12
Ford piombò giù in una nube di schegge di vetro e frammenti di sedie.
Nemmeno questa volta aveva studiato a fondo la situazione, e aveva agito così, a naso, per guadagnare tempo. In momenti di grave crisi trovava che fosse spesso utilissimo lasciare scorrere la propria vita davanti agli occhi come in un lampo. Aveva così la possibilità di riflettere sulle cose, di vedere le cose un po’ in prospettiva, e a volte riusciva anche a rinvenire un indizio vitale che gli suggerisse la mossa successiva.
La strada, giù, gli correva incontro alla velocità di 9,8 metri al secondo, ma quel problema, si disse, lo avrebbe affrontato quando avesse toccato terra. Prima bisognava pensare alle cose più importanti.
Ah, eccola lì la sua infanzia. Una storia noiosissima, che aveva già vissuto prima. Le immagini gli balenarono davanti. Periodi tediosi su Betelgeuse Cinque. Zaphod Beeblebrox bambino. Sì, conosceva già tutto. Avrebbe voluto avere nel cervello una specie di “avanti veloce”.
La festa per il suo settimo compleanno, quando gli era stato donato il primo asciugamano. Su, su, forza.
Precipitava giù a vite e per i polmoni, che già dovevano industriarsi a non inspirare vetro, l’aria aveva un effetto scioccante.
Primi viaggi su altri pianeti. Oh, per Zark, sembrava uno di quei dannati documentari turistici che ti propinavano prima della proiezione dei film. Lavoro iniziale per la Guida.
Ah!
Quelli sì che erano tempi. Avevano come base una capanna nell’atollo Bwenelli, su Fanalla, prima che i riktanarqal e i danqued lo rovinassero. Cinque o sei persone, qualche asciugamano, due o tre apparecchiature digitali assai sofisticate e, cosa più importante di tutte, tanti sogni. No. Cosa più importante di tutte, tanto rum fanalliano. Per essere proprio esatti, la cosa più importante in assoluto era il liquore Vecchio Janx, poi venivano il rum fanalliano e alcune spiagge dell’atollo in cui indugiavano le ragazze del luogo. Ma anche i sogni erano importanti. Cosa ne era stato?
In realtà, non riuscì a ricordare bene quali fossero quei sogni, ma all’epoca sembravano davvero vitali. Certo non concernevano l’enorme grattacielo per uffici da cui adesso stava cadendo. Il grattacielo era saltato fuori quando alcuni membri dell’équipe originaria si erano sistemati ed erano divenuti sempre più avidi, mentre lui e gli altri avevano continuato a lavorare sul campo, facendo ricerche e autostop, e isolandosi sempre di più da quell’incubo aziendale in cui si era inesorabilmente trasformata la Guida, e dalla mostruosità architettonica in cui si era incarnata. Dov’erano i sogni, in un palazzo del genere? Ford pensò a tutti i legali dell’azienda, che occupavano metà edificio, a tutti gli “automi” che occupavano i piani inferiori, a tutti i sub-revisori e le loro segretarie, agli avvocati delle loro segretarie e alle segretarie degli avvocati delle loro segretarie, nonché ai peggiori in assoluto: i contabili e il reparto marketing.
Aveva quasi voglia di continuare semplicemente a cadere. E di mostrare, così facendo, le corna a tutti quanti.
Ora stava giusto passando dal diciassettesimo piano, dove c’era il reparto marketing. Un mucchio di alcolizzati che discutevano su quale colore dovesse avere la Guida e che esercitavano con perfezione infinita l’arte di ragionare col senno di poi. Se uno di loro avesse deciso in quel momento di guardare dalla finestra, si sarebbe spaventato alla vista di Ford Prefect che precipitava verso una morte certa facendogli le corna.
Sedicesimo piano. Sub-revisori. Bastardi. Se pensava a tutti i testi che gli avevano tagliato… Quindici anni di ricerca per un solo pianeta, ridotti di colpo a due parole. “Praticamente innocuo”. Corna anche a loro.
