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Ryan si scompigliò i capelli, si tormentò le labbra e infine le sue dita andarono a tamburellare sulla cintura.

«Potremmo avere a che fare con un serial killer.»

Accanto a me, la Briel s’immobilizzò, trattenne il fiato.

«A Montréal?»

«No, in Perù.»

«Mooolto divertente.»

«Ho incontrato il tuo amico Claudel questa mattina.»

Il sergent-détective Luc Claudel, polizia urbana. Mio amico più o meno come Caino di Abele.

«Sta lavorando a un PS.»

A un caso di persona scomparsa.

«Dieci giorni fa, un tizio di nome Mathieu Baudry ha fatto visita a uno dei suoi locatari, la signora Marilyn Keiser, una vedova di settantadue anni che viveva sola.

«Baudry era incazzato per un ritardo nel pagamento dell’affitto.»

«Dov’è il posto?»

«Édouard Montpetit. L’appartamento sembrava abbandonato: posta inevasa, piante morte, avanzi in frigorifero. Il solito. L’uomo ha chiesto in giro nel palazzo: nessuno dei vicini vedeva la signora da mesi. Una donna ha suggerito che forse era andata a svernare al Sud.»

«Lo faceva abitualmente?»

«No. Non era molto amante dei viaggi. Guidava ancora, ma si limitava a brevi spostamenti occasionali: Quebéc City, Ottawa, Charlevoix. Niente di più.»

«L’auto manca?»

Annuì.

«Famiglia?»

«Due figli, entrambi sposati, che vivono nell’Alberta. L’unico parente in zona è un figliastro di nome Myron Pinsker. Baudry ha tentato più volte di contattarlo: dopo una settimana di chiamate a vuoto, vedendo che Pinsker non si faceva vivo, s’è arreso e ha telefonato al 911.

«Dai primi accertamenti di Claudel è emerso che dal mese di ottobre Marilyn Keiser si è persa visite mediche, riunioni del circolo di lettura, un incontro con il suo rabbino e circa un milione di altri appuntamenti. Niente scuse, niente spiegazioni.»

«E non è da lei?»

«Decisamente no. Il figliastro, quarantaquattro anni, è un dipendente del West Island Golf Club. A Beaconsfield, credo. Ha dichiarato di non sapere nulla della sparizione.»

«Forse non era molto legato alla matrigna.»

«Forse, ma qualcuno ha riscosso gli ultimi tre assegni della pensione di anzianità della signora Keiser.»

«Merda.»

«Claudel l’ha saputo ieri sul tardi. Questa mattina ha costretto Pinsker a trascinare le chiappe alla centrale.»

«Il sergente Claudel pensa che madame Keiser sia morta?»

Ryan e io ci voltammo verso la Briel, sorpresi. Era rimasta così immobile che avevamo dimenticato entrambi la sua presenza.

«Le premesse non lasciano ben sperare» le rispose Ryan.

«Sospetta il figliastro?»

«Pinsker farà meglio ad avere una spiegazione per quegli assegni.»

Si rivolse a me. «Quattro donne anziane in due anni.»

Quattro? Dovevo apparire confusa.

«La Keiser, Anne-Isabelle Villejoin, questa» indicò con un brusco movimento del pollice le ossa alle mie spalle, «e la Jurmain.»

«Non mi pare che Rose Jurmain si potesse definire anziana» obiettai.

«Ma lo sembrava. Ricordi le foto di Janice Spitz? Quelle scattate poco prima della morte?»

Annuii: era vero. Sarà stato per i farmaci, per l’alcol: Rose dimostrava qualche decina d’anni in più.

Di nuovo, Ryan accennò al tavolo anatomico. «Con la scomparsa della Keiser, quest’identificazione potrebbe riservare delle sorprese.»

Ricordai la domanda retorica di Hubert, accanto alla fossa di Oka: quante nonnine spariscono da queste parti?

Troppe, pensai.

«Di qui a un’ora» dissi, «saprò se è Christelle Villejoin.»

«Diamoci una mossa. Claudel sta interrogando Pinsker in questo momento.»

E se ne andò senza aggiungere altro.

Un parente mosso dall’avidità? O un predatore anonimo che sceglie le vittime più indifese?

Avvertii il solito tumulto di emozioni: rabbia, sdegno, dolore.

Avevo bisogno di una pausa.

