Capitolo 29

Lo imbavagliarono e lo legarono stretto. Quello alla sua destra gli fece vedere la lama di un vecchio e lungo coltello a serramanico, che brillò alla luce dei lampioni. La macchina attraversò il ponte sul canale e andò a infilarsi nelle stradine al limitare della grande pineta di Ponente, che correva libera e quasi selvaggia. Dal finestrino vide tanti piccoli capannoni, minuscoli hangar, barche in costruzione, reti tese fra alberi maestri: sembrava una specie di cimitero di vecchie navi. L'uomo anziano che era alla sua sinistra gli infilò d'improvviso un cappuccio di panno in testa. Cercò di divincolarsi e di scalciare, ma si ricordò del coltello e decise di stare al gioco. Ora avvertiva che la macchina stava girando per la rete regolare di strade, avanti e indietro: forse lo facevano apposta, per confonderlo. Alla fine si fermarono.

Provava nausea e gli girava la testa. Lo fecero scendere, tenendolo per gli avambracci. Sotto i piedi sentì l'asfalto, poi l'erba infine la ghiaia, o forse erano schegge di marmo. Sentì una porta di lamiera che si apriva, e quando lo spinsero oltre la soglia, nonostante il cappuccio, avvertì il forte aroma delle corde e del petrolio. Lo trascinarono da una parte e lo fecero sedere su una panca. Il fazzoletto che gli stringeva la bocca cominciava a fargli male. e mugolando cercò di far capire che non avrebbe gridato, ma lo ignorarono. Sentì solo le voci roche, da vecchi, tutte con l'accento locale, così diverso da quel volgare toscano di maniera che proponevano il cinema e la televisione.

«Vi hanno visto mentre lo portavate via?»

«No, quello che gli stava dietro l'ho steso con un cazzotto. Magari è ancora là che dorme».

«Hai fatto bene. E ora, questo qui?»

«Sta con noi, finché non abbiamo finito. Questo ha amici fra le spie, deve sta' tranquillo».

Arcieri mugolò più forte che poteva, ma lo lasciarono com'era. Sentì solo una forte mano che gli stringeva la spalla, con un gesto quasi affettuoso.

«È meglio che lei non ci veda, poi le potrebbe venire la tentazione».

«Tanto è capace che alla fine rimane vivo solo lui...»

«Sei sempre il solito ottimista, te!»

«Che speri? Luigi è morto, io ho il cuore ballerino, Italo ha una gamba di legno, figuriamoci con lo scafandro, sul fondo del mare... Tu credi ancora d'esse' nel '31».

«lo credo che dobbiamo fare quello per cui ci siamo impegnati. E dobbiamo farlo subito, perché ormai ci stanno tutti dietro: questo qui lo teniamo noi, ma chi te lo dice che non ci avesse già individuato, e non l'abbia già detto ai suoi?»

«Domandiamoglielo!»

«Ora no. Eppoi non è lui il problema più grosso. Quello che gli stava dietro, il giovanotto della villa...»

«È una spia di quelle carogne. Se Rosa non mi chiamava, chissà che gli avrebbe fatto fa', a questo qui. Di certo pensava che lo portasse fino a noi. Invece l'ho mandato nel mondo de' sogni».

«Lo dovevi ammazzare, invece. Ora andrà a chiamare i suoi».

«Io non ammazzo nessuno. E poi i suoi sono andati via, dopo che la nave è partita. Era rimasto solo lui, a controllare».

Arcieri era attento. Quelli parlavano senza badare a lui: quindi era meglio restare fermo e zitto e ascoltare. Una nave misteriosa, Eckher spia delle carogne... Uno dei vecchi parlava in modo particolarmente roco, come se rantolasse.

«Dobbiamo deciderci a far fare il lavoro a Divier. Lui va giù e noi stiamo sulla barca».

«Te non hai proprio capito, in che casino ci siamo messi».

«Si poteva chiedere aiuto noi, a quelli della nave! In un modo o nell'altro hanno avuto quel che volevano, potevano anche darci una mano!»

«Tu sei proprio uno sciabigotto. A loro di noi non gliene frega proprio nulla, non l'avevi capito? È stata brava la signora, a servirgli la pappa scodellata, ma appena l'hanno avuta, fine. E poi la nave del Mossad è comunque persa, ormai è partita. Dobbiamo fare da noi, come si pensava all'inizio».

