Otto giorni da Willcox

Di natura, Angsman era un tipo cauto. Dai corpuscoli senza forma che galleggiavano nel cielo a miglia e miglia di distanza, sulla pianura, il suo sguardo calò lentamente sulla sabbia che aveva a forse un metro dal mento, poi risalí, ancora più lentamente, per seguire il pendio che gli scendeva davanti. Rotolò su se stesso, quanto bastava per prendere il binocolo al suo fianco, mentre con gli occhi continuava a frugare nel nulla incandescente delle terre basse. Il riverbero del sole incontrava la polvere alcalina e gli danzava di fronte agli occhi, ridotti a fessure. In lontananza, qualcosa si mosse. Qualcosa di più scuro della monotona tonalità della spianata. Un puntino in movimento.

Si portò il binocolo agli occhi. Il riverbero smise di danzare, e la minuscola chiazza divenne più nitida, allargandosi appena messa a fuoco. Due pony e due muli da soma. I muli erano stracarichi. Questo lo notò subito, ma gli ci volle qualche minuto per capire che le due persone a cavallo erano donne. Indiane. Alle loro spalle, gli avvoltoi volteggiavano in cerchio sulle carcasse di animali sparse qua e là, abbassandosi sempre più via via che gli esseri umani si allontanavano.

Angsman si staccò dalla sabbia, alzandosi in piedi, e tornò tra i pini che nascondevano alla vista lo spuntone di roccia. Qualche decina di metri di penombra e poi, di colpo, il sole tornava a farsi largo con violenza sulla sabbia, là dove la pista – adesso allo scoperto – seguiva la pendenza della collina. Si fermò sul limitare degli alberi, si tolse il cappello e si sfregò la linea rossa che gli aveva lasciato sulla fronte. I baffi gli cadevano incolti su guance scure e tirate, dando al suo viso una certa aria triste. Era quel tipo di volto che, per sembrare completo, aveva bisogno della morbida ombra di una tesa. Che ne addolcisse i tratti spigolosi. Ed era il volto intelligente, impassibile, di un uomo sulla quarantina. Angsman guardò i tre individui accanto ai cavalli e andò loro incontro.

Ygenio Baca sedeva a gambe incrociate nella polvere e fumava una sigaretta a robuste boccate; a malapena si degnò di lanciare un’occhiata ad Angsman. Aspirò di nuovo, a lungo, poi tenne la sigaretta vicino agli occhi e la esaminò come un oggetto raro, mentre il fumo gli usciva a volute dalla bocca. Ygenio Baca era il loromozo, il portatore, ed era uomo dalle poche preoccupazioni.

Ed Hyde, di corporatura tozza e robusta, stava quasi per intero sotto la testa del suo cavallo e gli teneva una mano sul muso. Il naso dell’animale si mosse lieve contro il grosso palmo, leccandone fino al polso il sudore salato. Nell’incavo dell’altro braccio Hyde reggeva un fucile Sharps. I suoi lineamenti contratti erano adesso in ombra, sotto il cappello calato sugli occhi. Sole, vento e barba di una settimana gli facevano sembrare il volto enfio e scorticato: un aspetto selvaggio, ma allo stesso tempo placido e incerto. L’aria un po’ assonnata di Hyde cozzava con quella asciutta di Angsman.

Billy Guay se ne stava in piedi con aria indolente e i pollici ficcati nel cinturone. Fece qualche passo verso Angsman e si spinse il cappello sulla nuca, anche se il sole gli batteva dritto in faccia. Aveva la metà degli anni di Ed Hyde, poco più di una ventina, ma nel suo sguardo c’era un’asprezza che contrastava con i tratti morbidi. Tratti ancor più giovanili, persino femminei, a causa dei lunghi capelli biondi che gli coprivano la sommità delle orecchie e pendevano spettinati sul colletto della camicia. Nell’osservare Angsman, teneva la bocca serrata come se lo volesse sfidare a dire qualcosa di contrario alle sue opinioni.

Angsman gli passò davanti e andò difilato da Ed Hyde. Stava per dire qualcosa, ma si bloccò quando Billy Guay, voltandosi, lo prese per un braccio.

– Erano bisonti, eh, quella nuvola di polvere? Proprio come avevo detto io? – chiese Billy Guay, ma era più una constatazione che una domanda.

