di Murrula, vidi una luce nei tuoi occhi. Quello è amore: una scintilla di luce in un deserto. Il sentimento più puro che sia mai stato creato.» Il principe si alzò in piedi e strinse i pugni: «Quella scintilla va difesa e custodita, perché è la luce che puoi trasmettere ai tuoi figli. Non so se sarei stato un buon padre, ma a mio figlio avrei insegnato che con l’amore e la fiducia la vita può essere meravigliosa. Avrei cavalcato con lui dopo aver liberato queste terre e mi sarei sentito parte dell’universo. Un figlio è il futuro, è il tempo che ti spalanca le braccia e fa dell’esistenza stessa un cerchio senza fine. È l’immortalità».

Lacrime, negli occhi del Cesare. «Lui era debole. E io non ero là a proteggerlo.»

Il draconarius era impietrito davanti a quel dolore. Avrebbe voluto conoscere le parole adatte a un simile momento.

«Helios mi ha negato l’immortalità, quindi la mia vita è una prigione con un’unica via di uscita: la morte violenta.»

«Prima di morire, però, possiamo ancora lottare…» disse il franco.

«Per cosa, protector? Per allargare ancora un po’ i possedimenti di Costanzo?»

«No, Cesare. Per far accadere altri prodigi.»

Giuliano sentì un nodo alla gola, mentre Victor gli tendeva la mano. «Così tu credi nei prodigi, Draco?»

«Da oggi sì, mio Cesare.»

Giuliano fissò il suo protector. «Voglio farti vedere una cosa. Ma devi giurarmi solennemente che non ne farai parola con alcuno.»

Draco ripeté la formula che Giuliano gli fece recitare, fatta di parole sconosciute e gesti mistici.

«Seguimi» disse il giovane.

Scesero al piano terra, e il Cesare accese una lampada a olio, per poi varcare una porta e scendere altre rampe di scale anguste, fino a penetrare nelle viscere del palazzo. Percorsero un corridoio che finiva davanti a una porticina chiusa. Il giovane la aprì, con una chiave che teneva nascosta su di sé.

Nell’atmosfera ovattata, la fioca luce della lampada illuminò una minuscola cripta dalle volte ribassate. Giuliano accese alcune torce, e dal buio apparve un altare ornato da un bassorilievo, che raffigurava un ragazzo nell’atto di uccidere il toro. Erano in un mitreo, uno di quei luoghi segreti dove si onorava il dio Mitra.

«Siedi, Victor.»

Il protector prese posto su un triclinio accanto all’altare. Si guardava intorno smarrito. In quel piccolo spazio aleggiava una forza che lo metteva in soggezione. Aveva sentito parlare di culti misterici, ma non aveva mai visto un mitreo.

«Cosa sai di Mitra?»

«So che era venerato dai soldati delle legioni, nobilissimo.»

«Sai perché?»

«No.»

«Il suo culto, in Oriente, si perde nella notte dei tempi. Il dio nasce quattro giorni dopo il solstizio d’inverno, nel venticinquesimo giorno del mese di dicembre, da una pietra. Nasce con una daga in una mano, una fiaccola nell’altra e un berretto frigio in capo. Nasce per sconfiggere il male cosmico e salvare l’umanità. La sua è una vita eroica, durante la quale soggioga il sole per accordarsi con lui e ricevere una corona luminosa, e viene sempre raffigurato nell’atto di uccidere il toro sacro. La vittoria dell’ordine sul caos, dei giusti sui malvagi. Ecco perché è adorato dai soldati.»

«Il berretto frigio? Vuoi dire che si usava laggiù?»

«Sì, lo portavano i sacerdoti adoratori del sole nell’antica Frigia. Era ricavato da un’unica pelle di capretto. Le zampe posteriori si legavano al mento e quelle anteriori ricadevano sulla fronte. In seguito si è persa l’usanza di usare la pelle, ma la forma è rimasta la stessa.»

«Capisco.» “Ancora la maledetta Frigia” pensò Victor.

«A Roma lo chiamavano pileus e veniva dato dai padroni agli schiavi liberati, perché fossero riconosciuti come tali. Per questo è simbolo di libertà.»

Victor annuì, sperando che la luce incerta celasse il suo turbamento. Prima della sacerdotessa di Vienne non aveva mai sentito nominare la Frigia, e ora continuava a incontrarla. E ogni volta, provava un brivido di paura.

