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Oggi, se si entra a dare un’occhiata nel negozio di souvenir Shungindō a Yugawara, si possono notare un paio di cartoncini incorniciati appesi alla parete di fondo. Il primo reca i seguenti versi:
Alla signora dello Shungindō
giovane sposa cresciuta
in quel di Kagoshima
che vende souvenir
nella cittadina termale di Yugawara
Il secondo inizia con le stesse parole – Alla signora dello Shungindō – e continua dicendo:
venuta in sposa dal porto di Tomari,
nella baia di Satsuma,
terge i suoi capelli corvini
nelle acque degli onsen di Yugawara
Raikichi ha messo su carta questi pensieri e li ha regalati a Gin per celebrare il successo dello Shungindō, di cui ora è la proprietaria. I genitori di Mitsuo non sono molto anziani, ma hanno preferito lasciare la gestione del negozio alla giovane coppia e concedersi una vita più tranquilla e rilassata. Il padre, che già in passato si dilettava nella pesca ogniqualvolta ne aveva il tempo, va a pescare quasi tutte le mattine sul far dell’alba, sulla riva del fiume Chitose che scorre alle spalle della loro casa. Al suo amo abboccano spesso ayu e trote, e talvolta li mette ancora vivi dentro un catino e affida a Gin o a Mitsuo il compito di portarli alla villa dei Chikura.
Raikichi va matto per la zuppa di riso con ayu e verdure, ma per cucinarla al meglio c’è bisogno di pesce fresco, anzi vivo, e non è facile procurarsene a Kyōto e ancor di più tra le alture di Izusan. Tuttavia di quando in quando, al mattino prima dell’ora di colazione, arriva una telefonata di Gin che annuncia: «Oggi c’è pesce fresco! Ve lo consegniamo tra un momento!» E in un battibaleno lei stessa o il marito bussano alla porta di casa Chikura, portando Takeshi per mano o Mitsuru sulla schiena e un catino pieno d’acqua e di ayu che nuotano frenetici in tondo. I Chikura sono profondamente grati al padre di Mitsuo per questo enorme lusso, piuttosto raro dalle parti di Narusawa. Raikichi adora anche le trote: il sapore di una trota grande, fresca e guizzante è qualcosa di davvero unico e speciale. Tutte le volte che il padrone di casa immagina l’anziano e coriaceo papà di Mitsuo gettare la sua lenza nelle rapide del Chitose e pescare quei magnifici pesci, gli affiorano alla mente le note di Die Forelle di Schubert.
La madre di Mitsuo è un vero fenomeno nel fare la marmellata di azuki e a volte, quando la prepara, ne mette una porzione abbondante in alcune scatole laccate o in un bel recipiente smaltato e incarica il figlio o la nuora di portarla ai Chikura. Fin da prima di sposare Mitsuo, Gin aveva sempre sentito parlare molto bene di sua madre. La gente diceva spesso: «Quella donna è eccezionale, ce ne sono poche come lei. Fortunata chi l’avrà come suocera!» E ora sa con assoluta certezza che quelle voci corrispondevano al vero. La madre di Mitsuo non osa mai mettere becco sulla conduzione dello Shungindō e le lascia campo libero, dedicandosi alla casa e alla cura dei due nipoti. Lo stesso Mitsuo non ha granché da fare al negozio, visto che si vendono soprattutto souvenir e dolcetti tipici già confezionati ai clienti dei vari onsen della zona e che Gin riesce a provvedere a tutto il necessario, dal servire i clienti fino alla contabilità. A proposito, ho dimenticato di dire che da un certo momento in poi, oltre alla gestione del negozio, le è stata affidata anche quella dell’intera casa.
