43.

Nel varcare le porte dell'Intercontinental, Jeanne ebbe l'impressione che tutti fossero già al corrente dell'assassinio. Lei puzzava di carne morta. Si portava addosso le tracce del delitto. Stonava in quell'atmosfera di lusso e comfort.

Attraversò la hall climatizzata, poi, accedendo al grande patio centrale del complesso, ripiombò nell'afa.

Osservò la superficie turchese retroilluminata della piscina circondata di palme. E riconsiderò il suo giudizio.

Quel luogo era più forte di quanto avesse immaginato. La maledizione che la circondava non s'insinuava oltre quelle mura, come l'olio non s'insinua nell'acqua. Lei conservava la sua cupezza. L'hotel di lusso la sua indifferenza.

Si sedette su una sedia a sdraio e rifletté sul suo viaggio. Quell'inchiesta l'aveva voluta. Aveva pregato, sperato e fatto di tutto per occuparsi di un vero caso criminale. Adesso ce l'aveva. Se non ufficialmente, almeno moralmente. Era contenta? Si sentiva a suo agio in quel pantano di sangue e violenza? Ma non era quello il punto. Lei doveva neutralizzare l'omicida. Vendicare Francois Taine e le altre vittime. Solo quello. Il lato positivo era che non provava nessuna paura. Come se il suo primo contatto con Joachim, mentre ascoltava la seduta con Féraud, l'avesse immunizzata...

Un cameriere interruppe i suoi pensieri.

«Coca Zero, por favor.»

Agitandosi sulla sdraio, sentì lo spigolo del libro nella borsa. Totem e tabù di Freud. Lo sfogliò. Le tornarono in mente le parole di Eva Arias. Anche lei aveva avuto il suo periodo «psicoanalitico», durante la depressione; come molti altri, aveva cercato nei libri di Freud degli spunti che l'aiutassero a capire cosa stesse accadendo nella sua testa. Ma non si era mai interessata a quel versante delle ricerche dello psichiatra viennese. Chiuse il libro. Non aveva la concentrazione necessaria per affrontarlo.

Girò e rigirò il volume. Niente da segnalare. Un'edizione spagnola di grande formato pubblicata da una casa editrice universitaria di Madrid. Perché Manzarena ne aveva tante copie? C'era forse un codice all'interno della traduzione o nella sequenza dei libri stampati? "Piantala di farneticare..."

Arrivò la Coca-Cola. Bevuto il primo sorso, Jeanne credette che si sarebbe sgretolata per il violento contrasto fra il caldo della notte e la bevanda ghiacciata. Ogni bollicina gelata le esplodeva in fondo alla gola. Come se quella sensazione l'avesse bruscamente rigenerata, riprese il libro e lo tastò. La copertina. Il dorso. Le pagine. Adesso era sicura che il volume custodisse un segreto. Toccò ancora la carta, il cartone, il rilievo dei caratteri.

E la trovò.

Nella copertina era nascosta una lettera. Bastava staccare il risguardo incollato per prenderla. Jeanne la estrasse con cautela. Avrebbe dovuto usare i guanti, ma cominciava a adeguarsi alle usanze nicaraguensi.

Mentre compiva quell'operazione, pensò a due cose. La prima era una frase che Emmanuel Aubusson le aveva ripetuto spesso: in un'inchiesta, a chiunque può capitare un colpo di fortuna. Lei aveva prelevato un libro, uno solo, la copia che Eduardo Manzarena conservava a portata di mano, sulla scrivania, ed era proprio quella che conteneva il segreto. La seconda era che aveva trovato, per caso, ciò che l'assassino aveva cercato mettendo a soqquadro lo studio.

Aprì delicatamente il foglio piegato in quattro. Era una lettera scritta a mano, in spagnolo. Prese subito a tradurre il testo, mormorandone le parole.

