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I matrimoni di Kikuchi Kotoko (nota in casa Chikura con il soprannome di «Suzu») e Iwamura Ginko (nota come «Gin»), rispettivamente con Hasegawa Seizō e Sonoda Mitsuo, furono celebrati il 15 ottobre 1958 al santuario di Izusan. Kotoko e Seizō si sposarono al mattino. Il ruolo di sensali di matrimonio spettò al proprietario del ryokan Shōgetsurō e alla sua consorte, che stimavano molto il giovane Seizō e riponevano grande fiducia in lui. Alla cerimonia parteciparono, tra gli altri, la madre dello sposo, venuta apposta dalla cittadina natale nella prefettura di Gunma, e il fratello maggiore con la moglie, che vivevano a Izusan; i suoi due fratelli più piccoli; Raikichi e Sanko; Asukai Nioko insieme a Keisuke; il padre della sposa e due zii da Shiga. Al termine della cerimonia, si tenne un semplice e modesto banchetto in un padiglione del santuario, con bentō a base di sashimi e suimono. Il proprietario del ryokan Shōgetsurō e Raikichi si incaricarono di pronunciare i discorsi di felicitazione.

Nel pomeriggio, fu la volta di Ginko e Mitsuo. Il presidente della compagnia di taxi Shōnan e la moglie fecero da sensali. Tra i partecipanti alla cerimonia: i genitori dello sposo da Yugawara; la sorella maggiore con il marito; le due sorelle minori con i rispettivi coniugi; uno zio e una zia materni; il presidente di un’associazione di quartiere di Yugawara e un rappresentante del vicinato; la madre e la nonna di Gin dalla prefettura di Kagoshima; la sorella più piccola, Mariko; Raikichi, Sanko e Nioko. Dopo la cerimonia, si tenne un banchetto presso l’abitazione dello zio materno dello sposo, situata sul versante est della scalinata di pietra che conduceva al santuario. Fu una festa molto animata e piena di ospiti, la maggior parte dei quali erano abitanti del luogo. Durò dal tramonto fino a tarda notte.

Kotoko indossava un kimono di crespo di seta con minute grinze e un motivo di gusci di tartaruga e grandi crisantemi rossi, rosa, gialli e di altri colori su fondo bianco. L’obi era cremisi, con motivo a fiori stilizzati a quattro petali e gusci di tartaruga. Anche Ginko indossava un kimono di crespo di seta a motivo floreale, molto pregiato e sgargiante. All’altezza della spalla destra e delle ginocchia, c’erano dei vistosi cerchi bianchi con all’interno delle fenici cinesi rosse e nere. Inoltre spiccavano in vari punti altri motivi tondeggianti con crisantemi, malvarose, fiori di paulonia e di susino. Si contavano anche numerosi emblemi floreali stilizzati, bianchi su fondo rosso quelli sulle maniche e su fondo nero quelli sull’orlo inferiore del kimono. La presenza di lamina d’oro qua e là risultava di grande effetto. L’obi era color porpora e decorato con disegni di fiori e uccelli, caratterizzato da un motivo tatewaku con crisantemi dorati. Entrambi i kimono e i rispettivi accessori erano stati forniti a noleggio da un noto salone di bellezza di Atami che provvedeva a tutto il necessario per le spose. Gin, che alle apparenze e a questo genere di cose ci teneva molto, aveva pregato Sanko versando copiose lacrime: «Signora, per favore, dica loro di procurarsi un bel kimono, deve essere qualcosa di speciale!» Così il direttore del negozio si era preso la briga di andare fino a Tōkyō per cercare un kimono di pregio e all’ultima moda. E visto che la scelta era ricaduta su uno splendido modello seminuovo, l’aspetto generale di Ginko fu curato con particolare attenzione, così da non rischiare di farla sfigurare. Durante la cerimonia, la sua bellezza radiosa attrasse gli sguardi ammirati di tutti gli invitati.

I novelli sposi Hasegawa presero in affitto una casa a due piani situata a mezza costa sulle colline di Atami, suppergiù a metà strada tra il ryokan Shōgetsurō e lo Chalet Shōheki e distante pochi minuti a piedi sia dall’uno che dall’altro. Seizō lavorava al ryokan dalle prime ore del mattino fino alle dieci passate della sera, mentre Kotoko continuò a frequentare la villa dei Chikura tutti i giorni e a dare una mano in cucina, tornando a casa dopo pranzo e dopo cena. Chiese a Raikichi e agli altri di non smettere di chiamarla Suzu, e così fecero, naturalmente dopo aver ottenuto il consenso di Seizō. Presto vide realizzarsi uno dei sogni della sua vita: avere un frigorifero tutto suo. Inoltre, in camera da letto, faceva bella mostra di sé una magnifica specchiera a tre ante, regalo dei Chikura. E delle bellissime e preziose trapunte in seta damascata, dono di sua madre da Mano, erano ben conservate nel ripostiglio al piano superiore.

