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Il giorno successivo mi alzai alle sette. Trenta minuti dopo avanzavo lentamente con la mia Mazda nel tunnel Ville-Marie. Anche oggi il tempo era splendido.
L’Édifice Wilfrid-Derome è un’imponente struttura a T di tredici piani, situata nel distretto di Hochelaga-Maisonneuve, a est del centreville. Il Laboratoire de Sciences Judiciaires et de Médecine Legale occupa gli ultimi due piani dell’edificio; all’undicesimo c’è il Bureau du coroner; l’obitorio si trova nel seminterrato. Tutto il resto è territorio della SQ.
Sissignori. Ryan e io lavoriamo a soli otto piani di distanza.
La riunione mattutina del personale non aveva in serbo particolari sorprese per l’antropologa, ma era stato un giovedì insolitamente movimentato. Una folgorazione sul posto di lavoro e un accoltellamento furono assegnati a uno dei patologi, una morte in culla sospetta e la vittima di un incendio a un altro. Pierre LaManche, direttore della sezione medicolegale, si prese un caso di presunto suicidio che coinvolgeva un adolescente.
LaManche si assunse inoltre la responsabilità di LSJML-49744 - così era stato registrato John Lowery -, ma chiese a me di seguire il caso. Poiché l’identificazione era stata effettuata attraverso le impronte, una volta compiute le operazioni preliminari sarebbe intervenuto lui, praticando una normale autopsia, oppure, a seconda delle condizioni del corpo, avrei provveduto io a ripulire le ossa e a svolgere l’esame dello scheletro.
Alle nove e trenta mi trovavo ormai nella salle d’autopsie numero quattro, un ambiente equipaggiato specificamente per i cadaveri in avanzato stato di decomposizione o ripescati dall’acqua e che riservano infinite gioie olfattive. Passo la maggior parte del mio tempo là dentro.
Come le sue tre colleghe, la sala quattro ha porte a vento che conducono in sezioni parallele dell’obitorio, suddivise in compartimenti refrigerati. Cartellini bianchi segnalano la presenza degli inquilini di passaggio.
Localizzata la sezione in cui attendeva LSJML-49744, presi la Nikon e controllai le batterie. Poi spinsi la maniglia in acciaio inox.
L’odore della decomposizione cavalcò lo sbuffo d’aria gelida. Sbloccando il freno con il piede, estrassi la lettiga dall’alloggiamento.
Pomerleau e Lauzon avevano fatto a meno del solito sacco per cadavere: comprensibile, dato l’originale involucro in cui era avvolto Lowery.
Stavo scattando qualche panoramica, quando una porta si aprì con un suono metallico e udii uno scricchiolio di suole sulle piastrelle.
Qualche secondo dopo apparve Lisa Savard.
Capelli biondo miele, sorriso generoso e curve alla Dolly Parton, Lisa è la passione segreta di ogni poliziotto etero della Omicidi nell’intero Québec. Anch’io ho una predilezione per lei, ma per motivi diversi: quella donna è il miglior tecnico di autopsia della provincia.
«Caso strano, sì?» disse. Mi parla sempre in inglese, ansiosa di esercitarsi nella pronuncia.
«Decisamente.»
Osservò Lowery per un momento.
«Sembra un Ken ancora impacchettato. Radiografie?»
«Sì, grazie.»
Mentre Lisa sottoponeva il corpo ai raggi X, sfogliai il dossier della vittima. Per il momento conteneva ben poco: il verbale della polizia, il modulo di accettazione all’obitorio, il rapporto di Bandau sui risultati dell’NCIC. Un fax che riproduceva una vecchia scheda con un set di impronte digitali.
Ne verificai la provenienza: l’NCIC.
Curioso. Se Lowery era morto nel 1968, come poteva trovarsi nel sistema? Possibile che la banca dati risalisse tanto indietro?
D’impulso, chiamai la sezione impronte digitali del Service de l’identité judiciaire. Un certo sergente Boniface mi disse di andare da lui. Afferrai la cartella e salii al primo piano prendendo le scale di servizio.
