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ALLA RICERCA DELLA LIBERTÀ

Mentre si avvicinava il 31 marzo, l’ultimo giorno di Harry e Meghan da working royals, la coppia non smise mai di lavorare. Gli impegni presi molto prima dell’annuncio di gennaio andavano rispettati, ed era importante non deludere nessuno. Inoltre entrambi davano il meglio di sé quando erano occupati.

Anche se dopo l’annuncio avevano passato gran parte del tempo in Canada, un’ultima tornata di impegni li riportò nel Regno Unito. Siccome l’epidemia di coronavirus minacciava già l’Europa, ritennero che non sarebbe stato prudente portare Archie. Non erano nemmeno propensi a costringere il bambino ad affrontare voli a lungo raggio se non era proprio indispensabile. Così decisero che Meghan sarebbe rimasta a casa finché non avesse dovuto raggiungere Harry di lì a una settimana.

Al suo ritorno nel Regno Unito, il 25 febbraio, il principe dovette fare immediatamente i conti con la realtà. Dopo essere atterrato a Heathrow, proseguì verso la Scozia in treno con due guardie del corpo che l’avevano accompagnato dal Canada. Non appena arrivò alla stazione di Waverley a Edimburgo, incappò in tre fotografi che avevano ricevuto una soffiata sul suo itinerario. Nell’udire il rumore degli otturatori, fece una smorfia. «Dài, ragazzi, a cosa serve?» disse quando un paparazzo gli chiese di sorridere. Harry strinse i denti, allungando il passo fino alla Range Rover che lo stava aspettando. Era esattamente il genere di accoglienza che aveva previsto.

Si trovava a Edimburgo per Travalyst, che aveva lanciato l’estate precedente con colossi del settore come Trip-advisor, Visa, Booking.com e Skyscanner. Ora avrebbe portato l’ambizioso progetto alla fase successiva durante un vertice operativo, dove intendeva illustrare un nuovo sistema di punteggio online non solo per mostrare ai turisti quanto fossero green i loro viaggi, ma anche per insegnare loro ad avere un impatto positivo sulle destinazioni di cui erano ospiti. L’ispirazione gli era venuta dai numerosi viaggi in Botswana. Per la precisione, ha detto agli autori di questo libro, ogni volta che tornava in quel paese africano la sua esperienza di turista migliorava, ma la comunità che gli permetteva di viverla restava sempre la stessa. «Mi ha sorpreso vedere che i residenti ricevevano pochissimo denaro» ha affermato. «Ci sono queste grandi aziende che traggono vantaggio dal turismo, ma spesso non si può dire la medesima cosa degli abitanti di quelle aree. I guadagni devono tornare in misura adeguata alle comunità che accolgono i viaggiatori.»

Il giorno dopo Harry salì sicuro di sé sul palco per rivolgersi a cento rappresentanti del settore turistico e dei viaggi in Scozia. Gli aiutanti di Palazzo e la consueta folla di fotografi accreditati che lo aspettava fuori per immortalarlo mentre entrava erano spariti. Al suo fianco c’erano solo due collaboratori: James Holt, che ha continuato a lavorare per lui a titolo privato, e Heather Wong, la sua ex vicesegretaria personale, ora assegnata al progetto Travalyst. «È bello tornare al lavoro» osservò il principe. «È questo che conta.»

(Nelle settimane seguenti Harry decise di aggiungere all’iniziativa un’altra area di interesse in risposta alla pandemia di coronavirus. Dato che tutto il mondo aveva smesso di viaggiare, spiegò durante una riunione, i viaggi del futuro avrebbero subìto un «cambiamento radicale». Voleva che Travalyst – ora un’iniziativa no-profit indipendente dalla monarchia – contribuisse alla ripresa globale e spingesse i consumatori a sostenere le comunità più bisognose quando avessero ricominciato a viaggiare per il mondo. «Abbiamo l’opportunità di cambiare le cose in meglio» affermò.)