Una specchiera molto simile fu regalata da Raikichi e Sanko anche ai Sonoda. E altri magnifici doni arrivarono da Kagoshima, dai genitori di Gin, e furono messi subito in mostra in casa, o meglio nella stanza di Yugawara. Difatti Mitsuo, che per il momento aveva intenzione di continuare a lavorare per la compagnia di taxi Shōnan, aveva preso in affitto in via provvisoria una camera della villa dove si era svolto il banchetto di nozze, di cui era proprietario suo zio. A proposito, Gin era già incinta e impegnata nei riti tradizionali volti a favorire un buon parto, come ad esempio offrire agli ospiti il sekihan o indossare lo speciale obi benaugurale chiamato iwata obi, che però di solito si cingeva intorno alla vita della futura madre solo al quinto mese di gravidanza. Ora, visto che era la fine di dicembre e dal matrimonio erano trascorsi solo tre mesi, questo significava che il nascituro era stato concepito due o tre mesi prima delle nozze. Raikichi e gli altri trovavano tutto molto strano: se i novelli sposi avessero tenuto la notizia segreta, nessuno avrebbe potuto sapere con certezza la data del concepimento, e invece avevano voluto sbandierare la verità, addirittura facendo pubblica mostra dell’iwata obi! Gin e Mitsuo avevano però le loro buone ragioni: alcune antiche usanze, come quella dell’iwata obi, erano e sono ancora oggi molto sentite in quella regione, specialmente nella zona tra Izusan e Yugawara. Venire a sapere che una sposa era già incinta non costituiva un problema, né tanto meno uno scandalo. Era ben più importante rispettare l’usanza dell’iwata obi e altre simili tradizioni al momento giusto. E questo valeva anche nel villaggio natale di Gin a Kagoshima, per cui, evento più unico che raro, entrambe le coppie di genitori erano in completo accordo.

Oltretutto, Gin era fedele a molte altre abitudini che un moderno abitante di Tōkyō avrebbe trovato rozze e obsolete. Suo padre era morto durante la guerra a causa di una malattia contratta al fronte, e tutti i mesi, nel giorno dell’anniversario della sua scomparsa, Gin si cibava solo di ochazuke a colazione, pranzo e cena. Osservava questa consuetudine con una severità esemplare. Inoltre, al cambio di ogni stagione, quando mangiava per la prima volta la frutta e la verdura tipiche di un determinato periodo dell’anno, volgeva lo sguardo a ovest e rideva ad alta voce: «Ah, ah, ah!» Dopo di che diceva: «E con questo, fammi vivere in buona salute per altri settantacinque giorni!» Anche a Tōkyō la gente pronunciava la stessa frase nella medesima circostanza – Lasciami vivere in buona salute per altri settantacinque giorni! –, ma lì nessuno rideva ad alta voce. Ora che ci penso, all’inizio anche Hatsu e le altre ragazze del suo villaggio ridevano in quello stesso modo – Ah, ah, ah! – ogniqualvolta mangiavano le primizie di stagione, per cui non è da escludersi che si trattasse di un’usanza tipica dei dintorni di Kagoshima. L’esposizione dei doni matrimoniali era un altro rito prettamente regionale. A Tōkyō, per esempio, nessuno si sarebbe mai sognato di invitare a casa amici e parenti per fare sfoggio dei regali ricevuti, a meno che la sposa non fosse la rampolla di un’antica e nobile casata. Tuttavia tale era la prassi nella cittadina natale di Mitsuo e dalle parti di Kyōto e Ōsaka.

Gin era riuscita a tenere segreta la gravidanza fino a poco prima delle nozze, vivendo per molti giorni nell’angoscia e nel timore che Mitsuo, nel momento in cui fosse venuto a saperlo, l’avrebbe piantata sull’altare e si sarebbe rifugiato tra le braccia di Yuri. D’altra parte, per quanto possa apparire assurdo, la sua grande ansia potrebbe suggerire che avesse deciso di farsi mettere incinta di proposito prima del fatidico sì.

