19.
All'uscita dal ristorante in avenue Montaigne, Jeanne non riprese l'auto al parcheggio. Era troppo sbronza.
Preferì camminare per recuperare un po' di lucidità. Si trovava a due passi dai giardini degli Champs-
Élysées. Valeva la pena di fare un piccolo pellegrinaggio...
Ritrovò il punto in cui aveva passeggiato con Féraud la sera prima. Erano trascorse solo poche ore e quel momento le sembrava già lontano. Inafferrabile. Come quando cerchi di ricordarti di un sogno che ti sfugge.
Continuò a camminare, sudando sotto il sole, riacquistando lucidità passo dopo passo. Arrivata in piace de la Concorde, attraversò avenue des Champs-Élysées e ripercorse la strada in senso inverso, in direzione del parcheggio di avenue Matignon. Davanti all'entrata esitò, poi continuò verso square des Champs-tlysées.
Oltrepassò la cancellata e si sedette al sole. Il giardinetto era sporco. C'erano rifiuti sparpagliati ovunque.
Ma, alla sua sinistra, il mercatino dei francobolli era in piena attività, come ogni sabato. E il teatro delle marionette sembrava custodire un segreto, un meccanismo terribile e insieme delizioso che attirava i bambini.
Si concesse di nuovo di sognare a occhi aperti, più liberamente. Si arrischiò persino a giocare il tutto per tutto, come nei quiz televisivi, rievocando parole che in genere evitava di usare. Le parole più antiche, più comuni, più pronunciate del mondo: "grande amore", "l'uomo della mia vita", "una bella storia"...
Era sorpresa di associarle già ad Antoine Féraud, un uomo con cui aveva parlato meno di un'ora. Uno strizzacervelli che lei aveva spiato piazzandogli delle microspie nello studio. Un medico di cui non sapeva niente e che sembrava avere altre gatte da pelare. Ma quell'urgenza faceva parte della storia. Un colpo di fulmine...
Delle grida la strapparono alle sue fantasticherie. No, non erano grida, erano risate. Sorrise in modo meccanico, osservando i bambini che giocavano nella sabbia, giravano sulla giostra o camminavano con passo incerto sull'erba. Un bambino. L'ultima parola impronunciabile... Quando sentiva parlare dei cambiamenti fisici conseguenti alla gravidanza , chi aveva «una pelle più bella» e chi invece si ritrovava con
«il culo grosso» Jeanne le considerava questioni irrilevanti. Era solo la superficie delle cose.
Lei, quando fosse stata incinta, si sarebbe accostata alla logica segreta del cosmo. Avrebbe avuto accesso a un'intima comprensione di sé stessa, integrandosi al tempo stesso nel meccanismo dell'universo. Sarebbe entrata in armonia con la vita. Con un senso di vertigine mista ad apprensione, aspettava che il senso dell'umanità la attraversasse. Che un uomo le accordasse il suo amore, la sua fiducia, la sua devozione, affinché lei li trasformasse, nel suo intimo, in nucleo vitale. Era quella l'essenza della procreazione. L'amore che diventa corpo. Lo spirito che diventa materia...
Il sole era tramontato e il cielo era nero. Si preparava un altro temporale. Jeanne si alzò tirando su con il naso, sull'orlo delle lacrime. Tutto le sembrava perduto. Impossibile. Non avrebbe mai trovato la sua metà.
Non si sarebbe mai fusa con un uomo. Lei era la donna divisa. Come sua sorella, che avevano trovato squartata nel parcheggio di una stazione. O come la citogenetista, che era stata sgozzata, mutilata e divorata due giorni prima...
Aveva la nausea. Furono gli squilli del telefono cellulare a scuoterla, mentre cadevano le prime gocce di pioggia. Si tastò le tasche e frugò nella borsa. Non riusciva trovarlo. Tremava. Pensò prima a Féraud, poi alla prefettura. Avevano trovato il cadavere. Avevano...
«Pronto?»
«Preparati. Ne ho un altro.» La voce di Francois Taine era tesa. Febbrile.
«Un altro?»
«Un altro omicidio del cannibale.»
«Dove?»
«A Goncourt, in me du Faubourg-du-Temple, nel x arrondissement. Mi ha chiamato il sostituto. Sapeva che mi sto occupando dei primi due casi.»
Jeanne non replicò. Gli ingranaggi del suo cervello si erano già messi in moto. L'evidenza esplose come un lampo.
Credo che ucciderà qualcuno stanotte. A Parigi, nel x arrondissement.
Joachim era l'assassino cannibale.
O, piuttosto, lo era l'uomo bambino dentro di lui.
Riuscì a stento a trattenere il grido che le saliva in gola. «Dammi l'indirizzo esatto», disse.