Postfazione

di Abe Akira2

 

Le domestiche, pur se di primo acchito può apparire una lettura placida e leggera, non è soltanto un romanzo d’intrattenimento, bensì un’opera che possiede una singolare profondità. La sua peculiare essenza antiepocale va colta nella descrizione minuziosa del passaggio dall’anteguerra al dopoguerra, espresso in modo magnifico attraverso il processo di trasformazione della lingua giapponese, e soprattutto nel ritratto delle numerose domestiche che tramutano a poco a poco il loro ruolo da serve e cameriere in donne di servizio e collaboratrici domestiche, smarrendo in questa transizione una buona parte della loro forza e incisività.

Il libro venne pubblicato per la prima volta a puntate sul settimanale Sandē mainichi, nel 1962. Raikichi, protagonista e capo della famiglia Chikura, incarna la figura del signore nella sua accezione tradizionale e prebellica, così come la moglie Sanko è una signora nel senso antico del termine. Si tratta di una coppia d’altri tempi, nobile e rispettosa, che testimonia alla perfezione il rapporto che vigeva in passato tra signori e servitù, e nei confronti della quale è inevitabile, oggi, provare un senso di estrema lontananza.

In un periodo di grandi cambiamenti, i Chikura vivono la svolta epocale del dopoguerra, a disagio in una società che non sentono più propria. Eppure cercano di resistere, non sono disposti a rassegnarsi, come dimostra il loro bisogno di circondarsi di donne di servizio. Sono molte le domestiche che mettono piede in casa Chikura, a cominciare da Hatsu, nell’estate del 1936, e fino ad arrivare, dopo gli anni difficili della guerra, al matrimonio in contemporanea di Suzu e Gin, nell’autunno del 1958. Oltre due decenni di storia di una famiglia borghese e del Giappone, un ventennio cruciale, durante il quale le domestiche si alternano una dopo l’altra rendendosi protagoniste di vicende singolari, entro la cornice di un paese che cambia a ritmo frenetico. Anni in cui i Chikura posseggono due abitazioni – grandi case in città e lussuose ville al mare, a eccezione di un breve periodo in piena guerra, quando sono sfollati nella prefettura di Okayama – e hanno necessità di una valida e nutrita servitù. Una necessità che in buona parte deriva anche dalla predilezione del signore di casa, Raikichi, per le giovani cameriere. Il suo zelo e l’entusiasmo nel giudicare e mettere a confronto le nuove arrivate rivelano una passione che va ben oltre l’ordinario. Del resto, Raikichi è uno scrittore e trascorre la maggior parte del suo tempo tra le pareti di casa, il suo lavoro contempla l’osservazione e la riflessione. Quelle ragazze sono per lui materiale prezioso per studiare l’altro sesso, nonché un efficace ricostituente per il suo corpo e la sua anima sul viale del tramonto.

Nel passaggio in cui Raikichi, affacciato a una finestra, vede uscire Hatsu con indosso abiti occidentali all’ultima moda – quella Hatsu che in qualche modo assomiglia all’attrice di colore Hattie McDaniel in Via col vento – e resta colpito dalle sue gambe «dritte e ben tornite» e dai bei piedi «fasciati in scarpe all’occidentale», è facile cogliere una traccia inequivocabile dell’estetica tanizakiana, presente sia nei lavori del primo periodo, come I piedi di Fumiko, sia in quelli degli ultimi anni, tra cui La chiave e Diario di un vecchio pazzo. Soprattutto quando, poche righe dopo, l’autore aggiunge: «Raikichi non sopportava la vista di una donna con le piante dei piedi luride, e quelle di Hatsu erano immancabilmente lisce e immacolate, come se le avesse appena strofinate con un panno». Leggendo questo e altri passi simili, viene spontaneo presumere che l’anziano padrone di casa abbia una conoscenza piuttosto approfondita delle nudità di Hatsu e delle altre giovani domestiche. Quando, per esempio, ancora in riferimento a Hatsu si dice: «Raikichi non l’aveva mai vista senza veli ma, stando alle parole di Mutsuko, aveva dei ‘seni più floridi di quelli di Marilyn Monroe’», risulta molto difficile credere che si non tratti di una pura menzogna e che il signor Chikura sia solo un vecchietto innocente. Ad avallare questa interpretazione, giunge puntuale nel finale il giudizio lusinghiero di Raikichi a proposito delle eccezionali doti di Hatsu come massaggiatrice: «La più dotata nell’arte del massaggio era senza dubbio Hatsu. Sentire addosso il peso di un donna alta e formosa come lei ed essere schiacciati dalle piante dei suoi piedi grandi, belli e candidi costituiva un piacere inenarrabile».