Tra aprile e maggio del 1959, come da consuetudine, Raikichi, Sanko e Nioko si recarono a Kyōto per ammirare i ciliegi in fiore e soggiornarono in casa degli Asukai a Kita Shirakawa. Mentre erano lì, precisamente il 10 maggio, ricevettero una telefonata da Gin, da Izusan, che annunciava la nascita del suo bambino e chiedeva consiglio riguardo alla scelta del nome. Raikichi pensò immediatamente a tre o quattro nomi e li scrisse su un foglio, in caratteri cinesi con la relativa pronuncia in kana, e li spedì dopo un paio di giorni. Ma Gin, subito dopo aver ricevuto la lettera, telefonò di nuovo e disse che nessuna delle proposte di Raikichi la soddisfaceva appieno e lo pregò di pensarci ancora. Alla fine, dopo una settimana circa, decisero di chiamare il neonato Takeshi, scritto con il carattere cinese di «guerriero».

Quando la madre e la nonna di Gin fecero ritorno a Kagoshima, la sorella più piccola, Mari, che aveva partecipato al matrimonio, rimase ad Atami per prendere il posto di Gin nella cucina di casa Chikura. Aveva diciotto anni, cinque in meno della sorella. Gin doveva aver ereditato i suoi grandi e bellissimi occhi dai genitori, perché anche quelli di Mari erano molto simili. A questo proposito, una volta Sanko disse: «Forse gli occhi di Mari sono addirittura più belli di quelli di Gin. È ancora molto giovane, tra qualche anno sarà un vero incanto. Persino le donne resteranno ammaliate quando incroceranno quel suo sguardo seducente. Ci scommetto la testa». La nuova assunta costituì ben presto un efficace antidoto alla solitudine che Raikichi provava dopo la partenza di Gin. Ogni due o tre giorni la portava con sé a Tōkyō, nei posti che era solito frequentare in compagnia della sorella. Passeggiavano insieme per le strade di Ginza, entravano nei grandi magazzini e andavano al cinema a Hibiya. La giovane e ingenua Mari si sarà certamente chiesta perché l’anziano padrone di casa mostrasse così tanto interesse nei suoi confronti e la trattasse in modo speciale, e forse avrà anche pensato che stesse esagerando e non è da escludere che ne fosse infastidita. In cuor suo, Raikichi non vedeva l’ora che passasse qualche anno e la ragazza maturasse. Immaginava che i suoi magnifici occhi avrebbero acquistato quell’esclusivo fulgore cristallino e la sua pelle quel raro splendore opalescente, come la sorella maggiore, ma purtroppo Mari non rimase a servizio in casa Chikura abbastanza a lungo.

Secondo Gin, la madre rimpiangeva molto di aver lasciato andare lei e la sorella così lontano. Aveva affrontato un altro lungo viaggio da Kagoshima per vedere il suo primo nipotino, Takeshi, il figlio di Gin, ma stavolta la nonna non aveva potuto seguirla, a causa dell’età avanzata e dei troppi acciacchi. Dopotutto lei stessa stava diventando anziana e presto non sarebbe stata più in grado di allontanarsi con facilità dalla terra natale per andare a trovare Takeshi e altri futuri nipotini. Così, in parte pentita per aver lasciato che l’adorata primogenita sposasse un uomo che abitava molto lontano e desiderando che l’ultimogenita si accasasse con un conterraneo, decise di richiamare Mari a casa prima che avesse modo di incontrare l’anima gemella ad Atami e dintorni. Fu dunque per questo motivo che la ragazza fece ritorno nel Kyūshū dopo appena un anno. Va però detto che se Raikichi non l’avesse trattata con eccessivo favoritismo, mettendola spesso a disagio con le altre ragazze della casa, forse non sarebbe scappata via con tanta fretta.

Alla fine di aprile dell’anno seguente, 1960, Sanko inviò a Gin un koinobori in occasione della prima Festa dei bambini di Takeshi, mentre agli inizi di maggio Raikichi spedì una piccola armatura e un elmo da samurai. Dal momento che vivevano ancora dallo zio, Mitsuo e Gin portarono i doni a casa dei genitori di lui, a Yugawara, e li esposero in bella vista. Quando Raikichi, secondo tradizione, andò a Yugawara per vedere i regali messi in mostra, notò che alle spalle della casa, in prossimità del ponte Kawasegi sul fiume Chitose, era stata piantata un’asta di bambù alla quale era appeso il koinobori di Sanko, con le sue bellissime carpe colorate rosse e nere, piccole e grandi, che sventolavano fiere.

