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Arthur avvertiva un certo senso di perdita. Lassù c’era un’intera Galassia a sua disposizione, si domandò se non fosse meschino da parte sua lamentarsi della mancanza di due sole cose: il mondo in cui era nato e la donna che amava.

Perdio e per la miseria, pensò: sentiva il bisogno di una guida e un consiglio. Consultò la Guida galattica per gli autostoppisti. Guardò alla voce “guida”, che diceva: – Vedere alla voce “consiglio”. Guardò “consiglio” e diceva: – Vedere alla voce “guida”. – Di recente in quel libro capitavano spesso cose del genere e Arthur si chiese a che servisse se si era ridotto a un cumulo di dati demenziali.

Si diresse verso l’Orlo Orientale della Galassia, dove, dicevano, si potevano trovare saggezza e verità. In particolare scelse il pianeta Hawalius, che era un pianeta di oracoli, veggenti e indovini e anche di pizzerie take-away, perché in genere i mistici non erano assolutamente in grado di cucinarsi un piatto da soli.

Sembrava però che una qualche calamità si fosse abbattuta sul pianeta. Vagando per le strade del villaggio in cui vivevano i maggiori profeti, Arthur notò che c’era un clima di depressione. Si imbatté in un profeta che, abbacchiato, stava chiaramente chiudendo bottega, e gli domandò cosa stesse accadendo.

– Nessuno cerca più il nostro aiuto – disse brusco quello mentre si accingeva a inchiodare di traverse un’asse sulla finestra della sua bicocca.

– Oh, e come mai?

– Reggimi l’altra estremità dell’asse e te lo mostro.

Arthur resse l’estremità non inchiodata dell’asse, e il vecchio profeta entrò nella bicocca e ne uscì pochi secondi dopo con una radiolina sub-Eta. L’accese, armeggiò un attimo con la manopola e la posò sullo sgabello di legno sul quale di solito sedeva a profetare. Poi riprese in mano l’asse e ricominciò a martellare.

Arthur sedette ad ascoltare la radio.

–… sia confermato – disse la radio. – Domani – continuò – il vicepresidente di Poffla Vigus, Roopy Ga Stip, annuncerà che intende candidarsi alla presidenza. In un discorso che pronuncerà domani al…

– Trova un’altra stazione – disse il profeta. Arthur premette il tasto dei programmi.

– … rifiutato di commentare – disse la radio. – La settimana prossima il totale dei disoccupati nel settore Zabush sarà il peggiore mai registrato da quando si è cominciato a raccogliere questi dati. Un rapporto pubblicato il mese prossimo afferma…

– Trovane un’altra – sbraitò irato il profeta. Arthur premette di nuovo il tasto.

– … negate categoricamente – disse la radio. – Il mese prossimo le nozze tra il principe Gid della dinastia Soofling e la principessa Hooli di Raui Alfa sarà, nei territori Bjanjy, la cerimonia più spettacolare cui si sia mai assistito. La nostra cronista Trillian Astra si trova là e ci invia questo rapporto.

Arthur batté le palpebre.

Dall’apparecchio eruppe un frastuono di fanfare e folle acclamanti.

Una voce molto familiare disse: – Bene Krart, la scena, qui, nei cuore del prossimo mese, è assolutamente incredibile. La principessa Hooli appare raggiante nel suo…

Il profeta rovesciò la radio, che dallo sgabello cadde sul pavimento polveroso emettendo il suono rauco di un pollo strozzato.

– Visto con che cosa siamo costretti a confrontarci? – brontolò il profeta. – Su, tienimi questo. Non quello, questo. Non così. Così. Dall’altra parte, idiota.

– Stavo ascoltando la radio – protestò Arthur, stringendo goffamente il martello del profeta.

– La ascoltano tutti. Ecco perché questo posto sembra ormai una città fantasma. – Sputò sul terreno polveroso.

– No, volevo dire che mi pareva di conoscere quella donna.

– La principessa Hooli? Se dovessi salutare tutti quelli che hanno conosciuto la principessa Hooli, mi ci vorrebbe una nuova serie di polmoni.

