18

 

Quella sera optammo per una cena casalinga. O meglio: Ryan e io optammo, Lily e Katy aggiunsero solo tensione al processo decisionale.

Ryan comprò bistecche di manzo e filetti di tonno, che grigliammo alla perfezione. Sorprendentemente, tutti gli impedimenti dietetici svanirono all’istante: le figlie divorarono i doni del mare e della terra, con palatine novelle e insalata di spinaci.

Dire che la conversazione fu impacciata sarebbe come definire la rielezione di Ahmadinejad in Iran un filino controversa. Il gruppo preferito di Lily erano i Cake. Katy trovava la loro musica infantile e pretenziosa. Katy amava il blues classico: Etta James, Billie Holiday, T-Bone Walker. Lily disse che quella merda le metteva sonno. Lily adorava il profumo Sung di Alfred Sung. Katy lo considerava troppo dolce. Lei prediligeva L’Eau d’Issey di Issey Miyake (che faceva starnutire Lily). iPhone contro Blackberry. PC versus Mac.

Credo di avere fornito un quadro preciso della situazione.

Ryan e io insistemmo sulla cortesia, ma una cosa era chiara: non solo le nostre rampolle avevano gusti e opinioni differenti, stavano anche diventando abilissime nel coniare espressioni sempre più raffinate per esprimere il loro reciproco disprezzo.

Dopo cena, servii fette di ananas fresco. Ryan propose un’altra gita per il pomeriggio seguente: il Punchbowl o, forse ispirato dal dessert, la piantagione Dole.

Katy disse che preferiva passare la giornata a Waikiki Beach, Lily invece voleva andare ad Ala Moana. Katy osservò che era stupido attraversare il dannato Pacifico solo per fare shopping. Lily sostenne che era idiota starsene sdraiati a insabbiarsi le chiappe. A quel punto fu guerra aperta.

Per fortuna, noleggiando la mia Cobalt, avevo pagato l’assicurazione extra ed elencato mia figlia come guidatore. Dopo molte discussioni si giunse a un compromesso: Katy avrebbe lasciato Lily al centro commerciale, trascorso il pomeriggio a Waikiki, quindi ripreso Lily in luogo e orario da stabilire.

Sparecchiata la tavola, le combattenti si ritirarono nelle loro stanze. Ryan e io ce ne andammo a passeggiare sulla spiaggia. Lo aggiornai sui miei due casi al CIL, e anche su quello che seguivo per il medico legale di Honolulu.

«Hadley Perry?» domandò.

«La conosci?»

«Sì.»

La cosa mi sorprese, ma non approfondii.

«La Perry ha reclutato un esperto di squali per domattina» gli comunicai.

«Be’, per lo meno è qualcosa di diverso.»

«Da che?»

«Ossa, insetti...»

«Fisica quantistica.»

«Anche.» Tacque per un momento. «Ho avuto notizie dallo sceriffo Beasley, oggi.»

«E...?»

«A volte mi stupisci.»

«Solo a volte?»

«A volte più di altre.»

«Che ha detto Beasley?»

«Ci hai preso solo per un pelo.»

Attesi che si spiegasse. Non lo fece.

«Provi un qualche piacere perverso a trastullarti con la mia mente?» chiesi.

«Be’, a dire il vero di una cosa sono certo: provo un immenso piacere a trastullarmi con la tua...»

«Beasley?»

«Southeastern Regional Medical Center. Di norma i vetrini dei pazienti vengono conservati per cinque anni.»

«L’ospedale aveva qualcosa?» Non ci potevo credere.

«Oui, madame. Dall’ultimo ricovero di Harriet Lowery. Il materiale sta volando al Laboratorio di identificazione del DNA delle forze armate in questo preciso momento. Se non è già lì. E credo che un campione possa essere arrivato anche ai nostri ragazzi del DNA su a Montréal.»

«Cazzarola.»

«Cazzarola.»

La sabbia era fresca sotto i piedi. Le onde s’infrangevano sulla battigia. Stare all’aperto dava una sensazione splendida. Il gusto del sale sulle labbra, il vento tra i capelli...