Il volto serio di Angsman si girò verso il ragazzo, ma tornò subito a posarsi su Ed Hyde. – Ci sono due donne indiane, laggiù, che tolgono di mezzo i resti di una battuta di caccia. La nuvola di polvere erano i guerrieri che tornavano al villaggio. E secondo me erano gli ultimi. Quelli rimasti indietro. Tutti gli altri sono già lontani.

Billy Guay si accostò ai due uomini. – Porca miseria, potevano anche essere bisonti, – fece. – Chi lo dice, che devi sapere tutto tu?

Ed Hyde passò lo sguardo dall’uno all’altro, come uno spettatore imparziale, e abbassò il calcio del lungo fucile da bisonti. Sollevò le mani per battersi sulle tasche della vecchia giacca di serge nero, che prese a tirargli sotto le ascelle. Dalla tasca destra estrasse una presa di tabacco già mezza masticata.

Per un istante Angsman rimase a fissare Billy Guay. Infine disse: – Guarda, figliolo, sapere tutto è il mio mestiere, e anche da un bel po’ di anni. Quindi, o prendi per buona la mia parola e accetti che la nuvola di polvere era un gruppo di cacciatori indiani, oppure voltiamo i cavalli e ce ne torniamo a casa.

La testa brizzolata di Ed Hyde scattò verso l’alto. – Hai ragione da vendere, Angsman. Sono dieci anni che i bisonti non si spingono cosí a sud –. Poi guardò il ragazzo e disse, con tono più dolce: – Ti do la mia parola, Billy –. Sorrise. – Se c’è qualcuno che lo sa, quello sono io. Quegli indiani, quasi di sicuro, hanno fatto fuori un branco di cervi. Però, cazzo, cervi o bisonti, che differenza fa? Mica siamo venuti a caccia. Tu da’ retta a quel che dice Angsman e torneremo tutti a casa ricchi. Prenditela comoda, Billy, e te la passerai meglio.

– Voglio solo sapere perché dev’essere lui a dare gli ordini, – disse Billy Guay alzando la voce. – Siamo noi che abbiamo la mappa, mica lui. Dove sarebbe, senza di noi?

La voce di Angsman, invece, era sempre la stessa: calma, priva d’eccitazione. – Te lo dico io. Sarei ancora a Bowie a fare lo scout per la cavalleria, gente che si muove in territorio apache con gli occhi aperti e sa tenere la bocca chiusa –. Non attese risposta, ma si voltò avviandosi verso il suo baio. – Ygenio, – disse forte al messicano ancora seduto in terra a gambe incrociate, – tieni i muli dietro di noi, a una cinquantina di metri, e non perdermi di vista.

Avevano lasciato Willcox da otto giorni, e lo stress stava cominciando a farsi sentire. Si era messa male fin dall’inizio. Adesso erano ai piedi dei Mogolloni, e la situazione non era certo migliorata. Angsman si era illuso che non appena avessero iniziato a salire, togliendosi dalla polvere delle pianure, la tensione si sarebbe attenuata e gestire il ragazzo sarebbe stato più facile, ma Billy Guay aveva continuato a borbottare coi pollici nel cinturone e dichiararsi contrario a tutto quel che veniva detto. Cosí come Ed Hyde aveva continuato a tacere, escluse le volte che lui saltava fuori con l’idea di tornare indietro.

Fin dal primo mattino la loro pista aveva seguito la cresta coperta di pini che piegava in maniera irregolare tra la pianura grigiastra a ovest e le enormi vette rocciose a sud e a est. La pista si era tenuta quasi sempre sul costone, tra curve e avvitamenti, per poi scendere secondo la conformazione della cresta montuosa. E per gran parte del tempo Angsman aveva continuato a scrutare gli spazi aperti, con i puntini neri che non smettevano di nuotargli nel campo visivo.

La pista calò all’improvviso nel letto asciutto di un torrente che scendeva tra rocce stondate e più alte sul versante destro. Angsman si mosse in diagonale nel letto asciutto; poi, arrivato nel punto più profondo, pungolò con forza il suo cavallo per fargli risalire a tutta velocità la riva opposta. Gli zoccoli scavarono nel terreno secco, in una cascata di sassolini, per trovare un appiglio sulle rocce sabbiose. Per un attimo il cavallo perse l’abbrivio, ma Angsman lavorò di speroni e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. L’animale riprese vigore e si issò sulla sponda.

Dopo qualche metro Angsman si voltò per attendere gli altri.

Billy Guay raggiunse la riva del torrente e gridò, senza esitare: – Ehi, Angsman, non è che stai cercando la pista peggiore?

