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CORTEGGIAMENTO NELLA NATURA SELVAGGIA

Anche se «tutti speravano» che Harry e Meghan avrebbero passato una piacevole serata insieme, nessuno si aspettava quello che accadde dopo.

«È stato quasi subito come se avessero una specie di ossessione l’uno per l’altra» riferisce una fonte. «Harry sembrava in trance.»

Persino Misha si disse sorpresa dall’intensità della scintilla che era scoccata tra loro.

Il giorno dopo l’appuntamento con il principe, Meghan chiamò un’amica. «Mi prendi per pazza se dico che potrebbe funzionare?» chiese.

Quella sera lei e Harry fissarono un altro incontro. Niente amici, niente distrazioni. Solo loro due. L’indomani tornarono al Dean Street Townhouse per una cena romantica organizzata da Markus, che lo staff chiamava scherzosamente «Lady A» per il modo in cui si assicurava che ogni dettaglio fosse impeccabile.

Nessuna entrata principale per la coppia, che ricevette le istruzioni per accedere all’edificio tramite una porta discreta, lontana dagli sguardi dei curiosi e nota soltanto al personale e ai fattorini incaricati di portare frutta, verdura e pesce fresco dal Billingsgate Market. Un inizio tutt’altro che glamour, insomma.

Lo staff fece il possibile per mantenere il segreto, permettendo a un solo cameriere fidato di servirli per l’intera cena. Come amano dire i membri del club, «ciò che succede alla Soho House resta alla Soho House».

Secondo un amico, Harry e Meghan «chiacchierarono a lungo» durante quella serata, che si concluse castamente col rientro di Harry a Palazzo. Tuttavia, la chimica tra loro era innegabile e i due flirtarono per tutto il tempo. Un braccio sfiorato qui, uno sguardo là.

«Ormai Harry era certo che si sarebbero messi insieme» racconta un amico. «Meghan stava dimostrando di avere tutte le carte in regola.»

Pur avendo condiviso gran parte del viaggio a Londra sui social, l’attrice sapeva di dover mantenere il riserbo sui suoi appuntamenti con quello che allora era il quinto in linea di successione al trono britannico. Ma gli indizi c’erano già. Più o meno nel periodo del loro primo incontro, Meghan cominciò a seguire il misterioso account Instagram @SpikeyMau5. La foto del profilo non mostrava un viso, ma solo la sagoma della testa di un topo, dettaglio che per la maggior parte delle persone non avrà significato nulla. In realtà, era l’account privato di Harry. Il principe, un grande fan della musica house, aveva ricavato lo pseudonimo dal nome di uno dei suoi DJ preferiti, DeadMau5. Spikey veniva invece da un alias di Facebook che il principe utilizzava per un account a nome di Spike Wells. «Spike» era un nomignolo usato talvolta per designare Harry, soprattutto dai funzionari di Scotland Yard. Il suo account Facebook (prima che lo chiudesse dopo lo scandalo di Las Vegas) aveva una foto profilo di tre uomini con il panama, scattata di spalle in una suite dell’MGM Grand Las Vegas, e diceva che il titolare veniva da Maun, nel Botswana. In precedenza, Harry aveva optato per l’immagine di re Julien, l’eccentrico lemure di Madagascar, il film d’animazione della DreamWorks.

Il post pubblico che comparve sull’account Instagram di Meghan la sera del loro primo tête-à-tête era molto più audace: la foto di una caramella Love Hearts con la scritta Kiss Me e la didascalia Lovehearts in #London.

A prescindere che per tutti gli altri significasse qualcosa oppure no, Harry recepì il messaggio.

La sera dopo, il 3 luglio, Meghan lasciò l’hotel e prese un taxi come una persona qualunque. Ma l’auto che percorse le vie buie e tortuose di Londra non aveva una destinazione qualunque: era diretta a Kensington Palace.

La vettura si allontanò dalla strada principale e proseguì lungo Palace Avenue, un viale privato che conduceva a un cancello dall’aria industriale e a una guardiola, molto diversi dall’ingresso dorato che Meghan aveva immaginato. Ma quell’entrata senza fronzoli, spesso usata dallo staff o da coloro che andavano a Kensington Palace per una riunione, era la via d’accesso più discreta. Meghan diede la mancia al tassista, come d’abitudine, ed entrò nel gabbiotto, dove fu accolta da una guardia.