«Per poter accedere al culto di Mitra è necessaria un’iniziazione che procede per gradi. Vedrai, sarà come svegliarsi da un lungo sonno in cui hai passato tutta la vita, ed entrare in una nuova e profonda esperienza. Lascerai il tuo corpo mortale per diventare un guerriero di luce.»

Giuliano, pieno di mistico trasporto, lo aveva preso per un braccio, ma negli occhi di Victor c’era un misto di smarrimento e di rifiuto.

«Che ti succede, franco? Non hai paura di combattere, e hai paura della luce? Vuoi volare libero da tutto, o rimanere ancorato alle cose terrene? Non vuoi sentirti parte dell’universo?»

Victor scosse il capo. Troppe domande cui non sapeva rispondere.

«Ma come puoi vivere senza Dio?»

«Finora ci sono riuscito.»

Il Cesare accentuò la stretta sui muscoli irrigiditi dalla tensione. «È come perdere la bellezza del Creato.»

«Io l’accetto così com’è, Cesare. Senza chiedermi altro.»

«E non pensi che tutto ciò non può essere solo frutto del caso?»

«Io non lo so, e non m’importa. Perché dovrei passare la vita a farmi domande a cui non so rispondere? A che mi serve sapere se la mia strada l’hanno scelta gli dei, o dipende solo dal caso? Le cose stanno così, e basta. Agli dei la loro vita, a me la mia.»

«Ti senti davvero tanto forte? Non sei che un granello di sabbia nell’universo.»

«È vero, sono un granello di sabbia, confuso nella terra ai piedi di un grande albero. A che mi serve sapere cosa accade lassù, sulla cima della chioma?»

Giuliano gli lasciò il braccio, stizzito. «Credevo che tu fossi un puro, un illuminato.»

«Non ho bisogno di un dio per essere un puro.»

«Sì, invece!»

«No! Io non faccio doni agli dei per ottenere favori, e non chiedo perdono dopo avere ucciso. Io sono Victor, figlio di Klothar di Merseen, e sono io, con o senza dio!»

Si rese conto di aver alzato la voce, ma Giuliano non pareva offeso. Il Cesare indicò l’altare. «Questo avrebbe potuto rafforzare la fiducia che entrambi riponiamo nell’altro, protector

«C’è bisogno di credere nello stesso dio, per fidarci gli uni degli altri?»

«Per me sì, Draco.»

«Spero allora che questo dio sia capace di avvicinarci, invece che dividerci.»

«Mitra protegge solo i giusti.»

«Cercherò di essere un giusto, nobilissimo. E se dovrò dare la mia vita per dimostrarlo, lo farò.»

Il Cesare annuì, ma non disse più nulla.

La guarnigione era radunata nella piazza principale di Senones, nell’antica piazza del foro. Un porticato delimitava il vecchio “macellum”, il mercato, mentre l’edificio imponente sul lato corto era l’antico pretorio, ora trasformato in basilica. Al centro della piazza era stata allestita un’ampia tenda aperta su un lato, e al riparo della tenda un lungo tavolo. Qui sedeva Giuliano, insieme ad alcuni funzionari. Era giorno di paga e la consuetudine voleva che fosse il comandante in capo, a distribuire il soldo.

Un centenarius leggeva da una pergamena i nomi dei soldati. Uno alla volta si presentavano al tavolo, dove un funzionario prendeva da un forziere le monete e le contava di fronte al militare. Un contabile riportava la cifra su un registro, e Giuliano stesso spingeva le monete verso il soldato. Questi ringraziava, tracciava un segno a mo’ di firma sulla pergamena e se ne andava contento.

Oltre alla truppa della guarnigione doveva essere pagato chiunque fosse aggregato a essa, anche temporaneamente.

Quel giorno era il caso di Apodemio, l’agens in rebus di Catena, e dei suoi sgherri.

La loro presenza aveva creato nervosismo tra i soldati. Era prassi che gli agenti del grado di Apodemio si facessero riconoscere, per far notare che era in corso un controllo diretto da parte dell’imperatore. Una sorta di occhio vigile che non si nascondeva, e a cui nulla sfuggiva. Grazie anche ai referendari che operavano nell’ombra, in segreto e ignoti a tutti tranne che ai vertici. Uomini come Victor.