Quindicesimo piano. Direzione logistica, qualunque cosa significasse. Avevano tutti macchine di grossa cilindrata. Ecco, in sostanza, cosa significava.
Quattordicesimo piano. Reparto personale. Ford aveva l’orribile sospetto che fossero stati loro a mandarlo per quindici anni in esilio mentre la Guida si trasformava in quei monolito aziendale (o meglio, duolito: non bisognava dimenticare i legali) che era diventata.
Tredicesimo piano. Ricerca e sviluppo.
Aspetta un attimo, chi c’era lì?
Tredicesimo piano.
Doveva pensare abbastanza in fretta, perché la situazione cominciava a farsi un po’ pressante.
Di colpo si ricordò le spie dei piani in ascensore. Non comprendevano il tredicesimo. Ford non ci aveva più pensato perché, avendo trascorso quindici anni sulla Terra, un pianeta abbastanza arretrato dove la gente temeva superstiziosamente il numero tredici, si era abituato a vedere palazzi in cui quel numero era escluso. Però lì non c’era motivo di trovare una lacuna del genere.
Non poté fare a meno di notare, precipitando, che le finestre del tredicesimo piano erano oscurate.
Che succedeva là dentro? Cominciò a ricordarsi di tutte le cose che gli aveva detto Harl. Una nuova Guida multidimensionale diffusa in un infinito numero di universi. Dal modo in cui ne aveva parlato il direttore, sembrava una gran cazzata concepita dal reparto marketing con il sostegno dei contabili. Se la faccenda aveva anche solo minime radici nella realtà, rischiava di essere assai sinistra e pericolosa. Ma le aveva, queste radici? Che succedeva dietro le finestre scure di quei tredicesimo piano isolato da tutti gli altri?
Ford provò un crescente senso di curiosità, poi un crescente senso di panico. Questo era l’elenco complete delle crescenti sensazioni che aveva. Sotto tutti gli altri aspetti precipitava a gran velocità. Di fatto avrebbe dovuto impegnarsi a riflettere sul modo di uscire vivo da una simile situazione.
Guardò giù. Una trentina di metri sotto, le persone correvano di qua e di là, e alcune si erano messe a guardare ansiosamente in su. Gli stavano facendo spazio. Arrivavano perfino a interrompere temporaneamente la splendida e totalmente futile caccia ai wocket.
Ford non sopportava di deluderle, ma, notò in quei momento, circa mezzo metro sotto di lui c’era Colin. Colin si era naturalmente messo al suo servizio, danzando felice e aspettando che Ford decidesse cosa fare.
– Colin! – urlò Ford.
Colin non rispose. Ford si sentì gelare. Poi di colpo si ricordò che non aveva detto a Colin che si chiamava Colin.
– Vieni qui! – urlò.
Colin salì e lo raggiunse ballonzolando. Gli piaceva moltissimo la corsa in giù e sperava che piacesse anche a Ford.
Colin vide il suo mondo rabbuiarsi all’improvviso quando fu avvolto dall’asciugamano di Ford. Di colpo si sentì molto, molto più pesante. Era deliziato ed elettrizzato dalla sfida che Ford gli aveva così lanciato. Solo, ecco, non era sicuro di poterla affrontare.
Dopo avere scagliato l’asciugamano su Colin, Ford si appese alle cuciture. Altri stoppisti avevano ritenuto conveniente apportare ai loro asciugamani esotiche modifiche, e avevano intrecciato alla stoffa arnesi vari, impianti esoterici e perfino apparecchiature computerizzate. Ford invece era un purista.
Gli piacevano le cose semplici. Si portava dietro un normale asciugamano comprato in un normale negozio di biancheria per la casa. Nonostante i ripetuti tentativi di Ford di scolorirlo e sbiancarlo, l’asciugamano conservava ancora una fantasia floreale rosa e azzurra.
