23
La domenica spuntò fredda e piovosa. Mi svegliai, constatai le condizioni climatiche e tornai a dormire. Evidentemente, gli altri della banda reagivano come me: nessuno si disturbò anche solo ad alzare una palpebra.
Alle nove e mezza, un acciottolio attutito di stoviglie mi svegliò di nuovo. Infilai un paio di pantaloncini e una maglietta e scesi in cucina.
Ryan stava preparando toast francese e bacon: il profumo era da orgasmo.
Diedi una scrollatina alle belle addormentate e tutti e quattro dividemmo un altro pasto all’insegna del gelo totale. Durante la colazione, la pioggia cessò e il sole cominciò a farsi strada tra le nuvole.
Finito di mangiare, ci separammo: Ryan e Lily ad ammirare pesci su un’imbarcazione con il fondo trasparente, Katy e io a leggere in spiaggia.
Mi portai il Blackberry per fare qualche telefonata. Con Danny Tandler non tentai neppure, sapendo quanto fosse poco mattiniero, ma ero ansiosa di parlare con Platone Lowery.
Tanto per cambiare, il vecchio non rispondeva. E, questa volta, nemmeno Silas Sugarman.
Frustrata, fissai lo sfondo del display: una foto di Birdie seduto sulla gabbia di Charlie. In genere l’immagine mi strappava immediatamente un sorriso. Non questa volta.
Le minuscole cifre sullo schermo mi dissero che, sulla East Coast, erano le diciotto e trenta. Mi arrovellai il cervello in cerca d’ispirazione. Chi avrebbe potuto essere disponibile a Lumberton, North Carolina, la domenica sera?
Idea! Perché no? Si era già dimostrato utile altre volte.
Trovai il numero su Google. Lo composi, pigiando i tasti.
«Contea di Robeson, ufficio dello sceriffo.» La voce era asciutta, più stile New York che Dixie.
«Lo sceriffo Beasley, per favore.»
«Non c’è.»
«Mi potrebbe mettere in contatto con lui?»
«Impossibile.»
«Qui è la dottoressa Temperance Brennan. Potrebbe dargli il mio numero e chiedergli di richiamarmi? È piuttosto urgente.»
«Qual è la natura del reclamo?»
«Nessun reclamo. L’11 maggio ho eseguito un’esumazione a Lumberton. Beasley era presente. Mi occorrono alcune informazioni sui resti dissotterrati.»
«Lo sceriffo è molto occupato.»
«Lo sono anch’io.» Quella tizia cominciava a darmi sui nervi.
«Il suo numero?»
Lo fornii.
Durante il silenzio che seguì, un gabbiano pensò bene di gracchiare. Sperai che il suono non arrivasse all’altro capo della linea.
«Trasmetterò la sua richiesta.»
Clic.
«Fallo!» ribattei seccamente all’aria.
Katy drizzò la testa. Scacciai una mosca immaginaria con la mano e lei si rimise a leggere il suo libro.
Dieci minuti dopo, il telefono squillò.
«Sceriffo Beasley.» Stridulo e un po’ brusco, alla Barney Fife.
«Grazie per avermi richiamato. Mi scuso per l’intrusione nella sua domenica pomeriggio.»
«Stavo guardando i Braves che si fanno bastonare alla grande.»
«La chiamo per quell’individuo sepolto al Gardens of Faith Cemetery con il nome John Charles Lowery.»
«Prima quel detective, ora lei. Spider sta sollevando un bel polverone, sicuro come l’oro.»
«Sì, signore. Lei lo conosceva?» domandai. «Intendo di persona.»
«Ci incrociavamo ogni tanto.»
«Che cosa potrebbe dirmi di lui?»
«A scuola era tre classi indietro rispetto a me. Dopo il diploma sono entrato in polizia.» Sì, genio. E Spider? «Nei primi anni di servizio ho anche avuto a che fare un paio di volte con le sue bravate.»
«Bravate?»
«A dire il vero, lui non era un cattivo soggetto. Era quel suo cugino: proprio un pessimo elemento.»