Nello stesso mese e anno, Chikura Mutsuko sposò Sagara Michio, secondogenito del maestro di una nota e antica compagnia di teatro . La cerimonia e il banchetto si tennero al New Japan Hotel. Mutsuko aveva già trentadue anni. Numeko, la moglie di suo fratello Keisuke, si era sposata a ventitré anni e a ventiquattro aveva messo al mondo la piccola Miyuki. Avendo sposato il fratello maggiore, secondo la tradizione era la «sorella acquisita maggiore», ma in realtà aveva un anno meno di Mutsuko e scelsero di comune accordo di rivolgersi l’un l’altra semplicemente per nome, rifiutando la vecchia usanza di utilizzare il fin troppo ossequioso, nonché in questo caso contraddittorio, appellativo di «sorella maggiore». A maggio, gli sposini Mutsuko e Michio organizzarono un secondo ricevimento all’Hotel Fujiya, in particolare per gli amici e i conoscenti di Atami della famiglia Chikura. C’erano in tutto non più di una decina di ospiti: il fratello maggiore del defunto Asukai Jirō, che era stato visconte imperiale negli anni prima della guerra; la moglie dell’ex direttore della casa editrice Tōyōkōronsha; il dottor Nagasawa, medico personale di Raikichi; la proprietaria del ryokan Tōrikyō; il proprietario dell’emporio Tomoeya e consorte, i quali avevano svolto il ruolo di sensali in occasione del matrimonio di Sada. Inoltre, seduti in fondo alla tavola, erano presenti la stessa Sada con i suoi due figli, Suzu con il marito Hasegawa Seizō, Gin e Mitsuo, e infine Koma, ancora nubile e invitata in qualità di cameriera veterana di casa Chikura.

Suzu non volle mancare anche se in quel momento, all’incirca due anni dopo Gin, era al settimo mese di gravidanza e gonfia abbastanza da attirare gli sguardi della gente. Voleva rivedere a tutti i costi la «signorina» della casa, con la quale aveva condiviso la sua quotidianità per ben sette anni, finalmente sposa sebbene avesse tre anni più di lei. Desiderava vederla vestita in abito da cerimonia, e tra l’altro era un pezzo che non aveva modo di gustare della buona cucina occidentale. Perciò, malgrado fosse in dolce attesa, aveva convinto Seizō a farsi accompagnare al ricevimento.

A febbraio dell’anno dopo, il 1961, Gin diede alla luce il secondo figlio. Come la volta precedente, chiese a Raikichi di scegliere un bel nome, e quando questi le propose «Mitsuru», scritto con il carattere cinese di «compiutezza», lo accettò volentieri senza batter ciglio. Il primogenito, Takeshi, che ora aveva quasi due anni, chiamava Raikichi «Nonnino! Nonnino!» e lo adorava come fosse il suo vero nonno. Sia Takeshi che il nuovo arrivato Mitsuru somigliavano molto alla madre: avevano due occhi grandi e splendenti.

Fu nell’aprile di quell’anno che l’ultima cameriera a servizio da tempo in casa Chikura e non ancora sposata, per l’appunto Koma, riuscì finalmente a trovare un buon partito. Hatsu era stata a servizio per quasi vent’anni, a cominciare dal 1936, ma era andata via ed era tornata diverse volte, per cui gli anni di lavoro effettivo non erano così tanti. Aveva fatto ritorno al villaggio natale nel Kyūshū in vari periodi, per esempio durante la guerra o quando la madre si era gravemente ammalata. Koma, invece, aveva lavorato senza interruzioni per i Chikura per ben tredici anni, non era tornata a casa neanche una volta, e di conseguenza non è da escludere che potesse vantare più anni di servizio di Hatsu. In ogni caso era la migliore di tutte le domestiche, una lavoratrice fedele e instancabile, che mirava prima di tutto al bene e alla felicità della famiglia. I Chikura ricordavano con particolare gratitudine il modo in cui Koma si era presa cura di Raikichi quando questi era stato ricoverato all’ospedale dell’Università di Tōkyō a causa di un infarto, restando giorno e notte al suo fianco per quasi due mesi, da novembre a dicembre del 1960. Tutti, dai medici alle infermiere, fino ai pazienti delle stanze adiacenti, spesero per lei parole di grande elogio e ammirazione.