Eduardo, aveva ragione. Il male è qui, a Formosa. Non ho visto niente di persona, ma ho raccolto delle testimonianze. Le testimonianze degli indigeni vanno tutte nello stesso senso. La Foresta delle Anime custodisce il male...

Soprattutto, sono riuscito a procurarmi qualcosa di essenziale. Un campione di sangue di uno degli uomini infetti; gli abbiamo dato la caccia attraverso la laguna senza riuscire a prenderlo, però lo abbiamo ferito. Lei sa per quale ragione non ho voluto avventurarmi nella foresta. Ma ho raccolto le poche gocce con cura.

Spero che le permetteranno di effettuare le analisi che aveva in mente.

Se legge questa lettera, significa che ha ricevuto il campione. Lo maneggi con prudenza! Ho tutte le ragioni di ritenere che il male sia contagioso. Prego adesso nostro Signore affinché ci protegga. Non stiamo aprendo le porte dell'inferno?

Niels Agosto, 18 maggio 2008,

Campo Alegre, Formosa

Il primo particolare curioso era il luogo riportato in calce alla firma: Campo Alegre, Formosa. Jeanne non sapeva dell'esistenza di un posto con quel nome in Nicaragua. Ma in Argentina sì, nel Mordeste, una regione molto isolata. Rilesse la lettera. Eduardo Manzarena aveva inviato un uomo in Argentina per cercare le tracce di un'infezione. Temeva forse di provocare una pandemia nel proprio paese importando sangue da quella regione? Oppure s'interessava a titolo personale a quel misterioso «male»?

Jeanne ricostruì la cronologia dei fatti. La lettera era datata 18 maggio. Manzarena doveva aver ricevuto il campione una settimana dopo. Cosa ne aveva fatto? Si profilò l'ipotesi che l'avesse spedito in Francia a una specialista di sua conoscenza... Nelly Barjac. Era il pacco ricevuto il 31 maggio dalla citogenetista.

Nelly aveva analizzato il campione, ma l'assassino era andato a recuperarlo e aveva distrutto il referto.

Perché? Joachim conosceva quella patologia? Ne era affetto? E qual era il rapporto con Marion Cantelau, la giovane infermiera dell'istituto per bambini autistici, e con Francesca Tercia, la scultrice stravagante?

C'era inoltre un legame diretto fra la lettera di Niels Agosto e la patologia di Joachim. L'uomo parlava esplicitamente della Foresta delle Anime. La Selva de las Alrnas.

Un'espressione equivalente a «foresta dei Mani», il nome degli spiriti dei defunti nell'antichità. A Jeanne parve di risentire la voce di ferro nello studio di Féraud: «Bisogna ascoltarla. La foresta dei Mani».

Quando lo psichiatra aveva domandato a Joachim se fosse stato in quella foresta nella sua infanzia, l'avvocato sotto ipnosi aveva semplicemente ripetuto la domanda. Il che poteva equivalere a un sì, nel linguaggio degli autistici...

Tutto tornava. L'assassino veniva non dal Nicaragua ma dall'Argentina. Questo poteva indicare una connessione con Francesca Tercia, di origine argentina... E si spiegava anche la telefonata di Fratnois Taine all'istituto di agronomia, a Tucumàn, nel Nord-ovest del paese. Ma, se Jeanne ricordava bene, Tucumúl e Formosa, nel Nord-est, erano distanti più di mille chilometri.

Troppe domande. Poche risposte...

Per prima cosa Jeanne voleva verificare la sua ipotesi a proposito di Nelly Barjac. Salì rapidamente in camera, mise l'aria condizionata al massimo e prese una Coca Light dal minibar. Compose il numero del cellulare di Bernard Pavois.

Lì erano le nove di sera, a Parigi le quattro del mattino. Sapeva che Pavois non si sarebbe arrabbiato se lo avesse svegliato. Cause di forza maggiore. L'uomo rispose dopo il secondo squillo, con voce cristallina. Non stava dormendo.