– Non la principessa – spiegò Arthur. – La giornalista. Si chiama Trillian. Non so da dove le venga il cognome Astra. E originaria del mio stesso pianeta. Mi ero chiesto più volte dove fosse andata.

– Oh, di questi tempi gira per tutto il continuum. Qui naturalmente, grazie al Grande Arcontiere Verde, non possiamo ricevere le trasmissioni televisive tridimensionali, ma alla radio la si sente gironzolare qui e la per lo spazio-tempo. Quella giovane signora vorrebbe stabilirsi in un posto e smettere di muoversi in continuazione. Finirà tutto in lacrime. Probabilmente è già finito in lacrime. – Il profeta brandi il martello e si diede un colpo abbastanza forte sul pollice. Dopo di che si mise a imprecare.


Il villaggio degli oracoli non era molto meglio.

Ad Arthur avevano detto che se si cercava un buon oracolo conveniva andare da quello da cui andavano gli altri oracoli, ma la bottega in questione era chiusa. Vicino all’entrata c’era un cartello che diceva: “Non so più niente. Provate alla porta accanto, ma è solo un suggerimento, non un formale consiglio oracolare”.

La “porta accanto” era una grotta distante qualche centinaio di metri e Arthur vi si diresse. Fumo e vapore si levavano rispettivamente da un fuocherello e da una pentola di latta ammaccata che vi era appesa sopra. Dalla pentola arrivava anche un disgustoso odore. O almeno, Arthur pensò che provenisse dalla pentola. A una corda puntellata erano appese ad asciugarsi le vesciche gonfiate di alcune creature locali simili a capre, e l’odore poteva venire anche da esse. Inoltre c’era, a una distanza troppo breve, un mucchio di cadaveri di creature locali simili a capre, e l’odore poteva venire anche di lì.

Ma non era nemmeno escluso che l’odore venisse dalla vecchia signora che era indaffarata ad allontanare le mosche dal mucchio di cadaveri. Era un’impresa disperata, perché ogni mosca era così grossa da sembrare un turacciolo con le ali e la donna disponeva solo di una racchetta da ping-pong. Non solo: pareva anche mezza cieca. Ogni tanto, menando botte da orbi, riusciva per caso a colpire con un “tunk” molto soddisfacente una mosca, e questa, con ronzii e rovinosi svolazzi, andava a spiaccicarsi contro la roccia che si trovava a pochi metri dall’ingresso della caverna.

Con il suo comportamento, la vecchia dava l’impressione di vivere solo per quei momenti.

Per educazione, Arthur osservò per un po’ quello spettacolo insolito da una certa distanza, poi provò ad attirare l’attenzione con un piccolo colpo di tosse. Il lieve colpo di tosse, dettato dalla cortesia, gli fece purtroppo inspirare una quantità d’aria locale abbastanza superiore a quella inspirata fino allora, sicché Arthur fu preso da un attacco furioso e convulsive di vera tosse. Abbandonandosi contro la parete rocciosa con la gola strozzata e il viso rigato di lacrime, lottò per ritrovare il respiro, ma ogni nuova boccata d’aria peggiorava le cose. Vomitò, rischiò ancora di strozzarsi, si rivoltolò nei suo vomito, continuò a ruzzolare per alcuni metri, poi riuscì a mettersi carponi e, ansimando, si trascinò in una zona dove l’aria era un po’ meno mefitica.

– Mi scusi – disse, riprendendo il respiro. – Mi scusi tanto, davvero. Mi sento un completo idiota e… – Indicò contrito il mucchietto di vomito che si trovava proprio davanti all’ingresso della grotta.

– Cosa posso dire? – gemette. – Cosa posso mai dire? – Questo se non altro attrasse l’attenzione della donna, che si girò a guardarlo con sospetto, ma essendo mezza cieca, non riuscì a individuarlo bene nel vago paesaggio roccioso.

Arthur fece un cenno con la mano per aiutarla a vederlo.

– Salve! – esclamò.

Alla fine lei lo scorse, brontolò fra sé e voltò di nuovo le spalle per menar colpi alle mosche.

