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Esattamente quattro minuti dopo, Mae uscì nella notte calda, vestita di pelle nera dalla testa ai piedi. Strinsi le mani sul manubrio della mia Fat Boy, i guanti di pelle strizzati in una presa esagerata. I suoi lunghi capelli neri erano raccolti in una treccia e i piccoli piedi calzavano degli spettacolari stivali neri con la punta arrotondata.
Mi si fermò davanti a braccia aperte. «Che cosa ne pensi?»
Mi presi il piercing tra i denti, sorrisi e le rivolsi un lento cenno di apprezzamento con il capo. Tirai giù il predellino con il tacco, i piedi ben piantati a terra mentre prendeva posto dietro di me, stringendomi immediatamente le braccia intorno alla vita. Chiusi gli occhi per un attimo ed espirai. Mi sembrava così giusto. Era fatta per la sella della mia moto. Mi aveva ucciso vederla su quella di Rider. Mai. Più. Cazzo. O sulla mia moto o su nessun’altra.
Con un clic del telecomando, il grosso cancello di metallo si aprì e rotolammo fuori dal complesso. La brezza calda mi frustò immediatamente il viso e Mae seppellì il suo nel mio smanicato, tenendomi stretto. Conoscevo il posto giusto dove portarla.
Nel superare i due agenti dell’ATF sempre di sorveglianza, gli alzai il dito medio. Mae ridacchiò contro lo stemma di Ade sulla mia schiena. Mentre viaggiavamo su aperte strade secondarie, riuscii a respirare, a riprendermi, a rilassarmi. Avevo sempre amato trovarmi su strade aperte: niente pressioni, niente aspettative, nessun bisogno di parlare.
Individuata la svolta, inclinai a sinistra e attaccai un sentierino stretto che sbucava sul fiume Colorado. Rallentando quasi a passo d’uomo, sentii Mae restare senza fiato. Sapevo che avrebbe amato questo percorso. Stavo attraversando una proprietà privata, ma nessuno ci avrebbe fermato. Ero il maledetto Muto degli Hangmen! Sarebbero scappati tutti via di corsa.
Mae allentò la presa intorno alla mia vita e alzò le braccia in aria. Controllandola dallo specchietto, la vidi mandare indietro la testa, le mani a toccare il cielo, gli occhi chiusi e il viso sollevato per assaporare il dolce sapore della libertà.
La volevo. Subito, cazzo.
Mi fermai, tirai giù il cavalletto e parcheggiai la Harley accanto a una grossa quercia. Girandomi sulla sella, presi Mae per le cosce e me la tirai in grembo, proprio contro l’erezione dura. Sgranò i suoi occhi azzurri, due pozze di colore che riflettevano la luce della luna. Poi quel fottuto naso si arricciò. In un attimo, le misi le mani intorno alla testa e schiacciai le labbra sulla sua bocca. Mae partecipò, restituendomi tutto.
Le infilai le mani sotto al sedere, gemendo di piacere quando si mosse contro il mio inguine. Interrompendo il bacio, gettai la testa indietro con un sibilo e un piccolo sorriso sornione mi piegò le labbra.
Mae mi si aggrappò al collo e si spostò in avanti, strusciandosi contro di me.
«Ah» ansimai, mentre, tenendosi in equilibrio contro il mio collo, Mae cominciò a strusciarsi avanti a indietro, sgranando gli occhi ed eccitandosi all’istante anche lei.
Allungai una mano, mentre l’altra affrettava il movimento dei suoi fianchi. Le abbassai la zip della giacca, sotto alla quale portava la sottile canottiera degli Hangmen. Le palpai una tetta, massaggiandola, e gli occhi mi si rovesciarono all’indietro: niente reggiseno, cazzo.
Gesù! Quella sgualdrina mi avrebbe ucciso.
Le abbassai le bretelle della canottiera e apparve la sua pelle lattea, il grosso capezzolo scuro, duro come un proiettile rosato. Mi chinai e vi chiusi la bocca intorno. Un forte gemito le uscì dalla bocca mentre muoveva i fianchi sempre più rapidamente.
Cazzo, era troppo bello.
Stavo per venire… per una sgualdrina che mi scopava attraverso i jeans, sulla mia moto, cazzo.