Quaranta minuti dopo, tornavo all’obitorio con una frastornante quantità di informazioni su tented arch, loop e whorl. Conclusione: benché Boniface non sapesse spiegarmi perché Lowery fosse presente nel database dell’FBI, era sicuro al cento per cento che la corrispondenza fosse valida.
Lowery ora giaceva su un tavolo anatomico fissato al pavimento al centro della sala quattro. Il sudario in plastica brulicava di mosche così come l’aria ronzante intorno al cadavere. Un fotografo della polizia scattava panoramiche inerpicato su una scala.
LaManche e Lisa stavano esaminando le radiografie sui visori a parete. Mi accostai, mentre si spostavano lateralmente, passandole in rassegna.
Su ogni lastra, lo scheletro era di un bianco che risplendeva nel grigio chiaro dei tessuti molli. Non mi colpì nulla di insolito, nel cranio o nelle ossa.
Eravamo alla quinta radiografia, quando il dito nodoso di LaManche picchiettò su un elemento a ridosso del piede destro. L’oggetto, radio opaco, giaceva inclinato sopra il calcagno.
«Un couteau» disse Lisa. Un coltello.
«Oui» confermò LaManche.
Concordai anch’io.
Un’altra sorpresa ci apparve in una veduta del torace. Lungo circa otto centimetri e largo due, il secondo oggetto riluceva come il primo.
«Mais oui.» LaManche annuì piano, arrivando finalmente a capire. «Oui.» Il cenno d’assenso si trasformò in un attonito ondeggiare della testa. «Sacrebleu.»
Grandioso. Ora il bizzarro decesso, per lui, aveva un senso. Che io ancora non afferravo.
Esaminai la forma sul petto di Lowery: non era un altro coltello, né un orologio, una fibbia, un qualche arnese da pescatore. Brancolavo nel buio.
Avvicinandosi al corpo, LaManche cominciò a dettare: «La vittima è racchiusa in quello che sembra essere un sacco fai-da-te, costituito da grandi fogli di plastica doppi, fissati con del nastro isolante. La parte inferiore e l’intero involucro, tranne i primi dieci centimetri in alto, sono sigillati dall’esterno. L’estremità all’altezza del collo e i primi dieci centimetri di lato sono chiusi dall’interno.
«La plastica è stata tagliata di recente, esponendo la mano destra. Nella regione del taglio è evidente una moderata attività entomologica.»
Mentre il patologo elencava i dettagli con voce monotona, il fotografo scattava a raffica, riposizionando il cartellino identificatore a ogni ripresa.
«Sembra che la vittima sia entrata nel sacco, quindi abbia assicurato la plastica tendendo il braccio attraverso l’apertura di dieci centimetri, che in seguito è stata chiusa da dentro.»
LaManche fece cenno a Lisa di misurare il tratto di corda fissato alla caviglia.
«Il piede sinistro calza uno stivale ed è legato a una pietra da una corda in polipropilene lunga venti centimetri. Pare che la vittima abbia annodato la corda alla pietra, poi intorno alla caviglia, lasciandola all’esterno della plastica.»
Dettò le misure, via via che Lisa le prendeva con il metro a nastro. «L’involucro esterno è un metro di larghezza per due e mezzo di lunghezza e aderisce al corpo.»
Si spostò all’estremità superiore del tavolo e le mosche si levarono ronzando, infastidite.
«La testa è avvolta separatamente. Un tubo per la respirazione si estende verso l’esterno, fissato al sacco con il nastro.»
Per la respirazione?
Guardai il cilindro in plastica coperto di melma. Era forse un rudimentale equipaggiamento subacqueo?
«L’orlo inferiore del sacchetto è chiuso intorno al collo con l’adesivo.»
E così via. Lisa misurava, LaManche registrava lunghezze, posizioni, dimensioni delle aperture. Alla fine, palpò l’involucro del cranio. «Il tubo è spostato lateralmente e posteriormente rispetto alla cavità orale.»