La accompagnarono rapidamente lungo un vialetto acciottolato, fiancheggiato da piccoli cottage ricavati da antiche scuderie. In seguito Meghan avrebbe commentato che erano così piccini e perfettamente decorati con vasi e fioriere curatissimi da non sembrare nemmeno reali. Non aveva idea che a Kensington Palace vivessero tutte quelle persone ma, essendo una residenza operativa, il palazzo ospita una decina di membri della Royal Family e diversi funzionari del personale di corte in pensione.

«Carinissima!» avrebbe detto Meghan a un’amica riferendosi alla casa di Harry, il Nottingham Cottage.

Ancora una volta, la graziosa abitazione inglese non aveva nulla a che fare con l’imponente palazzo di pietra che l’attrice aveva immaginato basandosi sulle illustrazioni dei libri di fiabe. Quando Harry aprì la porta, Meghan non vide scaloni, lussuosi tappeti rossi, lampadari di cristallo o soffitti a doppia altezza, e nemmeno maggiordomi o dipinti con pesanti cornici d’oro. Il principe torreggiava in un piccolo ingresso con i cappotti appesi ai ganci e un paio di stivali accanto alla porta, come in una casa qualunque.

Se prima di arrivare Meghan si era sentita nervosa, l’atmosfera accogliente contribuì ad allentare la tensione. Pur essendo il Nottingham Cottage, o «Nott Cott» come lo chiamano gli habitué, un bel posto, è molto umile per un erede al trono. Chiaramente Harry non era materialista. Inoltre aveva un sorriso dolcissimo.

Meghan aveva abbastanza esperienza con gli uomini per riconoscere un seduttore quando ne vedeva uno, e Harry non lo era affatto. Semmai era molto spontaneo. Anche se era palese che voleva far colpo su di lei descrivendo il suo lavoro, parlava a ruota libera, senza mai accennare al proprio status di principe o di membro della famiglia reale. Fino a quel momento aveva ammesso tutt’al più che certe volte la sua vita era «un tantino movimentata».

Era insolitamente schietto per una persona del suo rango, ma si dimostrò anche un vero gentleman. Ovunque andassero, e ovunque vadano tuttora, si ricorda sempre di far passare Meghan per prima. Probabilmente l’avrà fatto anche mentre percorrevano il breve tratto verso il salotto.

Dopo la visita al Nott Cott, purtroppo il soggiorno londinese di Meghan era agli sgoccioli. Trascorse l’ultimo giorno nella capitale britannica tifando per Serena Williams nel Players’ Box a Wimbledon (dove i fotografi non badarono a lei, concentrandosi piuttosto su Anna Wintour, la direttrice di Vogue, e su Pippa Middleton, sedute nel suo stesso palco). Quindi prese un volo per Toronto, lasciandosi dietro solo un breve post su Instagram: Che peccato dover lasciare Londra! Ancora una volta, pochissime persone ebbero sentore del vero significato di quelle parole.

Una di queste fu sua madre Doria, a cui Meghan raccontò quasi subito della sua nascente love story. Con molta probabilità, Doria era la persona più influente nella vita dell’attrice. «Ha contribuito a fare di Meghan una donna forte, potente e autonoma» dice di lei il fratellastro Joseph. Il legame tra madre e figlia si era consolidato durante l’infanzia di Meghan. Viaggiare, praticare yoga, fare jogging nel loro quartiere a Los Angeles, andare in bicicletta fino ai La Brea Tar Pits dopo la scuola, preparare ricette casalinghe con ingredienti freschi e sani: Meghan aveva imparato ad amare parecchie delle passioni di Doria. Erano sempre state molto sincere l’una con l’altra e le cose non erano cambiate quando Meghan era diventata adulta.

Nelle settimane successive – mentre Meghan andava a New York e a Boston per promuovere l’imminente stagione di Suits e poi a Madrid per una breve vacanza con Misha e Markus, durante la quale bevvero molto vino alla Taberna Carmencita, visitarono il Prado e ballarono in discoteca – non fu raro vederla digitare sul telefono sorridendo o ridacchiando. Stava messaggiando con il suo nuovo corteggiatore. Si scambiarono diversi selfie. Nulla di inopportuno, solo fotografie innocenti scattate nel corso della giornata. Meghan inviò a Harry anche le foto dei pasti che stava cucinando o di quando, truccata e pettinata, era pronta per andare sul set.

