16

Il corpo di Emily pulsava di vita, sdraiato su una magnifica nuvola. Era stranamente elettrica, quasi pericolosamente euforica, mentre era lì, distesa nuda sul letto di Henry. Aveva la sensazione che si stessero spingendo per vedere fin dove potevano arrivare prima di bruciarsi.

«Grazie per avermi fatto entrare» disse Emily. «Sono contenta di essere passata.»

Henry dette un colpo di tosse. «Dobbiamo parlare…»

«No.» Emily gli premette un dito sulle labbra, poi si chinò e avvicinò la bocca alla sua. «Non dobbiamo. Non sarebbe un bene per nessuno di noi due.»

«Ma…»

«Guarda, Henry» disse Emily, cercando di sembrare distaccata e indifferente, come se fosse davvero solo sdraiata su un letto lussuoso, gloriosamente nuda accanto al suo amante. Amante… che parola bizzarra per un’avventura di una notte, pensò. Si poteva ancora definire così, giusto? Non si conoscevano neanche da ventiquattr’ore…

Un sospiro le sfuggì dalle labbra mentre rotolava sul letto, sentendosi molto diversa dal solito, libera da quel persistente insieme di senso di colpa, rabbia e lutto che la tormentava senza tregua. Era successo qualcosa, quella sera, quando aveva tenuto in braccio quella bambina, e poi quando aveva sentito su di sé il tocco di un uomo in grado di farle battere il cuore. Qualcosa che non provava da tempo. Da molto, molto tempo. Da quando aveva visto il faccino di Julia, l’aveva tenuta in braccio, aveva conosciuto quella sensazione divorante, sconvolgente della maternità.

Guardò Henry che aspettava con quella calma che aveva già imparato a conoscere dai loro brevi, seppur intensi, incontri. Era nudo, abbronzato e bellissimo, con gli addominali in mostra. Era il tipo d’uomo che poteva avere tutte le donne che voleva solo sfoderando il suo sorriso.

Henry aveva quel genere di aura aspra e misteriosa che faceva pensare a Emily che potesse essere plausibilmente un truffatore, ma anche il padrone di un ranch, o magari un miliardario nerd. Emily sentì un leggero brivido pensando a chi fra quelli poteva essere (magari tutti e tre). Se avesse scoperto che era un banchiere d’affari in cerca di una scappatella per il fine settimana e che non c’era niente di esotico in lui, ne sarebbe rimasta gravemente delusa.

«Non hai finito la frase» disse Henry, tendendo una mano verso il viso di Emily. Le sfiorò i capelli con le dita leggermente ruvide. Sicuramente non era un banchiere. In un ranch se lo vedeva bene, invece. «Cosa stavi dicendo?»

«Stavo pensando che probabilmente io e te siamo simili, in un certo senso» disse. «E sappiamo entrambi che questa piccola storia non andrà da nessuna parte; è una vacanza per sfogarsi un po’. Non complichiamo le cose.»

«Siamo simili?» chiese Henry. «Da cosa lo capisci?»

«Tu hai dei segreti, io ho dei segreti» disse Emily. «Immagino che i tuoi non siano tutti rose e fiori.»

«Hai un passato complicato» disse lui. «Ti ritrai quando ti tocco.»

«No, non è vero. E questo è esattamente ciò che non volevo fare.» Emily si allontanò e gli voltò le spalle. «Parlare di realtà rende tutto ben poco romantico.»

«A cosa servono le quattro del mattino se non a condividere segreti?» Henry si chinò, il suo respiro sapeva di menta speziata. Emily pensava di poter vivere solo del suo profumo, pungente e legnoso. «Non conosci il mio cognome. Non sei obbligata a vedermi mai più.»

«Ma invece tu lo sai, il mio cognome.»

«Prometto che non ti correrò dietro.»

Emily rise. «Molto affascinante.»

«È questo che vuoi che dica, no?» chiese Henry. «Non sei sposata, vero?»

«No.»

«Sei coinvolta in qualche relazione complicata?»

Emily deglutì, le bruciavano gli occhi. «Sono sola. Ho intenzione di restarlo per molto, molto tempo. Per sempre.»

«Se non vuoi parlarne, lo capisco» disse lui burbero, rotolando via da lei. «Non ce n’è bisogno.»

Emily lo raggiunse, si avvicinò. Implorava che le sue labbra toccassero ancora una volta le sue, rubando un bacio che le facesse battere il cuore. Le braccia di Henry sembravano improvvisamente un piccolo rifugio, dove lei poteva gridare i suoi segreti senza che la loro eco tornasse indietro a farle del male. Anzi, semmai urlarli avrebbe alleviato il dolore che la teneva lontana dalla persona che era una volta.

«Non posso…» Emily interruppe il bacio, ansimando. «Non posso. Lui era terribile, Henry. Terribile.»

«L’hai denunciato?»

«No» disse Emily, con un peso sul petto. «Mi avrebbe ucciso. C’era… c’era un bambino coinvolto.» Si strinse le braccia intorno al corpo e si piegò in avanti, sentendo ancora in modo viscerale il dolore che l’aveva distrutta.