A volte, osservando la Gin di oggi, Raikichi e Sanko si mettono a parlare dei tempi che furono. Quando Gin era a servizio da loro, non c’era nessun’altra ragazza difficile e intrattabile quanto lei. Dal giorno esatto in cui perse la testa per Mitsuo, cominciò a convogliare tutte le sue attenzioni su di lui, trascurando del tutto i doveri in cucina e sprecando il suo tempo a farsi bella davanti allo specchio. Era sempre perfetta e in ordine, senza neanche una traccia di grasso sul viso, ecco perché in quei giorni era incantevole come una principessa. Per di più disturbava le altre cameriere, provocando un grave malcontento. Eppure se ne infischiava, era egoista come poche persone al mondo, arrogante e presuntuosa. Era così egocentrica e piena di sé che nessuno riusciva a tenerle testa. Mettersi contro di lei significava quasi certamente uscirne sconfitti. A poco a poco, facendo ricorso a una tenace e paziente opera di persuasione, riuscì a far abbandonare a Mitsuo tutti i vizi – il gioco d’azzardo, le donne, le scommesse al keirin, i debiti – e a trasformarlo in una persona diversa. Nessun’altra donna ci sarebbe riuscita! «Farò del mio Mitsuo un uomo onesto» aveva detto a Sanko tra una lacrima e l’altra, «se solo mi sarà consentito di sposarlo e di stare con lui per tutta la vita.» Alla fine lo aveva fatto, era stata di parola. «Solo Gin può farlo rinsavire» aveva affermato la madre di Mitsuo, e ci aveva visto giusto.
«Gin possiede la tipica passione indomita delle donne di Kagoshima, grazie alla quale riesce a sormontare qualsiasi ostacolo e a ottenere sempre quello che vuole. È straordinaria!»
«Ora perfino quel suo peculiare egoismo suscita dei bei ricordi, come fosse un pregio più che un difetto.»
Il piccolo Takeshi, solo lui e nessun altro, gode di libero accesso allo studio di Raikichi. Tutte le volte che Gin o Mitsuo lo portano con loro, il bambino corre immancabilmente verso la scrivania di Raikichi gridando felice: «Nonnino! Nonnino!»
«Uh, guarda un po’ chi è arrivato! Il piccolo Takeshi!» gli risponde il padrone di casa, andandogli incontro nel corridoio e dicendo ad alta voce: «Abbiamo un bel dolce o qualche altra delizia per questo bravo bambino?» Poi, prendendo una manciata di biscotti per cani e raccomandando alle cameriere di portare il dolce, lo conduce fuori in giardino. Lì trascorrono insieme venti o trenta minuti in piena allegria, in compagnia di Gin o Mitsuo e giocando con il cane.
Raikichi ha tre nipoti, i bambini della figlia nata dal suo primo matrimonio, che si è sposata e vive con la madre a Tōkyō, per cui non ha modo di vederli molto spesso. Invece Sanko ne ha due, anche lei dal precedente matrimonio, e vivono uno a Kyōto e l’altro a Tōkyō, perciò nemmeno lei ha la possibilità di incontrarli di frequente. Che peccato, avere tanti nipoti e non poterseli godere! Raikichi vorrebbe abitare dove gli fosse possibile guardare dal mattino alla sera il visino grazioso della piccola Miyuki, la figlia di Numeko e Keisuke. Ma le sue condizioni di salute alquanto precarie e il clima poco mite di Kyōto gli impediscono di trasferirsi nell’antica capitale. Alla veneranda età di quasi settantasette anni, deve accontentarsi di visitare la casa di Kita Shirakawa un paio di volte all’anno, in primavera e in autunno, per una decina o al massimo una quindicina di giorni. In gioventù, Raikichi non amava molto i bambini e nutriva scarso interesse nella sua progenie, ma pian piano ha imparato ad apprezzarli ed è diventato molto bravo nel farli giocare e coccolarli – segno evidente, questo, dell’età che avanza. Quando vede Takeshi irrompere nello studio gridando: «Nonnino! Nonnino!» e gettarsi tra le sue braccia, Raikichi dimentica che il ragazzino non è suo nipote ed è disposto a fare qualunque cosa per lui.
Takeshi non è l’unico bambino dei dintorni al quale l’anziano scrittore vuole bene. Ci sono anche il fratellino Mitsuru; Tamotsu, il figlio di Suzu; e il pargoletto di Koma, Tadasu, venuto al mondo lo scorso aprile. Raikichi li adora tutti allo stesso modo, per l’appunto come fossero suoi nipoti. Avendo un rapporto di amore e odio con la città natia, Tōkyō, ed escludendo di ritornarci negli ultimi anni di vita, desidera più di ogni altra cosa vedere quei bambini crescere, nutrendo fiducia nelle loro madri così come farebbe nei confronti delle sue stesse figlie.