Si stavano innamorando rapidamente, anche se la fiducia era un problema per entrambi, seppure per ragioni assai differenti. Meghan tendeva a proteggere se stessa. Preferiva stare sulle sue e conoscere un uomo prima di impegnarsi. Detto ciò, quando era sicura di qualcuno, si buttava a capofitto nella relazione. Il suo sogno era sempre stato prima diventare amici e poi amanti.

Con le persone più care Harry parlava con il cuore in mano. Ecco perché cercava di proteggersi dalle delusioni. Occorreva molto tempo per guadagnare la sua fiducia, perché non era mai sicuro delle motivazioni di coloro che volevano essere suoi amici. Questa preoccupazione si esacerbava nel caso delle donne. Si interessavano a lui perché volevano stabilire contatti con l’alta società? Volevano soltanto vantarsi di uscire con un principe? Oppure vendere uno scoop alla stampa? Teneva sempre alta la guardia, soppesando quante domande le potenziali partner facessero sul Palazzo o sulla regina. Fosse stato per lui, quando trovava una donna con cui si sentiva in sintonia, si sarebbe buttato subito – messaggiandola e chiamandola ogni giorno – ma, dato il suo rango, aveva imparato a diffidare delle intenzioni altrui.

La corrispondenza continuò fino ai primi di agosto, quando Meghan andò a New York per le nozze della sua amica del college Lindsay con l’uomo d’affari britannico Gavin Jordan. Da lì partì per una vacanza sulla costiera amalfitana, che aveva programmato da tempo con Jessica. Alloggiate al Le Sirenuse Hotel, un elegante cinque stelle a Positano, le due donne passarono la maggior parte del soggiorno a bordo piscina, sorseggiando Negroni, Bellini e champagne mentre prendevano il sole. Si godettero quella che chiamarono «ora del cocktail» scambiandosi confidenze sulle rispettive vite. Con Capri e le cristalline acque azzurre del Tirreno visibili in lontananza, Meghan parlò di tutto, compreso il principe. Mentre documentava ciascun momento del viaggio sui social – denominandolo, con un’allusione sfrontata alla sua nuova fiamma, il tour «Mangia prega ama» della costiera amalfitana –, postò la foto di un volume rilegato in pelle rossa dal titolo Amore Eterno.

Jessica era una delle poche persone al mondo a conoscere il suo segreto: di lì a poco Meghan avrebbe rincontrato Harry a Londra. Solo sei settimane dopo il primo appuntamento in città, il principe l’avrebbe portata a fare un viaggio, un’avventura di cinque giorni organizzata nel minimo dettaglio. Meghan doveva soltanto arrivare nella capitale britannica, al resto avrebbe pensato lui.

La destinazione era l’Africa, un continente che per Harry aveva un grande valore personale.

Qualche settimana prima il principe aveva detto a Meghan che ci sarebbe andato di lì a poco – come faceva ogni estate – e l’aveva invitata ad accompagnarlo. Gli avrebbe fatto molto piacere, aveva aggiunto, perché sarebbe stata l’occasione perfetta per passare del tempo insieme in un luogo in cui era sicuro che nessuno li avrebbe seguiti.

Quando Meghan gli aveva chiesto maggiori informazioni, per esempio dove avrebbero alloggiato, Harry aveva risposto: «Me ne occupo io».

Non fu il primo viaggio di Meghan in Africa. Nel gennaio del 2015 era andata in Ruanda con i rappresentanti dell’ONU per visitare il campo profughi di Gihembe e trascorrere del tempo a Kigali con alcune parlamentari.

Il viaggio era frutto di un post di The Tig del 4 luglio 2014, in cui Meghan aveva collegato il giorno dell’indipendenza americana all’indipendenza individuale: «Oggi brindate alla vostra salute, alla libertà, all’emancipazione delle donne (e degli uomini) che lottano per conquistarla, e all’atto di conoscere, accettare, onorare, istruire e amare voi stessi».

