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Reims, convento di Sainte-Balsamie
27 marzo

Suor Claire era scomparsa da cinque giorni.

Eudeline aveva già fatto controllare il convento da cima a fondo per ben tre volte, senza riuscire a scoprire dove fosse finita. Se ne era persa traccia dal 23 marzo, quando non aveva presenziato al canto del mattutino insieme alle consorelle. Cosa ancor più strana, la sua cella conteneva ancora tutti gli effetti personali, compreso il mantello che le sarebbe servito per uscire all’aperto. Mancava soltanto lei.

Svanita nel nulla. Erano state le parole con cui la badessa aveva spiegato l’accaduto a due advocati12 del vescovo, giunti a Sainte-Balsamie per far luce sulla vicenda. Presa nota dei fatti, gli uomini si erano scambiati un’occhiata perplessa per poi stringersi nelle spalle, a intendere che c’era poco da fare in casi del genere. Non si trattava certo della prima donna scomparsa a Reims. Si sentiva continuamente parlare di mogli fuggite da mariti violenti, figlie partite di nascosto con forestieri, meretrici perdutesi ai confini delle città… E ora, una monaca scappata da un convento.

«Non è scappata», aveva obiettato Eudeline, più per orgoglio che per convinzione. Non poteva credere che suor Claire si fosse volontariamente allontanata dal claustro. Era mansueta e obbediente, consacrata a una vita di autentica devozione.

I due funzionari l’avevano ascoltata con diffidenza, quasi divertiti, finché uno di loro non aveva commentato: «Forse si è innamorata».

Innamorata di uno stupido uomo come voi?, avrebbe voluto ribattere la reverenda madre, sul punto di andare su tutte le furie. Invece aveva congedato gli advocati con un saluto cortese, pregandoli di estendere i suoi ossequi al vescovo, insieme ai ringraziamenti per aver inviato due tra i suoi più acuti servitori.

Poi era tornata a meditare sull’accaduto, rifugiandosi nel silenzio della corte mentre l’alba si schiudeva come un occhio divino.

L’ansia per suor Claire offuscava persino la preoccupazione per il fratello e i sentimenti per Robert de Vermandois. Doveva esserle capitato qualcosa che l’aveva spaventata o scossa, al punto da forzarla a lasciare il convento. Di cosa si fosse trattato, però, era difficile stabilirlo. La giovane cappellana era sempre stata sensibile e impressionabile, capace di trasformare un nonnulla in una tragedia… Eudeline non poté fare a meno di rievocare il loro ultimo incontro.

L’aveva fatta scoppiare in lacrime, rimproverandola severamente.

Che sciocchezza, pensò. Non era stata certo la prima volta. Le capitava sovente di riprendere suor Claire, specie nei periodi di lavoro più intenso. D’altro canto, se voleva essere del tutto sincera, doveva riconoscere che ultimamente lo faceva con maggior durezza e a volte senza un valido motivo.

Ammetterlo le costò fatica, ma fu anche liberatorio: era cambiata. Anziché coltivare la quiete nell’anima, stava assumendo i modi di una zitella acida, capace soltanto di sfogare le proprie frustrazioni sul prossimo. Una povera stolta, si disse. Tempo addietro aveva giurato a se stessa di rinunciare per sempre alle emozioni, diventando un’algida figura isolata dalle turbe del mondo. E che Dio la perdonasse, si era dimenticata di quel giuramento nel momento in cui si era imbattuta in Robert. Con la sua rude galanteria, quell’uomo le aveva aperto una breccia nel cuore, facendole riscoprire la donna nascosta sotto il velo. Una donna fragile.

Distolse lo sguardo dalla luce del sole e, oppressa da un repentino senso di colpa, si chiese fino a che punto avesse ferito suor Claire. Per l’ennesima volta l’aveva umiliata.

“Che razza di persona sto diventando?”. Eudeline non si era mai reputata cattiva. Era una vittima: la sopravvissuta a una tragedia che ogni giorno risvegliava in lei la paura. Dopo tanta sofferenza, la sua unica cura era stata quella di difendersi da altro dolore, senza rendersi conto di poterlo infliggere ad altri. Fino a quel momento.

I rintocchi delle laudi la colsero di sorpresa, facendola sentire impreparata ad affrontare gli sguardi delle consorelle. Aveva bisogno di restare ancora sola. Intenzionata a sedersi in un luogo appartato, raggiunse il limitare dell’orto per continuare il suo esame di coscienza. Ma non appena fu vicina al muretto che delimitava la bocca di un vecchio pozzo, notò qualcosa che scintillava in mezzo all’erba.

Incuriosita, la reverenda madre si chinò per controllare. Affondò le dita in un intreccio di rampicanti e raccolse un oggetto dalla forma liscia e affusolata, coronato da una fine cesellatura.

Una torre d’avorio.