Dal modo in cui le correnti d’aria si spostarono quando la vecchia si mosse, risultò orribilmente chiaro che la principale fonte di puzzo era proprio lei. Le vesciche che si asciugavano, cadaveri in putrefazione e il pernicioso potage potevano sicuramente offrire un forte contributo alla pesante atmosfera, ma la principale presenza olfattiva era rappresentata dalla donna stessa.

La vecchia riuscì a beccare un’altra mosca, che si spiaccicò contro la roccia rovesciandovi sopra le interiora in una maniera che la donna, se fosse riuscita a vedere così lontano, avrebbe certo ritenuto soddisfacente.

Barcollando, Arthur si alzò e si ripulì con un pugno di erba secca.

Non sapeva cos’altro fare per annunciare la propria presenza. Aveva una mezza intenzione di allontanarsi di lì e rimettersi a girare, ma lo imbarazzava aver lasciato un mucchio di vomito davanti all’ingresso della casa della donna. Si chiese in che modo rimediare all’accaduto.

Cominciò a strappare qui e là altra erba secca e stentata. Temeva però che se si fosse spinto più vicino al vomito, anziché ripulirlo lo avrebbe accresciuto.

Mentre meditava su quale condotta adottare, si rese conto che la donna gli stava finalmente dicendo qualcosa.

– Come ha detto, scusi? – gridò.

– Ho detto, posso aiutarla? – chiese lei, con una voce sottile e stridula che si riusciva a malapena a sentire.

– Ehm, ero venuto a domandarle consiglio! – gridò Arthur, sentendosi un po’ ridicolo.

Lei si girò a scrutarlo con occhi miopi, poi voltò le spalle, menò un colpo a una mosca e la mancò.

– Su che cosa? – chiese.

– Come ha detto? – domandò Arthur.

– Ho detto, su che cosa? – strillò lei.

– Be’ – rispose Arthur. – In realtà volevo solo un consiglio generico. Diceva l’opuscolo…

– Ah! L’opuscolo! – esclamò con disprezzo la vecchia. Adesso sembrava agitare la racchetta più o meno a caso.

Arthur tiro fuori di tasca l’opuscolo spiegazzato. Non sapeva nemmeno bene perché. Lo aveva già letto e lei, si disse, non l’avrebbe certo voluto leggere. In ogni caso lo aprì per aver qualcosa da guardare un attimo con aria pensosa. Il dépliant cianciava delle antiche arti mistiche dei veggenti e dei saggi di Hawalius e, spudoratamente, definiva molto buoni gli alloggi riservati ai turisti sul pianeta. Arthur aveva ancora con sé una copia della Guida galattica per gli autostoppisti, ma, consultandola, aveva scoperto che le voci erano sempre più astruse e paranoiche, e zeppe di “x”, “y” e “{“.

C’era qualcosa che non andava. Non sapeva dirsi se l’intoppo fosse nella sua personale copia, o se qualcosa o qualcuno, nel cuore della stessa casa editrice, avesse grossissimi problemi o magari soltanto le allucinazioni. In ogni caso, tendeva a fidarsi sempre meno di quel libro, ossia a non fidarsene affatto, e lo usava soprattutto per guardare qualcosa quando sedeva su un masso a mangiarsi un panino.

La donna si era girata e adesso si stava dirigendo lentamente verso di lui. Senza darlo troppo a vedere, Arthur valutò la direzione del vento e si sentì un po’ vacillare quando lei si avvicinò.

– Consiglio – disse la vecchia. – Consiglio, eh?

– Ehm, sì – fece Arthur. – Sì, cioè…

Guardò di nuovo pensosamente l’opuscolo, come volesse assicurarsi di non averlo letto male e di non essere stupidamente finito sul pianeta sbagliato o qualcosa del genere. Il dépliant diceva: “I cordiali abitanti del luogo saranno lieti di dividere con voi la conoscenza e la saggezza degli antichi. Scrutate con loro gli insondabili misteri del passato e del futuro!”. C’erano anche alcuni buoni, ma Arthur non aveva avuto il coraggio di staccarli e presentarli a chicchessia.