Nel telo erano inseriti due fili metallici e un pennarello flessibile, e una punta della stoffa era imbevuta di sostanze nutritive da succhiare in caso di emergenza: per il resto era un semplice asciugamano con cui ci si poteva asciugare la faccia.
Una sola, vera modifica il proprietario si era convinto a fare dietro suggerimento di un amico: rinforzare le cuciture.
Ford afferrò con furia le cuciture.
Stavano ancora cadendo, ma il ritmo era rallentato.
– Sali, Colin! – urlò Ford. Niente.
– Tu ti chiami Colin! – gridò Ford. – Per cui, quando urlo: “Sali, Colin!” voglio che tu, Colin, salga. Capito? Sali, Colin!
Niente. O meglio, il robot emise una specie di gemito inarticolato.
Ford era molto in ansia. Ora scendevano assai lentamente, ma lui era molto in ansia per il tipo di persone che vedeva radunarsi in terra, sotto di sé. La gente del luogo, cordiale e amante della caccia al wocket, si stava disperdendo, e creature grosse, massicce, con il collo taurino, l’aria da lumaconi e il lanciarazzi in spalla stavano apparendo, come si suol dire, dal nulla. Di fatto il nulla, come sanno tutti gli esperti viaggiatori galattici, brulica di complessità multidimensionali.
– Sali! – ripeté Ford. – Sali, Colin, sali!
Colin arrancava e gemeva. Adesso erano praticamente fermi a mezz’aria. Ford ebbe la sensazione che gli si spezzassero le dita.
– Sali! Rimasero fermi.
– Sali, sali, sali!
Un lumacone si preparava a lanciargli un razzo. Ford stentava a crederci. Si trovava a mezz’aria, appeso a un asciugamano, e un lumacone si preparava a lanciargli un razzo. Stava esaurendo tutte le possibili idee sul da farsi e cominciava a essere molto allarmato.
In genere quello era il tipo di guaio per risolvere il quale consultava la Guida alla ricerca di un consiglio, per quanto irritante o superficiale il consiglio potesse essere, ma adesso non era il momento di frugarsi in tasca. E la Guida non pareva più un’amica e un’alleata, ma addirittura una fonte di pericolo. Per Zark, non era lì sospeso accanto alla sua sede? E non era minacciato di morte da coloro che adesso possedevano il palazzo? Che ne era stato di tutti i sogni che si ricordava vagamente di aver fatto sull’atollo Bwenelli? Le cose sarebbero dovute restare come un tempo. I ricercatori sarebbero dovuti rimanere lì, sulla spiaggia, ad amare brave donne e vivere di pesce.
Ford avrebbe dovuto capire che si era imboccata una brutta strada quando qualcuno aveva cominciato ad appendere pianoforti a coda sopra la piscina dei mostri marini, nell’atrio. Ora si sentiva veramente e profondamente infelice. Aveva le dita in fiamme per la fatica che faceva a mantenere la presa. E la caviglia gli doleva ancora.
“Oh, grazie, caviglia” pensò amaramente. “Grazie per avermi esposto proprio ora i tuoi problemi. Immagino che vorresti tanto un bel pediluvio caldo che ti allevierebbe il dolore, vero? O almeno vorresti tanto che io…”
Ebbe un’idea.
Il lumacone corazzato aveva sollevato il lanciarazzi che teneva in spalla. Il razzo era presumibilmente destinato a colpire qualunque cosa si muovesse sulla sua traiettoria.
Ford cercò di non sudare, perché sentiva allentarsi la presa sulle cuciture dell’asciugamano.
Con l’alluce del piede sano toccò la scarpa del piede infortunato, cercando di spingerla in giù dalla parte del tacco.
– Sali, per Zark! – mormorò stremato a Colin, che arrancava allegramente ma non riusciva a sollevarsi in alto. Poi continuò ad armeggiare con la scarpa.