Oltre a suggellare un nuovo successo, la Scozia dimostrò che, pur avendo perso molte cose, Harry aveva ancora tanto da offrire. La sua eredità stava prendendo forma lontano dalla famiglia reale. Rientrando al Frogmore Cottage, tuttavia, il principe non percepì lo stesso calore che l’aveva circondato nei primi mesi in cui aveva vissuto lì con Meghan e Archie. La casa, seppur ancora piena dei loro averi, era vuota e fredda. Il giardino rigoglioso intorno alla proprietà si mostrava ancora nella sua veste invernale, senza il minimo segno della primavera imminente. «Sono cambiate parecchie cose dall’ultima volta che siamo stati qui» disse Harry a un amico.

Benché dedicasse gran parte delle giornate alle riunioni con lo staff di corte per definire gli ultimi dettagli, trovò ugualmente il tempo per la sua famiglia. Non parlava con suo fratello dal summit di Sandringham, ma chiacchierava spesso al telefono con suo padre, il cui segretario privato Clive Alderton continuava a supervisionare la fase finale della transizione dei Sussex. Il confine tra famiglia e monarchia era più labile che mai, ma i ruoli diventarono perfettamente chiari quando la regina invitò Harry a pranzo domenica 1º marzo. Anche se l’incontro precedente era stato più formale, quel giorno ci sarebbero stati solo loro due. «Niente titoli» spiega un aiutante di Palazzo. «Soltanto nonna e nipote.»

Quando il principe si sedette nella sala da pranzo nell’appartamento della sovrana al castello di Windsor, ebbe la sensazione di essere tornato indietro nel tempo. Durante i periodi più bui era stato spesso impaziente di trascorrere qualche ora con sua nonna, a prescindere che l’occasione fosse un tè o un pasto. Nonostante la curiosa dinamica della sua famiglia, che molti osservatori esterni faticano a comprendere, avrebbe sempre voluto bene alla regina Elisabetta. Benché avesse perso il rispetto per alcuni aspetti della monarchia, e a tratti persino per certi membri della Royal Family, la regina era ancora una delle donne più importanti della sua vita. Mentre si apprestavano a mangiare, Sua Maestà precisò che avrebbe sempre appoggiato ogni sua decisione. Anche se all’inizio del 2019 gli avevano concesso un periodo di prova di un anno, la regina gli ricordò che lui e Meghan sarebbero sempre stati i benvenuti, se mai avessero voluto riprendere i loro ruoli.

«È emerso molto chiaramente che possono tornare in qualunque momento, quando saranno pronti» dice una fonte coinvolta nelle negoziazioni.

Due giorni dopo Harry si ricongiunse con Meghan (Archie era rimasto a Vancouver con la tata e con Jessica, che era volata sull’isola da Toronto per dare una mano). Quel pomeriggio la coppia portò fuori a pranzo le quindici persone del proprio team di Buckingham Palace. La location fu il Goring Hotel a Londra, uno dei preferiti della regina, dove, a quanto si dice, si mangia il miglior filetto alla Wellington della città. Fu una delle ultime volte che la coppia passò del tempo con tutti gli assistenti privati e gli addetti alle comunicazioni riuniti nella stessa stanza. Benché i duchi fossero riconoscenti per il sostegno che avevano ricevuto da quel gruppo devoto, il trasferimento all’estero e la rinuncia al Sovereign Grant avrebbero impedito loro di continuare a collaborare con il team. A turno, Harry e Meghan ringraziarono tutti per l’impegno, profuso soprattutto in quello che la duchessa definì un «periodo duro e difficile».

La sera successiva parteciparono al gala degli Endeavour Fund Awards, che furono l’ennesima dimostrazione spettacolare della loro capacità di attirare l’attenzione del mondo. Qualche ora prima Daniel Martin (che, mentre progettava il make-up di Meghan per tutta la settimana, aveva scherzato dicendo: «Uscirai di scena con il botto!») aveva truccato la duchessa e George Northwood l’aveva pettinata.

