14

Aprendo di slancio la porta del mio capanno, entrai nell’ampio spazio. Un gigantesco skinhead era legato a una sedia solitaria. Lo stronzo alzò la testa rasata e individuai le sigle SS, KKK e svastiche varie tatuate ovunque.

Skinhead.

Pezzi di merda neonazisti.

Ky mi seguiva, mentre Viking, AK e Flame stavano di lato con lo sguardo truce fisso su quel coglione. I suoi occhi si muovevano freneticamente tra noi cinque. Mentre toglievo la maglietta e andavo all’armadietto delle lame, quel bastardo della Supremazia Bianca decise di dare fiato a quella cazzo di bocca.

«Non parlo!» Seguì i miei movimenti, strabuzzando gli occhi quando presi uno dei miei coltelli per iniziare. «Ehi, amico! Fa’ quello che ti pare, io non parlo.»

Tirai fuori la coramella e cominciai ad affilare il mio coltello Bowie da selvaggina, sfregando la lama dura sul cuoio spesso.

«Ehi, tu col coltello! Sto parlando con te!»

Quell’uscita fece rodere il culo a Flame, che gli spaccò la faccia, poi lo afferrò per le guance. «Lui non parla. Non ne hai mai sentito parlare lì in mezzo al nulla?»

Misi giù la coramella e andai a piazzarmi davanti a quel figlio di puttana pompato di steroidi che aveva ammazzato Lois. Deglutì e una goccia di sudore gli colò lungo la faccia. «Il Muto degli Hangmen?» sussurrò, quando ne prese coscienza.

Sorrisi semplicemente in riposta. Già, quel figlio di puttana del muto.

La sedia cominciò ad agitarsi mentre il nazi cercava di liberarsi dalle corde. Mi limitai a scuotere la testa con un verso di rimprovero. Si immobilizzò quando mi avvicinai e sentii la puzza del piscio che si raccoglieva sul pavimento.

«Merda, Prez, la tua reputazione ti precede!» Viking batté le mani, scoppiando in una sonora risata insieme ad AK.

Mossi il mento, dando istruzioni a Ky di unirsi a me.

Mi rigirai il coltello tra le dita e lo impugnai. Per smuovere la situazione, ne premetti la punta sul petto già nudo di quello stronzo, poi cominciai a incidere il mio marchio, prima parte della mia firma: una H a grandezza del torace. Aprii la pelle abbastanza a fondo da causare un dolore lancinante, ma non tanto da ledere organi vitali. Questa merda richiedeva una certa perizia.

Con un’erezione rocciosa dovuta all’urlo agonizzante del nazi, mi rialzai per ammirare il mio lavoretto. AK mi venne dietro con un fischio di apprezzamento.

«Prez… che raffinata opera d’arte, cazzo!»

Il nazi, ormai in delirio dal dolore, si contorceva sulla sedia. Le grosse corde ruvide gli graffiavano i polsi scorticandolo sempre di più.

«Non parlo» sputò fuori in un marcato accento texano. «Se lo faccio, muoio comunque, o per mano tua o dei miei. Da come la vedo io, sono morto comunque.»

Il calore estivo era asfissiante in quel capanno e, tre ore dopo, la resilienza di quel pezzo di merda del KKK cominciò a incrinarsi. Fino ad allora eravamo riusciti a sapere che il tipo che aveva fatto l’offerta a danno degli Hangmen era nuovo. Non affiliato a nessuna gang, gruppo o MC esistenti. Un colletto bianco. Qualche riccone che aveva promesso di tirar fuori di galera il loro Gran Maestro – quel pezzo di merda che scontava vent’anni dopo aver fatto fuori un ebreo che aveva rifiutato di pagargli il pizzo.

La domanda era: come faceva un qualunque uomo d’affari a sapere dove saremmo stati quel giorno? Lo skinhead doveva dirmi chi passava le informazioni dall’interno del mio club.

Ky mi portò un asciugamano e mi detersi il sudore che colava dal petto, buttandolo poi a terra. Avevo i jeans coperti dal sangue del neonazista. Ormai erano irrecuperabili. Togliendomi i capelli dalla faccia, avanzai, sorridendo; il tipo deglutì a fatica.

Parte due della mia firma.

«Hai mai ascoltato Chelsea Smile?» chiese Ky allo skinhead.

Quello sgranò gli occhi e annuì lentamente, facendo scattare lo sguardo da me a Flame, che mi stava accanto e batteva le mani tra loro e sulla testa per l’eccitazione.

Le narici del nazi si dilatarono mentre mi avvicinavo alla sedia, girandomi il coltello tra le dita. Mi accovacciai davanti a lui e gli dissi a gesti: Un’ultima chance di tirar fuori il nome di quello che ha cercato di farci fuori oggi, oppure sfoggerai un bel sorriso rosso da un orecchio all’altro per il resto della tua vita bastarda.

Ky tradusse per me.

«Ho detto che non lo so! Ma…»

«Ma cosa?» sibilò Ky.

