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La storia della Galassia si è un po’ ingarbugliata per diverse ragioni: in parte perché chi cerca di tenersene al corrente si è un po’ ingarbugliato, e in parte perché, obiettivamente, sono successe cose che rendono tutto molto ingarbugliato.

Uno dei problemi riguarda la velocità della luce e le difficoltà che comporta il tentare di superarla. Non la si può superare. Niente viaggia più in fretta della velocità della luce, con la possibile eccezione delle cattive notizie, che seguono proprie leggi specifiche.

Di fatto, gli hingefreel di Arkintoofle Minor cercarono di costruire astronavi propulse da cattive notizie, ma non funzionavano molto bene ed erano accolte così male quando arrivavano da qualche parte, che arrivare da qualche parte finiva per non avere alcun senso.

Perciò, nel complesso, i popoli della Galassia tendevano a languire in mezzo alle loro beghe locali e la storia della Galassia stessa fu, per un pezzo, in gran parte cosmologica.

Ciò non significa che la gente non facesse tentativi. Tentava di inviare flotte di astronavi a guerreggiare o condurre affari in lontane zone, ma queste flotte impiegavano migliaia di anni ad arrivare in qualsiasi posto. Quando finalmente arrivavano, erano stati nel frattempo scoperti altri sistemi di volo che per aggirare il problema della velocità della luce utilizzavano l’iperspazio, sicché i conflitti, di qualsiasi tipo, che le flotte più lente della luce erano state incaricate di combattere, risultavano già affrontati secoli prima dell’epoca in cui esse giungevano sul posto.

Questo naturalmente non impediva ai membri dell’equipaggio di voler combattere ugualmente la loro battaglia. Erano stati addestrati, erano pronti, avevano dormito due migliaia di anni, avevano percorso tanta strada per assolvere un duro compito e, per Zarquon, intendevano assolverlo.

Fu a quel punto che si verificarono i primi grossi guai della storia galattica, perché riscoppiavano continuamente guerre secoli dopo che i problemi per cui si erano combattute erano stati in teoria appianati.

Ma tali guai non erano niente in confronto a quelli che gli storici dovettero tentare di risolvere appena si scoprì il viaggio nel tempo e le guerre cominciarono a pre-scoppiare addirittura centinaia di anni prima che i problemi sorgessero. Quando arrivò la propulsione d’Improbabilità Infinita e interi pianeti presero a trasformarsi inaspettatamente in torte alla banana, la grande facoltà di Storia dell’università di MaxiMegalon gettò infine la spugna, chiuse i battenti e cedette i propri edifici alla facoltà congiunta di Divinità e Pallanuoto, che era in rapida crescita e da anni sperava di vederseli assegnare.

Nulla da eccepire, naturalmente, solo che così nessuno saprà mai bene, per esempio, da dove venissero i grebulon, o che cosa esattamente volessero. Ed è un peccato, perché se qualcuno avesse saputo qualcosa su di loro, forse si sarebbe evitata una terribile catastrofe, oppure questa terribile catastrofe avrebbe trovato un modo diverso di accadere.


Clic, zzz.

L’enorme nave da ricognizione grigia dei grebulon procedeva silenziosa nel nero vuoto. Viaggiava a una favolosa, strabiliante velocità, ma sembrava immobile contro lo sfondo luccicante di un miliardo di stelle lontane. Era solo un puntolino scuro stagliato contro l’infinita, granulare brillantezza della notte.

A bordo della nave, tutto era buio e silenzioso com’era stato per millenni.

Clic, zzz.

Almeno, quasi tutto.

Clic, clic, zzz.

Clic, zzz, clic, zzz, clic, zzz.

Clic, clic, clic clic, clic, zzz.

Zzzzz.

Un programma supervisore di livello inferiore attivò un programma supervisore di livello leggermente più alto al centro dell’assonnato cibercervello della nave, e gli comunicò che ogni volta che c’era un clic si aveva come risposta solo uno zzz.