Essere con Ryan?

Sì. Okay, devo ammetterlo: essere con Ryan...

Non cercò la mia mano, io non presi la sua, eppure lo sentimmo entrambi. Un immenso elefante che arrancava dietro di noi sulla sabbia.

«Non mi dispiacerebbe ascoltare quello che ha da dire.»

Persa nei miei pensieri sul pachiderma, non colsi immediatamente il senso.

«Che ha da dire chi?»

«L’esperto di squali.»

«Perché?»

«Non si sa mai che cosa potrebbe dimostrarsi utile, prima o poi.»

«Lavori in Québec.»

«Gli squali sono creature diabolicamente astute.»

Era davvero interessato agli squali? O alla bizzarra ma seducente dottoressa Perry?

Al diavolo!

«Certo» dissi. «Vieni pure.»

Dorcas Gearhart era nell’atrio, quando arrivammo nell’ufficio del medico legale. Ryan si era sbagliato, e così pure la Perry: il «tizio» degli squali si rivelò essere una rappresentante del mio sesso.

La Gearhart aveva capelli grigi crespi, scostati dal volto con fermagli di plastica rosa, e occhiali dalla montatura in metallo appollaiati sulla punta del naso. A occhio e croce, stabilii, un metro e cinquanta di statura, età da qualche parte a sud dei sessanta.

Ci scambiammo aloha, nomi, strette di mano e mi domandai come Katy e Lily avrebbero commentato il muumuu hawaiano della brava dottoressa, il suo cardigan, le scarpe da ginnastica. In effetti, mi chiesi quali commenti avrebbero potuto scambiarsi in generale, mentre si dirigevano insieme in città.

Aspettando la Perry, Ryan domandò all’esperta come avesse cominciato a interessarsi di fauna ittica.

Visto il suo look, mi ero aspettata toni e atteggiamenti da nonnina: niente di più sbagliato.

«Colpa di una sfiga ladra.» La sua risata proveniva dalle profondità del suo notevole ventre. «O di una sfacciata fortuna, chi lo sa? Avevo fatto domanda a medicina: bocciata. Un prof con cui andavo a letto mi raccomandò il corso di laurea in biologia marina. Mi è sembrata un’idea migliore che sposarmi e sfornare marmocchi.»

«Perché gli squali?» Ryan non perdeva un colpo.

«Una mezza sega mi ha soffiato la borsa di ricerca sui delfini.»

Stavo per porre una domanda, quando apparve la Perry. Questa volta le ciocche sparate erano verde smeraldo, le palpebre dello stesso colore, ma di una sfumatura più pallida.

Altri saluti, le debite presentazioni.

Osservai discretamente il volto di Ryan. E poi quello della Perry. Nessuno dei due pareva tradire una passata conoscenza.

Lei disse di aver già fatto togliere i resti dalla cella frigorifera.

La seguimmo in fila indiana fino alla sala autopsia che avevo visitato il martedì.

Un sacchetto nero di plastica giaceva su un carrello in acciaio inox.

La Perry, la Gearhart e io infilammo i guanti. Ryan stette a guardare.

Il medico legale fece scivolare sul carrello un pezzo d’osso e tessuto.

L’odore di sale e decomposizione pervase la stanza.

Sollevai ed esaminai la massa bagnata.

Un’occhiata mi rivelò che avevo in mano una porzione di polpaccio umano: vedevo un frammento di perone, il sottile osso esterno della parte inferiore della gamba. La tibia era in condizioni migliori: l’estremità che giungeva alla caviglia era riconoscibile entro una massa di tendini aggrovigliati e muscoli semidecomposti. Le ossa erano entrambe coperte di tagli superficiali, incavi più profondi e lunghi solchi. Tutti e due presentavano estremità frastagliate.

Alzai lo sguardo su tre paia di occhi colmi di aspettativa.

«È parte di una gamba umana, grado di decomposizione coerente con i resti esaminati martedì.»

«Così pure il danno dovuto agli squali, vero?» puntualizzò la Perry.

Avvicinandosi al carrello, la Gearhart mi scostò non troppo delicatamente con il gomito. Mi feci indietro.