Fino a qualche tempo fa, la casa di Hasegawa Seizō e di sua moglie Suzu a Narusawa era indubbiamente la più vicina alla villa dei Chikura. Tuttavia, quando Seizō ha lasciato il vecchio lavoro al ryokan Shōgetsurō ed è stato assunto all’Hotel Ōsaki, lui e Suzu si sono trasferiti a Yugawara, e ora l’ex cameriera più vicina, o meno lontana che dir si voglia, a Raikichi e Sanko è Gin. Difatti sono i suoi figli a frequentare la casa dei Chikura più di ogni altro bambino, accompagnati dai genitori che non dimenticano mai di portare in dono degli ayu, delle trote o un bel po’ di marmellata di azuki. Credo che la vita di Chikura Raikichi non cambierà più di tanto da qui in avanti, è molto probabile che i suoi ultimi anni trascorreranno senza importanti variazioni. Tra tutte le domestiche che si sono prese cura della famiglia Chikura, e che in cambio hanno goduto della benevolenza dei suoi membri, solo Gin, Suzu e Koma sono rimaste nei dintorni, hanno messo su famiglia e continuano a far visita a Raikichi e Sanko. Sono ancora giovani, pertanto è difficile prevedere se e a quali cambiamenti andranno incontro, ma è verosimile pensare che almeno la famiglia di Gin non andrà via, visto che abita in zona e conduce un’attività commerciale da due generazioni. Se non altro Raikichi spera con tutto se stesso che le cose non vadano diversamente.
La prima cameriera che i coniugi Chikura assunsero dopo essersi stabiliti nella regione di Ōsaka e Kōbe fu Hatsu, originaria della prefettura di Kagoshima, e dopo di lei ne sono arrivate molte altre provenienti dallo stesso villaggio di pescatori, Tomari, tra le quali Etsu, Ume, Setsu, Gin e Mari, tutte brave ragazze che hanno saputo farsi apprezzare e hanno lasciato un ottimo ricordo, al punto che Raikichi ha sviluppato nel corso del tempo una speciale predilezione per Kagoshima e dintorni, pur non avendovi mai messo piede. Quelle giovani cameriere, tutte, nessuna esclusa, gli dicevano spesso: «Signor Raikichi, venga a trovarci nel Kyūshū insieme a sua moglie, vi aspettiamo. Vi daremo un caloroso benvenuto!» Ma lui, pur se talora ci faceva un pensierino, alla fine non aveva mai risposto al loro invito ed era diventato vecchio senza quasi accorgersene. Gli anni erano volati, i tempi erano cambiati. Ancora adesso, incapace di far cadere nell’oblio i giorni di Hatsu, Ume e le altre, ogni tanto spedisce una lettera a Kagoshima chiedendo loro di raccomandare una nuova ragazza da prendere a servizio. Ma le giovani di oggi possono trovare agevolmente condizioni di lavoro migliori presso vari uffici, fabbriche e aziende, e sono ormai rare quelle disposte a fare le cameriere in casa d’altri. Dai Chikura di tanto in tanto ne arriva una, ma non resta mai a lungo, al massimo un anno, dopo di che ritorna al paese d’origine. Hatsu rimase per circa vent’anni, e Koma, che veniva da Kyōto, per tredici. Persino Gin si fermò per quasi un lustro. Ma ormai tutto questo è solo un ricordo che appartiene al passato. Le ragazze di oggi tendono a lavorare come domestiche per non più di sei mesi o un anno, come se fosse un periodo di formazione in vista del matrimonio, e difatti molte tornano al paese natale non appena si palesa una buona occasione per accasarsi.