«Ma ci avevano detto di non smettere finché non fossi morto, di far fuori anche le tue troie.» I suoi occhi incontrarono i miei. Qualche stronzo mi voleva morto? Niente di nuovo qui. Ma volevano morta Lois, le donne: nessuno fotte le nostre sgualdrine e vive fino a vedere il giorno successivo.

Flame ruggì e si slanciò avanti, infilandogli le unghie ai lati del collo. «Dov’è la vostra cazzo di base?»

Il nazi scosse la testa, con il sudore che colava lungo il viso.

«Dimmelo o ti strappo il cazzo e te lo ficco su per il culo!»

«Un… garage… abbandonato… Subito fuori Airport Boulevard.»

Flame si raddrizzò, scoccandomi un sorrisetto. Ruotai le spalle, feci scrocchiare il collo e mi girai di scatto, con il coltello all’angolazione perfetta per affettare il mio obiettivo.

Lo skinhead urlò. Urlò un sacco, cazzo. La sedia scricchiolò sul cemento e, quando si rovesciò, la testa di quel bastardo sbatté forte sulla superficie dura. Flame cominciò a battere le mani contro le pareti, ridendo in modo isterico. Era davvero malato quel figlio di puttana.

Le urla continuarono, ma Ky si fece avanti. «È tutto inutile, amico» gridò. «Non ti sente nessuno qui, razzista di merda!»

Quello impallidì. Agitando la testa di qua e di là, sussurrò qualcosa, così mi avvicinai.

Cosa?, chiesi a gesti.

Ky diede voce alla mia domanda.

Alzando gli occhi ormai annebbiati a morte, con le guance aperte, raspò: «Il tizio… c’entra… senatore Collins.»

Tirai su la testa di scatto per incontrare gli occhi di Ky. Il mio VP lasciò la stanza con il cellulare premuto all’orecchio. Avrebbe chiamato Tank per saperne di più.

Mettendo giù il coltello, segnalai a Flame di prendere le redini e gli lasciai fare ciò che sapeva fare meglio. Viking e AK rimasero ad assistere a quel fottuto spettacolo. Io mi precipitai fuori nell’afa estiva e respirai a fondo, ma trovai Pit accanto al capanno, con l’orecchio premuto contro la parete di legno. Sobbalzò, quando colse il mio movimento. Strinsi gli occhi.

Che ci fai qui?

Pit deglutì senza riuscire a guardarmi negli occhi. «Io… io stavo portando fuori l’immondizia.» Lo fissai e quello scappò via alla velocità della luce verso la porta del bar del club. Che cazzo significa?

Strofinandomi il viso con le mani, mi appoggiai al capanno di legno.

Cazzo. Avevo bisogno di Mae.

Avevo mandato tutto a puttane. Di brutto. Non avevo fatto altro che pensare a lei mentre infilavo il coltello in quel nazi… gli aprivo la carne e non riuscivo a concentrarmi. Volevo morto quello stronzo che si era preso Lois – che aveva cercato di portarmi via Mae – volevo mandarlo dal barcaiolo al cospetto di Ade. Volevo vendetta per la morte di Lois. Non le avevo dato molto in questa vita e adesso meritava almeno questo da me. E vendetta sarebbe stata. Quello stronzo non avrebbe lasciato vivo quel capanno. Quindi, rimaneva solo da togliere di mezzo il resto della sua banda.

Con un ultimo sospiro per recuperare lucidità, mi avviai al bar. Quando entrai, la maggior parte degli uomini erano di nuovo nelle loro stanze e Pit dietro il bancone a servire da bere, sempre evitando i miei occhi. Digrignai i denti, sospettoso, ma decisi di lasciar perdere per il momento. Era venuta giù già troppa merda quella sera e tutti quanti meritavano una pausa. Stavo passando in rassegna la folla in cerca di Mae, quando la mia attenzione fu attirata dai capelli biondi di Beauty e la massiccia corporatura di Letti.

Feci per raggiungerle e Ky mi venne dietro. «Tank è ancora in strada. Deve contattare i nostri nell’ufficio del senatore e vedere cosa riesce a scoprire.»

Annuii e Ky andò al bar. La sua puttana preferita, Tiff, quasi venne quando si avvicinò. Non potei che ammiccare. Certo, non aveva problemi a rimediare fica.

Letti diede di gomito a Beauty, quando arrivai al loro tavolo, e sorrise. Qualcosa non andava.

Pensavo fossi incazzata con me, dissi con i segni.

Il suo sorriso falso si spense. «Infatti.»

Ah, sì? E allora perché quel sorriso? Mi guardai deliberatamente intorno. E dov’è Mae?

Già, ecco di nuovo quello strano sorriso.

Che c’è? Mi rivolsi a Beauty con la mascella che ormai guizzava.

Alle mie spalle, Ky mi mise un braccio intorno al collo, sbattendo la mia birra sul tavolo. «Perché sembra che vi roda il culo a tutti quanti?»

Afferrai il braccio di Beauty e ripresi. Perché cazzo vi comportate così? Dov’è Mae?

«È con Rider» rispose Beauty, nervosa.

Fu come al cinema, quando la musica si interrompe e tutto si ferma. Rider?

Oh, merda!

