20
Saltare in groppa a una Bestia Perfettamente Normale che pesa una tonnellata e mezzo e migra da un punto all’altro del pianeta alla tremenda velocità di cinquanta chilometri orari non è facile come potrebbe sembrare di primo acchito. Certo non è facile come può apparire guardando i cacciatori lamuelliani, e Arthur Dent prevedeva che sarebbe stata quella la parte più ardua dell’impresa.
Non prevedeva invece quanto fosse difficile anche solo avvicinarsi alla parte più ardua dell’impresa. Fu proprio la parte ritenuta facile a risultare praticamente impossibile.
Non riuscirono ad attirare l’attenzione di un solo animale. Muso in giù, spalle avanti, zampe posteriori intente a ridurre in pappa il terreno, le Bestie Perfettamente Normali erano così assorbite dal loro rimbombante scopo che per distrarle non ci sarebbe voluta solo una cosa sorprendente, ma un vero e proprio fenomeno geologico.
Davanti a tutto quel fragore e tutto quello scalpitio, Arthur e Ford non sapevano che pesci pigliare. Dopo aver passato quasi due ore a saltellare qui e la agitando stupidamente un asciugamano di media grandezza a disegni floreali, non avevano indotto nessuna delle grandi bestie galoppanti a lanciare anche solo per caso uno sguardo nella loro direzione.
Si trovavano a circa un metro da quella valanga di corpi sudati in marcia. Se si fossero avvicinati di più avrebbero rischiato, alla faccia della cronologia, una morte repentina. Arthur aveva visto cosa restava delle Bestie Perfettamente Normali che venivano trafitte da cacciatori giovani e inesperti mentre si trovavano in mezzo al branco scalpitante.
Bastava un passo falso. Nessun precedente appuntamento con la morte su Stavromula Beta, dovunque quel cavolo di pianeta fosse, avrebbe salvato lui o chiunque altro dal fragoroso e maciullante calpestio di quegli zoccoli.
Alla fine, Arthur e Ford indietreggiarono barcollando. Esausti e sconfitti, si sedettero e cominciarono a criticarsi l’un l’altro per la tecnica che avevano usato con l’asciugamano.
– Devono essere colpetti più decisi – brontolò Ford. – Devi accompagnare di più la giravolta col gomito se vuoi che quelle maledette creature notino qualcosa.
– Accompagnare di più col gomito? – protestò Arthur. – Sei tu che dovresti muovere meglio il polso.
– Devi prolungare la piroetta – ribatté Ford.
– Devi trovare un asciugamano più grande.
– Dovete prendere un uccello pikka – disse una voce.
– Dovete cosa?
La voce era arrivata da dietro le loro spalle. I due si voltarono, e là, immerso nella prima luce del mattino, videro il Vecchio Thrashbarg.
– Per attirare l’attenzione di una Bestia Perfettamente Normale – disse Thrashbarg dirigendosi verso di loro – ci vuole un uccello pikka. Come questo.
Da sotto la tunica grezza e quasi talare che indossava, tirò fuori un piccolo uccello pikka. L’uccello si mosse irrequieto sul palmo del Vecchio Thrashbarg, scrutando intento un oggetto, Bob sa cosa, che gli guizzava davanti a una decina di metri di distanza.
Allarmato, Ford si acquattò di colpo, come faceva sempre quando non sapeva bene cosa stesse accadendo e come dovesse affrontare la situazione. Poi agitò piano le braccia in un gesto che sperava fosse minaccioso.
– Chi è ‘sto tizio? – sibilò.
– È solo il Vecchio Thrashbarg – rispose tranquillo Arthur. – E se fossi in te non mi disturberei a fare tutte quelle mosse grottesche. È solo un consumato bluffatore, come te. Finireste per passare l’intera giornata a danzare l’uno intorno all’altro.
– L’uccello – sibilò di nuovo Ford. – Cos’è quell’uccello?
– È solo un uccello – fece spazientito Arthur. – È come qualsiasi altro uccello. Depone le uova, e fa ark, kar o rit a cose che noi non riusciamo a vedere.
– Ne hai visto uno deporre le uova? – domandò sospettoso Ford.
– Dio santo, certo! – disse Arthur. – E ne ho mangiate centinaia. L’omelette viene abbastanza bene. Il segreto è prendere dei cubetti di burro freddo, poi montarli leggermente con…
– Non voglio una zarkuta ricetta – disse Ford. – Voglio solo assicurarmi che sia un vero uccello e non un qualche ciber-incubo multidimensionale.
Si rialzò lentamente e si ripulì i vestiti, continuando però a sbirciare l’uccello.
– Dunque – disse ad Arthur il Vecchio Thrashbarg – è scritto che Bob, dopo averci benedetto con l’invio del suo Paninaio, si riprenderà quanto ci aveva concesso?