D’un tratto tutto mi fu chiaro: l’aggeggio che sfuggiva dalla bocca di Lowery (attraverso il quale, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto incamerare aria), la plastica intorno al corpo, la pietra alla caviglia, il coltello che gli sarebbe dovuto servire per liberarsi, ma che era caduto fuori dalla sua portata.
Mi sentii un asino: il capo c’era arrivato molto prima di me.
Ma sott’acqua? Annotai mentalmente di consultare la letteratura.
In quel momento il mio cellulare squillò.
Ryan.
Strappandomi i guanti, mi spostai in anticamera e presi la chiamata.
«Che succede?» chiese Ryan.
«Stiamo scartando Lowery.»
«Sembri molto sicura della sua identità.»
Descrissi il mio incontro con Boniface.
«Troppo presto per la causa della morte?»
«Credo proprio che LaManche pensi a un atto di autoerotismo. Il tizio si è equipaggiato per provare l’orgasmo della sua vita.»
«In uno stagno?» Ryan pareva scettico.
«Tutto è possibile, se insegui i tuoi sogni.»
«E vale la pena di colare a picco per provare?»
«Evidentemente sì.»
«Nel frattempo, ho pensato che volessi essere informata: la targa dello scooter ci ha ricondotto a un certo Morgan Shelby di Plattsburgh, New York. Lui e io abbiamo appena finito di fare due chiacchiere. Shelby sostiene di aver venduto il ciclomotore a un uomo di Hemmingford chiamato Jean Laurier. La transazione è stata, per così dire, informale.»
«Cash, niente scartoffie, lo scooter è arrivato a nord senza costare a Laurier un centesimo di tasse doganali.»
«Tombola. Secondo Shelby, l’acquirente aveva promesso di occuparsi dell’immatricolazione e del permesso di circolazione in Québec.»
«Ma non l’ha fatto.»
«La compravendita è avvenuta solo dieci giorni fa.»
«Jean Laurier. John Lowery.»
«Oui, madame.»
«Qual è la sua storia?»
«Bandau ha indagato un po’, ha trovato della gente in zona che lo conosceva. Un tale che, per quanto si ricorda, Laurier ha sempre vissuto a Hemmingford.»
«Dal 1968?»
«Be’, non è stato così specifico.»
«Che mestiere faceva Laurier?»
«Lavorava come tuttofare, un vero free-lance.»
«Rigorosamente in nero.»
«Oui, madame. Laurier cercava di rimanere invisibile: niente tessera elettorale o posizione fiscale, niente numero di previdenza sociale. I testimoni lo descrivono come un solitario: un tipo strano ma inoffensivo.»
«Hai un UDC?» Ultimo domicilio conosciuto.
«Oui, madame. Pensavo di dare un’occhiata alla sua tana domani. Sei dei nostri?»
«Sì, domani sono libera.»
«Quindi esci con me.»
«Quello non è uscire insieme, Ryan.»
«Allora che ne dici del dopolavoro a casa mia?»
«Ho promesso a Birdie che gli avrei cucinato le uova alla diavola.»
«Ho anche chiamato il Dipartimento di polizia di Lumberton.» Allungò le vocali in una pronuncia che più dixie non si poteva. «Brava gente, da quelle parti.»
«Mmm.»
«Ci sono ancora dei Lowery, nella zona. Il tizio con cui ho parlato si ricordava di John: ha promesso di andare in biblioteca e fotocopiare la foto del ragazzo dall’annuario scolastico.»
«Com’è che le impronte di John Lowery erano nel sistema?»
«Per non so che lavoro part-time che faceva al liceo. Aiuto infermiere, inserviente in un istituto per malati mentali... Qualcosa del genere.»
«La tua efficienza mi colpisce.»
«Sono un investigatore. Investigo. Scendo da te appena arriva il fax con la foto di Lowery.»
A mezzogiorno, il sacchetto di plastica che racchiudeva la testa della vittima e l’involucro che ne avvolgeva il corpo erano appesi ad asciugare sulle rastrelliere in corridoio. Il tubo si rivelò essere un normale respiratore da immersione. Era stato fotografato, ripulito e mandato in laboratorio per farlo analizzare.