Stava tentando di valutare quale fosse il momento giusto, ma non aveva senso. Bisognava semplicemente agire. Aveva una sola possibilità, nient’altro. Ora era riuscito a sfilare la scarpa dal calcagno.
La caviglia slogata si sentì un po’ meglio. Be’, era un bene, no?
Con l’altro piede sferrò un calcio al tacco della scarpa, e questa scivolò giù dal piede, cominciando a cadere. Mezzo secondo dopo un razzo parti dal lanciarazzi, incontrò la scarpa che scendeva lungo la sua traiettoria, puntò contro di essa, la colpì, ed esplose con un gran senso di soddisfazione e successo.
Questo accadde a circa cinque metri dal terreno.
La potenza dell’esplosione era diretta verso il basso. Ora sull’elegante spiazzo a gradinate formato da ampi, luccicanti lastroni portati lì dalle antiche cave di alabastro di Zentalquabula non c’era più, come un secondo prima, una squadra di dirigenti della InfiniDim Enterprises muniti di lanciarazzi, ma un gran buco invaso da orridi detriti.
L’esplosione generò una vampata di aria calda che spinse violentemente in su Ford e Colin. Ford tentò con tutte le sue forze di mantenere la presa, ma non ci riuscì. Si sollevò inesorabilmente in su, raggiunse il vertice di una parabola, si fermò e ricominciò a cadere.
Cadde, cadde e cadde, poi, di colpo, atterrò malamente su Colin, che stava ancora salendo.
Abbracciò freneticamente il robottino sferico. Colin precipitò con folli giravolte verso la torre della Guida, tentando allegramente di controllarsi e rallentare.
Ford vide il mondo vorticargli vertiginosamente intorno mentre si aggrappava al robot caracollante, poi, altrettanto vertiginosamente, tutto di colpo si fermò.
Si ritrovò, con la testa che gli girava, sul davanzale di una finestra.
Vedendo l’asciugamano passargli accanto, lo afferrò e lo prese.
Colin ballonzolava nell’aria a qualche centimetro da lui. Ford si guardò intorno intontito, ammaccato, sanguinante e ansimante. Il davanzale era largo appena una trentina di centimetri, e lui vi stava appollaiato precariamente sopra, a tredici piani d’altezza.
Tredici.
Sapeva che erano tredici perché le finestre erano scure. Si sentiva veramente sconvolto. Aveva comprato quelle scarpe a un prezzo assurdo in un negozio del Lower East Side, a New York. Aveva quindi scritto un intero saggio sulle gioie dispensate dalle calzature di lusso, e il saggio era stato integralmente cancellato per lasciar posto alle sole due parole “Praticamente innocuo”. Al diavolo tutto quanto.
E adesso una scarpa era andata. Sollevò la testa e guardò il cielo.
Non sarebbe stata una così cupa tragedia se il pianeta in questione non fosse stato demolito, il che significava che lui non avrebbe mai più potuto comprare un altro paio di scarpe come quelle.
Certo, data l’infinita estensione obliqua della probabilità esisteva, naturalmente, una quasi infinita molteplicità di pianeti Terra, ma, in pratica, un magnifico paio di scarpe non si poteva rimpiazzare così, trastullandosi nello spaziotempo multidimensionale.
Sospirò.
Oh be’, era meglio cercare di trarre il meglio dalla situazione. Se non altro aveva salvato la pelle. Per il momento.
Era appollaiato su un davanzale largo trenta centimetri al tredicesimo piano di un palazzo, e non era affatto certo che trovarsi lì valesse una buona scarpa.
Fissò stordito il vetro scuro.
Era nero e silenzioso come una tomba.
No. Era assurda quella similitudine. Ford aveva partecipato a stupende feste nelle tombe.