Per un attimo Ford fu tentato di acquattarsi di nuovo.
– Non ti preoccupare – mormorò Arthur – parla sempre così. – A voce alta disse: – Ah, ehm, sì, venerabile Thrashbarg. Temo proprio che sarò costretto ad andarmene, ora. Ma il giovane Drimple, il mio apprendista, mi sostituirà più che bene. Ha l’attitudine e un profondo amore per i panini, inoltre l’abilità, per quanto ancora acerba, che ha acquisito finora col tempo maturerà e, ehm… Be’, credo che avrà successo nel suo ruolo, ecco.
Il Vecchio Thrashbarg lo osservò con aria grave. Mosse tristemente i vecchi occhi grigi, poi levò in alto le braccia, che reggevano l’una il saltellante pikka, e l’altra il bastone.
– O Paninaio inviatoci da Bob! – proclamò. Quindi, dopo una pausa in cui aggrottò la fronte, sospirò e chiuse gli occhi in pia contemplazione, aggiunse: – La vita sarà molto, molto meno strana senza di te!
Arthur era sbalordito.
– Sai – disse – credo sia la cosa più bella che mi sia mai stata detta.
– Possiamo procedere, per favore? – disse Ford. Qualcosa stava già accadendo. L’uccello pikka, sul palmo teso verso l’alto di Thrashbarg, stava suscitando un tremito di interesse nella rombante mandria. Per qualche attimo mosse a scatti la testa nella direzione degli animali. Arthur si ricordò alcune delle cacce a cui aveva assistito. Rammentò che, oltre ai cacciatori-toreri che agitavano la loro muleta, c’erano sempre altri lamuelliani che stavano alle loro spalle reggendo gli uccelli pikka. Aveva sempre supposto che, come lui, quei tizi fossero lì soltanto per guardare.
Il Vecchio Thrashbarg avanzò, avvicinandosi un po’ alla mandria al galoppo. Ora alcune bestie avevano girato la testa per osservare con interesse l’uccello pikka.
Le mani sollevate del Vecchio Thrashbarg tremavano.
Solo il pikka pareva completamente disinteressato a quanto accadeva. Tutta la sua allegra attenzione era attratta da alcune anonime molecole d’aria situate in qualche ignoto e insignificante posto.
– Ora! – esclamò infine il Vecchio Thrashbarg. – Ora puoi lavorarteli con l’asciugamano!
Arthur avanzò con l’asciugamano di Ford, muovendosi come si muovevano i cacciatori-toreri, ossia con un’andatura elegantemente impettita che non gli riusciva affatto naturale. Ma adesso sapeva come doveva comportarsi. Roteò l’asciugamano alcune volte, per prepararsi al momento, poi stette a guardare.
A una certa distanza individuò la Bestia giusta. Proprio al limite esterno della mandria, essa galoppava a testa in giù verso di lui. Il Vecchio Thrashbarg diede un colpetto all’uccello, la Bestia alzò la testa per guardare, poi la scrollò e, nel momento in cui stava per riabbassarla, vide Arthur agitare abilmente l’asciugamano nella sua direzione. Confuso, l’animale scrollò di nuovo la testa, seguendo con gli occhi il movimento della tela.
Arthur era riuscito a catturare la sua attenzione.
Da quel momento in poi, sembrò la cosa più naturale del mondo convincere la Bestia a dirigersi verso di lui. Essa teneva la testa alta, inclinata leggermente da un lato. Passò al piccolo galoppo, quindi al trotto. Qualche secondo dopo se ne stava con la sua grande mole fra loro tre, sbuffando, ansando, sudando e fiutando eccitata l’uccello pikka, che sembrava non aver notato affatto il suo arrivo. Con movimenti delle braccia ampi, strani e diretti verso il basso, il Vecchio Thrashbarg tenne il pikka davanti alla Bestia, ma senza portarlo mai troppo vicino.
Con movimenti ampi, strani e diretti verso il basso dell’asciugamano, Arthur continuò ad attrarre l’attenzione della Bestia ora da una parte ora dall’altra.
– In tutta la mia vita credo di non aver mai visto una cosa così stupida – mormorò Ford fra se’.
Alla fine la Bestia, confusa e docile, si accucciò.
– Su, monta! – sussurrò ansioso a Ford il Vecchio Thrashbarg. – Monta subito!
Ford saltò in groppa alla creatura cercando a tentoni un appiglio tra il fitto pelo e, una volta in groppa, afferrò gran ciuffi di pelo per mantenersi in equilibrio.