Queste parole attirarono l’attenzione di un dirigente di HeForShe – la campagna globale delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere –, che cercò di coinvolgere Meghan nelle loro iniziative. Per la giovane americana il crescente successo come attrice non significava soltanto inviti ai red carpet o vestiti omaggio, ma implicava anche la possibilità di allargare i propri orizzonti intellettuali e morali. Aveva visto attrici come Angelina Jolie sposare importanti cause umanitarie e aveva espresso un analogo desiderio di «sfruttare la mia notorietà per lasciare un segno tangibile». Così accettò, offrendosi persino di lavorare come stagista per una settimana durante l’imminente interruzione temporanea delle riprese di Suits. Tipico di Meghan, che prima di prendere un impegno ama prepararsi con cura.

Il Ruanda è l’unico paese al mondo con una maggioranza femminile del 64 per cento in Parlamento. Questa situazione nacque dalle ceneri del genocidio del 1994, che mieté tra ottocentomila e un milione di vittime, lasciando una popolazione composta per il 60-70 per cento da donne. Approvata nel 2003, la nuova Costituzione impone che le donne detengano il 30 per cento delle poltrone in Parlamento. Alle urne, tuttavia, gli elettori fecero aumentare questa quota, alzandola prima al 48 e poi al 64 per cento durante le elezioni successive.

Quasi un anno dopo il primo viaggio, Meghan tornò in Ruanda nel febbraio del 2016 con la World Vision, un’organizzazione umanitaria cristiana che lavorava con i bambini. Lo scopo era rendersi conto personalmente dell’importanza dell’acqua pulita. Durante la visita a una scuola Meghan insegnò agli studenti a dipingere con gli acquerelli, usando l’acqua prelevata dalle tubazioni appena installate nella loro comunità. Gli studenti fecero disegni ispirati alle loro speranze per il futuro. «È stata un’esperienza straordinaria prendere l’acqua da uno dei punti di approvvigionamento e usarla con i bambini per dipingere le immagini di cosa sognano di diventare da grandi» ricorda Meghan. «Ho capito che l’acqua non è solo fonte di vita per una comunità, ma che può essere davvero una fonte di fantasia.»

Ne parlò con Harry durante il loro primo appuntamento. Anche il principe esternò i suoi sentimenti verso l’Africa, un luogo dove, come ha ripetuto diverse volte, si sente «più se stesso che in qualunque altro posto del mondo».

Si innamorò dell’Africa dopo la tragica morte di sua madre, nel 1997. Negli anni il continente diventò la sua seconda casa, ma il primo viaggio laggiù gli resterà impresso nella memoria per sempre. Qualche giorno dopo che il quindicenne William e il dodicenne Harry avevano seguito il feretro di Diana da St James’s Palace all’abbazia di Westminster, il principe Carlo, che aveva in agenda il suo primo tour in Sudafrica, li incoraggiò a seguirlo per evadere dall’atmosfera luttuosa da cui erano circondati.

La morte di Diana segnò un’importante svolta nel rapporto di Carlo con i due figli. Il principe di Galles aveva sempre fatto del suo meglio per essere un bravo padre, ma fin da bambino gli avevano inculcato un rigido senso di formalità. Pur dando a William e Harry molto più affetto di quanto ne avesse ricevuto come erede al trono, era incredibilmente severo e per nulla a suo agio nel tipo di mondo che Lady D aveva creato per loro.

Essendo figlia di genitori divorziati e avendo avuto un’infanzia difficile, Diana ce l’aveva messa tutta per creare a Kensington Palace un normale ambiente familiare, pieno di amore e di risate. La principessa, una dei primi membri della Royal Family a fare della cucina un luogo per la famiglia e non solo per i domestici, adorava quando la cuoca, Carolyn Robb, cucinava con i ragazzi. Carolyn, che aveva la ricetta di una torta a base di biscotti integrali sbriciolati, precettava Harry e William perché li polverizzassero nei sacchetti per surgelati.

Carlo non sarebbe mai riuscito a sostituire Diana, ma dopo la sua morte si rese conto di dover portare a termine il compito di crescere i due figli. Quella era la priorità assoluta, anche rispetto alla relazione con il suo amore di sempre, Camilla Parker-Bowles. Due settimane prima del loro debutto pubblico a un evento dell’Osteoporosis Society, Diana aveva perso tragicamente la vita. Carlo e Camilla non si mostrarono insieme pubblicamente per altri due anni, perché il principe si concentrò sui ragazzi.

