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Un jet passò sopra le nostre teste, lasciando dietro di sé una bianca scia di zucchero filato. Venti caldi facevano ondeggiare le cime dei pini e increspavano l’erba come un mare verde chiaro.
La fossa ai nostri piedi odorava di zolle rivoltate di fresco. Un mazzo di fiori giaceva sul mosaico di terra battuta: garofani a buon mercato scuri e avvizziti. Accanto, una minuscola bandiera americana pendeva dalla sua astina in balsa.
La vecchia lapide non c’era più: quella nuova luccicava al sole, punteggiata di rosa. L’iscrizione era nitida e bianca come un osso, una ferita aperta nel granito.
Specialista di secondo livello Luis Alvarez
Esercito degli Stati Uniti
28 febbraio 1948-23 gennaio 1968
Morto da eroe
Poiché il JPAC non era riuscito a rintracciare alcun membro vivente della famiglia Alvarez, Platone Lowery aveva offerto la sepoltura al Gardens of Faith Cemetery, sostenendo che il posto apparteneva a Luis, che sarebbe stato in pace in quel suolo familiare più che in qualsiasi altro luogo. E aveva acquistato la lapide.
Alle nostre spalle, accanto a un gruppetto meno folto di pini, altre due pietre proiettavano ombre sul prato. Katy e io avevamo messo dei fiori su quella che contrassegnava la seconda recente sepoltura.
John Charles «Spider» Lowery
21 marzo 1950-5 maggio 2010
Amava tutti gli esseri viventi
La terza lapide attendeva sopra l’erba intatta.
Platone Maximus Lowery
Devoto marito di Harriet Cumbo Lowery
14 dicembre 1928
Padre di John e Thomas
Lo sceriffo Beasley non si era sbagliato: Platone Lowery era un brav’uomo. L’ironia della vita volle che infine fosse stata la scienza di cui tanto diffidava a dargli ragione e a vendicare la sua fiducia nella moglie e nella famiglia: nuovi test del DNA avevano confermato il mio sospetto che Harriet fosse una chimera.
Su mia richiesta, Reggie Cumbo si era deciso a restituire le lettere che la donna inviava al figlio al fronte: la saliva presente sui francobolli e sulle buste aveva fornito campioni analizzabili. Risultato: la sequenziazione del DNA differiva da quella ottenuta dai vetrini della patologia di Harriet e corrispondeva, invece, a quella ricavata dalla vittima di Hemmingford, Spider Lowery.
Offrire le lettere era stato forse il riscatto finale di Reggie Cumbo, che subito dopo era entrato in una casa di cura per malati terminali.
Pinky Atoa ne aveva frainteso l’importanza tra i Sons of Samoa: Reggie era un OG, certo, ma non un original gangsta, soltanto un old guy, un vecchio che possedeva il locale in cui si riuniva la gang.
L’uomo aveva probabilmente chiuso gli occhi, al Savaii, sulle attività dei SOS, forse preso qualche bustarella, ma era improbabile che fosse stato lui a mandare Kealoha e Faalogo alle Hawaii. L’espansione sulle isole era, con ogni evidenza, una loro iniziativa.
Cumbo non sarebbe stato accusato di alcun crimine - era in fin di vita -, e probabilmente non avremmo mai saputo con certezza in che misura fosse colpevole.
Mi interrogavo anche sulle ragioni che lo avevano spinto a uscire allo scoperto dopo tanti anni: un cambiamento del cuore - e delle priorità - nell’imminenza della fine? Rimorso per l’uccisione di Xander Lapasa, come sosteneva lui? O la prospettiva di un’opportunità di lucro, di un colpo messo a segno con il testamento di Theresa-Sophia? Probabilmente, non avremmo mai saputo neppure questo.