Eudeline si domandò come fosse finito un pezzo degli scacchi nei pressi di un pozzo in disuso. Era evidente che giacesse lì da qualche tempo, essendovi cresciute sopra delle rampicanti. A chi poteva appartenere? Nessuna monaca di Sainte-Balsamie, a parte lei, possedeva una scacchiera.

Si inginocchiò per verificare se nei dintorni vi fossero altre pedine. “Devo essere proprio uscita di senno”, pensò nel frattempo. “Una mia monaca è stata data per dispersa e io rovisto fra le erbacce, in cerca di scacchiere inesistenti”.

Per un attimo ritornò a essere la bambina spensierata che andava a caccia di tesori nel giardino della sua magione. Poi, non riuscendo a trovare altro, si sentì una sciocca e si rialzò prima che qualcuno la sorprendesse in quella posizione. Pulito l’abito dai fili d’erba, fece per tornare ai propri crucci quando la sua attenzione ricadde sul pozzo. Mancava di controllare soltanto lì, pensò. Osservò il parapetto di pietre grigie, alto una decina di spanne, e colta da un presagio posò le mani sui bordi, sporgendosi verso il basso.

Il pozzo era poco profondo e prosciugato da anni, ma la luce radente del primo mattino non riusciva ancora a illuminare il punto in cui terminava. Guardando dentro l’imboccatura, Eudeline scorse soltanto una massa buia. Continuò a fissarla, nell’attesa che il sole si levasse alto nel cielo. E mentre cercava di immaginare quante cose vi fossero cadute dentro nel corso degli anni, vide l’oscurità diradarsi a poco a poco, fino a diventare un mosaico di ombre. Non le servì molto per riuscire a distinguere i contorni del fondo e la sagoma di qualcosa di voluminoso che giaceva al centro.

“Che strano”, pensò, aguzzando lo sguardo. Man mano che la luce aumentava di intensità, la sagoma sotto i suoi occhi si delineava con maggior precisione, assumendo l’aspetto di una forma umana.

Un istante prima di capire, un fievole odore di decomposizione si levò dalle profondità, suscitandole un improvviso raccapriccio.

Poi gridò in preda all’orrore.

Quando il servo risalì dal pozzo, diede conferma con un mesto cenno del capo. Era proprio il corpo di suor Claire.

Eudeline ordinò che venisse sollevato con una corda e portato al chiuso, lontano dagli sguardi delle consorelle. Ritta davanti al pozzo, assistette all’operazione senza battere ciglio, come se le avessero conficcato due pugnali nel petto. Il primo fomentava il cordoglio, il secondo il bisogno di sapere. Era talmente scossa da non aver ancora pensato in che modo comunicare la disgrazia al suo gregge. Le venivano in mente soltanto parole vuote, inadeguate a esprimere il lutto per la perdita di una consorella.

La salma della monaca venne issata e caricata su una portantina. Era scomposta, imbrattata di fango. La badessa le rivolse un silenzioso saluto e fece per andarsene, ma il servo salito dal pozzo la richiamò per porgerle una bisaccia che aveva trovato sotto il cadavere. Forse, azzardò l’uomo, era appartenuta alla cappellana.

Eudeline la prese e, senza ribattere, si diresse verso la sua domus. Prima di predisporre le esequie, avrebbe atteso la perizia dell’infirmaria. Non che le servisse un parere medico per stabilire le cause del decesso di una monaca precipitata in un pozzo, eppure sentiva di doverlo a suor Claire e anche a se stessa. La badessa desiderava fugare ogni dubbio sul fatto che quella morte fosse stata accidentale, perché in caso contrario si sarebbe trattato di suicidio. Ovvero, dannazione eterna per la cappellana.

Giunta nella sua stanza, gettò la bisaccia sullo scrittoio e rimase a fissarla a lungo, quasi timorosa di scoprirne il contenuto. Capì subito che non apparteneva a una donna. Troppo capiente, di taglio militare. Pareva una di quelle borse appese in sella dai cavalieri.

Cosa c’entrava con suor Claire?

Incapace di trattenersi oltre, la aprì. E non appena vide cosa c’era dentro, sbarrò gli occhi per lo stupore.

Una scacchiera completa di pedine.

Estrasse i pezzi a uno a uno, disponendoli con ordine sullo scrittoio. Poi affondò una mano nella tasca dell’abito ed estrasse la torre mancante.

Riprese a frugare nella borsa, finché non trovò sul fondo un anello di metallo dotato di sigillo. Recava uno stemma nobiliare. Non ebbe bisogno di osservarlo per capire a chi appartenesse.

Ricordava bene le parole che Vermandois, confuso dall’amnesia, le aveva rivolto pochi giorni prima.

Nella mia bisaccia troverete pedine e scacchiera.

Eudeline l’aveva trovata.

Restava da comprendere come fosse finita in fondo a un pozzo, insieme al cadavere di una monaca.

L'abbazia dei cento peccati - 2014 - OKT
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