«Siamo andate a vedere come stava. Ci ha fatto rimanere. Poi hanno cominciato a sputarsi addosso qualche stronzata cristiana e Mae si è rifiutata di venire via. Mi sembrano molto in confidenza, cavolo.»

Strizzai gli occhi. Confidenza? Riaprii le palpebre di scatto. Perché si è rifiutata di venir via?

«Perché non ti voleva vedere!»

«Cristo santo, tu sì che sai incasinare tutto!» rise Ky.

Scansando Ky di lato, attraversai il bar a passo di marcia in direzione della stanza di Rider. Beauty cercò di trattenermi. «Styx, aspetta. Non porterà a niente di buono, se ti precipiti lì così!»

Strattonai via il suo braccio e feci irruzione nella stanza, dove tutti e due sedevano sul divano, fianco a fianco, ridendo per le battute di qualche film di merda e… cazzo, Rider era mezzo nudo.

Quando entrai, Mae e Rider si tirarono su a sedere, sbalorditi nel vedermi arrivare lì come un ciclone. Che cazzo significa?, gesticolai, indicandoli sul divano. Rider tradusse per Mae, cosa che non fece che farmi incazzare ancora di più.

«Non quello che pensi tu, fratello» precisò Rider in fretta. Troppo in fretta. Gli occhi color ghiaccio di Mae ardevano. Cazzo, in quel momento era così bella da farmi male al petto.

Quando però notai che aveva addosso i suoi vestiti, l’ira ebbe il sopravvento. Già, e allora perché è qui con addosso le tue stronzate nella tua cazzo di stanza… da sola! Il fratello ormai prossimo alla morte tradusse di nuovo.

Mae scattò in piedi. «Perché… io… non ti voglio vedere!» gridò.

Scioccato, mi passai le dita tra i capelli un paio di volte. Allora… cosa? Vuoi essere la sgualdrina di Rider, adesso? Mae guardò Beauty, che le riferì di malavoglia cosa indicavano i miei gesti.

«Non è così» sbottò. «Non posso vederti adesso. Mi hai ferito, Styx. Mi serve spazio.»

Bene. Ma starai nella mia stanza. Se stai nel mio cazzo di club, stai nella mia cazzo di stanza. È così che funziona. Andiamo!

Non appena udii Beauty riferire il comando, tesi la mano. Mae, però, non la prese. La guardai rivolgere uno sguardo scioccato a Rider. Bene, ero sempre più incazzato.

Adesso, Mae! Ordinai di nuovo e non ci fu bisogno di traduzione. Sapevo che mi stavo comportando da coglione possessivo, ma non mi piaceva il modo in cui stava guardando Rider né come lui guardava lei.

Abbiamo un problema, fratello?, chiesi a Rider.

«Nessun problema» replicò.

«Io voglio stare qui» dichiarò Mae tranquillamente.

Assolutamente no, cazzo. Rider tradusse di nuovo, sempre più simile a un uomo morto di minuto in minuto.

«Allora me ne vado

Mi bloccai. Con mio grande fastidio, lo fece anche Rider. Per la prima volta da tantissimo tempo, non sapevo che cazzo fare. Le leggevo negli occhi che diceva sul serio. Sicuro come la morte, non volevo che se ne andasse.

Un classico, cazzo. Impasse messicana!

«Può prendere il letto. Io dormirò sul divano fin quando non potrò tornare a casa» si offrì Rider.

Col cazzo.

«Che cosa ha detto, Rider?» chiese Mae con un tono di misurata minaccia nella voce. Aveva più grinta di quella che avevo immaginato.

«Non vuole che stai da me» rispose Rider, neutro.

Strinse i suoi occhi di ghiaccio. «Accetta o me ne vado. Dico sul serio, Styx. Non posso stare con te in questo momento. Devi assumerti la responsabilità di quello che tu hai fatto!»

Risi di me stesso. Il karma è uno stronzo, no? Sai una cosa, Mae? Fa’ come cazzo ti pare. Poi puntai il dito contro Rider. Toccala e ti ammazzo.

Minaccia fatta, mi girai di scatto.

«Mi hai ferito!» sbottò Mae con voce rotta.

Mi bloccai di nuovo.

«Mi hai fatto vergognare di me stessa… del mio passato… di cose su cui non avevo alcun controllo.» Lentamente mi voltai e vidi una sofferenza lancinante sul suo viso, nella sua postura. Cristo! Mae incrociò le braccia al petto, distolse gli occhi dai miei e tornò a sedersi accanto a Rider sul divano. Proprio accanto a lui.

Digrignai i denti, quando gli appoggiò la testa sulla spalla. Rider parve scioccato, ma vidi quello sconcerto trasformarsi in qualcosa di molto diverso. Mi avvicinai e le posai la mano sulla spalla.

Si irrigidì e la scacciò via.

«Vattene e basta, Styx» sussurrò, facendomi precipitare quel cazzo di cuore.

Che razza di emerito coglione.

Con ciò me ne andai, intenzionato ad annegare i miei dolori nella mia stanza con il mio amico Jim Beam… molto, molto lontano da qualsiasi zoccola di nome Dyson che voleva ciucciarmelo.