Apodemio si presentò al tavolo con un sorriso untuoso. Giuliano diede uno sguardo alla pergamena del funzionario alla sua sinistra. L’uomo rilesse due volte l’importo, prima di attingere al denaro nel forziere. Le monete dovute erano così tante da non poter essere impilate. Giuliano accennò una smorfia di disprezzo, che non sfuggì all’occhio acuto dell’agens.

«È una bella cifra, Cesare, ma me la sono guadagnata» disse Apodemio, mentre si affrettava a far sparire il denaro nella borsa.

«L’uso prevede che sia io, a consegnartele.»

Apodemio accentuò il sorriso, attento a celare il sarcasmo. «Ti ho risparmiato la fatica, nobilissimo.»

Giuliano lo fissò con durezza. «So che quelli come te non si fanno scrupoli, a prendere senza chiedere. Che si tratti di monete… o di vite umane.»

L’altro smise di sorridere. «Facciamo ciò che richiede la nostra missione. Ne abbiamo l’autorità, lo sai.»

«Lo so. Resterai per molto, qui a Senones?»

«Il tempo necessario ad assicurarmi che la tua incolumità sia garantita, nobilissimo. L’imperatore ti avrebbe preferito a Remi.»

«A Remi c’è quel buono a nulla di Marcello, che occupa il palazzo più bello della città. Non c’era posto per entrambi.»

«Per la simpatia e il rispetto che ho nei tuoi confronti, nobilissimo, non riferirò questo commento. Ma è pericoloso dir male di chi ricopre certe cariche. Specie se è stato scelto dal Divino Augusto in persona.»

Giuliano ignorò la velata minaccia. «Hai ragione. Il consiglio vale anche per te.»

L’agens in rebus si offuscò. «Io non ho mai…»

Il Cesare lo interruppe. «Questa sera ci sarà un banchetto in tuo onore. Una cena frugale, purtroppo, visti i miei mezzi. Ma mi rendo conto che l’imperatore non può pensare a bazzecole come il mio appannaggio, con tutti i soldi che deve spendere per i vostri costosi… servizi.»

Apodemio chinò appena il capo.

«Se ti occorre qualcosa, il mio protector è a tua disposizione.»

Victor emerse dall’ombra della tenda, dov’era rimasto vigile e silenzioso.

Apodemio accennò un saluto cui il franco rispose appena, impassibile. Entrambi ricordavano bene il loro ultimo incontro.

Giuliano percepì l’ostilità tra i due, ma non era il momento di indagare. «Il prossimo» disse all’ufficiale che faceva l’appello.

Victor condusse Murrula al banchetto. Nell’attraversare i corridoi del palazzo, la coppia non passò inosservata.

La ragazza indossava uno degli abiti che le aveva procurato l’eunuco Euterio: una lunga tunica stretta in vita da una catena d’oro, coperta da un mantello in lana rossa chiuso da due fibule in argento sul petto. Aveva i capelli raccolti in una crocchia da cui scendevano due boccoli e portava un paio di orecchini in oro. Dietro l’aspetto da nobildonna, covava in lei la paura di essere del tutto fuori posto. Victor le strinse con dolcezza la mano, in segno di incoraggiamento.

Nella sala dei banchetti, le altre donne di corte li guardavano curiose, pronte a lanciarsi in qualche pettegolezzo sul nuovo franco che saliva di rango al seguito di Giuliano.

«Finalmente.»

Victor si volse.

«Credevo dovessi vegliare su di me, valente protector» disse sferzante Apodemio. Portava un’elegante tunica e aveva in mano una coppa di vino.

«Non temere, c’è sempre qualcuno che ti tiene d’occhio, sia qui che fuori» ribatté Draco. «Non vogliamo certo che ti capiti qualcosa di brutto.»

Apodemio stava per replicare, poi osservò meglio la donna accanto al franco. Stupito, accennò un sorriso di saluto.

Victor notò subito il ghigno dell’agente. Poi vide che Murrula, pallida in viso, aveva abbassato lo sguardo.

«Portami via Victor, ti prego.» La sua voce era un tenue sussurro.

Mentre il draconarius cercava di capire, apparve Sallustio.

«Quali oscuri intrighi ti portano qui, Apodemio?»