– Consiglio, eh? – ripeté la vecchia. – Solo un consiglio generico, dice. Su che? Cosa fare della sua vita o roba del genere?

– Sì – disse Arthur. – Roba del genere. A volte non sono ben sicuro di essere davvero sincero con me stesso. – Cercava disperatamente, con piccoli movimenti guizzanti, di starle controvento. Lei lo stupì allontanandosi all’improvviso e dirigendosi alla grotta.

– Allora mi dovrà aiutare con la fotocopiatrice – disse.

– Cosa? – fece Arthur.

– La fotocopiatrice – ripeté pazientemente lei. – Mi dovrà aiutare a tirarla fuori. Va a energia solare. Però sono costretta a tenerla dentro perché gli uccelli non ci caghino sopra.

– Capisco – disse Arthur.

– Se fossi in lei prenderei una bella boccata d’aria – mormorò la vecchia, entrando nel buio della caverna.

Arthur fece come gli aveva consigliato. Anzi, arrivò quasi all’iperventilazione. Quando sentì di essere pronto, trattenne il fiato e seguì la donna all’interno.

La fotocopiatrice era una vecchia, ingombrante carcassa posata su un carrello malfermo, e si trovava all’inizio della scura grotta. Le ruote andavano ostinatamente in tutte le direzioni e il terreno era accidentato e sassoso.

– Vada a prendere un po’ d’aria fuori – disse la vecchia. Arthur era diventato rosso in viso per lo sforzo di aiutarla a spostare la macchina.

Annuì sollevato. Se lei non mostrava imbarazzo per il puzzo, neanche lui, si disse, doveva sentirsi in imbarazzo. Uscì e respirò a fondo, poi tornò dentro per provare a spingere di nuovo. Ripeté questo parecchie volte, finché la macchina alla fine fu fuori.

Il sole la illuminò. La vecchia scomparve di nuovo nella grotta e ne riuscì con alcuni pannelli di metallo trotato che collegò alla fotocopiatrice per raccogliere l’energia solare.

Guardò il cielo con gli occhi socchiusi. Il sole era molto brillante, ma l’aria era velata dalla foschia.

– Ci vorrà un po’ – disse. Arthur disse che era ben contento di aspettare.

La vecchia alzò le spalle e si avvicinò al fuoco. Sopra di esso, il contenuto della pentola bolliva. Lei lo mescolò con un bastoncino.

– Vuole pranzare? – chiese ad Arthur.

– No, grazie, ho già mangiato – rispose lui. – Davvero, ho già mangiato.

– Sono sicura che ha mangiato – disse la vecchia. Continuò a rimescolare con il bastoncino. Dopo qualche minuto tirò fuori un boccone di qualcosa, ci soffiò sopra per raffreddarlo e poi se lo mise in bocca.

Masticò un po’ con aria pensosa.

Poi si diresse zoppicando al mucchio di cadaveri di creature simili a capre, e sputò il boccone lì sopra. Quindi tornò zoppicando alla pentola e cercò di sganciarla da quella specie di treppiede a cui era appesa.

– Posso aiutarla? – disse educatamente Arthur, alzandosi e avvicinandosi al tegame.

Insieme sganciarono la pentola dal treppiede e la portarono goffamente fino al leggero pendio che dalla grotta scendeva verso una fila di alberi nodosi e stentati. Questi segnavano l’inizio di un fosso ripido ma poco profondo, da cui emanava una vasta gamma di odori disgustosi.

– Pronto? – chiese la vecchia.

– Si… – rispose Arthur, anche se non sapeva cosa dovesse fare.

– Uno – disse la vecchia.

– Due – aggiunse.

– Tre – concluse.

Arthur capì appena in tempo cosa intendesse. Assieme buttarono il contenuto della pentola nel fosso.

Dopo una o due ore di quieto silenzio, la vecchia decise che i pannelli solari avevano assorbito abbastanza energia da far funzionare la fotocopiatrice, ed entrò nella grotta a cercare qualcosa. Ne uscì alla fine con un pacco di fogli che introdusse nella macchina.

Allungò le copie ad Arthur.