«A chi si riferisce?»
«A Reggie Cumbo. Il ragazzo aveva una fedina penale più lunga del mio braccio.»
«Come mai, signore?»
«Era una testa di cazzo.»
Non dissi nulla.
Come molti, Beasley si sentì costretto a riempire il silenzio.
«Ubriachezza molesta, per lo più.»
«Che ne è stato di lui?»
«Ha preso il volo il giorno della consegna dei diplomi. Evidentemente non era destinato a marciare con il tocco e la nappa.»
«Non si è diplomato?»
«Mi pare proprio di no.»
«E dov’è ora?»
«Potrebbe essere il sindaco di Milwaukee, per quel che ne so. Più probabilmente è morto: non ho mai più sentito parlare di lui.»
Il che escludeva la possibilità di interrogarlo a proposito dell’alta gioielleria dentale di Spider.
«Ha mai notato una particolare decorazione in oro sui denti di John Lowery?»
«Vuoi dire una capsula o simili?»
Citai il gioiellino al dente. «Magari in seguito, dopo che il ragazzo era entrato nell’esercito? Magari nelle foto che mandava dal Vietnam? Platone o Harriet gliele hanno mai mostrate? Le hanno inviate al giornale o pubblicate on-line da qualche parte?» Sapevo di pretendere un po’ troppo.
«Naa, che importanza hanno, ora, i denti di Spider? Credevo foste a caccia del DNA di Harriet.»
«La decorazione al dente potrebbe dimostrarsi utile per identificare i resti che ho esumato. Ammesso che non siano di Spider Lowery. Inoltre, i vetrini di Harriet recuperati all’ospedale sono vecchi di cinque anni. Sto battendo qualche via alternativa, nel caso in cui i campioni siano troppo deteriorati per consentire la sequenziazione.»
«Non so che dirle, signora... Spider era...» Beasley esitò. «Diverso. Ma dubito che abbia fatto la stupidaggine di mettersi dell’oro sui denti.»
«Lei che cosa ricorda di lui?»
Soffiò fuori l’aria tra le labbra serrate. «Ricordo che ai tempi del liceo offrì un rene a sua madre. Harriet li aveva malandati fin dalla nascita e credo sia quello che, alla fine, l’ha uccisa. Devo ammettere che lo trovai un gesto davvero generoso. Spider, però, non era un donatore compatibile: gruppo sanguigno sbagliato o qualcosa del genere. Anche suo fratello Tom si offrì. Molti anni dopo, naturalmente. Ma pure in quel caso, alla fine, non si poté fare. Non so se io me la sarei sentita.»
«Torniamo a Spider.»
Beasley non parlò subito. Poi: «Ricordo che fece un progetto di scienze sui ragni. Riempì quindici o venti cartelloni di fotografie, disegni e didascalie con le spiegazioni. Poi aveva ogni sorta di vasetti con le etichette sopra e i ragni dentro. Vinse il primo premio. Fecero un’esposizione anche in biblioteca. Ogni tanto li utilizzano ancora, quei poster. I ragni, ovviamente, non ci sono più».
«Altro?»
«Ricordo quando partì per la guerra. E quando tornò a casa, morto. Mi dispiace.»
Non mi venivano in mente altre domande. Ringraziai Beasley e chiusi la comunicazione.
La telefonata di Danny arrivò mentre Katy e io eravamo sott’acqua con l’attrezzatura da snorkeling, ad avvistare pesci farfalla, pesci chirurgo e un pesce trombetta dall’aspetto particolarmente mesto.
Più tardi, dissotterrando un asciugamano dal borsone, notai la luce della segreteria che lampeggiava.
Il messaggio era breve: «Chiamami».
Lo feci.
«Che c’è?»
«Ho pensato che volessi essere informata. A proposito della famiglia di Xander. Ho verificato: i genitori, Alexander senior e Theresa-Sophia, sono morti. Tutti e due.»
Sentii frusciare delle carte.
«Alexander Emanuel - Xander - era il primo di sei fratelli, quattro maschi, due femmine. Una sorella, Mamie Waite, abita a Maui, divorziata, una figlia. L’altra, Hesta Grogan, sta in Nevada, è vedova e ha due ragazzi.