Il respiro di Mae si fece grosso e rapido, le unghie mi si conficcarono nel collo. Spostandomi indietro, mi appoggiai al manubrio della Harley e Mae lasciò la presa, poggiandomi i palmi sul petto.
Succhiandomi il piercing al labbro, sgroppai, mentre si muoveva avanti e indietro, il respiro mozzo e gli occhi inchiodati ai miei. Un lungo gemito gutturale le uscì dalla gola. Vederla gettare indietro la testa, le tette rotonde in bella mostra, e venire in un’ondata di alta marea fece esplodere anche me. Il mio cazzo era così duro sotto il suo sesso caldo che pensai avrebbe bucato la cerniera.
Quando i fianchi rallentarono, i movimenti spasmodici di Mae mi mandarono delle ondate di shock all’inguine e l’afferrai per l’orlo della canottiera mentre si lasciava andare. Alla fine, Mae crollò giù, contro il mio petto, l’alito caldo sul mio collo e le mani infilate intorno alla mia vita.
Guardai il mare di stelle sopra di noi mentre restavamo distesi in silenzio e mi arrotolai la sua treccia intorno alla mano. Poi rialzò la testa e un lieve rossore le si diffuse sulle guance. Spostandosi giù, mi sfiorò le labbra con le sue, staccandosi poi di pochissimo. «Peccare non è mai stato così bello» sussurrò.
«Ti sto c-corrompendo, p-piccola?» chiesi, incapace di trattenere un sorrisetto.
Le dita di Mae mi disegnarono dei cerchi sul petto. «Sei la mia più grande tentazione, Styx, il mio personale frutto proibito. Ma ti voglio, pur sapendo che è un desiderio da condannare, sbagliato o immorale. Voglio che tu… tu…» Aggrottò le sopracciglia, faticando a trovare la parola giusta. «Come dicono le donne dei motociclisti?» Arricciò il naso, pensierosa, poi sorrise eccitata e mi guardò con quei suoi splendidi ed enormi occhi da lupo. «Voglio che tu mi possieda.» Si sollevò sui gomiti e i fianchi ebbero uno spasmo di desiderio. «Voglio che tu…» Arrossì e abbassò la testa.
Le portai un dito sotto il mento e la costrinsi ad alzare la testa per guardarmi. «V-vuoi che t-ti scopi, Mae.»
Tirò fuori la lingua e si leccò il labbro inferiore, facendo di sì con la testa. «Stanotte, Styx, nonostante le cicatrici. Voglio che mi mostri come dovrebbe essere stare con un uomo. Come sarebbe dare il mio corpo e la mia anima a te.»
Oh… cazzo…
Tirandomi su a sedere, le posai un bacio sulla vena del collo e dichiarai: «Riportiamo il c-culo a c-casa».
Quaranta minuti dopo e troppe ripetizioni di Closer dei Nine Inch Nails che mi tempestavano la testa, corremmo lungo la strada di campagna verso il complesso, con Mae che mi mordicchiava e leccava il collo e si appoggiava al mio uccello ancora di granito, incapace di togliermi le mani di dosso.
Fu la peggiore cazzo di tortura e, per la prima volta in vita mia, rischiai un incidente con la moto.
Quando ci avvicinammo alla strada posteriore per arrivare alla clubhouse, notai un furgone a luci spente parcheggiato in disparte. Spensi i fari e avanzai al buio, feci cenno a Mae di restare in silenzio e svoltai lentamente nella strada laterale di ghiaia. Mi spostai senza far rumore in un punto più rialzato per accertarmi di chi tenesse d’occhio il complesso.
Arrivai in cima a una collina erbosa da dove riuscii a vedere un pick-up Chevrolet nero a circa cinquanta metri dal cancello principale. Aveva un fottio di munizioni sul retro, sembravano bombe artigianali, e un grosso adesivo con la svastica sul paraurti.
«C-cazzo!» sibilai piano.
«Che c’è?» chiese Mae con un filo di voce, il tono preoccupato.
«CAZZO!» imprecai di nuovo.
Tutto il suo corpo si irrigidì. «Che c’è, Styx? Mi stai spaventando.»