– Questo allora è, ehm, il suo consiglio, eh? – disse lui, sfogliandole con aria incerta.

– No – disse la vecchia. – È la storia della mia vita. Vede, la qualità dei consigli che una persona dà dev’essere giudicata in base alla qualità della vita che quella persona ha di fatto vissuto. Ora, quando esaminerà il documento noterà che ho sottolineato, per metterle bene in risalto, tutte le decisioni importanti che abbia mai preso. Sono tutte corredate di indici e rimandi. Ecco, io posso solo suggerirle di prendere decisioni diametralmente opposte a quelle che ho preso io, così forse non finirà, in vecchiaia… – fece una pausa e, riempiendosi i polmoni, gridò forte: –… in una lurida caverna puzzolente come questa!

Poi afferrò la racchetta da ping-pong, si rimboccò le maniche, si avvicinò con passo pesante al mucchio di cadaveri di creature simili a capre, e cominciò con rinnovato vigore a lottare con le mosche.


L’ultimo villaggio che Arthur visitò consisteva interamente di altissimi pali. Erano così alti che da terra non si riusciva a vedere cos’avessero in cima, per cui Arthur dovette arrampicarsi su tre di essi prima di trovarne uno su cui ci fosse qualcosa di diverso da una piattaforma coperta di escrementi d’uccello.

Non fu un’impresa facile. Per salire ci si arrampicava sui corti pioli di legno che erano stati piantati nei pali in spirali lievemente ascendenti. Un turista meno diligente di Arthur avrebbe scattato un paio di foto e sarebbe subito corso al più vicino Bar & Grill, dove si potevano anche comprare vari tipi di dolci e appiccicosi pasticcini alla cioccolata da mangiare davanti agli asceti. Ma, soprattutto in conseguenza di questo, quasi tutti gli asceti se n’erano ormai andati. I più, andandosene, avevano fondato redditizi centri terapeutici in alcuni dei più ricchi mondi dell’increspatura nordoccidentale della Galassia, dove la vita era più facile di un fattore di diciassette milioni, e la cioccolata era davvero favolosa. Risultò poi che la maggior parte degli asceti non sapeva nulla della cioccolata prima di dedicarsi all’ascetismo, mentre la maggior parte dei clienti che andavano nei loro centri terapeutici la conosceva fin troppo bene.

In cima al terzo palo Arthur si fermò a prendere un attimo il respiro. Era tutto accaldato e ansimante, perché ogni palo era alto dai quindici ai diciotto metri. Il mondo pareva ruotare vertiginosamente intorno a lui, ma la cosa non lo preoccupava troppo. Arthur sapeva che, matematicamente, non sarebbe morto finché non fosse stato su Stavromula Beta1, e quindi aveva maturato un atteggiamento assai sereno verso l’estremo rischio personale. Appollaiato su un palo di quindici metri d’altezza, provò un certo senso di vertigine, ma affrontò la situazione mangiando un panino. Stava per imbarcarsi nell’impresa di leggere la storia fotocopiata della vita dell’oracolo, quando, trasalendo, sentì un lieve colpo di tosse alle sue spalle.

Si giro così bruscamente, che il panino cadde e precipitò tanto lontano da apparire piccolissimo quando fu fermato dal terreno.

Dietro Arthur, alla distanza di una decina di metri, c’era un altro palo, l’unico che, in mezzo a una rada selva di circa quaranta pali, avesse la cima occupata. Questa era occupata da un vecchio che, a sua volta, sembrava occupato da profondi pensieri che gli facevano aggrottare la fronte.

– Scusi – disse Arthur. L’uomo lo ignorò. Forse non lo sentiva a causa del lieve venticello. Solo per caso Arthur aveva udito il leggero colpo di tosse.

– Salve! – gridò Arthur. – Salve!

L’uomo alla fine si guardò intorno e lo vide. Sembrò sorpreso di vederlo. Arthur non riuscì a capire se fosse sorpreso e contento di vederlo oppure solo sorpreso.

– È orario di consultazione? – chiese Arthur.

L’uomo aggrottò la fronte come non avesse capito. Arthur non sapeva bene se non riuscisse a capire o non riuscisse a sentire.