«Uno dei fratelli, Marvin, era mentalmente ritardato e morì giovane negli anni Settanta. Gli altri due, Nicholas e Kenneth, vivono nella zona di Honolulu. Sono sposati: Kenneth è alla prima moglie, Nicholas alla quarta. Per un totale di undici figli e diciotto nipoti.»
Feci qualche rapido calcolo. Se Xander Lapasa aveva ventinove anni nel Sessantotto, quando era scomparso, doveva essere nato nel 1939.
Danny parve leggermi nel pensiero.
«I fratelli ancora vivi sono tutti sulla sessantina.»
«Dimmi del padre.» Non sapevo di preciso che importanza potesse avere la storia di famiglia del soggetto, ma Danny sembrava ansioso di comunicarmi il frutto delle sue ricerche.
«Alex Lapasa arrivò a Oahu nel 1956 e trovò lavoro presso una stazione di servizio di Honolulu Est. Due anni dopo, il titolare morì: investito da un’auto che si diede alla fuga. Il testamento, scritto a mano, trasferiva la proprietà dell’esercizio proprio a lui.»
«Quantomeno curioso.»
«La polizia non trovò nulla che collegasse il nostro all’incidente. Il defunto non aveva famigliari che impugnassero il documento, perciò vai a sapere quanto si siano sbattuti a indagare.»
Non commentai.
«Nove mesi dopo, un uragano cancellò la stazione di servizio dalle mappe. Con zero fonti di reddito e, apparentemente, scarso interesse per il settore carburanti, Lapasa si rivolse alla vendita di immobili. E ne colse le potenzialità. Intuì che i figli del Baby Boom avrebbero avuto bisogno di un sacco di case a basso prezzo e si dedicò alla costruzione di abitazioni economiche. Tirava su un bungalow, lo vendeva, ne faceva altri due...
«Quando le Hawaii divennero Stato dell’Unione, nel 1959, ci fu il boom dell’edilizia. Lapasa speculò, si espanse, guadagnò milioni. Dagli anni Sessanta ai Novanta, diversificò l’attività: oggi il suo impero ha più tentacoli di un anemone di mare.»
«A quanto pare il vecchio era un drittone.»
«Altroché» fece Danny.
Notai uno stacco nel ritmo del suo respiro.
«Che cosa?» domandai.
«Lapasa è sempre stato un personaggio... diciamo, controverso. Secondo alcuni aveva il tocco di re Mida, per altri era solo fortunato. Tutti concordavano nel ritenerlo un figlio di puttana.»
«Quando è morto?»
«Nel 2002.»
«Chi dirige l’azienda, oggi?»
«Il secondo figlio, Nicholas.»
Megascampanellio nella mia testa.
Avevo visto più volte quel nome sull’«Honolulu Advertiser», talvolta associato a soprannomi come il Furbo o il Maneggione. Tricky Nickie! Proprio come Richard Nixon-Tricky Dick.
«Quel Nickie Lapasa?»
«Quello.»
Ricordavo vagamente di aver sentito al telegiornale la notizia della dipartita di Alex Lapasa, durante una delle mie visite al CIL. Il funerale era stato una specie di circo equestre.
«Lapasa senior non era indagato per associazione a delinquere, all’epoca della sua morte?»
«Sì. E non per la prima volta. Correva voce che Alex avesse dei legami con il crimine organizzato. Le accuse però non vennero mai provate.»
Riflettei per un momento.
«Kenny Lapasa non è un membro del consiglio municipale di Honolulu?»
«Sì.»
Xander era sparito. Marvin era morto. Nickie e Kenny erano vivi e prosperi.
Mi domandai delle sorelle.
«Mamie ed Hesta partecipano agli affari di famiglia?»
Danny sbuffò. «Decisamente non è nello stile dei Lapasa.»
«Vale a dire?»
«Le donne a casa.»
«Eppure era Theresa-Sophia a corrispondere con l’esercito riguardo alla scomparsa di Xander.»