L’evento si celebra tutti gli anni in onore dei soldati e dei veterani feriti, disabili o malati che desiderano sfruttare lo sport e le sfide avventurose ai fini del recupero fisico e della riabilitazione. Le foto dei Sussex che arrivano sorridendo sotto l’ombrello diventarono virali in tutto il mondo. La pioggia scintillante nell’inquadratura fu una pura coincidenza, ma la camminata disinvolta verso la Mansion House e il vestito midi blu di Meghan, disegnato da Victoria Beckham, erano frutto di un’accurata progettazione. Se fuori tutti gli occhi erano puntati sui Sussex, dentro l’attenzione si concentrò totalmente sui veterani, che a turno elogiarono il duca, o «Captain Wales», come è conosciuto negli ambienti militari. La volontà di sostenere i soldati e le soldatesse fece sì che si impegnasse ad aiutarli anche nella sua nuova vita di membro non attivo della famiglia reale, tanto nel Regno Unito quanto in Nordamerica. Il primo compito? Unire il lavoro di due delle sue creazioni, l’Endeavour Fund e gli Invictus Games. «Tiene molto a queste cause» racconta un amico. «Ha perso le onorificenze, ma ciò non fa vacillare il suo supporto.»

Il costante impegno di Harry verso la comunità militare è il motivo per cui, tre giorni dopo, il Mountbatten Festival of Music fu un momento particolarmente difficile: il principe avrebbe indossato per l’ultimissima volta l’uniforme da capitano generale dei Royal Marines. Quando arrivò, durante una conversazione dietro le quinte, disse al maggior generale Matthew Holmes: «L’idea di dovermi ritirare mi distrugge».

«Non era affatto necessario» avrebbe detto in seguito Meghan a un’amica, riferendosi alla decisione di privare il principe delle nomine militari. «E non è una perdita solo per lui, ma anche per l’intera comunità dei veterani. È evidente che anche loro tengono molto a lui. Perché, dunque? Purtroppo i poteri [della monarchia] sono più grandi dei miei.»

La serata fu un toccante omaggio alle forze armate britanniche, ma anche l’occasione per ringraziare l’amatissimo principe per i suoi contributi al mondo militare. Come di solito accadeva alla fine della premiazione, gli ospiti della Royal Albert Hall si alzarono per una standing ovation quando Harry e Meghan si affacciarono dal palco reale. Di fronte a quell’addio entusiastico e a quell’innegabile manifestazione di affetto, la coppia si sforzò di frenare le lacrime mentre si teneva per mano.

Nei giorni seguenti i Sussex fecero altre apparizioni pubbliche e private. L’arrivo a sorpresa di Meghan mandò in visibilio i bambini di una scuola di East London dove, nella Giornata internazionale della donna, la duchessa prese parte a un’assemblea per parlare del ruolo che gli uomini svolgono nella responsabilizzazione femminile. E le ore passate da Harry agli Abbey Road Studios per guardare Jon Bon Jovi riregistrare la canzone Unbroken con l’Invictus Games Choir allo scopo di raccogliere fondi per l’Invictus Foundation furono divertenti e significative.

Naturalmente il principe presenziò anche a impegni reali più tradizionali, come l’inaugurazione dell’interattivo British Motor Museum con il campione di Formula 1 Lewis Hamilton («Non c’è nulla di meglio di aprire ufficialmente un edificio già aperto» scherzò il duca, perché il museo era entrato formalmente in funzione nell’ottobre del 2019).

L’8 marzo Harry volle assistere a una cerimonia in omaggio di un marine reale morto in Afghanistan tredici anni prima. Sarebbe stata presente anche la regina, che non vedeva Meghan dall’annuncio bomba dei Sussex. Harry la portò in auto dal Frogmore Cottage alla Royal Chapel of All Saints nel Windsor Great Park. La sovrana fu cordiale e affettuosa con Meghan, trattandola come una nipote e non come una disertrice. La funzione era in onore di Ben Reddy, ucciso a ventidue anni quando la K Company del 42º commando si ritrovò sotto il fuoco dei militanti nell’instabile provincia dell’Helmand il 6 marzo 2007. Durante l’evento, a cui Harry sfoggiò la cravatta del Royal Marines Corps, fu inaugurata una targa in sua memoria. Per il principe, Ben non era un semplice commilitone. Suo padre era stato anche il giardiniere della regina per diversi anni.