A proposito, prima che me ne dimentichi, c’è una cosa che fin qui non ho menzionato e di cui mi piacerebbe parlare adesso. Raikichi aveva una vera e propria passione per i massaggi in stile giapponese: tutte le volte che gli si indolenzivano i muscoli e le ossa perché se ne stava per troppo tempo seduto alla scrivania a lavorare, si faceva trattare a lungo le gambe e la schiena, di solito durante il riposino pomeridiano. Detestava la moxibustione, perciò ricorreva ai massaggi o tutt’al più all’agopuntura, e nel caso di quest’ultima tecnica stava sempre attento a rivolgersi solo a maestri di grande esperienza. Inutile dire che era molto esigente anche nei confronti dei massaggiatori, veri professionisti che si prendevano cura di lui per oltre un’ora, fino al risveglio e senza mai fermarsi. A volte però esageravano e non era raro che Raikichi preferisse chiedere a una delle domestiche di casa di rimettere in sesto le sue povere giunture anchilosate. È ovvio che non tutti sono in grado di fare dei buoni massaggi e che bisogna essere in possesso delle giuste competenze. Prima di tutto, è necessario conoscere bene i punti del corpo sui quali esercitare pressione. In secondo luogo, la persona in questione deve avere dita e polpastrelli morbidi e carnosi: è un elemento fondamentale, molto più di quanto si possa immaginare. Alcune massaggiatrici professioniste sono famose per la loro tecnica sopraffina, ma può capitare che abbiano le dita scarne e dure e non siano in grado di garantire al cliente il massimo beneficio. Raikichi, come già detto, era molto esigente e aveva certi vezzi particolari: preferiva stendersi a pancia in giù e farsi massaggiare dalle natiche in su, seguendo la linea della colonna vertebrale più o meno fino a metà schiena. A volte, chiedeva alla massaggiatrice di turno di sederglisi per un po’ sul fondoschiena e di esercitare una forte pressione. Dopo di che la faceva rialzare, le diceva di salirgli con tutto il peso sulla pianta dei piedi e di spingere il più possibile. Quando le cose non andavano come voleva lui, non poteva fare a meno di sentirsi deluso e insoddisfatto e restava a lungo di cattivo umore. I massaggi erano la sua linfa vitale.
La più dotata nell’arte del massaggio era senza dubbio Hatsu. Sentire addosso il peso di un donna alta e formosa come lei ed essere schiacciati dalle piante dei suoi piedi grandi, belli e candidi costituiva un piacere inenarrabile. Dopo Hatsu, la ragazza con i piedi e le mani più morbidi e carnosi era Yuri. Tuttavia, sebbene non ci fossero obiezioni da sollevare sulle sue caratteristiche fisiche pressoché perfette, altrettanto non poteva dirsi a proposito del suo atteggiamento: quando faceva i massaggi si lamentava e sbuffava di continuo, al punto che Raikichi non riusciva a rilassarsi e decise di fare a meno del suo aiuto. Suzu e Koma, se chiamate in causa, non si sottraevano mai al dovere e cercavano di fare del loro meglio, ma avevano entrambe dita dure e ossute. Gin, infine, era in possesso di dita e polpastrelli tondi e soffici al punto giusto, ma Raikichi non riusciva mai a sentirsi completamente a proprio agio quando era lei a massaggiarlo, forse a causa della sua straordinaria e seducente bellezza.
Non molto tempo fa, è stata a servizio dai Chikura per un breve periodo una nuova cameriera, una ragazza che tutti noi chiamavamo Mie-san (ormai si era consolidata in via definitiva l’abitudine di aggiungere il «san» al nome delle domestiche) e che veniva dalla prefettura di Ibaraki. Aveva mani e piedi morbidi e bianchi ma, sfortunatamente, ha fatto ritorno al luogo natale molto presto, lo scorso autunno, e per ora non ci sono in casa ragazze in grado di eseguire dei buoni massaggi.
Credo sia giunto il momento di portare a conclusione questo lungo racconto di guerra e pace in cucina e dintorni. Infine, sono lieto di riferire che in tempi recenti diverse giovani donne si sono occupate della cucina di casa Chikura, grazie a un annuncio pubblicato dalla famiglia nell’apposita pagina della rivista Shūkan Shinchō. Si tratta per la maggior parte di ragazze capaci, educate e di media estrazione sociale. Oggi utilizzano l’espressione «collaboratrici domestiche» o altre definizioni simili, e non più «cameriere», per cui non ritengo opportuno includerle in questa mia storia.
