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Reims, convento di
Sainte-Balsamie
22 marzo
Era appena giunta un’altra lettera di Maynard.
Dopo averla letta, suor Eudeline la ripose in un piccolo scrigno ai bordi dello scrittoio e mormorò una preghiera per il fratello, cercando di mettere da parte una lieve delusione per la sua avarizia di particolari. Le scriveva soltanto per informarla che era ancora in salute e progrediva nell’indagine, senza dilungarsi a spiegare cosa avesse scoperto sul Lapis exilii.
Le missive erano tanto povere di riferimenti da tacere persino i nomi delle località da cui erano state inviate. La reverenda madre tuttavia era riuscita a farsi una vaga idea dell’itinerario seguito dal fratello, in base alle notizie riportate da chi consegnava le lettere. Le prime due erano giunte passando di mano in mano tramite un gruppo di frati cordiglieri del sud-ovest. Poi era stata la volta di un pellegrino che aveva dimorato per qualche tempo nella Chiusa di San Michele.
Troppo poco per comprendere la destinazione di Maynard, anche se era chiaro che avesse valicato la corona alpina. Eudeline era preoccupata non solo per i rischi a cui andava incontro, ma soprattutto per il suo stato d’animo. Durante il loro ultimo incontro le era sembrato così schivo e ombroso che a stento aveva riconosciuto il giovane esuberante di un tempo. Benché avesse cercato di tenerlo nascosto, la sorella aveva percepito in lui un rimorso tanto radicato da spingerlo a chiudersi nei suoi confronti.
Del resto, lei non era stata da meno. Si sentiva ancora talmente ferita dalle angherie del padre da non essersi mai chiesta come il fratello avesse vissuto quella tragedia. Per riprendere il controllo della propria vita, aveva dovuto chiudersi in se stessa e sfuggire al ricordo di quei terribili giorni. Nei mesi successivi alla violenza non c’era stato spazio per pensare a Maynard e neppure per piangere la madre. Era annientata. Insensibile al mondo. Non era stato facile accettare la devastazione che aveva dentro di sé, e solo dopo aver compreso cosa restava di intatto fra quelle macerie si era sentita abbastanza forte da rialzare la testa. Ma l’Eudeline uscita da quell’antro oscuro non era la fanciulla spensierata di prima.
E ora, rammentandosi della notte in cui il fratello l’aveva soccorsa, rivide con improvvisa lucidità la furia che traspariva dal suo volto mentre tentava di stringerla tra le braccia. Non era stato un mero contrarsi di lineamenti, ma uno squarcio di dolore. Come poteva credere che non ne fosse stato cambiato?
Alcune parole della sua prima lettera le balenarono alla memoria.
…Nella speranza che ciò mi renda un uomo migliore. Un uomo che un giorno avrà il coraggio di confessarti cose che non ti ho mai detto…
Per sfuggire al turbamento, aprì di colpo il libro mastro. L’alba incombeva e lei doveva ancora aggiornare i dati sui feudi di famiglia. Aveva bisogno di riprendere il controllo. Rifugiarsi nei numeri le avrebbe permesso di ritrovare la quiete.
Quiete che tuttavia, quel giorno, non era destinata ad arrivare.
Sentì bussare alla porta e fece per ordinare a suor Claire di aprire, poi si ricordò che la cappellana non era presente. Dopo essersi accorta del suo ennesimo pasticcio, la badessa le aveva ordinato di starsene alla larga fino al pomeriggio e di meditare sui propri errori.
Si alzò dunque dallo scrittoio e andò a schiudere il battente. Non appena vide il volto dell’infirmaria fu tentata di richiudere. «Ebbene?», le domandò, immaginando già di cosa si trattasse.
«Vermandois», disse la monaca. «Chiede di voi».
«Pensavo di essere stata chiara quando ho detto di non voler essere disturbata per simili questioni».
«Chiedo venia, reverenda madre. Questa volta è diverso».
Eudeline sobbalzò. «Sta forse peggiorando?»
«Al contrario, pare aver ripreso l’uso delle gambe».
«È… stupefacente».
«La sua fibra è robusta». Sempre ferma sull’uscio, l’infirmaria esitò prima di proseguire. «Tuttavia non è questo il motivo che mi ha spinta a correre da voi».
La badessa colse il suo tono allusivo e la fece entrare alla svelta. «Non tenetemi sulle spine», la invitò, richiudendo il battente.
«Gli sta tornando la memoria», rivelò la monaca, abbassando cautamente la voce. «Sostiene di ricordarsi di vostro fratello».
Suor Claire era un’ingenua, Aleydis l’aveva capito fin dal primo momento. Molte consorelle la accusavano di superbia perché era stata scelta dalla badessa come monaca di compagnia, ma in realtà era soltanto distratta e piuttosto riservata. La maggior parte delle malelingue ignorava che il suo ruolo fosse tra i più impegnativi del convento. Essere cappellana significava assistere la reverenda madre nello svolgimento di mansioni delicate e personali. Prima fra tutte, tenere in ordine il suo archivio.