– Ora monta tu, Paninaio! – Thrashbarg fece un complicato segno rituale concluso da una rituale stretta di mano che non fu contraccambiato in tempo perché il vecchio l’aveva ovviamente inventato sul momento, poi spinse avanti Arthur. Traendo un profondo respiro, questi si arrampicò dietro a Ford sulla poderosa curva calda della groppa e si tenne forte. Sotto di lui enormi muscoli grandi come otarie si tesero e contrassero.
Il Vecchio Thrashbarg sollevò di colpo il pikka. La Bestia girò la testa per guardare l’uccello. Thrashbarg alzò più volte le braccia, sempre reggendo il pikka, e infine la Bestia Perfettamente Normale si rialzò piano, con ponderosa lentezza, e ondeggiò un poco. I suoi due cavalieri si tennero stretti con frenetica ansia.
Arthur guardò il mare di animali al galoppo, tentando di vedere dove stessero andando, ma si riusciva a distinguere solo la caligine provocata dal caldo.
– Vedi niente? – chiese Ford.
– No. – Ford si voltò indietro per cercare di capire da dove le Bestie fossero venute, ma non scorse nulla. .
– Sai da dove vengano e dove vadano? – gridò Arthur a Thrashbarg.
– Il dominio del re! – gridò di rimando il Vecchio Thrashbarg.
– Re? – urlò stupito Arthur. – Che re? – Sotto di lui, la Bestia Perfettamente Normale ondeggiava e dondolava inquieta.
– Come sarebbe, che re? – gridò il Vecchio Thrashbarg. – Il re.
– È solo che non avevi mai menzionato un re – gridò ancora Arthur, abbastanza sconcertato.
– Come? – urlò il Vecchio Thrashbarg. Lo scalpitio di un migliaio di zoccoli copriva quasi tutti gli altri suoni, e il vecchio era molto concentrato su quanto faceva.
Sempre tenendo alto l’uccello, condusse pian piano la Bestia verso la mandria, riportandola in posizione parallela al moto della grande massa migrante. Avanzò. La Bestia lo seguì. Avanzò ancora. La Bestia continuò a seguirlo, finché, prima piano poi sempre più forte, riprese a muoversi con le altre.
– Ho detto che non avevi mai menzionato un re! – ripeté Arthur.
– Non ho detto un re! – lo corresse il Vecchio Thrashbarg. – Ho detto Il re.
Ritrasse il braccio e poi lo scagliò avanti con tutta la forza, lanciando il pikka in aria al di sopra della mandria. L’uccello parve colto completamente di sorpresa, perché non aveva prestato la minima attenzione a quanto gli accadeva intorno. Per capire cosa stesse succedendo gli ci vollero uno o due secondi, dopo i quali spiegò le alette, le distese e cominciò a volare.
– Va’! – gridò Thrashbarg. – Va’ incontro al destino, Paninaio!
Arthur non era sicuro di voler andare incontro al destino.
Desiderava solo arrivare nel posto, qualunque fosse, a cui erano dirette le Bestie e in cui sarebbe potuto smontare da quella grande groppa.
Non si sentiva affatto sicuro in bilico. L’animale, seguendo la direzione dell’uccello pikka, aveva acquistato velocità. Poi era rientrato nelle file più esterne della grande marea galoppante e dopo un attimo, dimenticando il pikka, aveva preso a correre a testa bassa con il resto della mandria, avvicinandosi al punto in cui le creature svanivano nel nulla. Circondati ovunque da montagne di corpi scalpitanti, Arthur e Ford si tennero stretti al poderoso dorso per paura di cadere.
– Forza! Andate! Cavalcate la Bestia! – gridò Thrashbarg, la cui voce lontana echeggiò debolmente nelle loro orecchie. – Cavalcate la Bestia Perfettamente Normale! Forza, forza!
– Dove ha detto che stiamo andando? – urlò Ford nell’orecchio di Arthur.
– Ha parlato di un re – urlò di rimando Arthur, stringendo disperatamente il pelo dell’animale.
– Che re?
– È quel che gli ho chiesto io. Ha solo detto il re.
– Non sapevo che ci fosse il re – gridò Ford.
– Nemmeno io – gridò Arthur.
– A parte naturalmente il re – urlò Ford. – E non credo si riferisse a lui.
– Che re? – urlò Arthur.
Erano quasi arrivati al punto di uscita. Davanti a loro, le Bestie Perfettamente Normali galoppavano nel nulla e svanivano.
– Come sarebbe a dire, che re? – gridò Ford. – Non so che re, sto solo dicendo che non poteva assolutamente riferirsi al re, per cui non so cosa intendesse dire.
– Ford, non capisco un’acca.
– Ah no? – fece Ford. Poi, con improvvisa furia, comparvero le stelle, che girarono e mulinarono intorno alla loro testa e poi, con furia altrettanto improvvisa, si spensero.