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Mentre guidavo ascoltai i messaggi vocali.

Ce n’era uno che arrivava da un Carmine Noccia particolarmente nervoso, ma anche notizie da Del Rio e Scotty, e un aggiornamento di Cruz sul delitto al Beverly Hills Sun. Parlai a lungo con il nostro ufficio di Roma e nel frattempo mi richiamò Justine. Quando rifeci il suo numero, tuttavia, trovai la segreteria telefonica.

«Sono per strada», lasciai detto. «Riprovo più tardi.»

Erano passate da poco le otto quando imboccai il vialetto di casa mia. Stavo slacciando la cintura di sicurezza nel preciso momento in cui un’auto della polizia arrivò da dietro e si fermò sul ciglio della strada. Attraverso il cancello i lampeggiatori mandavano bagliori colorati sul muro bianco.

Una luce si accese anche nel mio cervello. Negli ultimi quaranta minuti avevo guidato con il pilota automatico, tornando a casa, anche se non era qui che avevo intenzione di venire.

La portiera dell’auto di pattuglia sbatté alle mie spalle. Abbassai il finestrino e il raggio di una torcia elettrica mi abbagliò. Riuscii solo a distinguere la silhouette del poliziotto.

«Patente e libretto, per favore.»

Non avrei potuto giurarci, ma ero piuttosto sicuro di non aver superato il limite di velocità. Tirai fuori la patente dal portafogli, la passai dal finestrino, poi mi allungai verso lo scomparto del cruscotto, presi il libretto e consegnai anche quello all’agente.

«Un minuto solo», disse lui.

Aspettai. Fissai il nastro giallo e l’avviso appeso sulla porta. Ascoltai i sibili e i crepitii dalla radio del poliziotto, ricordando quando, due sere prima più o meno a quell’ora, ero sceso dalla macchina proprio nello stesso punto.

Avevo firmato la ricevuta, salutato Aldo, passato la scheda elettronica sul lettore. Poi ero entrato in casa, mi ero spogliato ed ero andato a fare la doccia.

Un paio di ore dopo ero sotto il torchio di due sbirri della polizia di Los Angeles, convinti che fossi colpevole prima ancora che aprissi bocca.

Mentre aspettavo che il poliziotto tornasse, ripensai all’interrogatorio. La teoria del detective Tandy, almeno in parte, sembrava plausibile.

Colleen era venuta a casa mia per farmi una sorpresa?

Non me ne sarei stupito. Sapeva che poteva essere rischioso, ma sarebbe stato da lei tentare un’ultima volta di convincermi a cambiare idea. Me la immaginavo rannicchiata su una poltrona nella mia camera da letto, in attesa del mio arrivo. Forse aveva sentito arrivare una macchina, aveva guardato nel buio e sentito il rumore del cancello. E aveva aperto la porta, chiamandomi. «Jack?»

E qualcuno le aveva risposto: «Ciao, Colleen».

Quel qualcuno sembrava me?

Era stato Tommy a coglierla di sorpresa, facendola rientrare in casa, costringendola a sdraiarsi sul letto? Era stata Colleen a cercare la mia pistola, di cui conosceva il nascondiglio? Ma non era stata abbastanza rapida. Né abbastanza forte. L’arma le era stata tolta di mano. E le erano stati sparati tre colpi.

Era stato Tommy a ucciderla?

Un’altra serie di immagini mi passò davanti agli occhi della mente.

In questa versione qualcuno stava seguendo me.

Mi vedeva mentre lasciavo la stanza d’albergo di Colleen una settimana prima. Conosceva me. Conosceva lei. Voleva farmi del male ed elaborava un piano.

Mi immaginavo Tommy.

Pensai che potesse avere tenuto d’occhio Colleen mentre io ero in Europa. A un certo punto, in quell’intervallo di quattro giorni, l’aveva rapita. Un’ora prima del mio arrivo a Los Angeles, in qualche modo l’aveva portata con la forza a casa mia. Aveva usato la sua chiave elettronica, le aveva premuto un dito sullo scanner biometrico...

I miei pensieri furono interrotti dalla portiera che sbatteva dietro di me. Sentii i passi del poliziotto che si avvicinava.

Mi puntò di nuovo la torcia in faccia mentre mi restituiva i documenti. «Signor Morgan, sa perché l’ho fermata?»

«No. Abito qui. Lo sa, giusto? Questa è casa mia.»

«È la scena di un crimine. Cosa ci fa qui?»

«Mi serve un cambio d’abito.»

«Non può entrare, signor Morgan.»

«Okay.» Riavviai il motore, che rispose con un ruggito.

Ma l’agente non mi lasciava andare. Non ancora. Mi fissava da dietro la torcia.

Capii perché mi aveva fermato.

I poliziotti sorvegliavano casa mia, nel caso l’assassino tornasse sulla scena del crimine.

L’agente mi guardava come se fosse proprio ciò che avevo appena fatto.

Il sospettato
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