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Mentre seguiva Eudeline per i corridoi del convento, Maynard cercava di tenere a freno l’immaginazione. Sentir menzionare l’Apocalisse aveva evocato nella sua mente scenari inquietanti, al punto da fargli temere che il sogno dei tre cavalieri non fosse stato altro che un funesto presagio. Tuttavia aveva deciso di non farne parola con la sorella. Non ancora, per lo meno. Prima di raccontarle di Jang de Blannen, delle ipotesi di complotto e dell’agguato della notte precedente, intendeva porre chiarezza sul mistero che aveva giurato di custodire. Le camminò quindi accanto senza proferire verbo, attraversando il chiostro e gli ambienti interni di una struttura che pareva non finire mai.
La chiesa di Sainte-Balsamie era immensa. Benché eretta da meno di un secolo aveva prosperato rapidamente, annettendo nuovi edifici tra cui la foresteria e il valetudinarium. Buona parte dei fondi impiegati per la sua fabbrica proveniva proprio dal casato di Rocheblanche, e ciò aveva consentito a Eudeline di elevarsi al ruolo di badessa dopo la morte dell’anziana superiora. Ma non era stato soltanto grazie ai suoi nobili natali che la giovane donna era riuscita a conquistare il seggio abbaziale. A dispetto delle regole che esigevano almeno i trent’anni di età, aveva dimostrato di possedere un’intelligenza e una fermezza adeguate al comando, che le erano valse un’elezione all’unanime consenso. Il fratello ne era stato informato soltanto in seguito, restandone sconcertato. La notte piovosa in cui l’aveva portata in quel convento, non si era aspettato certo che Eudeline covasse il desiderio di consacrare la propria vita al Signore, tantomeno l’ambizione di guidare una comunità di religiose. Sainte-Balsamie avrebbe dovuto rappresentare per lei soltanto un rifugio provvisorio, finché Maynard non fosse riuscito a regolare i conti con il padre. Invece ogni cosa gli era sfuggita di mano e il disonore aveva spinto la sorella a nascondersi in una prigione estesa ben oltre le mura del claustro. Una prigione capace di intrappolare per sempre un’anima ferita.
Percorsero nella semioscurità un tratto di loggiato fino a raggiungere un portone di legno. La reverenda madre estrasse un anello di chiavi e fece scattare la serratura. «Il libro che cerchi è qui», disse, «insieme a molti altri».
Maynard la seguì e non appena fu all’interno rammentò di essere già stato in quel luogo. Era un ambiente angusto, circondato da pareti che terminavano in un soffitto a volta. Conteneva soltanto un armarium, un candelabro a tre bracci e un leggio posizionato al centro.
Eudeline accese le candele e, senza farsi notare, scivolò nella penombra per ricomparire con un pesante volume. «È un evangelario», spiegò, riponendolo sul leggio. «Raccoglie i testi dei quattro Vangeli, inclusa l’Apocalisse dell’apostolo Giovanni. Ora ricordi? Proviene dallo scriptorium dell’abbazia di Fulda, te lo mostrai l’ultima volta che mi venisti a trovare».
Lui confermò con un gesto vago. Quel libro gli era familiare, anche se non ne serbava precisa memoria. Osservò le dita affusolate della sorella muoversi sulle pagine di pergamena, finché non si accorse che aveva sollevato lo sguardo.
«Finora ho taciuto», disse la reverenda madre con tono preoccupato, «ma non sono un’ingenua. Ti presenti al convento con un compagno ferito, chiedi aiuto e pretendi il mio silenzio. Fratello, da quali insidie stai fuggendo?».
Maynard dissimulò con un’alzata di spalle. «Se qualcuno dovesse porre domande, limitati a rispondere che io e Robert siamo reduci da una feroce battaglia».
La badessa aggrottò la fronte. «Già sapevo che avresti preso parte a un importante conflitto al seguito del re, me ne accennasti nelle tue lettere. Le voci giunte al convento mi hanno fatto temere per te…».
«È stato l’inferno, mia cara sorella. Abbiamo tentato di contrastare l’avanzata degli inglesi, con la conseguenza di capitolare a Crécy».
Eudeline annuì con amarezza. «Dunque Edoardo III avanza».
«Avanza, ma non verso i nostri feudi. Vuole la Bretagna e le Fiandre».
«E sua maestà?».
Maynard abbassò lo sguardo. «Ripiega verso Parigi, con disonore».
Ci fu una breve pausa, il tempo sufficiente a lasciar svanire quelle parole. Poi la voce della badessa risuonò più alta di un’ottava, carica di dubbio: «Eppure il tuo compagno non è stato ferito a Crécy, dico bene? Non sarebbe sopravvissuto a un viaggio tanto lungo, in simili condizioni».
Il fratello fu costretto ad annuire. «È accaduto la notte scorsa, in seguito a un agguato».
«Gli inglesi vi hanno braccati?»
«No, non loro. Si è trattato di due sicari».
Sempre più irrequieta, Eudeline strinse le mani ai bordi del leggio.
Maynard le mostrò il piccolo rotolo di pergamena. «Volevano questo, ma io ho giurato di custodirlo».
«È in nome di quel giuramento che mi tieni all’oscuro? Ebbene, sappi che se pretendi il mio aiuto dovrai dirmi di più».