Lo spione esibì il suo solito marchio di ipocrisia. «Solo i miei doveri verso l’imperatore, generale. Mi dicono che a corte si sente la tua mancanza, da quando ti sei dedicato al Cesare.»

«Sono lieto di poterlo aiutare.»

«Certo, certo, purché ricordi sempre a chi devi fedeltà prima di ogni altro, illustre Sallustio.»

Il vecchio stratega ignorò la minaccia e si rivolse a Murrula. «Avevo sentito dire che era sbocciato un fiore, qui a palazzo, un fiore di nome…»

La ragazza accennò un timido sorriso. «Il mio nome è Suana.»

«Che suono armonioso» disse il generale, ammiccando a Victor.

«Nella lingua dei Sarmati significa “cigno”» aggiunse Victor.

Apodemio annuì. «Un animale dalle carni prelibate. Pare che a Mediolanum ne vadano molto ghiotti.»

Un servitore annunciò l’arrivo del Cesare, e l’interruzione dissipò per il momento la tensione.

Il banchetto non aveva lo sfarzo di quelli che si tenevano a Mediolanum o almeno nella più ricca Remi. Giuliano era ormai famoso per la sua parsimonia. Viveva al freddo, mangiava con i soldati e non amava i ricevimenti. Quella sera, tuttavia, la sala era stata scelta e apprestata con cura. Il raro stibadium, sorta di divano in muratura, aveva al centro una vasca ed era coperto di cuscini in seta porpora. Il Cesare occupava il posto all’estrema destra, e con lui i notabili del luogo; gli altri invitati erano stati collocati nell’ampio spazio della coenatio, la stanza da pranzo.

Tutti i personaggi di spicco della piccola Senones erano accorsi al banchetto, sperando di ingraziarsi la fiducia del Cesare. Giuliano aveva celebrato alcuni processi applicando la legge con senso di giustizia e rettitudine, e i funzionari locali lo tenevano in grande considerazione.

I servitori cominciarono a servire le vivande.

«E bravo il nostro Victor» disse Apodemio tra i denti, come hai fatto a far arrivare qui la tua… amica?»

«Forse la confondi con un’altra donna» rispose il franco, a bassa voce.

L’altro ghignò. «Non credo proprio, amico mio» mormorò l’agens in rebus. «La bella Murrula è piuttosto nota, a Mediolanum. Fa la puttana in una taverna sudicia, nei pressi del porto.»

Victor sentì il sangue montargli alla testa. «Ti ripeto che ti sbagli, Apodemio.»

«No, Victor. Il mio lavoro non prevede gli sbagli. Così, quando ho capito che ti interessava, ho voluto accertarmi di persona che stesse bene.» Apodemio si voltò e gli strizzò l’occhio. «Avevi ragione, ne valeva la pena. Tant’è che ci sono tornato… Parecchie volte.»

Ebbero inizio le musiche delle danze pirriche. Draco notò che Suana, sempre più pallida, non aveva toccato cibo. «Non hai fame?»

«Quell’uomo è malvagio, Victor. Credimi, senza bisogno che ti dica dell’altro.»

Il franco le prese la mano. «Non ti farà più del male.»

Apodemio sorrise. «Sei stato ingenuo a dare quelle lettere ai miei uomini, Victor. Noi controlliamo tutto. Però sei stato in gamba a portarla via, e io apprezzo gli uomini in gamba.» L’uomo tracannò una coppa di vino. «Per dimostrartelo, invece di punirti, ti offro un generoso accordo.» Avvicinò le labbra all’orecchio di Victor. «Preparami un bel rapporto, uno vero, non le sciocchezze che mi hai mandato finora. Credevi che non lo capissi? Voglio un rapporto su certi antichi dei che è vietato adorare, su turpi sacrifici a idoli orientali, e che ci siano i nomi: il Cesare, naturalmente, e magari anche Prisco e Sallustio, e quel cane di Nevitta, che sono tutti sulla mia lista nera… Può andar bene anche una pergamena con la firma del giovanotto, poi ci penseremo noi a fargli “dire” qualcosa che serva allo scopo. Con Silvano funzionò alla perfezione.»

Victor rivide la scena dell’esecuzione di Claudio Silvano, nella basilica di Colonia Agrippina. Il generale non era un traditore. Era stato incastrato dagli agenti di Catena. Cercò di riflettere alla svelta sul da farsi.