Il programma supervisore di livello più alto gli chiese che risposta avrebbe invece dovuto ricevere, e il programma supervisore di basso livello disse che non se lo ricordava esattamente, ma riteneva di dover ricevere una specie di remoto sospiro di soddisfazione. Non capiva cosa fosse quello zzz. Clic, zzz, clic, zzz. Era tutto quanto riceveva.

Il programma supervisore di livello superiore rifletté sulla corsa, e la cosa non gli piacque. Chiese al programma supervisore di livello inferiore cosa esattamente stesse controllando, e il programma supervisore di livello inferiore rispose che non riusciva a ricordare neanche quel particolare, ma sapeva che si trattava di qualcosa che doveva fare clic e sospirare ogni dieci anni, il che di solito accadeva senza fallo. Aveva tentato di consultare il prontuario degli errori, ma non era riuscito a trovarlo, ed era per questo che aveva informato del problema il programma supervisore di livello più alto.

Il programma supervisore di livello superiore andò a consultare il prontuario per scoprire cosa il programma supervisore di livello inferiore dovesse controllare.

Non riuscì a trovare il prontuario.

Strano.

Guardò di nuovo. Ottenne solo un messaggio di errore. Provò a vedere che cosa significasse quel messaggio di errore nel prontuario dei messaggi di errore, ma non riuscì a trovare neanche quello. Lasciò passare due nanosecondi mentre riesaminava l’intero problema, poi attivò il supervisore di funzione settoriale.

Il supervisore di funzione settoriale individuava subito i problemi.

Chiamò il proprio agente supervisore, che individuava anch’esso i problemi. Nel giro di pochi milionesimi di secondo, in tutta la nave circuiti virtuali che erano rimasti inattivi, alcuni per anni, altri per secoli, ritornarono in vita. Qualcosa, da qualche parte, si era orribilmente inceppato, ma nessun programma supervisore era in grado di capire di che si trattasse. A tutti i livelli mancavano istruzioni vitali, e mancavano anche le istruzioni su cosa fare nel caso si fosse scoperto che mancavano istruzioni vitali.

Piccoli moduli di software, gli agenti, gremirono i circuiti logici, raggruppandosi, analizzando, raggruppandosi di nuovo.

Stabilirono subito che tutta la memoria della nave, fino al modulo centrale di missione, era a brandelli. Neanche con la più grossa valanga di domande si poteva chiarire cosa fosse successo. Sembrava danneggiato perfino il modulo centrale di missione.

Diventò così semplicissimo affrontare l’intero problema. Bastava sostituire il modulo centrale di missione. Ce n’era un altro di riserva, un esatto duplicato dell’originale. Doveva essere sostituito fisicamente perché, per motivi di sicurezza, non c’era alcun collegamento tra l’originale e il pezzo di ricambio. Una volta sostituito, il modulo centrale di missione avrebbe potuto controllare in ogni dettaglio la ricostruzione del resto del sistema, e tutto sarebbe andato a posto.

Si ordinò ai robot di portare il modulo di riserva dal caveau schermato dove essi lo custodivano alla camera logica della nave in cui andava installato.

Occorse, per questo, un lungo scambio di codici e protocolli di emergenza, perché i robot avevano il compito di interrogate gli agenti circa l’autenticità delle istruzioni. Alla fine i robot si convinsero che tutte le procedure erano corrette. Tolsero il modulo centrale di riserva dal suo involucro, lo trasportarono fuori del caveau, precipitarono giù dalla nave e volteggiarono nel vuoto.

Ottennero così il primo importante indizio su quanto andava storto.

Dopo ulteriori indagini si riuscì a stabilire rapidamente cosa fosse succes so. Un meteorite aveva prodotto un grosso buco nel la nave. La nave non aveva individuato prima il danno perché il meteorite aveva eliminato proprio quella parte di apparecchiature di elaborazione che avrebbe dovuto appurare se la nave stessa fosse stata colpita da un meteorite.