Scusandomi con la Briel, mi strappai via i guanti in lattice e andai di sopra.

 

Trenta minuti dopo ero già di ritorno nel seminterrato. Percorrendo il corridoio, notai la giovane patologa attraverso la finestrella della sala autopsia più grande: stava parlando con Joe Bonnet, mentre estraeva il cervello da uno dei cadaveri di Baie Comeau.

Indugiai brevemente, chiedendomi come potessero legare quei due: lui era permaloso, se la prendeva per un niente, lei aveva il calore di una statua.

La Briel disse qualcosa, Joe ascoltò, i capelli che facevano l’imitazione di un Ric Flair ultima maniera sotto la luce fluorescente.

Lei gli toccò la mano. Lui sorrise. Anzi, rise.

Proseguii fino alla sala quattro.

Presi la busta del Bureau du coroner che Morin mi aveva consegnato e ne disposi il contenuto sul tavolo dell’anticamera.

Il mio pessimismo era giustificato: non c’era molto da disporre.

Le ultime voci compilate risalivano al 1987. Niente di sinistro: semplicemente, lo spazio negli ambulatori scarseggia e, non appena la legge lo consente, le carte vengono mandate al macero.

Negli ultimi due decenni, Christelle Villejoin era ricorsa - moderatamente - a un medico di base che rispondeva al nome di Sylvain Rayner.

Nel 1989 le era stato diagnosticato il fuoco di Sant’Antonio, nel 1994 una leggera bronchite.

Le trascrizioni più recenti datavano 1997.

Il 24 aprile, la signora aveva lamentato un problema di stitichezza. Rayner le aveva prescritto un lassativo. Il 26 aprile il disturbo si era trasformato in diarrea.

E bravo il nostro medico!

La Villejoin non presentava alcuna storia di alterazione ossea. Nel suo corpo non erano stati impiantati stent, chiodi per osteosintesi, articolazioni artificiali. Non aveva subito fratture o interventi chirurgici di sorta.

Non una radiografia.

Nulla di odontoiatrico.

Il suo diario clinico non mi era di alcuna utilità.

Ma c’era il numero dello studio di Rayner.

Quando chiamai, una voce metallica mi disse di andare a farmi un giro. Sto parafrasando.

Intuizione improvvisa. Tornai al dodicesimo piano e tentai con Google sul mio laptop.

Sylvain Alexandre Rayner si era laureato in medicina alla McGill nel 1952, era andato in pensione nel 1998. Un’altra piccola ricerca ed ecco numero di casa e indirizzo della residenza a Côte Saint Luc.

Dio benedica Internet.

Provai. Nessuno rispose. Lasciai un messaggio e tornai di sotto.

Ero appena entrata nella sala quattro, quando trillò il telefono dell’anticamera.

«La dottoressa Temperance Brennan, s’il vous plaît» disse una voce maschile.

«Posso chiedere chi parla?»

«Sylvain Rayner.»

«Lo stesso Sylvain Rayner che aveva in cura Christelle Villejoin?» Parlavo lentamente, a voce alta, sulla base di un pregiudizio diffuso e spesso errato: Rayner era anziano, quindi sicuramente duro d’orecchi e, forse, di comprendonio.

«Oui.»

«Il dottor Sylvain Rayner?» Ripetei il nome, alzando il volume e sottolineando il titolo.

«Guardi che la sento, signorina.» Era passato all’inglese. «Sono Rayner, la sto richiamando.» Il dottore aveva un udito eccellente, o un ottimo apparecchio acustico: si era persino accorto della mia inflessione anglofona.

«Mi scusi, signore. A volte, questo telefono distorce i livelli sonori» mentii.

«Posso aiutarla?»

«Mi chiamo Temperance Brennan, come le dicevo nel messaggio. Sono l’antropologa forense che collabora con il coroner di Montréal. Avrei alcune domande su una sua ex paziente.»

Mi aspettavo il solito rifiuto per ragioni di segreto professionale. Dovetti ricredermi.

«Ha trovato Christelle Villejoin!» esclamò Rayner.

«Forse.» Cauta. «Sono arrivati dei resti in obitorio. Ho stabilito che le ossa appartengono a una donna bianca di età avanzata, ma non ho trovato informazioni abbastanza peculiari da permettere l’identificazione. Il dossier medico di cui dispongo è alquanto limitato.»