– Faccio un salto lì! – gridò. – Non se ne vada.

Smontò dalla piccola piattaforma e scese in fretta gli scalini a chiocciola, arrivando a terra con la testa che gli girava tutta.

Fece per dirigersi al palo su cui era seduto il vecchio, poi di colpo si rese conto di avere perso l’orientamento, e di non sapere più quale fosse il palo giusto.

Si guardò intorno alla ricerca di punti di riferimento e calcolò quale fosse il palo.

Vi salì sopra. Non era quello giusto.

– Perdio – disse. – Scusi! – gridò di nuovo al vecchio, che adesso si trovava proprio di fronte a lui, a una distanza di una decina di metri.

– Mi sono perso. Sono da lei tra un minuto. – Scese di nuovo, sempre più accaldato e irritato.

Quando arrivò, ansimando e sudando, in cima al palo che era sicuro fosse giusto, capì che in qualche modo l’uomo gli stava facendo perdere tempo.

– Cosa vuole? – gli gridò irato il vecchio. Ora sedeva in cima al palo su cui Arthur era stato poco prima, quando mangiava il panino.

– Come è arrivato là? – chiese sbalordito Arthur.

– Non crederai mica che voglia dirti così in due parole quel che ho scoperto in quaranta primavere, estati e autunni di sedute su un palo?

– E l’inverno?

– L’inverno cosa?

– Non sta seduto sul palo anche d’inverno?

– Il fatto che sia rimasto seduto su un palo per la maggior parte della vita – rispose l’uomo – non significa mica che sia un idiota. D’inverno vado al sud. Ho una casa al mare. Sto seduto sul camino.

– Ha nessun consiglio da dare a un viaggiatore?

– Sì. Comprati una casa al mare.

– Capisco.

L’uomo contemplò l’arida, arroventata terra coperta d’arbusti. Da lì Arthur scorgeva appena la vecchia, che appariva come un puntolino tutto preso dalla sua danza scaccia-mosche.

– La vedi? – gridò di colpo il vecchio.

– Sì – disse Arthur. – Anzi, l’ho consultata.

– Sa un sacco di cose. Ho comprato la casa al mare perché lei l’aveva rifiutata. Che consiglio ti ha dato?

– Fare esattamente l’opposto di tutto quel che ha fatto lei.

– In altre parole, acquistare una casa al mare.

– Immagino di sì – disse Arthur. – Be’, forse ne prenderò una.

– Uhm.

L’orizzonte era coperto da una fetida caligine di caldo.

– Nessun altro consiglio? – chiese Arthur. – Qualcosa che non abbia a che fare con gli immobili?

– Una casa al mare non è solo un immobile. È uno stato mentale – replicò l’uomo, girandosi a guardare Arthur.

Stranamente, adesso aveva il viso ad appena mezzo metro di distanza. Sotto un certo profilo sembrava una forma perfettamente normale, ma aveva il corpo seduto a gambe incrociate su un palo lontano dodici metri e la faccia ad appena mezzo metro da quella di Arthur. Senza muovere la testa, e senza dare l’impressione di fare alcunché di strano, l’uomo si alzò e passò sulla cima di un altro palo.

O si trattava di uno scherzo giocato dal caldo, pensò Arthur, o lo spazio era una dimensione diversa per lui.

– Una casa al mare – continuò l’uomo – non è nemmeno detto che sia sulla spiaggia. Anche se le migliori lo sono. Tutti amiamo riunirci in condizioni di confine.

– Davvero? – fece Arthur.

– Dove la terra s’incontra con l’acqua. Dove la terra s’incontra con l’aria. Dove il corpo s’incontra con la mente. Dove lo spazio s’incontra col tempo. Ci piace stare da un lato, e guardare l’altro.

Arthur si entusiasmò. Quello era proprio il genere di esperienza che gli era stato promesso dall’opuscolo. Ecco un uomo che sembrava muoversi in una sorta di spazio di Escher dicendo cose molto profonde su diversi argomenti.