Koma aveva trentadue anni, esattamente come Numeko, mentre Mutsuko ne aveva uno in più. Lo sposo era un uomo che si chiamava Kashimura, nato in una località ai piedi del monte Fuji rinomata per le cascate di Shiraito, che in passato aveva lavorato per la compagnia di taxi Shōwa ad Atami. Di bella presenza, aria dignitosa e perbene, sapeva sempre esprimersi in modo saggio e razionale, e per questo a un certo punto fu nominato segretario generale dell’unione sindacale dei tassisti della Shōwa. In breve, il suo impegno e le sue capacità furono molto apprezzati, fece carriera e si conquistò l’importante titolo di vicepresidente del comitato esecutivo del Sindacato nazionale dei trasporti automobilistici, sezione di Shizuoka. Com’è facile immaginare, per Kashimura non si trattava del primo matrimonio. Decise di separarsi dalla moglie per sposare Koma.

Sapeva che la domestica di casa Chikura era una donna oltremodo eccentrica e dedita a strane abitudini. Ma forse si sentì ugualmente attratto da lei perché, nonostante le sue mille stranezze, era una persona buona e gentile come poche.

Kashimura disse più volte queste testuali parole a Raikichi e agli altri membri della famiglia, riferendosi naturalmente a Koma: «Nessuno è in grado di capire quella ragazza più di me. È davvero unica e speciale». Purtroppo, i Chikura non poterono partecipare alla cerimonia nuziale, in quanto si tenne ad aprile, nel periodo in cui andavano come sempre a Kyōto per ammirare i fiori di ciliegio. Il tradizionale brindisi rituale col sake si svolse al santuario Imamiya di Sakuragaoka, e per il banchetto si fece ricorso a uno dei padiglioni dello stesso santuario. Un giorno, al ritorno da Kyōto, Raikichi ebbe modo di incontrare Koma e le pose alcune domande sul matrimonio.

«Allora, come ti senti adesso? Sta andando tutto bene?»

«Sposarsi è davvero piacevole, non immaginavo fosse così bello. Peccato, avrei dovuto pensarci molto prima!»

Era una tipica risposta di Koma, tra il serio e il faceto. Quando Raikichi la riferì a parenti e amici, tutti risero di gusto.

Finalmente, nella primavera del 1961, Gin e Mitsuo lasciarono l’abitazione dello zio nelle immediate vicinanze del santuario di Izusan e si stabilirono nella casa dei genitori di lui a Yugawara. Stanco di fare il tassista, Mitsuo aveva deciso di aiutare il padre ad avviare una nuova attività nella casa di Yugawara. Il padre di Mitsuo aveva gestito fino a qualche tempo prima un ristorante modesto, piccolo e vecchio, che aveva pochi clienti e garantiva scarsi profitti. Gli affari non erano mai andati troppo bene. Allora aveva pensato di chiudere i battenti una volta per tutte e, dopo essersi consultato con Mitsuo e Gin, aveva fatto ristrutturare completamente il piano inferiore dell’abitazione e aveva aperto un negozio di souvenir con tanto di bar sul retro. L’uomo abitava lì da molti anni ed era stimato da tutti, pertanto fu in grado di assicurarsi senza problemi una buona parte del capitale necessario grazie a un prestito bancario. Il negozio fu inaugurato per la precisione il 25 aprile. Riguardo al nome, si fece di nuovo ricorso alla sapienza di Raikichi, che stavolta estrasse dal cilindro la parola «Shungindō», composta da tre caratteri cinesi che significavano rispettivamente «primavera», «declamazione» e «padiglione», il secondo dei quali era non a caso un omofono di «Gin».

Poco dopo, la stessa Gin lo pregò di comporre una breve poesia da apporre sul noren all’ingresso del negozio, e Raikichi la accontentò con i seguenti versi:

 

Allo Shungindō di Yugawara

clienti senza sosta

nei giorni in cui fioriscono i ciliegi

e in quelli in cui risplendono

le fragranti foglie d’autunno

 

Ma ancora una volta Gin ebbe l’ardire di chiedergli qualcosa in più. «Da queste parti» gli fece, «i mandarini sono buonissimi e si vendono molto in autunno. Non potrebbe, al posto dei versi che dicono: ‘E in quelli in cui risplendono le fragranti foglie d’autunno’, inserire qualcosa che abbia a che fare con i mandarini? Che ne pensa di: ‘E in quelli in cui maturano i succosi mandarini’?»

In fondo la proposta di Gin non era male. E così Sanko, su richiesta del marito, scrisse in bella grafia con l’apposito pennello i seguenti versi da consegnare al tintore incaricato di preparare il noren per il negozio di souvenir:

 

Allo Shungindō di Yugawara

clienti senza sosta

nei giorni in cui fioriscono i ciliegi

e in quelli in cui maturano

i succosi mandarini