«Il rapporto me lo farai consegnare stanotte dalla tua bella, eh? Ho bisogno di farmi scaldare un po’ il letto… ma non temere, domani me ne vado e te la lascio tutta, insieme al solito compenso.» Apodemio diede un morso all’arrosto di maiale. «Alla prima occasione diserti e te ne vai con il tuo gruzzolo. Il povero Cesare avrà altro a cui pensare, che darti la caccia, te lo garantisco.»

Il protector si chinò a prendere un pezzo di formaggio, per nascondere lo sguardo carico di odio. Masticò il boccone come se fosse il cuore di Apodemio.

«Oppure puoi rimanere qui, far finta di niente e appena avremo tagliato qualche testa, avrai un nuovo incarico. Che ne dici?»

Victor bevve un sorso di vino. Aveva riflettuto, e aveva deciso. «La proposta è interessante» disse poi, pacato «ma ora senti la mia.»

«Sentiamo.»

«Domani all’alba te ne vai alla svelta, zitto e buono.»

Apodemio trasalì. «Cosa?»

«E ti scordi di quel rapporto. E anche di Suana.»

«Sei impazzito?»

«Oppure puoi rimanere qui, e io ti ammazzo.»

Le sue parole furono coperte dai musici, ma l’agente le sentì scivolare nell’orecchio, come un veleno freddo.

«Non sto scherzando.»

Apodemio abbassò lo sguardo. La lama dello scramasax del franco era apparsa come per magia.

«Ti prendo per i capelli e ti taglio la gola, qui, adesso, davanti a tutti.»

L’agente lo guardava interdetto, la bocca aperta piena di cibo.

«Te lo immagini? Il tuo sangue che schizza ovunque, i commensali che urlano, i musici che smettono di suonare… e tu che ti svuoti come un otre di vino. Poi ti stacco la testa e la metto sul vassoio, al posto di quella del maiale.»

«Sei pazzo, Victor!»

«Zitto, lurido pezzo di merda. Zitto, o lo faccio sul serio. In questo momento la tua vita non vale una misera moneta di rame!»

L’agente lo guardava come un fantasma. Nessuno lo aveva mai minacciato. Era lui, quello che minacciava.

«Pazzo o no, sei un uomo morto, Victor. Sei solo, e ti sei appena fatto un nemico che ne vale mille.»

«Bene, vorrà dire che sgozzando te, ne sgozzerò mille. Un po’ di pulizia nelle fogne.»

«Figlio di un cane. Tu non capisci cosa…»

La lama si mosse appena. «No, tu non capisci che stai camminando sull’orlo di un precipizio, dove posso spingerti tra un istante. Adesso, per cominciare, dammi i soldi che hai preso oggi, offendendo il Cesare.»

«È questo che vuoi? I soldi, eh?»

«Non sono per me, carogna. Sono per Suana, perché possa risarcire un po’ la sua amica Murrula per ciò che ha dovuto soffrire per mano di un serpente schifoso.»

«Pagherai anche per queste offese» ringhiò Apodemio, ma tolse dalla cintola la borsa rigonfia e la passò a Victor.

Il franco fece un cenno a Giuliano, che assentì.

«Muoviti» disse Victor all’agens in rebus.

Il franco lanciò una muta rassicurazione a Suana, poi si alzò e spinse avanti Apodemio. Uscirono dalla sala e raggiunsero un piccolo studio in fondo al corridoio.

Pochi attimi dopo, la porta si aprì per far entrare il Cesare, seguito da Sallustio e Prisco.

Victor gli diede i soldi, e Giuliano fulminò Apodemio con un’occhiata. Poi gli lanciò la borsa.

«Riprendi il tuo compenso, spia.»

«Voglio sperare, nobilissimo, che punirai il tuo protector come merita, per questo furto.»

«Vorrei proprio punire qualcuno, ma non un ladro. Preferirei una spia, un assassino.»

Apodemio scrutò il Cesare, inquieto. Sembrava presiedere un tribunale.

«Non crederai alle sue menzogne, spero.»

«Perché non dovrei credere che hai cercato di corromperlo, per avere prove false contro di me?»

«Io, nobilissimo? Mai e poi mai, lo giuro.»

Giuliano rise. «Come suona male la parola “giuro” sulla tua bocca, Apodemio.»