Era però un’esperienza snervante. Adesso l’uomo scendeva dal palo in terra, saliva da terra al palo, passava da palo a palo, dal palo raggiungeva l’orizzonte per poi tornare indietro: stava rendendo completamente assurdo l’universo spaziale di Arthur. – Si fermi, per favore! – esclamò di colpo Arthur.

– Non riesci a sopportarlo, eh? – disse l’uomo. Ora, senza muoversi minimamente, si era messo di fronte ad Arthur e se ne stava a gambe incrociate in cima a un palo di dodici metri.

– Vieni da me in cerca di consigli, ma non riesci a sopportare niente che non ti sia noto. Uhm. Allora dovremmo dirti qualcosa che già sai e farla però sembrare una novità, eh? Insomma, le solite storie, immagino. – Sospirò e scrutò lontano con aria triste.

– Da dove vieni, ragazzo? – chiese poi.

Arthur decise di comportarsi da furbo. Non ne poteva più di essere preso per un completo idiota da tutti quelli che incontrava. – Sa una cosa? – disse. – Lei è un veggente. Perché non lo confessa?

Il vecchio sospirò di nuovo. – Mi limitavo a conversare – disse, passandosi la mano dietro la nuca. Quando riportò la mano alla fronte, reggeva sull’indice alzato un mappamondo che girava e che, senza possibilità di dubbio, rappresentava la Terra. Poi rimise via la sfera.

– Come ha… – fece Arthur sbalordito.

– Non posso dirtelo.

– Perché no? Ho fatto tanta strada per venire qui.

– Non puoi vedere quel che vedo io perché vedi quel che vedi. Non puoi sapere quel che so io perché sai quel che sai. Quel che io vedo e so non si può aggiungere a quel che vedi e sai tu, perché le due cose non sono dello stesso tipo. Né quel che vedo e so io può sostituire quel che vedi e sai tu, perché questo significherebbe sostituire te stesso.

– Aspetti un attimo, posso scrivere quel che mi dice? – domandò Arthur, frugando eccitato nella tasca alla ricerca di una matita.

– Puoi prendere una copia del testo allo spazioporto – disse il vecchio. – Hanno scaffali e scaffali di roba del genere.

– Oh – fece Arthur, deluso. – Be’, non c’è niente che sia magari un po’ più specifico per me?

– Tutto quel che, in qualsiasi forma, vedi, senti o provi è specifico di te. Tu crei un universo percependolo, sicché tutto quanto percepisci dell’universo è specifico di te.

Arthur lo guardò dubbioso. – Posso avere anche questo, allo spazioporto? – chiese.

– Controlla tu – rispose il vecchio.

– Nell’opuscolo – disse Arthur, tirando fuori di tasca il dépliant e guardandolo di nuovo – dice che posso avere una preghiera speciale, studiata apposta per me e per le mie particolari esigenze.

– Oh, va bene. – fece il vecchio. – Ecco una preghiera per te. Hai una matita?

– Sì – rispose Arthur.

– Dunque, la preghiera è così: “Proteggimi dal sapere quel che non ho bisogno di sapere. Proteggimi anche dal sapere che bisognerebbe sapere cose che non so. Proteggimi dal sapere che ho deciso di non sapere le cose che ho deciso di non sapere. Amen”. Ecco qua. In ogni caso, è la stessa preghiera che reciti in silenzio dentro di te, per cui tanto vale dirla apertamente.

– Uhm – fece Arthur. – Bene, grazie…

– C’è un’altra preghiera che si accorda con questa molto importante – continue il vecchio – per cui è meglio che ti annoti anche questa.

– Va bene.

– Dice: “Signore, signore, signore…”. È meglio inserire anche questo termine, giusto in caso, non si sa mai… “Signore, signore, signore. Proteggimi dalle conseguenze della succitata preghiera Amen.” Ecco qui. La maggior parte dei guai in cui incappa la gente nella vita è provocata dall’aver tralasciato quest’ultima parte.

– Ha mai sentito parlare di un posto chiamato Stavromula Beta? – domandò Arthur.

– No.

– Bene, grazie per il suo aiuto – disse Arthur.

– Figurati – disse il vecchio sul palo, e sparì.