Domenica, 29 aprile 2007

Nierhoff era preoccupato. Molto preoccupato. Di prima mattina aveva ricevuto una telefonata poco amichevole da parte di un alto funzionario del BKA, l’Ufficio federale anticrimine, che gli aveva ordinato senza mezzi termini di sospendere con effetto immediato tutte le indagini su Goldberg. Sebbene Nierhoff non morisse esattamente dalla voglia di esporre se stesso e il proprio ufficio al fuoco incrociato delle critiche per le implicazioni politiche del caso Goldberg, non poteva sopportare di essere trattato cosí. Convocò subito Bodenstein in commissariato e lo informò dell’accaduto, con l’obbligo di mantenere il massimo riserbo.

«Salomon Goldberg è arrivato questa mattina col primo aereo da New York» disse. «Chiede che gli vengano immediatamente consegnate le spoglie del padre».

«Si è rivolto a lei?» domandò Bodenstein, stupito.

«No». Nierhoff scosse il capo con aria indignata. «Si è presentato dal questore con due agenti della CIA e il console generale degli Stati Uniti. Naturalmente il questore non aveva la minima idea di quale fosse il problema, cosí si è messo in contatto col ministro degli Interni e col BKA».

Il ministro degli Interni in persona aveva preso in mano la situazione. C’era stato un incontro all’istituto di Medicina legale cui avevano partecipato Nierhoff, un segretario del ministero, il questore, il dottor Thomas Kronlage, due uomini del BKA e Salomon Goldberg accompagnato dall’influente capo della comunità ebraica di Francoforte, dal console generale e dai due agenti della CIA. Si trattava di una situazione molto delicata dal punto di vista diplomatico. La richiesta degli americani era inequivocabile: volevano il corpo di Goldberg. Subito. Naturalmente dal punto di vista giuridico nessuno di loro, tedesco o americano, aveva il diritto di immischiarsi in un’indagine per omicidio. Il ministro degli Interni intendeva però evitare che scoppiasse uno scandalo, soprattutto perché mancavano solo sei mesi alle elezioni. Dopo meno di due ore dall’arrivo di Salomon Goldberg il caso era già del BKA.

«Non ci capisco piú niente» ammise Nierhoff, costernato. Smise di camminare avanti e indietro per l’ufficio e si fermò davanti a Bodenstein. «Cos’è successo?».

Il commissario capo aveva solo una spiegazione per questo strano intervento nelle prime ore della domenica. «Ieri, durante l’autopsia, è emerso un tatuaggio sul lato interno del braccio sinistro di Goldberg. Un tatuaggio che lo identifica come ex membro delle SS».

Nierhoff rimase sbalordito. Per poco non gli cascò la mandibola.

«Ma… ma… non ha senso! Goldberg era un superstite della Shoah, era stato internato e aveva perso tutta la famiglia ad Auschwitz».

«Questa è la versione ufficiale». Bodenstein si appoggiò allo schienale e accavallò le gambe. «Ma mi fido ciecamente del giudizio del dottor Kirchhoff. E poi quel tatuaggio spiegherebbe perché il figlio di Goldberg si è presentato a meno di ventiquattr’ore dalla scoperta del cadavere e ha messo in campo dei pezzi da novanta per impedirci di indagare. Che ci sia dietro lui o qualcun altro con i giusti agganci, l’obiettivo è chiaro: vogliono far sparire il corpo di Goldberg il piú in fretta possibile. Il segreto del vecchio non doveva essere scoperto. Solo che siamo stati piú veloci di quanto si aspettassero».

Nierhoff fece un respiro profondo e si sedette dietro la scrivania.

«Ammesso che abbia ragione» disse dopo un attimo, «come ha fatto il figlio di Goldberg a mobilitare tante persone in un tempo cosí breve?».

«Conoscerà l’uomo giusto al posto giusto. Sa come funzionano queste cose, no?».

Nierhoff lo guardò con aria sospettosa. «È stato lei a informare la famiglia?».

«No. L’avrà fatto la governante di Goldberg».

«Vorranno avere il rapporto dell’autopsia». Nierhoff si grattò il mento. Il poliziotto che era in lui stava facendo a pugni col politico. «Riesce a immaginare che razza di bufera potrebbe scatenarsi?».

«Sí». Bodenstein annuí. Nello stesso momento il suo superiore scattò di nuovo in piedi e ricominciò a misurare l’ufficio a grandi passi.

«Che cosa devo fare?» chiese infine, riflettendo ad alta voce. «Se questa storia diventa di dominio pubblico, sono spacciato. Non voglio neanche pensare a cosa farebbe la stampa se ci fosse una fuga di notizie».

Sentendo questo discorso pieno di autocommiserazione, Bodenstein fece una smorfia. Era chiaro che a Nierhoff non importava un fico secco di trovare l’assassino.

«Non si saprà niente. È interesse di tutti far passare la storia sotto silenzio».

«La fa facile lei… E il rapporto dell’autopsia?».

«Lo infili nel distruggidocumenti».

Nierhoff si avvicinò alla finestra, le mani incrociate dietro la schiena, e per un istante guardò fuori. Poi si voltò bruscamente.

«Ho dato la mia parola che non avremmo piú indagato sul caso Goldberg» disse a bassa voce. «Spero che ne terrà conto».

«Certo» rispose il commissario capo. A chiunque Nierhoff avesse dato la sua parola, non ci voleva un particolare intuito per capire cosa sarebbe successo. Il caso sarebbe stato insabbiato da qualcuno ai livelli piú alti.