«Oh sì. Questo era uno squalo.»

«Sa dirci di che specie?» domandò la Perry.

«Avete una lente?»

Il medico legale gliene porse una.

Ci raggruppammo tutti intorno all’esperta: la sua bassa statura giocava a nostro favore.

«Guardate qui, dentro questo solco.» La Gearhart posizionò la lente. «Vedete quanto sono sottili le striature, e regolarmente spaziate? Significa che i denti erano seghettati come una lama di coltello. Direi che stiamo parlando di Galeocerdo cuvier o Carcharodon carcharias.»

Dalla generale assenza di reazioni intuì che era necessario un chiarimento: «Tigre o bianco».

Non potei farne a meno. La musica dello Squalo mi echeggiò nella testa.

«Gli squali bianchi sono piuttosto rari, nelle acque hawaiane, perciò scommetterei sul tigre. Dalla distanza tra le striature, direi che questo cucciolo era lungo probabilmente tre metri e mezzo-quattro metri e venti.»

«Gesù» commentò Ryan.

«Diavolo, questo è niente. Una volta ho avuto un incontro ravvicinato con un esemplare di quasi sette metri. Una madre che doveva pesare novecento chili.»

Sperai che stesse esagerando.

«Gli squali tigre meritano davvero la cattiva pubblicità che gli ha fatto Hollywood?» domandò Ryan.

«Ooooh, sì. Sono secondi solo ai bianchi, per numero di attacchi noti a esseri umani. E non sono quelli che chiameremmo clienti schizzinosi. Quei bastardi mangiano qualsiasi cosa: persone, uccelli, tartarughe marine, impianti idraulici. In genere, i tigre sono indolenti, ma se le loro vecchie papille gustative vengono solleticate altroché se si muovono! Quando ne vedete uno è meglio alzare le chiappe.»

«Dove si possono incontrare?» domandai.

«Per lo più sono attivi di notte.»

Già. La scena d’apertura dello Squalo.

«... il motivo per cui si imbattono così spesso negli esseri umani è che amano avventurarsi tra gli scogli, le baie, i porti... posti così. Vanno in cerca di cibo, soprattutto dopo il tramonto.»

La dottoressa Perry interruppe la lezione di scienze.

«Saprebbe dire se la vittima era viva quando lo squalo si è riempito la pancia?»

La Gearhart ispezionò i resti con la lente.

«La natura casuale dei segni lasciati dai denti fa pensare che la gamba fosse in carne al momento del pasto. La tecnica del tigre è addentare e scuotere, per consentire ai denti seghettati di lacerare i tessuti. I muscoli delle mascelle sono pazzeschi: tanto forti da spaccare l’osso o il carapace di una tartaruga.»

In quel momento avrei desiderato ardentemente che Katy fosse andata con Lily al centro commerciale.

«Quindi può stabilire se lo squalo ha ucciso il ragazzo o solo saccheggiato il suo cadavere?» insisté la Perry.

«No.»

Mentre le due parlavano, osservai la gamba.

«Può dirci se il ragazzo è stato ucciso ad Halona Cove, o da un’altra parte e poi rigettato lì?»

«No.»

Voltai il desolato moncone.

«Senta» la Perry aveva una certa durezza nella voce, «io devo stabilire se sussista un rischio per la pubblica sicurezza. Farei meglio a chiudere quella spiaggia?»

«Secondo me no. Non sulla base di un unico episodio isolato.»

Con un dito, ritrassi il tessuto molle che ricopriva la tibia distale.

Il mio cuore batteva un tempo corrispondente al refrain che avevo in testa.

«Vale a dire?» chiese il medico legale.

«Se i morti fossero più di uno, allora potremmo trovarci in presenza di una canaglia.»

«Canaglia?»

«Uno squalo che ha sviluppato il gusto per la carne umana.»

Alzai gli occhi e incontrai lo sguardo di Ryan. Cogliendo la mia espressione, aggrottò le sopracciglia.

«Brutte notizie» annunciai.

 

 

Le ossa del ragno
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