Come pure un piccolo pezzo di plastica legato intorno al pene della vittima. Anche quello sarebbe stato esaminato in cerca di liquidi corporei.
Lowery giaceva supino sull’acciaio inox, il volto deformato, lo scroto rigonfio, l’intestino dilatato e tendente al verde. Ma, nel complesso, non era in condizioni così pessime: l’analisi dello scheletro non sarebbe stata necessaria.
«Maschio bianco, tra i cinquanta e i sessant’anni d’età» dettò LaManche. «Capelli neri, occhi castani, circonciso. Niente cicatrici, niente piercing, niente tatuaggi.»
Aiutai Lisa a maneggiare l’asta di misurazione.
«Approssimativamente centosettantacinque centimetri d’altezza.»
Ryan arrivò mentre LaManche girava intorno al corpo, ispezionando occhi, mani, cuoio capelluto, orifizi. Mi porse il fax che era arrivato da Lumberton.
L’immagine era così piccola e confusa che avrebbe potuto appartenere a chiunque. Ma alcuni particolari apparivano evidenti.
Il ragazzo aveva occhi scuri, sopracciglia arcuate e tratti somatici regolari. I capelli neri erano corti, con la riga da parte.
«La vittima non mostra segni di traumi esterni.» Il patologo alzò lo sguardo e rivolse un cenno di saluto al nuovo arrivato.
Dopo averne spiegato la provenienza, Ryan gli consegnò il fax. Lui e Lisa lo guardarono.
«Pulisca, per favore» chiese il capo all’assistente.
La Savard irrorò con un getto d’acqua il cranio di Lowery,
Dopo averlo asciugato, pettinandogli i capelli da un lato, posizionò l’immagine stampata accanto all’orecchio destro del morto.
Quattro paia di occhi rimbalzarono dal fax al volto e poi di nuovo all’immagine del fax.
Quattro decenni di vita e due giorni di morte separavano l’uomo sul tavolo anatomico dal ragazzo nella foto. Benché il naso fosse più rincagnato, la mascella più lassa, la vittima dello stagno aveva gli stessi capelli e occhi scuri, le stesse sopracciglia alla Al Pacino.
Il cadavere di Hemmingford era una versione invecchiata del ragazzo di Lumberton?
Non potevo esserne sicura.
«Crede che sia lui?» domandai a LaManche.
Il capo fece una delle sue inesplicabili alzate di spalle alla francese: Chi lo sa? Perché lo chiedi a me? Che spezie metti nel ragù?
Guardai Ryan. I suoi occhi erano incollati sull’uomo che giaceva sul tavolo.
Cosa del tutto comprensibile: la vista era a dir poco bizzarra.
John Lowery era morto con indosso quanto segue: reggiseno in cotone con coppe imbottite marca Glamorise, colore rosa, taglia quarantaquattro B; slip da donna in poliestere marca Blush, colore rosa, taglia large; cuffietta da infermiera cotone misto poliestere, taglia unica, bianca con una striscia blu; stivale con punta metallica marca Harley-Davidson, piede sinistro, colore nero, numero quarantatré e mezzo.
E quello era solo l’abbigliamento.
L’uomo aveva chiuso con sé nella plastica due strumenti: un proctoscopio, per un uso che non volevo nemmeno immaginare, e un coltellino svizzero per liberarsi a festa finita.
Il primo era rimasto in un sacchetto di stoffa appeso al collo, il secondo gli era caduto ai piedi.
I segni dei denti sul boccaglio del tubo inducevano a pensare che quello non fosse stato il primo tentativo, per lui, di andare in orbita sott’acqua in solitaria, ma, chissà come, la festa era finita in tragedia. Scenario più credibile: il tubo gli era sfuggito di bocca, il coltello gli era sfuggito di mano.
Una situazione insolita, ma la prima impressione di LaManche era molto probabilmente esatta: la morte di Lowery sarebbe stata attribuita ad asfissia accidentale associata ad attività autoerotica.
John Charles Lowery era morto giocando all’infermiera viziosa sottacqua in un megasacchetto ermetico fatto in casa.