Henry si puntò sui gomiti, ma non la interruppe. I singhiozzi arrivarono liberamente mentre Emily dondolava avanti e indietro. «Abbiamo avuto una figlia. Una bambina, Julia. I medici mi hanno detto che la sua morte non poteva essere evitata, non poteva essere fermata, che la SIDS può succedere a qualsiasi bambino, in qualsiasi momento, senza alcun motivo.» Emily faticava a ritrovare il respiro. «Ma io non ci credo. Se solo me ne fossi andata prima, forse le cose sarebbero andate diversamente.»

«Non è colpa tua. I medici hanno ragione.»

«Ero…» Emily smise di piangere all’improvviso. Si tirò su a sedere, pensando a Daniel. Immaginando l’uomo di cui aveva avuto disperatamente bisogno durante il college. L’uomo che lei pensava le avrebbe dato tutto, quando non le aveva dato altro che dolore.

Se non fosse stato per Ginger, forse niente di tutto questo sarebbe successo. Se Ginger non avesse rotto la loro amicizia a causa di uno stupido errore… Emily non era lucida la notte in cui aveva baciato Frank! Si era già scusata mille volte, ma non era servito a niente. Ginger era riuscita a perdonare Frank, ma non aveva mai perdonato lei.

La sua unica trasgressione era rimasta impressa sulla loro amicizia come un ostinato segno di matita, e più lei cercava di cancellarla, più diventava indelebile.

Nella sua solitudine, Emily era fuggita nel letto di Daniel, implorandolo di riprenderla. Poco dopo erano caduti in un vortice di romanticismo. Era stata debole e stanca, sola e arrabbiata per la perdita della sua migliore amica. Daniel aveva visto qualcosa in lei allora. Qualcosa di rotto, di cui si era approfittato con la bravura di un cacciatore che trova la sua preda.

Quando Emily chiuse gli occhi, poté ancora sentire lo schiaffo contro la sua guancia. Riuscì a vedere il sangue che le usciva dal naso quando tornava a casa ubriaco, arrabbiato e a volte armato. Ma se non si fosse rimessa con Daniel, non avrebbe avuto Julia. Emily ricordava le volte in cui era rimasta in piedi accanto alla culla della sua bambina con gli animaletti di peluche sorridenti nelle vicinanze, cantando dolcemente, pregando che il suo malumore passasse. Che lui lasciasse in pace la bambina. Che si sfogasse solo su di lei.

«Ero incosciente» disse Emily in tono neutro. Si sentiva parlare, ma sembrava vuota, come se qualcun altro stesse ripetendo il verbale della polizia. «Non ricordo esattamente cosa è successo. È tutto confuso, un incubo. Mi sono svegliata con il naso rotto. Ero sdraiata nella vasca da bagno. Quando mi sono ripresa, la prima cosa che ho fatto è stata andare in camera di Julia per controllarla, ma…»

«Mi dispiace» disse Henry, accarezzandole teneramente la guancia.

Emily faticava a respirare, e quando le parole non bastarono si avvinghiò a Henry, si strinsero con ferocia e disperazione, un po’ ubriachi, forse, pieni di furia e di dolore, consapevoli dei segreti e delle debolezze che li avevano uniti, finché non si staccarono, esausti e ansimanti.

«Vado a farmi una doccia» disse Emily, sentendo un vago rossore di vergogna salirle sul collo. Scese dal letto. «Non seguirmi. Ho bisogno di stare da sola.»

Prima che Henry potesse rispondere, Emily attraversò la stanza, dimenticandosi l’imbarazzo di essere nuda, sotto la luce della luna che entrava dalle finestre. Tanto l’aveva già vista… per l’ultima volta.

Emily sbatté un po’ troppo forte la porta del bagno, poi imprecò quando inciampò in un borsone che Henry aveva lasciato in un angolo. Emily lo aveva interrotto mentre disfaceva i bagagli, quindi l’aveva lasciato lì.

«Cazzo!» ringhiò, tenendosi l’alluce contuso.

Ma quando si chinò per vedere contro cosa aveva sbattuto, il suo cuore si fermò per un istante.

Una pistola.

Henry Anonimo aveva messo una pistola in valigia, per un weekend in un centro benessere.

Le lacrime di Emily si fermarono di colpo, e l’istinto di sopravvivenza prese il sopravvento.

Forse era un poliziotto, ma lei ne dubitava sinceramente. Non aveva nessun altro documento d’identità nella sua borsa: Emily lo cercò disperatamente, ma non c’era nemmeno una tessera della palestra con il nome di Henry sopra. Anche se fosse stato una specie di agente, sarebbe andato a una festa di famiglia con una pistola messa con noncuranza in un borsone? Era possibile, ma…

Henry non sembrava un poliziotto.

Allora, perché diavolo girava armato?

***

DETECTIVE RAMONE: Ha detto di aver rubato una pistola dalla stanza di Henry.

EMILY BROWN: Questo è quello che ho detto. Buon per lei se mi ha ascoltato.

DETECTIVE RAMONE: Perché Henry aveva una pistola?

EMILY BROWN: Mi sono chiesta la stessa cosa quando l’ho trovata. Ma devo dire che sono certamente contenta che ci fosse.

DETECTIVE RAMONE: L’ha rubata con l’intento di sparare alla vittima?

EMILY BROWN: In realtà no.

DETECTIVE RAMONE: Allora perché quest’uomo è finito con una pallottola nel petto?