Raikichi ha compiuto settantasette anni lo scorso 24 luglio. Sabato 28, alle cinque del pomeriggio, si è tenuta una festicciola di compleanno presso l’Hotel Fujiya, alla quale sono stati invitati i suoi più stretti amici e parenti. Si è trattato di un evento davvero modesto e discreto, senza ostentazioni. Per intrattenere gli ospiti, il noto maestro di koto Tomiyama Seikin e sua moglie hanno eseguito le canzoni tradizionali Miyakowasure no uta e Cha ondō; il marito di Mutsuko, Sagara Michio, si è esibito nella danza nō di Kagekiyo; Asukai Miyuki ha danzato Matsu zukushi nello stile della scuola Inoue di Kyōto. Inoltre, Raikichi ha voluto organizzare un secondo banchetto ad Atami qualche giorno dopo, per la precisione il 7 agosto, appositamente per le ex cameriere di casa Chikura con le quali, a partire dal lontano 1935, è stato in ottimi rapporti. La cena ha avuto inizio alle sei della sera e si è tenuta nella sala in stile giapponese al piano superiore del ristorante cinese Peking, dalle parti di Nakada. Tra gli invitati, prima di tutto, c’erano Nakanobu e sua moglie, i quali gestiscono una bella libreria in prossimità dell’incrocio di Higashi Ichijō, nella zona di Yoshida Ushinomiyachō, a Kyōto. Poi c’era Hatsu, che ha sposato un uomo appartenente a una famiglia di agricoltori dei dintorni di Wakayama. Ha portato con sé due dei suoi figli e la sorella maggiore e, lungo la strada, si è fermata a Kōbe per una breve visita al fratello più piccolo, Yasukichi, che è sposato con Ume. Quest’ultima si è unita a Hatsu e agli altri, e sono arrivati ad Atami tutti insieme nel pomeriggio del 6 agosto, il giorno prima della cena. Anche Ume è venuta in compagnia dei suoi due figli, per cui hanno formato un allegro e vivace gruppetto di sette persone.
Raikichi e Sanko, rivedendo Ume per la prima volta dopo oltre dieci anni, sono rimasti colpiti nel constatare che il suo modo di esprimersi non era affatto cambiato, schietto e vivace come sempre. È perfettamente guarita dalla grave e infelice malattia da cui era stata colpita diversi anni fa. Raikichi e Sanko hanno prenotato per lei e per gli altri sei membri del gruppo delle stanze in un ryokan di Yugawara, vicino allo Shungindō. È probabile che quella sera, riunite dopo tanto tempo sotto lo stesso tetto, le vecchie amiche native di Tomari abbiano riportato in auge un’atmosfera molto simile a quella che si respirava nella stanza della servitù di casa Chikura all’epoca delle cosiddette «Assemblee dell’Associazione della prefettura di Kagoshima».
Alla festa erano presenti anche Sada, che gestisce insieme al marito a Zushi un ristorantino di sushi, e i suoi due figli. Suzu e il suo consorte Hasegawa Seizō con il figlio maggiore Tamotsu. Gin e il marito Sonoda Mitsuo insieme ai figli Takeshi e Mitsuru. Koma e il marito Kashimura Tsuneo con il primogenito Tadasu. Anche altre persone hanno accettato con molto piacere l’invito al banchetto, per esempio la signora Katō di Kyōto, la venditrice di tessuti per kimono che aveva fatto da intermediaria in occasione dell’assunzione di molte cameriere di casa Chikura; o il proprietario del ristorante Wakana sul lungomare di Atami. Erano presenti, a parte il festeggiato, quattro membri della famiglia: Sanko, Asukai Nioko, Sagara Mutsuko e il primogenito Tsutomu. Nakanobu, che ha una bellissima voce e una certa passione per il teatro nō, ha declamato un brano tratto dal dramma Takasago; la signora Katō ha recitato il monologo Suika dorobō; Mitsuo ha cantato Kawaii bebii, in coro con tutti gli invitati; e per finire, nella veste di grande attrazione della serata, il proprietario del Wakana ha danzato sulle note di Shūchō no musume, riscuotendo un grande successo.
«Battiamo le mani tutti insieme!» ha gridato a pieni polmoni il proprietario del Wakana, alzandosi in piedi. «Lunga vita al nostro caro signor Raikichi: banzai!»
E tre forti applausi sono risuonati nell’aria: Clap! Clap! Clap!