«Probabilmente il vecchio la considerava un’attività di manovalanza.»
«Perché Xander andò in Vietnam, secondo te?»
«Circolavano voci di un coinvolgimento di Lapasa nel traffico di droga. Forse ha mandato il figlio nel Sudest asiatico a sondare le possibilità in vista del dopoguerra. Sai, produttori, sistemi di trasporto.»
«Con chi hai parlato?» domandai.
«Con Tricky Nickie. È stato come farsi passare Obama.»
«Reazione?»
«All’inizio era scettico. Gli ho detto che le corrispondenze dentarie, benché da convalidare ufficialmente, erano probanti, e ho chiesto se Xander si fosse mai rotto qualcosa. Ha risposto che, sì, si era fratturato la clavicola e la mascella inferiore in un incidente d’auto, l’estate del terzo anno di liceo. Ho descritto le fratture guarite che abbiamo trovato nelle ossa e sulle radiografie.»
«E la cosa lo ha convinto?»
«Non del tutto. Ho detto che, per essere del tutto certi, si poteva fare un confronto dei DNA, se lui o uno dei fratelli avessero fornito un campione. È scattato! Col cazzo, ha detto, che qualcuno sforacchierà un membro della sua famiglia. Ho spiegato che la procedura è indolore: un semplice tampone. Si è agitato anche di più, ti risparmio il linguaggio, e alla fine mi ha sbattuto il telefono in faccia.»
«Se gli affari del padre erano loschi come li dipingono, forse Nickie si preoccupa per la sua privacy. I criminali tendono a essere gelosi del proprio DNA.»
«Può darsi, ma Nickie non è mai stato collegato ad alcuna attività illegale. Comunque, un’ora dopo ha richiamato, fuori di sé, sbraitando di incompetenza, stupidità, negligenza professionale. Ha minacciato di telefonare al suo membro del Congresso, al suo senatore, all’Unione americana per le libertà civili, ai capi di stato maggiore riuniti, al presidente, alla CNN, a Jesse Jackson, a Rush Limbaugh, persino a Nelson Mandela.»
«Ha detto davvero così?»
«Be’, Mandela forse no.»
«Perché è tanto arrabbiato?»
«Abbiamo suo fratello nei nostri scaffali da più di quarant’anni.»
Non ha tutti i torti, pensai.
«Di nuovo, ho proposto il test comparativo, dicendo che il DNA era stato sequenziato con successo dai resti nel 2001. Lui mi ha chiesto di distruggere la documentazione. Ha detto che non vuole la sua famiglia in...» Voce roca: «Un merdoso database governativo».
«Altro?»
«Ha minacciato che sarebbe caduta qualche testa.»
«Prima Platone Lowery, ora Nickie Lapasa. Strano.»
«Ne ho viste di più strane.»
Cambiando argomento, esposi a Danny la mia teoria sul papero-fungo sepolto a Lumberton con i resti di 2010-37 e descrissi la mia conversazione con lo sceriffo Beasley.
«Non aveva mai sentito parlare di gioiellini per i denti?»
«No.»
«Eppure dovrebbe averne visto almeno uno» osservò, «se era di moda nella sua zona.»
«Forse quella moda ha bypassato la contea di Robeson.» Riflettei per un momento. «Magari non ci porterà a nulla, ma potremmo tentare di rintracciare Reggie Cumbo.»
«Il cugino» precisò Danny.
«Sì.»
«Il tizio che hai esumato a Lumberton deve essere Luis Alvarez» proseguì. «Alvarez è tuttora disperso, il suo profilo biologico è identico a quello di Lowery e compatibile con i resti. Poi è di origine messicana e il gioiellino sul dente va forte tra i messico-americani.»
«Oggi è così» concessi. «Ma era lo stesso negli anni Sessanta?»
«Non ne sono sicuro. Credo di sì.» Tacque per un istante. «Dovremo rivedere le foto nel suo dossier.»
«Sicuro» concordai.
«Domattina.»
«Come prima cosa.»
Avevamo un altro appuntamento.