Meghan apparve molto emozionata il giorno dopo, al suo ultimo impegno privato: un incontro con i ventidue studenti che avevano ricevuto una borsa di studio dall’Association of Commonwealth Universities. La duchessa, subentrata alla regina Elisabetta come madrina reale dell’ACU nel 2019, promise di continuare a dare priorità all’organizzazione anche dopo il suo ritiro ufficiale dalla monarchia, soprattutto dato il suo ruolo di vicepresidentessa del Queen’s Commonwealth Trust ed ex beneficiaria di una borsa di studio.

L’evento si svolse nella Room 1844 di Buckingham Palace, considerata uno degli spazi più importanti tra i 775 locali della residenza reale. È un ambiente ricco di storia, dove la regina e la Royal Family ricevono spesso i visitatori più illustri, dagli Obama al presidente cinese Xi Jinping, ad Angelina Jolie. Anche l’annuale discorso natalizio della sovrana viene filmato lì.

Benché fosse una giornata difficile, Meghan fece in modo di dedicare la giusta attenzione a ogni studente che conobbe. Da un lato della stanza, Joanna Newman, la segretaria generale dell’ACU, osservò orgogliosamente la scena. Avendo conosciuto la duchessa durante numerosi impegni e riunioni dell’organizzazione, era contenta all’idea che il rapporto proseguisse anche in futuro, consapevole del fascino di Meghan. «I giornali non si sono soffermati su cosa indossasse la nostra madrina, sull’ora di inizio e di fine dell’impegno ufficiale o sulla tazza di tè che eventualmente abbiamo bevuto nel mezzo» dichiara Joanna. «Piuttosto, hanno spiegato perché facciamo quello che facciamo e perché l’ACU esiste. Meghan è una vera paladina del lavoro svolto dalle università.»

Dopo la riunione era ora di andare al Commonwealth Service nell’abbazia di Westminster. Fu allora che Harry entrò silenziosamente nella Room 1844 per un saluto, e finalmente la realtà e le emozioni presero il sopravvento. Meghan si voltò per abbracciare le ultime persone rimaste, tra cui uno degli autori di questo libro.

Con la sala di rappresentanza quasi vuota se non per qualche viso familiare, le lacrime che la duchessa aveva trattenuto cominciarono a scorrere liberamente. Meghan strinse tra le braccia alcuni membri devoti del suo team, i cui sforzi instancabili – finalizzati a promuovere il lavoro dei Sussex, a lanciare progetti importanti e a gestire le crisi pressoché quotidiane causate dai tabloid – avevano subìto una brusca battuta d’arresto. «Non posso credere che sia finita» disse abbracciando una giovane aiutante di Palazzo a cui si era affezionata. Anche se il team Sussex era una struttura molto più piccola dei sofisticati uffici di Clarence House e Kensington Palace, nel breve periodo di un anno dalla sua creazione i membri erano diventati come una famiglia.

Alla fine dell’evento Harry raggiunse Meghan e la prese tra le braccia prima di correre a cambiarsi per il Commonwealth Service. «L’ultimo incarico per un po’ di tempo, gente!» disse la duchessa sorridendo, dopo essersi asciugata le lacrime.

Il breve viaggio in auto fino all’abbazia di Westminster portò i Sussex al loro ultimo impegno condiviso come senior working royals. Se mai avessero avuto bisogno di una conferma del fatto che abbandonare la monarchia fosse la scelta giusta, le macchinazioni che avevano preceduto il Commonwealth Service furono un utile promemoria. Quantunque negli anni precedenti il duca e la duchessa avevano sempre preso parte al corteo di senior royals che entravano in chiesa con la regina, in quell’occasione scoprirono di essere stati esclusi. La decisione era stata presa senza consultarli, ed erano stati informati solo dopo la stampa dell’assenza dei loro nomi sugli oltre duemila programmi della cerimonia che sarebbero stati distribuiti agli ospiti, con la vistosa assenza dei loro nomi. Quell’anno a varcare la soglia dell’abbazia con Elisabetta sarebbero stati soltanto il duca e la duchessa di Cambridge, il principe di Galles e la duchessa di Cornovaglia. Sembrava fatto a bella posta. «Harry ci è rimasto molto male» ricorda un amico. «Ha protestato, ma ormai il danno era fatto.»