«Cesare, io devo vegliare sulla sicurezza, come puoi pensare che…»

«No, tu devi vegliare che ogni possibile rivale del nostro amato imperatore non faccia di testa sua, ad esempio riconquistando, con un pugno di uomini, le terre perse da un branco di paludati incapaci.»

«Una grande impresa, che a corte ha ricevuto grandi lodi…»

«Non ne dubito» sibilò Giuliano. «Se un giorno le cose dovessero cambiare, sarà finita per quelli come te.»

«Noi eseguiamo solo gli ordini dell’imperatore.»

Giuliano andò verso di lui e lo spintonò bruscamente.

«No! Voi avete talmente bisogno di scoprire sempre nuovi complotti che ve li inventate, e costruite menzogne che si trasformano in patiboli per le vostre vittime! Tu, Apodemio, e tutti quelli come te, siete il cancro dell’impero!»

«Dovrò riferire queste gravi affermazioni al Divino Augusto, nobilissimo.»

«E io farò riferire ciò che ho appreso questa sera.»

«La mia parola contro quella di un franco rinnegato? Ridicolo.»

«Forse, Apodemio, ma attentare alla vita di un Cesare significa un’accusa di alto tradimento. Potrei farti arrestare subito.»

«Cosa?»

«E farti condannare a morte. Ti sembra ridicolo anche questo?»

Apodemio esitò, poi si mise a ridere. «La mia parola ha comunque più peso della sua… E anche della tua, mio Cesare» concluse spavaldo.

Giuliano afferrò Apodemio per il collo e lo scaraventò a terra. L’agens cercò di rialzarsi, ma Draco fu pronto a mettergli un piede sul petto. «Forse a Mediolanum» disse il Cesare «ma qui siamo lontani, da Mediolanum.»

Apodemio guardò il Cesare e il draconarius, e ciò che lesse nei loro occhi non gli piacque. Si rivolse a Prisco e Sallustio, che osservavano in silenzio. «Voi siete testimoni» gridò «sono stato assalito.»

Victor spostò ancora di più il peso su Apodemio, che emise un grido rauco.

«Veramente» disse Sallustio «io sono ancora senza fiato, dopo aver appreso che un inviato dell’imperatore, accolto con tutti gli onori, stava complottando per far uccidere il Cesare delle Gallie. Spero che sarà punito come merita.»

Apodemio sbarrò gli occhi.

«Quanto a me» sospirò Prisco «non ho visto bene, ma se il mio Cesare, un generale di provata fiducia e un draconarius mi dicono di aver sventato un pericoloso complotto, non ho motivo di dubitarne, né di chiedere clemenza per il colpevole.»

Dal volto della spia sparì ogni traccia di arroganza. «Questa è una trappola» farfugliò, con il piede di Victor sul petto. «Voi… non potete…»

«Sì che possiamo» sibilò Giuliano. «Avete fatto lo stesso con mio fratello, non è così? Decapitato prima che arrivasse la condanna a morte ufficiale.» Il Cesare si chinò sull’agente. «Tu eri presente, lo so. Hai dato l’ordine al boia e poi hai portato la notizia alla corte di Mediolanum.»

Apodemio ansimò. «Ho solo eseguito gli ordini, lo giuro!»

«Smetti di giurare il falso. Non è stato un atto di giustizia, è stato un omicidio.»

«Ma la condanna…»

«La condanna non era ancora stata emessa.»

Giuliano lo osservò freddamente. Il volto di Apodemio era paonazzo. Il Cesare si alzò, e fece cenno a Victor di spostarsi. «Prendi i tuoi scagnozzi e vattene subito, Apodemio. Vattene, e non farti più vedere. La prossima volta non sarò così magnanimo.»

L’agente segreto si rimise in piedi, si rassettò la tunica e uscì, lasciandosi dietro l’odore della sua paura. E del suo odio.

«Bene,» disse Prisco «abbiamo un patibolo che ci attende. Prima o poi doveva succedere.»

Giuliano si lasciò cadere su una sedia. «Ho perso il controllo» disse dopo un po’. «È come aver dichiarato guerra a Costanzo.»

«Mandiamo un messaggio urgente all’imperatore» disse Sallustio «perché sappia la nostra versione dei fatti.»