«D-devo p-portarti indietro.»
«No! E tu? Voglio stare con te…»
«Mae! Devo riportarti d-dentro. P-per proteggerti.»
Facendo meno rumore possibile, riscendemmo giù dalla collina, a motore spento, poi premetti il pulsante per aprire il cancello. Il cigolio metallico attirò l’attenzione dei neo-stronzi. Le ruote del loro pick-up bruciarono sull’asfalto e schizzarono giù per la strada.
Fighette. Non avevano le palle per sfidare gli Hangmen ad armi pari.
Il motore della mia moto ruggì mentre avviavo l’accensione e attraversavo il cancello a tutto gas. Inchiodai. «M-Mae, scendi. Di’ a Ky di chiamarmi. D-devo inseguirli.» Dovevamo scoprire dove si nascondevano. Era la mia unica chance. Quei coglioni erano arrivati troppo vicini a fare il colpo grosso.
Troppo vicini, cazzo.
Mae prese a scuotere la testa, gli occhi pieni di lacrime, rifiutandosi di lasciarmi andare.
Saltai giù dalla moto, la sollevai e la misi in piedi sull’asfalto, dandole istruzioni precise su cosa doveva dire a Ky. «C-capito tutto?» chiesi, quando finii di parlare. Mae annuì e io saltai di nuovo in sella. Ancora non si muoveva.
«Mae! Vai!»
«Styx…» pianse, muovendo un passo avanti.
«P-PICCOLA! VAI!»
Barcollò all’indietro. «Torna da me… ti prego…» mi implorò, quindi corse con tutte le sue forze nella clubhouse.
CAZZO!
Ruggii sulla strada vuota con un forte stridore di gomme e mi misi a caccia del pick-up. Ero sicuro di aver individuato quei figli di puttana a poche miglia lungo la strada. Li tallonai, a fari spenti, sorridendo quando gli skinhead rallentarono, convinti di esserne usciti sani e salvi. Non potevano immaginare la tempesta di merda che si stava per scatenare loro addosso.
Quarantacinque minuti dopo, il Chevy svoltò in una strada sterrata e buia, che portava a un ranch di mucche in rovina. Gli skinhead nei loro passamontagna scesero ed entrarono nel vecchio fienile. Quegli stronzi erano tutti insieme, bersaglio facile, ma Ky non mi aveva ancora chiamato per ottenere la mia posizione.
Parcheggiai la Harley sul lato della strada e controllai il telefono.
Cazzo, era morto.
MERDA!
Avrei dovuto aspettare gli altri. Per quanto sapessi di poter gestire da solo quella cazzata, non ero certo che ne sarei uscito vivo. Ma non avevo scelta. Quegli stronzi potevano spostarsi di nuovo e saremmo stati punto e a capo.
Dovevo proteggere Mae. Non potevo permettere che si beccasse pure lei una pallottola in mezzo agli occhi per me.
Presa la mia decisione, estrassi la pistola dalla vita dei jeans, controllai che fosse carica e tirai fuori due mitragliette Uzi dalle borse laterali della Harley. Armato, corsi attraverso il campo verso il lato del fienile, abbassandomi sotto una vecchia e arrugginita Dodge Coronet RT. Guardai attraverso i pannelli di legno sconnessi. I nazi erano seduti intorno a dei tavoli, presi dalla conversazione, senza dubbio a fare rapporto, pianificando il passo successivo. Nessun’arma in vista, ma ne erano pieni, sicuro.
Ce n’erano nove in tutto. Le dimensioni giuste per un piccolo Klan lì ad Austin – ma otto in più rispetto alla mia squadra attuale.
Impugnando una Uzi per mano, dopo un respiro profondo, mi precipitai verso l’entrata principale. Sferrai un calcio a quel cancello di merda e me li ritrovai dritti nella mia linea di fuoco, lo sgomento più che chiaro su quelle orrende facce da cazzo.
Solo un pensiero mi attraversò la mente mentre aprivo il fuoco e una scarica di proiettili entrava nei loro corpi come burro, pezzi di cervello spiaccicati sulle pareti di legno del fienile e il sangue che sgorgava da loro come geyser, …Heil Hitler, figli di puttana!