Durante il viaggio con suo padre dopo la morte di Lady D, Harry fece un safari e conobbe Nelson Mandela (oltre alle Spice Girls). In una fase della sua vita in cui era molto vulnerabile, visitò per la primissima volta il Lesotho e il Botswana. Non avrebbe mai dimenticato la bellezza degli animali e del loro habitat naturale.

Non appena fu abbastanza grande per viaggiare da solo, fece in modo di passare almeno due o tre settimane in Africa ogni estate. Promosse anche iniziative benefiche per la tutela della fauna indigena e degli habitat che rendono quel continente così speciale. «Dobbiamo prendercene cura» ha dichiarato, «altrimenti i nostri figli non avranno la possibilità di vedere ciò che noi abbiamo visto. Ed è un importante banco di prova. Se non riusciamo a salvare qualche animale in un’area selvaggia, che fine faremo?»

Grazie a suo padre, Harry diventò ambientalista prima che questa corrente si trasformasse in un movimento convenzionale. Il principe Carlo parla del cambiamento climatico e dell’uso della plastica fin dagli anni Settanta, osservando che quando affrontò questi argomenti per la prima volta lo giudicarono «un po’ tocco». Propugnatore dell’agricoltura sostenibile, gestisce la sua proprietà a Highgrove secondo «i più rigidi princìpi della sostenibilità», inclusi un impianto di fitodepurazione e la raccolta dell’acqua piovana in cisterne per i water e l’irrigazione dei campi.

Quando Harry e William erano bambini, Carlo li esortava sempre a spegnere le luci e, durante le vacanze, li portava anche a raccogliere la spazzatura. «A scuola mi prendevano in giro per questo» ha detto Harry in un documentario per il settantesimo compleanno di suo padre. Nonostante le canzonature, i fratelli assorbirono entrambi l’attivismo ambientale paterno, lanciando a loro volta iniziative in tale ambito.

La tutela dell’ambiente, tuttavia, non costituiva l’unico interesse di Harry in Africa. Il principe voleva anche continuare la lotta di sua madre contro l’epidemia di AIDS. Solo cinque mesi prima della sua morte, Diana aveva fatto un viaggio privato in Sudafrica per andare a trovare suo fratello Charles Spencer, che all’epoca viveva lì. Mentre si trovava nel paese era riuscita a realizzare il profondo desiderio di conoscere Nelson Mandela a Città del Capo e discutere della minaccia dell’AIDS. «Individuava gli enti e le organizzazioni benèfici a cui tutti avevano paura di avvicinarsi, per esempio quelli contro le mine antiuomo nel Terzo mondo» dice Harry riferendosi a sua madre. «Si lasciava coinvolgere in cose di cui nessuno aveva mai trattato prima, come l’AIDS. Aveva più fegato di chiunque altro. Voglio portare avanti i progetti che non è riuscita a ultimare» aggiunge il principe, che nel 2004 trascorse parte del suo anno sabbatico nel Lesotho, il paese con la seconda percentuale più alta di HIV e AIDS al mondo.

Il capitano Mark Dyer – il mentore di Harry che in passato fu dignitario di corte di Carlo e poi diventò una sorta di secondo padre per i due fratelli dopo la morte di Diana – suggerì al principe di visitare quel poverissimo paese africano quando il giovane gli confidò di voler conoscere meglio il lavoro di sua madre.

Le statistiche del Lesotho erano sconfortanti. La disoccupazione toccava un vertiginoso 50 per cento, l’aspettativa di vita era inferiore ai quarant’anni per quasi il 70 per cento della popolazione. Quasi il 25 per cento degli adulti era infetto dall’HIV, un numero che superava il 35 per cento tra le donne in età fertile. La povertà, la disuguaglianza di genere e lo stigma associato alla malattia ostacolavano la prevenzione e il trattamento dell’HIV e dell’AIDS.

Harry, che passò due mesi con i bambini orfani del Lesotho, vedendo con i propri occhi i dilaganti effetti della crisi provocata dall’AIDS, si mise in contatto con il principe Seeiso, che di recente aveva perso la madre, la regina Mamohato. Insieme ebbero l’idea della Sentebale, un’organizzazione fondata ufficialmente nel 2006 per sostenere «la salute mentale e il benessere di bambini e giovani affetti da HIV in Lesotho e Botswana». Entrambi vedevano la Sentebale, che in lingua sesotho significa «non ti scordar di me», come un modo per onorare le loro compiante madri. I non ti scordar di me erano i fiori preferiti di Diana.