Nel tentativo di appianare le cose, i Cambridge accettarono di prendere posto contemporaneamente ai Sussex, al principe Edoardo e a Sophie. Ma, a giudicare dall’espressione, William e Kate parevano tutt’altro che contenti. Benché Harry e Meghan li avessero salutati entrambi con un sorriso, i Cambridge si mostrarono freddi. Era la prima volta che le due coppie si vedevano da gennaio. «Harry» disse William con un cenno del capo, ignorando Meghan. Nei minuti precedenti l’arrivo della regina, William e Kate rimasero seduti dando le spalle ai Sussex, girandosi soltanto per chiacchierare con Edoardo e Sophie, che si erano accomodati dietro di loro, accanto a Harry e Meghan. Anche se Meghan provò a intercettare lo sguardo di Kate, l’altra non la degnò di un’occhiata.

Pur essendo migliorati leggermente dopo la nascita di Archie, i rapporti tra le due coppie erano tornati a deteriorarsi a gennaio, quando la famiglia aveva negoziato i nuovi ruoli di Meghan e Harry. William, spiega una fonte di Kensington Palace, se l’era presa perché i Sussex avevano reso pubbliche le questioni private della famiglia. «Non era rabbia» aggiunge la fonte. «Era delusione.»

«Era l’unico momento pubblico durante il quale la Royal Family avrebbe potuto mettere il braccio intorno alle spalle dei Sussex per dimostrare loro il suo sostegno» dice una fonte vicina a Harry e Meghan. «Invece ha scelto volutamente di non inserirli nel corteo e di essere ostile. È stato molto sgradevole.» Un portavoce di Buckingham Palace scrollò le spalle quando gli segnalarono la modifica al corteo, dicendo che non c’era «un formato prestabilito» per l’evento.

Dopo la funzione Meghan prese un aereo per il Canada. Aveva prenotato il primo volo utile per tornare da Archie. «Meg voleva soltanto andare a casa» riferisce un’amica, osservando che la duchessa era ferita ed esausta sul piano emotivo. «Ormai non riusciva più a immaginare di voler rimettere piede nel mondo dei reali.»

Harry si fermò nel Regno Unito per altri tre giorni, per partecipare alle ultime riunioni sul loro abbandono dei doveri reali e ai colloqui con il suo nuovo team, tra cui James e Heather. Ma non ebbe ulteriori contatti con il fratello o la cognata. «Ci vorrà tempo per ricostruire il rapporto» sostiene un amico. «Hanno una visione diversa delle cose, un approccio differente all’esperienza che hanno vissuto negli ultimi anni. William dovrà superare il fatto che suo fratello abbia lasciato la monarchia. Ciascuno dei due è frustrato per il comportamento dell’altro ma, come ha detto Harry, in fin dei conti il legame tra fratelli è molto più forte di qualunque altra cosa.»

Una volta tornati sull’isola di Vancouver, i Sussex ebbero finalmente la sensazione di poter riprendere fiato. All’inizio si erano sentiti in dovere di preparare subito un annuncio per il giorno successivo all’abbandono ufficiale della monarchia, il 31 marzo 2020, «ma si sono resi conto di aver bisogno di rallentare» dichiara un amico. «Si sono presi un po’ di tempo, sentendosi subito più sereni e rilassati.» In quel momento dedicarsi ad Archie era più importante che affannarsi per dare il via a una nuova vita. Sebbene Harry avesse confidato agli amici di non essersi ancora scrollato totalmente di dosso il peso degli ultimi mesi, rientrare in Canada, lontano dal trambusto in patria, fu una bella sensazione.