«Non mi sorprende. Le sorelle Villejoin vantavano un corredo genetico invidiabile. Le ho avute in cura tutte e due dalla metà degli anni Settanta fino al mio pensionamento, nel 1998. Mai una malattia. Oh, certo, un mal di pancia di quando in quando, un raffreddore, magari un’eruzione cutanea. Anne-Isabelle e Christelle sono forse le due pazienti più sane che abbia avuto in quarantasei anni di carriera. Mai fumato. Mai bevuto. Prendevano solo vitamine e un’aspirina al bisogno. Niente pozioni magiche o segreti miracolosi: solo un DNA di qualità superiore.»

«Il coroner non ha fornito cartelle odontoiatriche.»

«Con i denti erano meno fortunate: li consumavano a furia di spazzolarli, ma quelli cadevano lo stesso. E non importa quanto mi sgolassi: tutte e due odiavano i dentisti. Una cosa che avevano ereditato dalla madre, credo.»

«Capisco.» Scoraggiata, mi lasciai cadere sulla poltroncina.

«Il fatto è che diffidavano della medicina in generale. A quanto so, dopo il mio pensionamento, hanno smesso completamente di andare dal medico. Le avevo indirizzate al giovane che subentrò nel mio ambulatorio, ma una volta mi riferì che non si erano mai fatte sentire. Buffo: proprio loro che hanno lavorato una vita intera in ospedale.»

Lo è?, pensai. Forse ne avevano viste troppe.

«Ricordo l’aggressione» aggiunse Rayner. «Povera Anne-Isabelle. Immagino che lo stesso animale decerebrato abbia ucciso anche Christelle quel giorno...»

«Mi dispiace. Non posso parlare dell’indagine in corso.»

Non si lasciò infinocchiare.

«Viviamo in un mondo spietato.»

Difficile contestarlo.

«Dottor Rayner, non le viene in mente un particolare che potrebbe aiutarmi nell’identificazione? Magari qualcosa che aveva notato visitando Christelle o che lei stessa le aveva riferito. Oppure un dettaglio scoperto in referti precedenti, non più reperibili...»

In corridoio sentii aprirsi, poi richiudersi, una porta. Passi. Il silenzio all’altro capo della linea durò talmente a lungo che pensai di aver perso il mio interlocutore.

«Signore?»

«In effetti una cosa c’era.»

Raddrizzai la schiena. «Dica» lo esortai.

«Christelle presentava una flessione di novanta gradi in corrispondenza dell’articolazione interfalangea prossimale del quinto dito. Quando mi informai in proposito, rispose che il suo mignolo destro era storto fin dalla nascita.»

«E le altre articolazioni di quel dito?» Afferrai carta e penna.

«Normali, almeno inizialmente. Ogni volta che la visitavo, esaminavo la mano. Negli anni è insorta una deformità compensatoria nelle articolazioni metacarpo-falangea e interfalangea distale.»

«Camptodattilia?» indovinai.

«Credo.»

«Congenita?»

«Sì.»

«Bilaterale?»

«Presente solo a destra.»

«Niente radiografie?»

«Gliel’ho proposto più volte: Christelle ha sempre rifiutato. Diceva che quel difetto non le causava alcun dolore. Il dito non le dava disturbo e non richiese mai una terapia, perciò non l’ho riportato nel diario clinico. Pareva un dettaglio trascurabile.»

D’improvviso non vedevo l’ora di tornare alle ossa.

«Grazie infinite, dottore. Mi è stato di grande aiuto.»

«Chiami se ha bisogno di sapere altro.»

Anche se il dito può apparire dolorosamente distorto, la camptodattilia è in genere asintomatica. E, come Christelle, molti che ne sono affetti non cercano assistenza medica.

Non particolarmente utile dal punto di vista della cartella antemortem.

Ma c’erano comunque due aspetti molto utili.

La camptodattilia colpisce meno dell’uno per cento della popolazione.

La camptodattilia lascia il segno sulle articolazioni.

Appena riagganciato, mi fiondai di sopra, agguantai una Diet Coke, poi tornai praticamente danzando alla sala quattro.

Radunai le falangi non ancora classificate e cominciai a suddividerle.

Posizione: prossimale, media, distale.

Dito: primo, secondo, terzo, quarto, quinto.

Lato: destro, sinistro.

Fatto.

Sgranai gli occhi, incredula.