«È inutile» disse Victor «tutta la posta viene intercettata dalle spie di Eusebio.»

«Ne sei certo?»

«Tutti i messaggi che ho scritto a… a Suana, l’anno scorso, sono caduti nelle mani di Apodemio. Ha minacciato lei, per ricattare me.»

«Non potevi ammazzarlo subito? Un fastidio di meno.»

«Volevo farlo, ma c’era altra gente. Dammi l’ordine, e ti prometto che non esce vivo di qui.»

Giuliano lo guardò attonito. «Stavo scherzando, Draco. Non siamo assassini.»

«Però non è una cattiva idea, quella del draconarius

«Prisco! Noi non ricorriamo ai loro metodi. E poi non posso credere che aprano lettere chiuse dal sigillo imperiale.»

«Perdonami, Cesare, ma poco fa Apodemio mi ha detto che lo hanno fatto con Silvano.» Victor riferì le parole della spia sui documenti falsificati.

Il Cesare mise la testa tra le mani. «Com’è possibile che mio cugino, diffidente com’è, si fidi a leggere lettere non sigillate?»

«Non è certo una novità» disse Prisco «che sono gli eunuchi di corte a occuparsi di tutto.»

«Ma le lettere dei generali vanno direttamente all’imperatore.»

«Se fossi io ad aprire la corrispondenza» disse Sallustio «e ti facessi avere solo quella che richiede la tua attenzione, ti fideresti della mia parola?»

Giuliano rispose senza esitare. «Sì.»

«Vedi? Chiunque può essere ingannato. E noi dobbiamo fare come loro, se non vogliamo finire sul patibolo di cui parlava Prisco.»

«E come?»

«Quello di cui abbiamo bisogno è qualcuno di fidato, che riesca a fare avere i messaggi direttamente all’imperatore. Qualcuno che abbia credito a corte, e sappia destreggiarsi con gli eunuchi.»

Victor nel frattempo era combattuto. Voleva dire al Cesare la verità, ma come poteva gettare la maschera in quel momento? Cosa avrebbe fatto il Cesare, scoprendo che il suo fidato draconarius era in realtà un referendario? I giorni passati accanto a Giuliano gli avevano illuminato la mente. Ora lo sapeva, da che parte stare.

Non era più l’agente di Apodemio, di Catena, di Eusebio.

Era il protector, era Draco. Era l’ombra del Cesare.

Un Cesare troppo magnanimo, tanto da lasciare libero un serpente che avrebbe subito cercato di morderlo. Ora erano in pericolo. Bisognava inseguire Apodemio e toglierlo di mezzo, prima che avesse contatti con altre spie della rete…

«Forse ho la persona giusta,» disse Giuliano. «Si chiama Euterio, un eunuco che era già al mio servizio quando ero un ragazzino. Era la mia unica evasione dalle noiose lezioni del vescovo di Cappadocia, che ha tentato per anni di inculcare in me la religione ariana, ottenendo esattamente l’opposto.»

«Euterio è colui che mi ha affidato Suana» disse Prisco. «Si trova ancora a Vienne?»

Il Cesare annuì. «Ci occorre un corriere fidato, che lo conduca qui.»

«Lascia che vada io» disse Draco.

Giuliano esitò. «Tu e Filopatròs siete gli unici due protectores che mi sono rimasti.»

«Con un buon cavallo, mi basteranno pochi giorni per essere qui con Euterio.»

«Non abbiamo molta scelta» disse Sallustio. «Di lui siamo certi che non diserterà, e che non ci tradirà. Lascia qui una persona a cui tiene molto, e sa che ne avremo cura.»

Giuliano ci pensò su qualche istante, poi annuì. «E sia, draconarius. Domattina partirai per Vienne con il mio cavallo.»

Uno scalpitio di zoccoli salì dal selciato del cortile. «Apodemio e il suo seguito ci lasciano, Cesare» commentò Sallustio, guardando dalla finestra. «Vanno di fretta, a quanto pare.»

«Forse dovrei partire subito anch’io, nobilissimo.»

«Viaggiare di notte non è sicuro, Draco» disse Giuliano. «Specie con quelle iene in giro. Vai a riposare, e saluta la tua donna. Ti aspetto all’alba.»

Mentre il rumore dei cavalli di Apodemio e dei suoi si perdeva in lontananza, Victor si sentì in trappola.