Mentre si reimmergevano nel verde di Mille Fleurs – la fresca aria primaverile fu un toccasana dopo il ritmo frenetico degli ultimi giorni a Londra –, Harry e Meghan conclusero entrambi di dover affrontare un giorno alla volta. Ma per quanto volessero continuare a vivere in quell’idillio, la pandemia di coronavirus che ormai stava dilagando ovunque nel mondo, imponendo la probabile chiusura dei confini per diversi mesi, li costrinse ad accelerare i progetti per il trasferimento in California durante l’estate. Parlavano di spostarsi negli USA da quando avevano cominciato a pianificare la loro vita lontano dal Regno Unito, il che spiega perché avevano usato la prudente espressione “Nordamerica” nelle dichiarazioni riguardo al loro avvenire, riservandosi la facoltà di traslocare al momento giusto.

Con la chiusura imminente delle frontiere, decisero di anticipare il trasferimento in California. Se non avessero potuto viaggiare nell’immediato futuro, la cosa migliore era spostarsi nella loro sede definitiva, vicino a Doria.

Avendo così tante cose da organizzare, si imposero una ferrea tabella di marcia. Dopo aver passato qualche ora insieme e con Archie, iniziavano le giornate contattando lo staff nel Regno Unito, in particolare James e Heather. I briefing in videochiamata alle dieci del mattino (i duchi amano vedere con chi stanno parlando) erano di rigore. Spesso i collaboratori gioivano quando Archie, spinto dalla curiosità, faceva una fugace apparizione sullo schermo, infilando la testolina nell’inquadratura della webcam. L’acquisto più recente del team era Catherine St Laurent, capo dello staff e direttrice esecutiva della no-profit. Nata a Montréal e forte delle esperienze professionali maturate a Bruxelles e a Londra, era stata per diversi anni la responsabile delle comunicazioni della Bill & Melinda Gates Foundation, prima di gettare le basi per la Pivotal Ventures, la società di investimento e incubazione aziendale di Melinda. «Sono felice e onorata di poter contribuire a realizzare la loro visione mentre intraprendono questo viaggio di istruzione e ascolto, ispirando tutti noi ad agire» disse.

Un altro pilastro della loro nuova realtà lavorativa era Keleigh Thomas Morgan, cara amica di Meghan e socia della Sunshine Sachs, che aveva rappresentato l’ex attrice per due anni finché non si era sposata con Harry. Molto stimata nel settore delle pubbliche relazioni, Keleigh era più famosa per aver lanciato Time’s Up11 nel 2018 e rappresentato Jennifer Lopez, ma aveva partecipato con discrezione anche alla promozione del numero di Vogue di cui Meghan era stata guest editor e al progetto Travalyst di Harry.

I tabloid britannici avevano cercato di screditare l’agenzia, affermando che in precedenza aveva rappresentato Michael Jackson e Harvey Weinstein, ma le accuse erano infondate. Invece l’azienda, che ha sede a New York, è formata perlopiù da PR esperti di politica e sostenitori delle cause umanitarie. «È stato questo ad attirare i Sussex» spiega una fonte.

A mano a mano che la pandemia si aggravava in tutto il mondo, Harry e Meghan, che avevano già spedito quasi tutti i loro averi, partirono per Los Angeles il 14 marzo. Si stabilirono in una grande villa in stile mediterraneo in un complesso residenziale privato, famosa tra i personaggi dello spettacolo. Non era una sistemazione permanente (desideravano entrambi trovare qualcosa di più piccolo e magari più vicino al mare), ma per il momento era una soluzione perfetta. Mentre la coppia si abituava alla nuova vita, per esempio osservando Archie che prendeva dimestichezza con la piscina, ebbe il tempo di riflettere sulla strada che aveva percorso fino ad allora e sulla direzione da imboccare in futuro.