Non si muoveva qualcosa, là dentro? Non riusciva a distinguere bene. Gli sembrava di vedere, all’interno, qualche strana ombra che si agitava. Forse era solo il sangue che gli colava dalle ciglia. Se lo asciugò. Scrutò di nuovo la finestra, cercando di afferrare i contorni della sagoma, ma ebbe la sensazione, così comune nell’odierno universo, di avere solo un’illusione ottica e che gli occhi gli giocassero sciocchi scherzi.
Cosa c’era la dentro, una specie di uccello? Era questo che avevano nascosto su quel piano segreto, dietro vetri scuri a prova di razzo? L’uccelliera di qualcuno? All’interno c’era sicuramente qualcosa che si muoveva, però non sembrava tanto un uccello, quanto un buco nello spazio dai contorni di uccello.
Ford chiuse gli occhi, cosa che, in ogni caso, già da un po’ desiderava fare. Si chiese che cavolo di decisione gli conveniva prendere adesso. Saltare? Arrampicarsi? Non pensava di poter introdursi dentro. D’accordo, il vetro teoricamente a prova di razzo non era risultato, al momento decisivo, davvero a prova di autentico razzo, però il razzo in questione era stato lanciato a distanza ravvicinata dall’interno dell’ufficio, e forse gli ingegneri che l’avevano progettato non avevano in mente una situazione del genere.
Ciò non significava che Ford sarebbe riuscito a rompere la finestra avvolgendo il pugno nell’asciugamano e colpendo il vetro. In ogni caso, cavoli, ci provò, e si fece male al pugno. Inoltre, da dove stava seduto, non poteva nemmeno dare un colpo troppo forte, perché si sarebbe potuto fare molto male alla mano. Il palazzo era stato notevolmente rinforzato quando era stato completamente ricostruito dopo l’attacco sferrato da Ranonia, e quella era forse l’azienda più massicciamente blindata che esistesse nel settore editoriale; tuttavia, pensò Ford, c’era sempre un punto debole in qualsiasi sistema concepito da una commissione aziendale. Lui ne aveva già trovato uno. Gli ingegneri che avevano progettato le finestre non avevano previsto che potessero essere colpite da un razzo lanciato a distanza ravvicinata dall’interno, e così il blindaggio non aveva funzionato.
Allora, che cosa gli ingegneri non avevano previsto che facesse una persona seduta sul davanzale della finestra?
Ford si arrovellò per circa un secondo prima di darsi una risposta.
Innanzitutto non avevano sicuramente previsto che qualcuno si potesse trovare lì. Solo un’autentica testa di cazzo si sarebbe seduta dov’era seduto lui, sicché lui aveva già una buona carta a suo favore.
Un comune sbaglio che la gente commette quando cerca di progettare materiali a prova di teste di razzo è sottovalutare l’ingegnosità delle teste di cazzo.
Tirò fuori di tasca la carta di credito che si era appena procurato, la infilò nella fessura del telaio, e fece una cosa che un razzo non sarebbe riuscito a fare. Mosse un po’ la carta, e sentì un gancio cedere. Aprì la finestra e per poco non cadde giù dal davanzale. Rise di gusto e ringraziò i Grandi Tumulti per la Ventilazione e il Telefono di SrDt 3454.
All’inizio i Grandi Tumulti per la Ventilazione e il Telefono di SrDt 3454 sembrarono solo aria fritta. L’aria fritta era, naturalmente, il problema che la ventilazione aveva il compito di risolvere e che in genere aveva risolto abbastanza bene fino a quando qualcuno non aveva inventato il condizionamento d’aria, il quale lo risolveva con molte più vibrazioni.
E il condizionamento andava benissimo, se si riuscivano a sopportare il rumore e lo sgocciolio, ma un giorno qualcun altro inventò una cosa ancora più sexy e intelligente, ossia il cosiddetto condizionamento automatico.
Quello era veramente fantastico.
