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Misi giù il telefono e cercai di incassare il colpo della mia conversazione con Noccia. Mi chiesi se fossi davvero al sicuro. Se Mickey Fescoe sarebbe riuscito a tenere segreto il mio coinvolgimento nella retata della DEA. O se fosse solo questione di tempo perché mi ritrovassi di fronte i sicari di Carmine in un vicolo buio.
Avevo voglia di chiamare Justine.
Avevo voglia di sentire la sua voce. E di raccontarle le ultime notizie su Noccia e su mio fratello, accusato di furto d’auto e sospettato di omicidio.
Il numero di Justine era memorizzato nel mio cellulare. Sentii gli squilli, immaginando la chiamata che le arrivava. Speravo che fosse a casa, con un bicchiere di vino in mano, vicino alla piscina. Speravo mi chiedesse di raggiungerla.
Rispose al terzo squillo.
«Non riagganciare, bella. Davvero.»
Lei rise. «Okay, ti ascolto.» Disse che stava sbrinando il frigorifero. Era la sua prima serata libera da un mese e aveva un po’ di cose da fare.
«Bevi un bicchiere di vino a bordo piscina, ti va? Era così che ti immaginavo proprio adesso.»
Lei rise di nuovo. «Vediamo... Sì, guarda caso ho una bottiglia aperta. Dammi un attimo.» Sentii rumore di bicchieri e il suo pitbull, Rocky, che abbaiava. «Sono pronta. Cos’hai in mente, Jack?»
Mi misi a parlare, sorpreso da quello che mi usciva dalla bocca. Forse era il telefono a darci al tempo stesso l’intimità e la distanza di cui avevamo bisogno per discutere di cosa avessi fatto e perché.
«Voglio che tu capisca che so di aver commesso un errore. Non ho scuse, specie nei tuoi confronti. Ma puoi credermi, Justine: mi spiace. Non potrebbe spiacermi di più.»
«Smetti di incolpare te stesso per la morte di Colleen. Hai fatto quello che hai fatto, ma non sei stato tu a ucciderla.» Justine mi rammentò quanto le fosse simpatica Colleen e quanto comprendesse i miei sentimenti verso di lei. «Pensavo che vi foste lasciati una volta per tutte. In realtà non era così. Non proprio o non ancora. È una cosa che mi ha ferito, Jack. Credo che avrebbe ferito chiunque. Ma l’ho superata, adesso.»
La ringraziai e, quando il silenzio si fu trascinato troppo a lungo, le raccontai di Clay Harris, di come Tommy lo avesse ucciso e del fatto che ora mio fratello fosse in prigione.
«Se conosco Tommy, non saranno in grado di dimostrare niente», disse lei. «Dirà di avere comprato lui la macchina a Clay, in modo che non dovesse pagarci sopra le tasse come bonus. O una cosa del genere. Dirà che la stava provando. Scommetto che Tommy gliel’ha comprata davvero. Non me lo vedo Clay Harris che entra da un concessionario a Beverly Hills. Proprio non me lo vedo. Ma Tommy si libererà anche dall’accusa di omicidio. La polizia non dubiterà che abbia ucciso Clay, ma non troverà mai la sua pistola. E tu non puoi testimoniare contro di lui. Mentre lui può testimoniare contro di te. Scacco matto.»
Sospirai.
«Jack, non ce l’ho più con te.»
«Bene.» Ero sul punto di chiederle di raggiungermi.
«Devo andare, Jack. Ho un cane da portare fuori, la sabbia del gatto da cambiare, un frigo da sbrinare e, se ho tempo, anche le unghie da smaltare. Dovresti dormire un po’. Ci vediamo domattina.»
«Anch’io ho alcune questioni di vita o di morte da risolvere, Justine. Un paio di bucati in sospeso.»
Lei rise con me. «Non perdere tempo, allora.»
Le diedi la buonanotte.
Che altro potevo fare?