Va però detto che a irrompere nella stanza della servitù in un’afosa sera estiva non è Raikichi, bensì un tale Nitta, giovane conoscente della famiglia Chikura, il quale trova la porta spalancata e la luce accesa. Di primo acchito, turbato, il giovane fa per andarsene, ma poi ci ripensa, «dicendosi che forse non gli sarebbe mai più capitato di assistere a uno spettacolo di nudo così straordinario», tira fuori la sua macchina e si mette a scattare un bel po’ di fotografie. Inoltre, a mostrare un bel volume di stampe erotiche all’ingenua Koma in vista della prima notte di nozze – la ragazza è tanto ignorante in materia di sesso da chiedere a un’infermiera in quale farmacia si venda il seme maschile! – di nuovo non è Raikichi, bensì sua moglie Sanko. Episodi lascivi di questo tipo sono disseminati qua e là e possono costituire una delle chiavi di lettura del romanzo, in quanto è abbastanza evidente che si tratta di semplici sotterfugi ai quali ricorre il protagonista, e dunque l’autore stesso, per costruirsi degli «alibi» e non apparire come l’unico e solo «delinquente» interessato alle belle e floride domestiche della casa.

In Giappone c’è un vecchio detto d’impronta maschilista che elenca le tipologie di donne con cui è più eccitante fare sesso: «Al primo posto la moglie d’altri, al secondo una bella e giovane domestica mentre si spia di nascosto la propria consorte, al terzo la classica amante libidinosa e infine, al quarto, un’esperta prostituta». Ora, non ho idea da quando esista questo detto, ma forse aiuta a capire che, dal punto di vista dei signori di un tempo, era auspicabile circondarsi di giovani donne, quantunque fossero causa frequente di guai e colpi di testa, vissuti spesso in modo scaltro e occulto. Sono molteplici, infatti, nel corso della narrazione, gli episodi che creano attesa e gli espedienti a cui l’autore ricorre per solleticare la fantasia: il piacevole soggiorno di Raikichi in compagnia della sola Hatsu nella villa di Atami durante la guerra; le passeggiate, le cene e soprattutto gli esercizi di scrittura e calligrafia con la bella Suzu presso il «Padiglione dei piaceri condivisi»; i giorni insieme alla prediletta Yuri nel ryokan Fukudaya a Tōkyō, convocata apposta da Kyōto solo «per dettarle alcune pagine»...

Lo stile di vita ozioso e indolente di Raikichi, che ama godere della compagnia di domestiche leali e fedeli, può suscitare facili invidie nel lettore di sesso maschile. Tuttavia, a mano a mano che il racconto si dipana, anche lui deve far fronte alla marea della nuova epoca del dopoguerra, che avanza inarrestabile. Un’onda travolgente che si manifesta vivida nello scandaloso amore saffico tra Sayo, che non a caso Raikichi detesta e fa licenziare, e la pur brava e promettente Setsu. O anche nella stessa Yuri, ragazza estroversa e irriverente come nessun’altra domestica, che spesso osa prendere in giro il padrone di casa e lo abbandona senza farsi troppi scrupoli per andare a lavorare come assistente personale di una star del cinema. Così come nella bellissima Gin dagli occhi «grandi, tondi e pieni di incanto, nonché straordinariamente espressivi», innamorata del tassista rubacuori Mitsuo al punto che trascorre le sue giornate «trascurando del tutto i doveri in cucina e sprecando il suo tempo a farsi bella davanti allo specchio». Come se non bastasse, a sottolineare la forza della nuova epoca che sembra accanirsi beffarda contro Raikichi, anche la sorella minore di Gin, Mari, lascia il lavoro nel giro di appena un anno, dopo aver creato false speranze nel sempre più anziano e avvilito capofamiglia. E infine anche la fedelissima Koma, rimasta a servizio per diversi anni, sposa un tassista che assurge a simbolo dei tempi moderni, «vicepresidente del comitato esecutivo del Sindacato nazionale dei trasporti automobilistici, sezione di Shizuoka». Come a voler suggerire che le stesse domestiche, riunendosi in buon numero, potrebbero essere pronte a scioperare per esigere condizioni di lavoro migliori... È proprio il caso di dire che i tempi sono cambiati!

Tempi che, con ogni evidenza, non si addicono più al povero Chikura Raikichi e allo stesso autore del romanzo, entrambi passati a miglior vita nel momento propizio, prima di essere travolti brutalmente dalla nuova epoca.