Differiva dal sistema precedente soprattutto in due punti: era enormemente più costoso, e utilizzava innumerevoli quanto sofisticate apparecchiature di misurazione e controllo che permettevano di capire molto meglio, momento per momento, che tipo d’aria la gente volesse respirare al posto di quella che respiravano i comuni mortali.
Inoltre il sistema, per assicurarsi che i comuni mortali non interferissero nella complessa rete di calcoli da esso eseguita nel loro interesse, imponeva che tutte le finestre degli edifici fossero costruite in maniera da restare ermeticamente chiuse.
Proprio così.
Durante l’installazione, varie persone che andavano a lavorare nei palazzi destinati ad accogliere il condizionamento automatico, parlarono con i tecnici addetti al Respir-Intell, e il dialogo si svolse circa così.
– Ma, e se vogliamo aprire le finestre?
– Non avrete bisogno di aprire le finestre con il nuovo Respir-Intell.
– Sì, ma supponiamo che volessimo solo aprirle per un po’?
– Non avrete bisogno di aprirle nemmeno per un po’. A tutto provvederà il nuovo sistema Respir-Intell.
– Uhm.
– Godetevi il Respir-Intell!
– Va bene, e se il Respir-Intell si rompesse, funzionasse male o cose del genere?
– Ah! Una delle caratteristiche più intelligenti del Respir-Intell è che non può in alcun modo rompersi. Proprio così. Di questo non dovete assolutamente preoccuparvi. Godetevi i vostri respiri, adesso, e buona giornata.
(Fu naturalmente a causa dei Grandi Tumulti per la Ventilazione e il Telefono di SrDt 3454, che ora tutti i congegni meccanici, elettrici, quanto meccanici, idraulici e anche a energia eolica, a vapore o a pistoni devono per legge recare una certa scritta. Per quanto piccolo sia l’oggetto, i suoi progettisti sono costretti a infilare da qualche parte la scritta, perché essa è in fondo destinata a richiamare più la loro attenzione che quella dell’utente.
La scritta dice:
“La principale differenza tra una cosa che potrebbe rompersi e una cosa che non può in alcun modo rompersi è che quando una cosa che non può in alcun modo rompersi si rompe, di solito risulta impossibile da riparare.”)
Grandi ondate di caldo cominciarono a coincidere, con precisione quasi magica, con grandi guasti dei sistemi Respir-Intell. All’inizio questo causò solo acre risentimento e qualche morte per asfissia.
Il vero orrore scoppiò il giorno in cui si verificarono simultaneamente tre eventi. Il primo fu che la Respir-Intell Inc. rilasciò una dichiarazione in cui spiegava come i migliori risultati si ottenessero utilizzando il sistema in climi temperati.
Il secondo fu la rottura di un Respir-Intell in una giornata particolarmente umida e calda, fatto che indusse molte centinaia di persone a precipitarsi dall’ufficio in strada, dove si trovarono davanti al terzo evento, ossia una furibonda folla di centralinisti telefonici.
I centralinisti delle telefonate interurbane erano infatti così stufi di dover dire tutto il giorno e tutti i giorni: – Grazie per avere usato l’RI&I – a ogni idiota che sollevava la cornetta, che alla fine erano scesi in strada brandendo bidoni dell’immondizia, megafoni e fucili.
Nei successivi giorni di carneficina ogni singola finestra della città, blindata o meno, fu infranta, di solito al grido di: – Cavati da questa linea, imbecille! Non me ne frega niente di che numero vuoi e di qual è il tuo interno. Ficcati un fuoco artificiale su per il culo! Sìììììì! Gu gu gu! Uack! Berebek! – Seguiva una serie di altri versi animaleschi che essi non avevano la possibilità di emettere nel normale esercizio della loro professione fonica.
In conseguenza dei tumulti, a tutti i centralinisti che rispondevano al telefono la legge concesse il diritto di dire: – Usate l’RI&I e crepate! – almeno una volta all’ora, e a tutti i palazzi per uffici furono imposte finestre che si aprissero almeno un pochino.