Jeanne si scusò per l'ora. Lui non parve sorpreso.

«Come procede la sua inchiesta? Non ho notizie dai suoi colleghi.»

«Non so a che punto siano loro, ma, quanto a me, sono dovuta partire.»

«Dove si trova?»

«A Managua, in Nicaragua.»

«Sulle tracce dell'assassino?»

«Proprio così.»

«È il suo karma: l'avevo avvertita. Perché mi chiama?» «Nelly Barjac ha ricevuto un pacco il 31 maggio, proveniente da Managua.»

«E allora?»

«Il mittente era Plasma Inc. L'unica banca del sangue privata a Managua. Per la precisione, l'uomo che ha inviato il pacchetto è un certo Eduardo Manzarena, il direttore del laboratorio.»

«Mai sentito nominare.»

«Lo chiamano il Vampiro di Managua.»

«Lei vive in un mondo... L'ha incontrato?»

Jeanne rivide il corpo obeso squartato. Le carni in decomposizione. I libri incrostati di sangue e materia cerebrale rappresi. Preferì non scendere in dettagli. «Vorrei solo valutare un'ipotesi con lei.»

«Dica.»

«Quel pacchetto forse conteneva un campione di sangue. Sangue contaminato.»

«Di che cosa parliamo?» chiese Pavois in tono sorpreso. «Non ne so nulla. Una malattia rara. Forse endemica di

una regione dell'Argentina. Qualcosa di simile alla rabbia.» «E avrebbe spedito quella roba al nostro laboratorio?» «Conosceva Nelly. Voleva che analizzasse il campione per diagnosticare la malattia.»

«Non era la specialità di Nelly.»

«Ma il suo laboratorio dispone del materiale necessario per questo tipo di test?»

«Forse. Ma sarebbe delirante spedire per posta un campione infetto.»

Jeanne aveva pensato a quell'obiezione. Manzarena doveva aver preso delle precauzioni. «Che tipo di test avrebbe potuto effettuare Nelly?» insistette. «Sarebbe stata in grado di individuare un virus?»

«Assolutamente no. Lei sta facendo confusione. Nelly avrebbe potuto trovare parassiti, microbi o batteri. I virus sono osservabili su piccolissima scala... In tutti i casi, glielo ripeto, non è il tipo di lavoro che svolgiamo!»

«In laboratorio potrebbe esserci traccia di questo genere di manipolazioni?»

«No, se Nelly non avesse inserito niente nel computer. Ma il suo discorso è assurdo, per semplici ragioni di sicurezza. Nelly non avrebbe mai corso un simile rischio. Si rende conto che il nostro laboratorio riceve e analizza migliaia di campioni ogni settimana? S'immagina gli effetti di una contaminazione per i nostri test?»

«E un'analisi genetica?» suggerì Jeanne. «Lei mi ha parlato di un piano del laboratorio dotato di attrezzature che permettono di individuare le patologie collegate problemi genetici.»

«A condizione di conoscere il gene coinvolto. Possiamo verificare la presenza di un'anomalia in un contesto noto, non condurre ricerche alla cieca.»

Non valeva la pena di insistere. Stava seguendo la pista sbagliata. Jeanne salutò Bernard Pavois, gli promise di tenerlo informato e riagganciò. Decise di sospendere le indagini per la notte. Quando spense l'aria condizionata, aveva il naso letteralmente gelato. Fece una doccia calda, si infilò un paio di coulotte e una maglietta con il logo del suo gruppo preferito, i Nine Inch Nails, e si mise subito a letto. Per il momento era la cosa migliore che poteva fare.

Spense la luce pensando ad Antoine Féraud. Era già morto come aveva pensato poche ore prima? O magari era più avanti di lei nelle ricerche?

Qualche minuto dopo dormiva profondamente in fondo a una grotta, circondata da uomini preistorici dalle facce di scimmia.

Grangé Jean-Christophe - 2010 - L'Istinto Del Sangue
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