Lo scout fece una smorfia. La voce del ragazzo era rimbalzata contro le pareti rocciose e viaggiava ora sopra le terre basse, vibrando e riecheggiando in lontananza. Angsman partí di scatto e raggiunse di corsa la riva. All’udire l’eco delle proprie parole, Billy Guay scoppiò in una risata: – Cazzo, Ed. Hai sentito? – La sua voce viaggiava forte e chiara lungo l’arroyo. Quando scorse Ed Hyde che guardava dalla sua parte, Angsman si portò un dito alla bocca e agitò più volte il capo. Poi Hyde si piegò a dire qualcosa al ragazzo, che Angsman udí imprecare a voce più bassa. Infine cadde il silenzio.

Adesso, a dieci giorni dal messaggio che l’aveva portato in quell’hotel di Willcox, Angsman non era più cosí sicuro che ne valesse la pena.

In quella camera d’albergo Ed Hyde era andato subito al sodo. In volto gli si leggeva l’ansia, ma quando aveva fatto la domanda a bruciapelo: – Che ne direbbe di mettersi in tasca cinquantamila dollari? – sulle labbra gli era apparso un sorriso. E gli aveva sventolato sotto il naso un foglio di carta lurida. – Sta scritto qui. Lei ci trovi qualcosa che assomiglia a un sombrero e saremo ricchi –. Cosí semplice.

Angsman era uno che se la prendeva comoda. Aveva fumato una sigaretta e ci aveva pensato su. Poi aveva chiesto: – Perché proprio io? Ce ne sono un sacco di cercatori d’oro, da queste parti.

Il gesto che aveva fatto Hyde somigliava a una strizzata d’occhio. – Qui a Willcox ha una buona reputazione. Dicono che conosce la zona meglio quasi di chiunque. E gli Apache meglio di tutti –. Nel tono di Hyde si leggeva un certo orgoglio per come si era documentato sullo scout. – Io e Billy, qui, siamo disposti a dividere con lei in parti uguali tutto quel che troviamo, se saprà guidarci a una piccola X su un pezzo di carta.

In quel primo incontro Billy Guay aveva parlato poco o niente. Era rimasto appoggiato col culo al piccolo davanzale, fissando Angsman nel tentativo di fargli abbassare lo sguardo ogni volta che lo scout lo guardava. E Angsman aveva sorriso non appena aveva visto le due pistole del ragazzo, portate basse; secondo lui, se un uomo decide di andare in giro con due pistole, significa che con una sola non sa cavarsela. E quando Billy Guay aveva messo su quella guerra di sguardi, lui lo aveva ricambiato fissandolo con quel mezzo sorrisetto, il che lo aveva fatto incazzare ancora di più; tanto che il ragazzo aveva cominciato a interrompere a più riprese Hyde per far capire a tutti che in quella faccenda contava anche la sua opinione.

Ed Hyde aveva raccontato la storia di una miniera perduta e di un cercatore che l’aveva trovata, non riuscendo però a impadronirsi dell’oro a causa degli indiani. Anzi, gli era andata bene ad aver riportato a casa la pelle. Si riferiva sempre al cercatore come al «mio amico», e alla fine era saltato fuori che il «mio amico» stava cacciando bisonti nel Panhandle, non lontano da Tascosa, proprio in compagnia di Ed Hyde, cercando di tirar su qualche soldo per provare di nuovo con la miniera, quando si era «ammalato, e poi è morto». Visto che, appunto, in quel momento i due erano a caccia assieme, il tizio aveva lasciato la sua mappa a Ed Hyde «perché l’avevo assistito durante la malattia». Dopo aver raccontato della morte del suo amico, Hyde era rimasto un bel po’ in silenzio.

Poi aveva aggiunto: – Più avanti ho incontrato Billy, da queste parti, e mi è subito piaciuto perché ha un bel fegato per questo tipo di cose –. Aveva guardato Billy Guay come un uomo ne guarda uno più giovane e rivede in lui la propria giovinezza. – Solo un’ultima cosa, mister, – aveva detto. – Se accetta e guarda la mappa, poi non ci perdiamo di vista per un secondo.