Mossad. La nave del Mossad. Arcieri provò un lungo brivido per tutto il corpo. Quei vecchi fantasticavano, tiravano a indovinare o sapevano davvero più cose di lui? Tutte quelle informazioni che gli giungevano erano come tessere che andavano, una per una, a occupare un posto nel disegno complessivo e in molti casi sostituivano quelle sbagliate.

«Allora, ci mandiamo Divier?»

Un momento di esitazione. Arcieri poteva sentire il loro respiro affannoso.

«Non c'è da fidarsi, te l'ho già detto mille volte. Troppo giovane e troppo impulsivo».

«E allora va giù uno di noi».

«Ce ne vogliono due: non è affar semplice levare quei poveri ragazzi. Uno per uno, per non confondere le ossa. Ci vorrebbero quattro òmini giovani, figurati».

«Basteranno du' vecchi. Si va io e te».

«Così te crepi d'infarto e io pure. E addio a ogni cosa».

 

Passarono un paio d'ore e Bruno si appisolò. Quando si riscosse, i vecchi avevano smesso di parlare. Sentì rumore di stoviglie e odore di caffellatte. Si chiese che ora fosse: era già mattina? Non gli pareva possibile, era passato troppo poco tempo. Ricominciò a mugolare, agitandosi più che poteva.

«O lascialo respirare, 'sto disgraziato!» disse uno dei vecchi. «Anche se ci vede, che vuoi che succeda? E magari vorrà mangià anche lui».

«Sì, forse pensa che sia ora di colazione».

Qualche breve risata, subito spenta. Poi una mano gli levò il cappuccio, sciolse le corde e gli tolse il bavaglio. Così, finalmente, vide i volti: il vecchio con le rughe fittissime, quello che gli aveva preso la Giulia. Uno piccolo e sorridente, con l'aria di chi chiedeva scusa per essere vivo: uno alto e grosso, ma con una gamba di legno; altri con il capo basso e le mani grandi che non sapevano dove tenere. Si guardo intorno: erano all'interno di un capannone semibuio. C'erano solo due lumi a petrolio schermati, per terra. ma che gli permettevano di intravedere delle vecchie tute di gomma appese alle pareti; una macchina che sembrava una grande pompa; un argano mobile e sei o sette bombole di ossigeno, lucide e nuove. Guardo l'ora al Tavannes: le tre passate. Gli si avvicinò il vecchio con la gamba di legno, con in mano una scodella.

«Noi si deve mangià, e c'è da fare un lavoro alla svelta. Ne vòle anche lei?»

«No, grazie».

«Ci dispiace averle fatto questo. Poi potrà farci arrestare. Ma non si poteva rischia’».

«Volete immergervi per recuperare l'oro e i corpi dal sommergibile? È una pazzia».

Il vecchio invalido grande e grosso guardò l'altro, quello con le rughe profonde come una maschera.

«Lo vedi, Anteo? Te l'avevo detto: sa tutto. Dobbiamo fare subito, non io possiamo mica tenere qui per de' giorni interi!»

«Tanto è già sequestro di persona, vero signor colonnello?» disse Anteo, ridendo sotto la maschera di rughe.

«Sì, ma bisogna che io vi denunci. E non ne ho mica voglia».

«Che vuole dire?»

«Prima avete parlato liberamente e vi ho ascoltato. Io so chi sono le carogne che hanno lasciato qui a fare da spia il giovane che mi seguiva. Voi potete dirmi che cosa stanno preparando?»

«Qualcosa di brutto. La signora potrebbe...»

«No» lo fermò Italo, l'invalido. «Sta' zitto».

«Quale signora?» chiese Bruno. «Rosa Nelli?»

Nessuna risposta.

«E poi chi vi ha parlato di una nave del Mossad?»

«Colonnello, noi non possiamo...»

«Io sono in grado di darvi qualcosa di molto prezioso, in cambio di ciò che sapete su quelle carogne. Vi hanno spiegato chi sono io?»

Il vecchio rugoso assentì.

«Lei è un ufficiale dei carabinieri. Uno importante».

«Ho lavorato per trent'anni nei servizi segreti. Anche sul campo, almeno nei primi tempi. Ho un fisico ben allenato. Voi, invece, siete messi male. Quanti anni avete?»

I vecchi si guardarono l'un l'altro negli occhi.

«Io settantuno, lui settanta e quell'altro settantatré...»

«E siete malati. L'avete detto voi stessi. Io, invece sono più giovane di voi, e sto bene».

«Che vorrebbe dirci, signor colonnello?»

«Che mi immergerò io».