Tra gli argomenti di cui Harry e Meghan parlarono la prima sera alla Soho House, l’Africa fu quello che li mise subito d’accordo. Meghan disse che le sarebbe piaciuto tornare a vedere altre zone del continente, e Harry non dimenticò quell’osservazione.

Dopo aver accettato l’invito, dichiara un’amica, Meghan era «entusiasta», ma temeva anche che fosse una follia.

«Non aveva mai fatto qualcosa del genere prima» continua l’amica, «ma nel breve periodo che aveva passato con Harry, e dalle telefonate e dai messaggi quotidiani, aveva capito che era una brava persona. E un gentiluomo, per giunta. Certe volte bisogna semplicemente lasciarsi andare, ed è ciò che ha fatto Meghan.»

Dopo essere arrivata da Toronto, Meghan trascorse una notte con Harry a Kensington Palace prima di affrontare le undici ore di volo da Londra a Johannesburg il mattino successivo. Seguirono altre due ore su un aereo leggero privato fino all’aeroporto internazionale di Maun. Infine la coppia salì su un 4×4 per un viaggio di centoventi chilometri lungo l’A3 National Route, verso un luogo che molti definiscono l’ultimo eden dell’Africa.

Circa le bellezze naturali del continente, per Harry nulla superava il delta dell’Okavango, la meravigliosa zona umida di quindicimila chilometri quadrati al centro del Botswana, uno degli ultimi ecosistemi incontaminati rimasti. Era quella la loro destinazione segreta. Il principe era stato in quella stessa parte del mondo con Chelsy, prima viaggiando lungo il corso d’acqua sulla casa galleggiante Kubu Queen nel 2005 e poi di nuovo nel 2009 per tre notti al cinque stelle Shakawe River Lodge. Per la fuga romantica con Meghan, scelse il Meno A Kwena (che significa «dente di coccodrillo»), un campo di safari sul confine del Makgadikgadi Pans National Park.

A dieci chilometri da qualunque altro campo di safari (cosa rara, in quella regione), il Meno A Kwena garantì alla coppia la massima privacy, non solo dalla stampa, ma anche dagli altri turisti. Sul muro del resort c’è la foto incorniciata dei nonni di Harry, la regina e il principe Filippo, scattata quando fecero una visita di stato in Botswana nel 1979. C’è anche il ritratto di Sir Seretse Khama, il primo presidente del paese, e della moglie bianca inglese, Ruth Williams. La coppia diede scandalo quando si sposò nel 1948 (la loro vicenda diventò un film nel 2016, A United Kingdom – L’amore che ha cambiato la storia, con David Oyelowo e Rosamund Pike).

Harry e Meghan trascorsero gran parte del soggiorno in una delle sfarzose tende da 1957 dollari a notte. Forse la parola “tenda” è un po’ fuorviante per le confortevoli sistemazioni del campo. Con letti matrimoniali di tek dotati di morbide coperte tessute a mano per proteggersi dal fresco della notte, le camere sono molto più simili a cabine di lusso. Ogni tenda dispone di una terrazza privata e di un bagno completamente attrezzato, con acqua riscaldata tramite energia solare, docce pressurizzate e asciugamani di cotone egiziano, tutti dettagli che lo rendono un campeggio sontuoso. Dopo una giornata di safari la coppia trovava sempre piacevole tornare in quello spazio accogliente.

In genere la mattinata iniziava con la colazione servita in terrazza di buon’ora, di solito uova e pancetta per Harry e frutta e yogurt per Meghan. Poi i due preparavano lo stretto indispensabile per la giornata, compreso il pranzo al sacco fornito dalla cucina del campo. Meghan si assicurava di prendere la crema solare per entrambi (utile soprattutto per Harry, che si scottava facilmente e la dimenticava spesso).