Nel Sudovest le storie di miniere perdute sono roba comune. Angsman ne aveva sentite parecchie, e conosceva ancor più cercatori che rincorrevano queste leggende. Ne aveva visti alcuni diventare ricchi. Ma non era la semplice brama dell’oro ad averlo infine spinto ad accettare. Cochise aveva accettato la pace, e Geronimo se l’era filata verso sud, sulla Sierra Madre. Nel suo territorio, la situazione era tranquilla. Fin troppo. Ci vado solo per sfuggire alla noia, si era detto Angsman. Però non gli era facile tener fuori dai pensieri l’elemento ricchezza. Angsman si vedeva scivolare gli anni di mano senza averne mai ricavato niente, se non una sella spagnola un po’ malconcia e un Winchester vecchio modello. E doveva solo portare quei due in un canyon e su una formazione rocciosa che somigliava a un sombrero.

Due giorni per radunare l’equipaggiamento e trovare un mozo che non avesse paura di condurre dei muli in quella parte di Apacheria non ancora toccata dalla pace. In cambio di sigarette e di una pancia piena, i suoi muli Ygenio Baca li avrebbe condotti anche alle porte dell’inferno.

Fu quasi un miglio dopo aver attraversato l’arroyo che Angsman si accorse della scomparsa dei puntini neri dalle terre basse. Negli ultimi cento metri il suo campo visivo era stato ostacolato, sulla sinistra, da un solido assembramento di pini. Adesso la pianura si riapriva pigra, e il binocolo poté muoversi meticoloso in tutte le direzioni, fermandosi infine su uno sperone di roccia che guizzava dalla collina di fronte a bloccargli la visuale. Le donne indiane erano scomparse.

Hyde e Billy Guay cavalcavano accanto ad Angsman che, adesso a piedi, fece scorrere per l’ennesima volta il binocolo sulla pianura. Poi lo abbassò e disse, più a se stesso che agli altri: – Delle indiane non c’è traccia. Magari sono andate dalla parte opposta, o sono cosí vicine che non riusciamo a vederle.

Con un cenno del capo, indicò il punto in cui la pista si fermava davanti a un macchione di sterpi e pini, per poi scendere di colpo sulla destra su una sorta di terrapieno inclinato verso le profondità della valle. Dal loro punto d’osservazione la videro sparire, molto più in basso, in un denso agglomerato di pini e rocce.

– Tra un po’ non vedremo più niente, – disse Angsman. – Questa vegetazione diventa sempre più fitta, e non mi piace. Considerando anche che in giro ci sono quei cacciatori.

Billy Guay scoppiò a ridere. – Mi pigliasse un colpo! Ed, questa donnicciola ha paura di due squaw! Ed, hai sentito…

Ed Hyde non ascoltava. Stava guardando ben oltre le cime degli alberi, gli occhi rivolti su un roccione torreggiante, color sabbia, pieno di sporgenze e rientri, che circondava la valle sul lato opposto. Scivolò rapido da cavallo, facendo impigliare la giacca nel pomo della sella e strappandola là dov’era chiusa da un bottone. Ma era troppo eccitato per accorgersene.

– Guardate! Laggiù, su quella roccia, – aveva la voce rotta dall’entusiasmo. – Lo vedete, lo spacco quasi in cima, dove c’è stata una frana? E guardate quelle montagne là dietro! – Angsman e Billy Guay strizzarono gli occhi per vedere meglio, ma non dissero niente.

– Cazzo! – gridò Hyde. – Ma non lo vedete? – Abbrancò le redini del cavallo e si mise a correre, inciampando, verso il tratto di pista che solcava il terrapieno. Quando gli altri due lo raggiunsero, aveva tirato fuori la mappa e rideva con tono stridulo, quasi isterico, in aperto contrasto col suo volto rugoso. Nella mano tesa reggeva il lurido pezzo di carta, e continuava a batterci sopra con un dito dell’altra mano. – Proprio qui, cazzo! Proprio qui! – Il dito volò via dalla mappa. – E adesso guardate quella frana… Fantastico! – La risata si spense in un sogghigno di vanagloria.

A guardarlo dal terrapieno, il roccione incombeva a forse un miglio di distanza, sbucando dalle cime degli alberi. La superficie liscia della sua vetta era scavata da un blocco di pietra sabbiosa, grande come un edificio di due piani, dal quale partiva un ghiaione che finiva nella valle sottostante; lungo la sommità del roccione, però, una serie di enormi macigni ne circondava l’incavo, lasciandolo aperto su quattro lati. Era una sorta di gigantesca cornice attraverso la quale si riuscivano a scorgere, in lontananza, il cielo e la piatta superficie di una mesa. Su entrambi i lati, la sommità della mesa digradava in costoni che sporgevano dalle linee verticali del massiccio in secchi angoli retti per essere poi tagliati, nella loro visuale, dai macigni dell’enorme cornice. E, allo sguardo dei tre uomini, la mesa appariva come un sombrero spagnolo dal cocuzzolo piatto.