Per quella ragione, suor Claire era l’unica monaca di Sainte-Balsamie a possedere una copia della chiave di accesso alla domus particularis di suor Eudeline. La teneva sempre appesa al collo con una cordicella, in bella mostra. Se Aleydis fosse riuscita a mettere le mani su quella chiave, avrebbe potuto frugare tra i segreti più intimi della badessa nella speranza di trovare quanto serviva al cardinale.
Decise di agire dopo l’ufficio delle laudi, quando le consorelle si raccoglievano nello scriptorium per copiare i manoscritti custoditi nel convento fino all’ora terza. Non tutte erano chiamate a svolgere quel compito. Tenendo conto delle propensioni di ciascuna, la reverenda madre aveva destinato alla compilazione dei codici soltanto le più intelligenti e dotate di buona vista. Le altre trascorrevano quel lasso di tempo dedicandosi al ricamo, al rammendo e alle pulizie.
Nonostante fosse novizia, Aleydis si era distinta al punto da essere stata subito ammessa a quella affascinante mansione. Era stata incaricata di copiare una vita di santa Scolastica ricavata dai Dialoghi di Gregorio Magno, che aveva iniziato a vergare con pazienza, pagina dopo pagina, provando soddisfazione nel vedere il proprio manoscritto aumentare gradualmente di spessore. Più di una volta Eudeline si era soffermata a controllare il suo operato e aveva annuito con approvazione. Le vere lodi gliele aveva rivolte soltanto in privato, per non suscitare la gelosia delle consorelle. «Siete brava», si era espressa. «Ordinata e precisa come poche».
Per la ragazza, che non aveva mai ricevuto complimenti, quelle parole erano state un dono prezioso, tanto più gradito perché pronunciate da una donna che rappresentava per lei un modello.
Fu con una punta di rimorso, quindi, che ordì l’inganno. Sapeva bene di dover calibrare il tempismo con l’arte della persuasione, stando attenta a non lasciar trapelare i propri intenti. Suor Claire era ingenua, non stupida. La sua abilità nel compilare codici la diceva lunga al riguardo. Aleydis la tenne d’occhio per buona parte della mattinata, continuando a redigere la vita di santa Scolastica, in attesa dell’occasione più opportuna per agire. E quando la vide alzarsi dallo scrittoio per andare a riempire il calamaio vuoto, capì che era giunta.
Attese che l’ignara cappellana le passasse a fianco, lasciò cadere la penna d’oca davanti ai suoi piedi e si chinò di scatto per raccoglierla, facendole rovesciare addosso l’inchiostro contenuto nella boccetta.
«Maria santissima, mi dispiace!», esclamò subito dopo Aleydis.
«Silenzio», bisbigliò suor Claire, per non disturbare le altre amanuensi più di quanto fosse già accaduto. Aveva l’abito e le mani completamente inzaccherati di liquido nero.
«Permettetemi di rimediare», disse la novizia con un sussurro. Senza attendere risposta, la prese sottobraccio per condurla fuori dallo scriptorium.
Di fronte all’accaduto, la madre bibliotecaria permise loro di allontanarsi senza sollevare obiezioni.
«Non c’è bisogno del vostro aiuto…», aggiunse la cappellana, non appena si ritrovarono a percorrere il loggiato esterno.
«Che disastro!», esclamò Aleydis, fingendo di non averla sentita. «Avete bisogno di un cambio completo», e la fece svoltare per uno stretto corridoio. «Passate di qua, non vorrete farvi vedere in questo stato. Se incrociassimo la reverenda madre…».
Raggiunsero l’ambiente attiguo al dormitorio senza che suor Claire sollevasse altre obiezioni. Aleydis le chiese di attendere lì un momento e in breve le procurò un catino d’acqua e degli abiti puliti.
La cappellana la ringraziò, poi fece per sfilarsi dal collo il laccio con la chiave.
«Lasciate fare a me», la fermò la novizia. «Con quelle mani sporche rischiate di macchiarvi il viso». Le tolse quindi il laccio con la chiave, poi sfilò gli spilli che le appuntavano il velo e slacciò il soggolo, riponendo ogni cosa sul pavimento.
Quindi si inginocchiò davanti a lei e iniziò a sbottonarle l’abito.
«Ora posso continuare da sola», la interruppe suor Claire, arrossendo.
Aleydis sorrise con un pizzico di malizia. «Come desiderate».
E prima di rialzarsi, ne approfittò per scambiare il piccolo oggetto che nascondeva sotto la manica con quello che aveva appena posato per terra.
Poi le diede le spalle e si allontanò a passo svelto, stando attenta a tenere le mani giunte in grembo.