Non avrei mai del tutto compreso perché Cumbo apostrofasse un invisibile Nickie Lapasa nella sala riunioni di Schoon: non c’erano prove che i due si fossero mai incontrati. Forse Reggie riteneva importante, nell’ora estrema, rendere la confessione al fratello della sua vittima. Aveva cercato i Lapasa su Internet e colto l’occasione per recarsi alle Hawaii, probabilmente nella convinzione di incontrare Nickie.
Quest’ultimo aveva infine concesso alla sorella di fornire un campione di DNA: senza alcun dubbio, Xander sarebbe stato presto restituito alla famiglia.
Sospettavo che la mia prima intuizione circa la riluttanza di Nickie a collaborare fosse corretta: anche se ormai conduceva affari «puliti», era cresciuto alla scuola del padre, conoscendone le attività illecite e assimilando, probabilmente, la diffidenza del vecchio nei confronti dello Stato e delle forze dell’ordine.
Hadley Perry sopravvisse alla tempesta politica suscitata dalla chiusura di Halona Cove e tornò a governare il suo regno di morte. Non seppi mai se tra lei e Ryan ci fosse attrazione. Né mai lo chiesi.
Anche il ragazzo ferito al fortino sopravvisse. Il suo nome era Barry Byrd, aveva diciannove anni, suonava il sax in una jazz band e frequentava l’università part-time insieme alla sorella Sarah.
Lily l’aveva conosciuto al centro commerciale di Ala Moana, la volta in cui aveva fatto imbestialire Katy. I due si erano tenuti in contatto telefonico e dovevano vedersi la sera in cui Katy aveva scorto Byrd accanto alla piscina.
Il proiettile di Pukui si era portato via mezza spalla di Barry, fratturandogli la clavicola. Il ragazzo aveva perso molto sangue, ma i medici, giunti sul posto in elicottero, erano arrivati in tempo da lui. Due giorni dopo il ricovero al Queen’s Medical Center l’avevano dimesso.
Il corpo di Ted Pukui non era stato ancora ritrovato, forse caduto in un crepaccio o incastratosi tra le rocce. Era possibile che fosse giunto fino al mare: un destino che appariva in certo modo appropriato, poetica forma di giustizia per Kealoha e Faalogo.
L’il Bud T’eo si era limitato a sostenere che Pukui aveva agito da solo: il perché, proprio, non sapeva immaginarlo. La polizia aveva soltanto voci che legavano T’eo all’omicidio Atoa, o agli assassini di Kealoha e Faalogo. Lô e Hung, però, non si sarebbero arresi: prima o poi l’avrebbero inchiodato.
Simulazioni. Inganni. Dunque è così che viviamo la nostra vita?
Lily ci aveva nascosto la sua relazione con Barry Byrd. Reggie aveva ingannato il mondo, assumendo l’identità di John Lowery prima, di Al Lapasa poi. Spider non era stato da meno, vivendo sotto le mentite spoglie di Jean Laurier e celando la sua predilezione per plastica, proctoscopi e slip rosa. Platone aveva occultato la dolorosa possibilità che la sua famiglia non fosse ciò che sembrava, benché, a onor del vero, non avesse mai prestato fede alle accuse che tentava di soffocare.
Chissà che cosa aveva, invece, da nascondere Nickie Lapasa...
Restavano delle domande, quindi.
E anche Katy ne aveva di proprie.
Perché Coop non era partito un giorno prima dall’Afghanistan? O un giorno dopo? Perché s’era trovato su quella strada in quel preciso momento?
Perché ciascuno di noi compie determinate scelte e non altre?
Charlie Hunt aveva chiamato il giorno stesso in cui ero rientrata a Charlotte. Io ero stata amichevole, ma evasiva. Come mai?
A causa di Ryan? Perché, allora, tenevo Ryan al di là di una barriera emotiva?
Perché Ryan accusava se stesso della tossicodipendenza di Lily? Perché Lily avvelenava il suo corpo con la droga?
Guardai mia figlia, mentre meditava l’epitaffio di Luis Alvarez. Sapevo quale dolore provava: Luis era morto a vent’anni, Coop pochi di più.