Per quanto quel nuovo capitolo della loro vita fosse entusiasmante, Harry e Meghan non si illudevano che le cose sarebbero state facili, né sul piano personale né su quello globale. I due ambiti si fusero nel pomeriggio del 24 marzo, quando arrivò una telefonata dal Palazzo: Carlo era risultato positivo al coronavirus e sarebbe dovuto restare in isolamento. Era una notizia che Harry aveva temuto di ricevere. Suo padre, che all’epoca aveva settantun anni e dunque era più a rischio di complicazioni, aveva presenziato agli impegni pubblici fino a un paio di settimane prima. Benché, secondo i medici, il principe di Galles fosse «di buon umore» e mostrasse sintomi lievi, Harry era preoccupato. Chiamò immediatamente Carlo a Birkhall, la residenza scozzese dove si trovava in quarantena, continuando a telefonargli finché non si fu ripreso. Contattò regolarmente anche Camilla, che si era messa in isolamento per precauzione. Prima che la regina comparisse in TV per il discorso alla nazione sul virus, Harry chiamò anche lei per augurarle buona fortuna.

Nonostante la pandemia che imperversava nel mondo, i tabloid non diedero pace ai Sussex. La coppia era ancora alle prese con le cause legali contro tre giornali britannici – procedimenti da cui continuano a emergere risvolti sconcertanti – quando, il 10 marzo, The Sun rivelò che Harry era stato vittima di uno scherzo telefonico da parte di due comici russi che si erano spacciati per Greta Thunberg e suo padre. In due chiamate registrate a dicembre e a gennaio il principe aveva parlato senza remore delle tensioni con la Royal Family. «Siamo totalmente isolati dalla maggior parte della mia famiglia» aveva dichiarato. Quando gli avevano chiesto dell’amicizia del principe Andrea con Jeffrey Epstein, aveva risposto: «Non ho nulla da dire sulla questione» (i Sussex hanno sempre evitato l’argomento, preferendo tenere per sé la loro opinione). Harry, tuttavia, non si era trattenuto quando era stato invitato a esprimere un parere su Donald Trump. «Il semplice fatto che stia promuovendo l’industria del carbone in America indica che ha le mani sporche di sangue.» Anche se, qualora ne avesse avuta la possibilità, non avrebbe esitato a condividere il contenuto delle telefonate, essere il bersaglio di una burla fu umiliante per il principe, che si infuriò quando scoprì che il tabloid aveva pagato profumatamente per avere accesso esclusivo agli audio.

Forse la fuga di notizie fu la ragione per cui Trump, famoso per la sua permalosità, non nascose i suoi sentimenti verso la coppia quando si addentrò nel dibattito sui costi per la loro sicurezza come membri non attivi della famiglia reale. Il tema era stato al centro di numerosi articoli nel Regno Unito, con il pubblico britannico in gran parte arrabbiato all’idea che forse i Sussex avrebbero continuato a usare i soldi dei contribuenti, seppur per proteggere la propria incolumità personale. «Sono un grande amico e ammiratore della regina» twittò Trump il 29 marzo. «Ora che [il duca e la duchessa] hanno lasciato il Canada per gli Stati Uniti, però, gli Stati Uniti non sosterranno le spese per la loro protezione. Devono pagarle di tasca propria!»

Meghan reagì alzando gli occhi al cielo. I Sussex non avevano mai chiesto aiuto al governo americano e avevano sempre avuto intenzione di provvedere personalmente alla propria sicurezza dopo il 30 marzo. Si affrettarono a rispondere con un comunicato. «Sono stati presi accordi finanziati privatamente» dichiarò un portavoce. La libertà di mettere a tacere le notizie false era magnifica, ed entrambi furono felici di approfittarne.

Libertà. Una parola che si poteva applicare a svariati aspetti della loro nuova vita, tanto personale quanto professionale. Spinti dal desiderio di cambiare il mondo, volevano dedicarsi a progetti che unissero i loro punti di forza per risolvere i problemi. Da quando avevano cominciato a parlare di creare un’organizzazione benefica, sapevano che l’America sarebbe stata al centro dell’iniziativa. Offriva un panorama filantropico ancora più vasto e avrebbe stroncato sul nascere eventuali accuse di concorrenza ai membri della famiglia reale nel Regno Unito. In principio, dopo essersi sganciati da Kensington Palace nell’aprile del 2019, pensarono di dar vita alla Sussex Royal Foundation, una sorta di copia carbone della Royal Foundation. «Si sono sentiti in dovere di creare immediatamente una fondazione tutta loro» dice una fonte a conoscenza dei loro piani. «Ma nei mesi seguenti, più parlavano con le persone – compresi i funzionari delle fondazioni degli Obama e dei Gates –, più capivano quali fossero le loro motivazioni, e più si rendevano conto di non voler passare tutto il tempo a raccogliere fondi per sovvenzioni di cui altri enti si occupavano già in modo così egregio.» Alla fine di novembre del 2019 interruppero il lavoro sulla fondazione e all’inizio dell’anno nuovo ricominciarono da capo con una no-profit, nella speranza che sarebbe diventata una costante del loro futuro.