Un altro risultato imprevisto fu il notevole calo del tasso di suicidi.
I vari dirigenti rampanti e stressati che nei cupi tempi della tirannia Respir-Intell erano stati costretti a buttarsi sotto il treno o pugnalarsi da soli, ora potevano semplicemente arrampicarsi sul davanzale della finestra e buttarsi tranquilli giù. Succedeva però spesso che, nei pochi secondi in cui, sul davanzale, si guardavano intorno e raccoglievano le idee, di colpo scoprissero di aver bisogno solo di una boccata d’aria e una fresca visione delle cose, e magari anche di una fattoria in cui tenere qualche pecora.
Un altro risultato assolutamente inatteso fu che Ford Prefect, bloccato al tredicesimo piano di un palazzo pesantemente blindato, riuscì, munito solo di un asciugamano e una carta di credito, a salvarsi entrando da una finestra in teoria a prova di razzo.
Dopo che Colin lo ebbe seguito dentro, Ford chiuse bene la finestra alle sue spalle e si guardò intorno per vedere se trovava la creatura simile a un uccello.
Una cosa capì, in merito alle finestre: poiché erano state trasformate in finestre apribili dopo essere state inizialmente concepite come inespugnabili, di fatto erano molto meno ermetiche che se fossero state costruite fin dall’inizio in modo da venire aperte.
Eh, la vita era sempre bizzarra, pensò Ford in cuor suo; poi, di colpo, si accorse che la stanza in cui aveva tanto faticato a entrare non era molto interessante.
Si fermò stupito.
Dov’era la strana forma che aveva visto muoversi? Dov’era la cosa degna di tanto mistero e tanto trambusto? Degna dello straordinario velo di segretezza che pareva avvolgere la stanza e dell’altrettanto straordinaria catena di eventi che sembrava aver cospirato per farlo entrare lì?
Nel locale, come ormai in tutti i locali del palazzo, dominava una tonalità molto fine di grigio. Ai muri erano appesi mappe e disegni.
Per lo più non dicevano nulla a Ford, però ce n’era uno interessante: il modello di un qualche manifesto.
Su di esso si vedevano una sorta di logo a forma di uccello, e uno slogan che diceva: "La Guida galattica per gli autostoppisti Mk II: la cosa più sensazionale che si sia mai vista. Imminente in una dimensione a voi vicina". Tutto lì.
Ford si guardò di nuovo intorno. Poi cominciò a concentrare l’attenzione su Colin, il robottino assurdamente iperfelice, che stava rannicchiato in un angolo della stanza balbettando, sembrava, per la paura.
Strano, pensò Ford. Si guardò intorno per vedere cosa intimorisse Colin. Poi scorse un oggetto che non aveva notato prima, e che era posato su un tavolo da lavoro.
L’oggetto era nero e circolare, e grande quanto un piattino da contorno. In alto e in basso era un po’ convesso, sicché somigliava a un piccolo disco per il lancio dei pesi leggeri.
La superficie appariva totalmente liscia, levigata e priva di qualsiasi irregolarità.
L’oggetto non stava facendo niente.
Poi Ford notò che sopra c’era scritto qualcosa. Strano. Un attimo prima non c’era scritto niente, e adesso di colpo si leggeva qualcosa.
Non sembrava proprio che ci fosse stato un visibile passaggio tra i due stati.
In piccoli caratteri inquietanti, il disco diceva solo quattro parole:
“Fatevi prendere dal panico.”
Un secondo prima non si vedevano né segni né fessure sulla sua superficie. Ora invece c’erano. E aumentavano.
Fatevi prendere dal panico, diceva la Guida Mk II. Ford obbedì subito. Proprio adesso si era ricordato perché le creature simili a lumaconi gli fossero apparse familiari. Il colore delta loro pelle era un grigio aziendale, ma sotto ogni altro aspetto esse apparivano tali e quali ai vogon.