«Lo farò, ti do la mia parola. Prima, però, cerchiamo di comprendere il legame tra il verso iniziale dell’enigma e il passo dell’Apocalisse che affermi di ricordare. Me lo concedi?»
«Sta bene».
La sorella riprese a sfogliare l’evangelario, soffermandosi di tanto in tanto per cercare riferimenti che la aiutassero a orientarsi nella lettura. Il testo era fitto, distribuito su due colonne adorne di capilettera dorati.
La ricerca si protrasse a lungo. Quando finalmente manifestò di aver trovato qualcosa, la badessa ruminò un miserere e si fece il segno della croce. «Ricordavo bene, fratello», sospirò. «Le parole che udisti dalle mie labbra provengono da uno dei passi più terribili dell’Apocalisse: la caduta di Babilonia, città del peccato e della corruzione. Secondo questa profezia, tutti i re e i mercanti della terra gemeranno davanti alla sua rovina, mentre i naviganti in fuga scorgeranno dal mare il suo incendio».
«Sei certa delle tue parole?», chiese Maynard. «Non mi pare di cogliere alcun riferimento all’enigma della pergamena…».
A quel punto Eudeline voltò pagina, mostrandogli la superba miniatura di un angelo raffigurato nell’atto di sollevare una grande pietra circolare. «Le parole che tu cerchi», rivelò, «vengono subito dopo».
Infatti lesse:
Et sustulit unus angelus fortis
lapidem quasi molarem magnum et misit in mare dicens:
Impetu sic mittetur Babylon magna illa civitas et ultra iam non
invenietur.3
Il cavaliere, che a Parigi aveva appreso non solo l’arte della guerra ma anche la lingua latina, tradusse: «Allora un angelo possente sollevò una pietra grande come una mola e la gettò in mare, dicendo: “Con la stessa violenza sarà precipitata Babilonia, la grande città, e mai più riapparirà”». Ripeté mentalmente la frase, cercando di capire il suo legame con il Lapis exilii. Invano. «Sono proprio queste le frasi che ti udii pronunciare, te ne do atto. Ma dopo averle riascoltate, dubito possano riguardare l’enigma di cui ti ho messo al corrente».
«Io invece sono persuasa del contrario», affermò Eudeline. «Il riferimento all’angelo che getta la mola in mare è talmente insolito da non poter provenire da altre fonti».
«E dunque?».
Prima di spiegarsi, la reverenda madre diede un’ultima scorsa al testo dell’evangelario. «Non ne sono del tutto sicura, però credo che la citazione dell’Apocalisse serva a far comprendere la vera natura del Lapis exilii. Non in modo esplicito ma per significazione, con un gioco di parole».
«Intendi un enigma dentro l’enigma?»
«Sì. Una chiave di lettura, forse un indizio».
Maynard osservò la miniatura dell’angelo nell’atto di sollevare la pietra rotonda, ma anziché intuire qualcosa sprofondò nella frustrazione. «Un indizio troppo vago, purtroppo».
«Se potessimo rivolgerci a un sapiente…», suggerì la badessa.
«Ti ho già avvertita», esclamò lui con voce grave. «Nessun altro deve sapere».
Eudeline ribatté indispettita: «Mi credi tanto sprovveduta da non saper scegliere persone fidate?»
«Non fraintendermi, sorella», la placò Maynard. «So bene quanto tu possa essere accorta. Però so ancora troppo poco su questa vicenda, e già una volta commisi l’errore di fidarmi della persona sbagliata».
«Quindi spetterà soltanto a noi sciogliere l’enigma…».
«Soltanto a me», la corresse. «Dovrai promettermi di rimanerne estranea, non voglio esporti ad alcun rischio».
La monaca lo fissò in tralice, mantenendosi aggrappata al leggio. «Parli come se avessi già preso una decisione».
Maynard le diede conferma con un cenno risoluto. «Partirò per Vienne il prima possibile, raggiungerò la chiesa di Saint-Savin e mi metterò alla ricerca del monte del fiore, qualsiasi cosa esso sia. E stanne certa, non mi darò pace finché non avrò trovato la cripta del Lapis exilii».
«Potrebbe essere rischioso, te ne rendi conto?»
«Ho giurato, sorella».
«Hai giurato di proteggere un segreto, non di violarlo».
Il cavaliere si sentì punto nel vivo. Eudeline aveva ragione, ne era consapevole, ma non poteva rivelarle le proprie motivazioni. Non riusciva a comprenderle appieno neppure lui. L’unica certezza era che sentiva il bisogno di intraprendere quel viaggio. «Come posso proteggere qualcosa che non conosco?», tentò di giustificarsi.
Nel ribattere, la badessa mostrò un’accondiscendenza quasi materna: «Sospetto che le tue esigenze siano ben più impellenti, fratello mio».
«Ebbene sì», sbottò lui, iniziando a camminare per la stanza. «Ma ora non posso rivelartele».
Eudeline si morse le labbra, frenando parole che forse sarebbero risuonate troppo avventate. «Non sarò io a trattenerti. Tuttavia pretendo la verità su quella pergamena. Me l’hai promesso».
«Lo farò, non dubitare». Il cavaliere le si fermò di fronte, scrutandola con un tenue sorriso. «A patto che tu ti prenda cura di Robert e dei nostri feudi».
«Ebbene ti ascolto, fratello».