Il nome dell’organizzazione ronzava loro in testa da quando si erano sposati: Archewell. «Prima di Sussex Royal ci è venuta l’idea di archè, la parola greca che significa “fonte d’azione”» spiegano. «Abbiamo collegato questo concetto all’ente benefico che speravamo di costruire un giorno.» Il termine greco fu anche l’ispirazione per qualcos’altro: il nome del loro bambino.

Anche se forse non saranno mai più membri attivi della famiglia reale, Harry e Meghan non rinunceranno mai ai loro ideali e princìpi originali. Il principe sarà sempre interessato a proteggere l’ambiente e sostenere i veterani e coloro che soffrono di HIV e di disturbi mentali. Per Meghan, l’obiettivo fondamentale resta la responsabilizzazione delle donne e delle bambine di tutto il pianeta. «Vogliono che la loro eredità sia moderna e significativa per una nuova generazione» aggiunge la fonte. «Un lavoro che non replichi le iniziative altrui e che superi la prova del tempo.» E sono disposti ad aspettare per raggiungere tale traguardo. Pur ammettendo di essere entrambi impulsivi di tanto in tanto, sono entrati in una fase di riflessione e lanceranno Archewell solo «al momento giusto».

Curiosi e aperti alle nuove idee, Harry e Meghan vogliono esplorare le innovazioni tecnologiche. È questa la ragione della loro visita privata a Palo Alto a gennaio, quando hanno preso parte con discrezione a una seduta di brainstorming con i docenti della Graduate School of Business e del Center for Social Innovation all’Università di Stanford. Si sono fatti consigliare da esperti di ogni campo, compresi gli Obama, che hanno aiutato il loro team e suggerito loro nuovi collaboratori. Soprattutto, i Sussex desiderano continuare a fare ciò che si sono sempre riproposti di fare: responsabilizzare gli altri. «Esaltare e valorizzare le persone, spingendole a riconoscere il loro ruolo sia nel mondo sia nella comunità a cui appartengono» dice una fonte vicina a Meghan.

Il 30 marzo Buckingham Palace riferì alla stampa gli ultimi dettagli sul futuro della coppia dopo la transizione. Fu l’ultimo incarico per Sara Latham, che aveva aiutato a chiudere l’ufficio dei Sussex e accettato un nuovo lavoro come consulente della regina per i progetti speciali, riferendo al suo segretario privato. Dal 1º aprile Harry e Meghan sarebbero stati ufficialmente indipendenti.

Di lì a poco, il duca e la duchessa pubblicarono l’ultimo post su @SussexRoyal. Anche se avrebbero voluto continuare a usare l’account, i funzionari di corte chiarirono che era un profilo reale e che avrebbero dovuto aprirne uno tutto loro. Consapevole della crisi planetaria in corso, la coppia commentò: «Mentre tutti cerchiamo di orientarci in questo sconvolgimento globale che ha stravolto le nostre abitudini, noi ci concentreremo su questo nuovo capitolo della nostra vita per capire come contribuire al meglio. Anche se forse non ci vedrete più qui, il nostro lavoro continua. Grazie a questa comunità per il sostegno, l’ispirazione e l’impegno collettivo per il bene nel mondo. Non vediamo l’ora di riprendere i contatti con voi. Siete stati meravigliosi!».

11 Time’s Up (Tempo scaduto): movimento e fondo a difesa delle vittime di molestie sessuali sul posto di lavoro, fondato in seguito allo scandalo Weinstein da un gruppo di donne appartenenti all’industria dello spettacolo statunitense. (N.d.R.)