Katy, con l’inconfondibile postura delle spalle, i denti superiori che mordevano il labbro, il volto incorniciato dai capelli biondi.
Guardai mia figlia e mi sentii quasi stordita dall’amore: sapevo che avrei fatto qualunque cosa per lei, rischiato la mia vita per proteggerla.
Ma sapevo anche che non avrei potuto evitarle il dolore ogni volta.
Ryan era tornato a Montréal: le sue paure di una possibile ricaduta di Lily nella droga, per il momento, sembravano infondate. Speravo con tutto il cuore che quella ragazzina avrebbe rigato diritto.
Lutetia non sarebbe stata presente ad accogliere la figlia: era tornata in Nuova Scozia. Altra ironia: la chiamata a Lily della madre era stata la scintilla che aveva indotto Katy al disgelo.
Le avevo chiesto come fosse sbocciata la nuova, inaspettata, intesa tra loro, ed ero rimasta stupita dalla risposta, dalla compassione e maturità che dimostrava.
Lily era cresciuta senza un padre, aveva detto Katy: bramava costantemente approvazione, soprattutto dagli uomini. «L’ho trovata in lacrime nella sua stanza» mi aveva raccontato, «e le ho fatto i complimenti per le scarpe.»
Sorrisi al ricordo di quella conversazione.
Katy si volse, si ravviò i capelli dietro le orecchie.
«Che hai da sorridere?»
«Niente» dissi. «Proseguiamo verso Charleston?»
Annuì.
Imboccammo un sentiero di ghiaia che serpeggiava tra lapidi e cespugli meticolosamente curati.
«È un tale spreco» commentò. «Coop, Luis Alvarez, quel tale Xander: erano tutti così giovani, pieni di vita. Ora sono polvere.»
La lasciai parlare. Ne avevamo discusso più volte, ma capivo che doveva sfogare la sua pena.
«Penso persino ai due ragazzi uccisi a Makapu’u Point. E ai loro assassini.»
«È completamente diverso» obiettai. «Quegli uomini hanno compiuto una scelta di vita: nuocere agli altri ed esporsi al rischio. Quasi non meritano pietà.»
Il suo volto si rabbuiò. «Ma, in un certo senso, una somiglianza c’è: giovani che fanno delle scelte e ci rimettono la vita.»
«È ingiusto paragonare soldati, poliziotti, vigili del fuoco a gente che causa sofferenza e si mette in pericolo solo per ottenere un tornaconto personale.»
«Certo che lo è, non intendevo questo. Soldati come Luis Alvarez sono eroi, teppisti come Kealoha e Faalogo feccia egoista.»
«Temo che mi sfugga il punto, allora» dissi.
«Non lo so.» Katy emise un sospiro. «Continuo a chiedermi perché una persona corre dei rischi con uno scopo nobile, un’altra, invece, per nuocere al prossimo.»
«E perché, su entrambi i fronti, alcuni vivono e altri soccombono.»
«Già.»
«L’uomo si pone queste domande da quando ha cominciato a dipingere sulle pareti delle caverne.» Mi annotai mentalmente di farle leggere Il ponte di San Luis Rey.
Mentre oltrepassavamo i cancelli in ferro battuto, mi voltai a guardare la tomba di John Lowery un’ultima volta.
Pensai alla tela di ragno che aveva tessuto con Reggie. Quanto dolore e inganno. Quante persone prese nella rete.
Aloha, Spider. Lo dissi mentalmente.
Gracias, Luis.
Platone, spero che lei troverà pace.
La Mazda era nello stesso punto in cui l’avevo parcheggiata il giorno dell’esumazione.
«Si va, tigre?»
«Pronta per i playoff.» Katy sorrise. Mestamente.
«Che cosa pensi ti abbia lasciato Coop?»
«Non ne ho idea.»
«Andiamo a scoprirlo.»