La prima cosa da fare era cercare di chiudere ermeticamente il buco. L’operazione risultò impossibile, perché i sensori della nave non riuscivano a vedere che c’era un buco, e i supervisori che avrebbero dovuto dire che i sensori non funzionavano a dovere non stavano funzionando a dovere, e continuavano ad affermare che i sensori erano a posto. La nave poteva dedurre l’esistenza del buco solo dal fatto che i robot erano chiaramente precipitati giù da esso, portandosi dietro il cervello di ricambio che avrebbe consentito alla nave di vedere il buco.

La nave cercò di riflettere sul problema in maniera intelligente, non ci riuscì, e per un po’ andò completamente in tilt. Naturalmente non capì che era andata in tilt, perché era andata in tilt.

Semplicemente, si meravigliò di vedere le stelle saltare. Quando le stelle ebbero saltato per la terza volta, la nave finalmente capì che doveva essere in tilt, e che era ora di prendere decisioni serie.

Si rilassò.

Poi realizzò che non aveva ancora preso le decisioni serie e si spaventò orribilmente. Andò di nuovo in tilt per un pochino. Quando si risvegliò, sigillò tutte le paratie intorno alle quali sapeva che doveva esserci l’invisibile buco.

A tratti pensò che indubbiamente non era ancora arrivata a destinazione, ma poiché non aveva più idea di quale fosse la destinazione o di come raggiungerla, le pareva che avesse ben poco senso proseguire. Consultò i minimi frammenti di istruzioni che riuscì a ricostruire con i brandelli del modulo centrale di missione.

– La vostra missione di !!!!! !!!!! !!!!! anni è di !!!!! !!!!! !!!!!, !!!!!, !!!!! !!!!! !!!!! !!!!!, atterrare !!!!! !!!!! !!!!! una distanza di sicurezza !!!!! !!!!! monitorizzarlo. !!!!! !!!!! !!!!!…

Tutto il resto era mera spazzatura.

Prima di andare definitivamente in tilt, la nave avrebbe dovuto trasmettere quelle istruzioni, così com’erano, ai suoi più primitivi sistemi ausiliari.

Avrebbe dovuto anche rianimare tutto l’equipaggio.

C’era anche un altro problema. Mentre i membri dell’equipaggio erano ibernati, la loro mente, i loro ricordi, la loro identità e la loro consapevolezza dei compiti da affrontare erano stati tutti trasferiti nel modulo centrale di missione per essere custoditi al sicuro. I membri dell’equipaggio non avrebbero quindi avuto la minima idea di chi fossero o cosa ci facessero lì. Fantastico!

Subito prima di andare in tilt per l’ultima volta, la nave capì che anche i motori si stavano rompendo.

La nave e il suo equipaggio rianimato e confuso continuarono a procedere grazie ai sistemi automatici ausiliari, che cercavano di atterrare in qualunque posto si potesse atterrare e monitorizzavano qualunque cosa riuscissero a monitorizzare.

Circa il posto su cui atterrare, non furono molto fortunati. Il pianeta che trovarono era terribilmente freddo e desolato, e così inesorabilmente lontano dal sole da cui avrebbe dovuto ricevere calore, che occorsero tutte le apparecchiature di Condiz-Ambien e tutti i Sistemi di Sopravvivenza trasportati dalla nave per renderlo abitabile, o renderne abitabile almeno una parte. Nelle vicinanze c’erano pianeti migliori, ma ovviamente lo Strategi-o-Mat della nave era nel modo “Agguato”, così scelse il mondo più remoto e nascosto, e inoltre, non poteva essere contraddetto che dal primo stratega di bordo. Poiché tutti i membri dell’equipaggio avevano perso il ben dell’intelletto, nessuno sapeva né chi fosse il primo stratega di bordo né, anche in caso fosse stato identificato, come avrebbe potuto mettersi a contraddire lo Strategi-o-Mat della nave.

Riguardo invece alle cose da monitorizzare, trovarono un vero filone d’oro.