La coppia passò anche alcune notti lontana dal Meno A Kwena per fare un safari appositamente organizzato al Makgadikgadi Pans. Benché Meghan sia una donna amante dell’avventura e abituata a viaggiare, un amico rivela che ebbe qualche difficoltà a dormire all’aperto. I richiami degli uccelli, i grugniti degli ippopotami e i versi di altri animali a notte fonda non conciliavano certo il sonno. Harry invece era avvezzo ai suoni del bush, perciò era il compagno ideale per quell’occasione.

Se all’inizio Meghan non trovò facile riposare nel cuore di una regione africana davvero selvaggia e remota, in seguito dimostrò una notevole capacità di adattamento, cosa che Harry apprezzò. Inoltre, per il viaggio aveva portato con sé solo uno zaino (seppure molto grande). Estremamente organizzata, sorprese subito il principe con il suo talento per i bagagli. Fiera di questa dote, molto gradita a Harry, arriva persino a infilare salviettine antistatiche e profumate tra i vestiti e, a prescindere dalla destinazione, mette in valigia un flacone d’olio di tea tree contro punture, tagli e foruncoli.

«Il fatto che Meghan sia sempre pronta a rinunciare alle comodità e a immergersi nell’ambiente naturale è un aspetto che Harry ama molto di lei» riferisce un amico di entrambi. «Una volta Meghan ha scherzato sul fatto di avere sempre la valigia più leggera di quella del principe quando partono insieme!»

Se Harry aveva temuto di ritrovarsi a fare il safari con una schizzinosa attrice di Hollywood, restò piacevolmente stupito dalla sua semplicità. Mentre erano accampati Meghan si puliva il viso con le salviettine umidificate e si addentrava senza paura nella foresta se doveva andare in bagno. Cinque interi giorni insieme diedero ai due giovani la possibilità di conoscersi e di scoprire che condividevano la stessa curiosità per il mondo e per la natura selvaggia.

«In principio, a unirli sono stati l’amore per l’avventura e l’opportunità di fare queste esperienze insieme» afferma un caro amico di entrambi. «Il fatto che amino tutti e due mettersi lo zaino in spalla e andare a esplorare… Sinceramente credo che per loro queste avventure non finiranno mai.»

Dopo il soggiorno in Botswana, Meghan tornò a casa e Harry andò nel Malawi per collaborare per tre settimane con l’organizzazione African Parks, che gestisce in Africa una serie di parchi nazionali ciascuno con una sua biodiversità.

In seguito alla partenza di Meghan, Harry lavorò fianco a fianco con volontari, veterinari ed esperti a uno tra i più grandi e significativi progetti di trasferimento di elefanti della storia, che coinvolse ben cinquecento esemplari.

Harry aiutò a spostare in sicurezza i branchi dal Majete e dal Liwonde al Nkhotakota Wildlife Reserve. «Gli elefanti non possono più vagare liberamente, come facevano un tempo, senza entrare in conflitto con le comunità o cadere vittime del bracconaggio e delle persecuzioni» ha spiegato. «Per consentire la convivenza tra uomini e animali occorre sempre più spesso erigere recinzioni per separarli e tentare di mantenere la pace.»

Il dottor Andre Uys, ambientalista e veterinario, viaggiava con il principe su un elicottero che faceva uscire allo scoperto le famiglie di elefanti dalla foresta nella pianura alluvionale. Andre sedava gli animali per trasferirli a quasi trecentoventi chilometri di distanza, in un luogo più sicuro, e Harry li marchiava con una vernice spray temporanea atossica. «Il suo impegno per la tutela dell’ambiente è ammirevole. La sua passione per la conservazione della fauna viene chiaramente dal cuore» ha affermato Andre, aggiungendo che Harry «si è dato da fare come tutti gli altri. Era un membro della squadra.»

Quando Meghan rientrò dall’Africa, un’amica osservò: «È tornata sorridente e completamente stregata». Aveva il telefono pieno di foto: la natura che avevano visto, immagini informali di sé, selfie con Harry. Secondo la stessa fonte, se Meghan non fosse dovuta tornare al lavoro in Canada e Harry alla sua vita a Londra, «sarebbero stati felici di passare l’intera estate laggiù insieme». A rendere il viaggio così idilliaco non era stata soltanto la bellezza del luogo. Meghan rivelò che parlarono moltissimo, anche di argomenti che lei affrontava di rado con altre persone.

«Non mi sono mai sentita tanto al sicuro» riferì all’amica, «o così legata a qualcuno dopo così poco tempo.»