Billy Guay rimase a bocca aperta: – Cazzo! È uno di quei cappelli che portano i ballerini messicani! Ed, l’hai visto?

Ed Hyde era intento a studiare la mappa. Ci piantò sopra, per l’ennesima volta, il dito. – Indicazioni perfette, Angsman. Le terre basse, il costone, la valle, il cappello –. L’unghia incrostata di nero seguiva linee ondulate e cerchi sul foglio macchiato. – Adesso caliamo a valle e la seguiamo fino in fondo –. Ficcò la mappa nella tasca della giacca e si protese verso il pomo della sella per risalire a cavallo. – Forza, ragazzi, siamo quasi ricchi, – gridò, saltando in groppa.

Angsman abbassò gli occhi sull’impenetrabile fitto degli alberi. – Ed, laggiù dobbiamo rallentare, – tentò di avvisarlo, ma Hyde stava spingendo con forza il cavallo lungo la discesa e, dietro di lui, il pinto di Billy Guay lanciava sassi in ogni dove. Il viso tirato, Angsman si accostò in fretta al suo cavallo e vide Ygenio Baca che, appoggiato al primo dei due muli, si fumava una sigaretta con espressione vacua. Il volto di Angsman si rilassò.

– Ygenio, – fece, – di’ ai tuoi muli di fare molto piano.

Ygenio Baca annuí e, senza fretta, fece volare il mozzicone giù per la discesa.

Riacchiapparono Hyde e Billy Guay appena dentro il bosco. La pista era scomparsa in una nebulosa penombra di sterpaglie annodate tra loro e ceppi d’albero, col roccione su un lato e la collina di pini sull’altro a bloccare la luce.

Angsman li superò, e i due si fermarono per guardarlo. Hyde sembrava un po’ imbarazzato, perché non capiva più dov’era finita la pista, ma Billy Guay mantenne la sua aria di sfida e il suo presunto sguardo da duro.

– Ed, ricordi di aver visto delle ossa, sulle terre basse, poco fa? – disse Angsman. – Quasi di sicuro era gente colpita dalla febbre dell’oro –. Non aggiunse altro. Fece voltare la testa al cavallo e tirò dritto.

Adesso Angsman avanzava lento, con molta più cautela di prima, e ogni tanto tirava gentilmente le redini e restava immobile in sella, ad ascoltare. E in quel profondo silenzio c’era qualcosa che spingeva persino Billy Guay a logorarsi la vista nella semioscurità, senza parlare. Era una calma fragorosa, che rombava nei loro orecchi in maniera del tutto innaturale. A quell’andatura, raggiunsero il limitare degli alberi quando già stava calando la sera.

La collina di pini era ancora sulla sinistra, ma più alta e ripida. Sulla destra, due speroni di pietra spuntavano dalla parete del roccione che si era gradualmente abbassata fino a diventare una montagnola tondeggiante, ma con un ammasso di spunzoni di pietra alle sue spalle, nelle immediate vicinanze. Di fronte, si apriva la bocca di un canyon, dapprima stretta ma destinata ben presto ad allargarsi in una sorta di spiazzo.

Continuarono ad avanzare, con Angsman che leggeva sempre più chiaro nello sguardo di Ed Hyde. Ed aveva la mappa in mano, continuava a lanciarle occhiate e scrutarsi attorno. – Angsman, guarda! – berciò non appena superarono la bocca del canyon per entrare nello spiazzo. – Proprio come dice qui!

Ma Angsman non stava guardando Ed Hyde. Meno di cinquanta metri più avanti, là dove un angusto canyon laterale sfociava nello spiazzo, le due donne indiane – sedute in sella ai loro pony – osservavano l’arrivo degli uomini bianchi.

Angsman fece rallentare il suo cavallo e rimase in attesa, guardandole come si fa con un daino che ti si para davanti, del tutto inaspettato, in una foresta e pronto a schizzare via da un momento all’altro. Ma le donne non dettero segno di voler scappare. Hyde e Billy Guay si accostarono ad Angsman e proseguirono solo quando lo scout mise la sua cavalcatura al passo. Si fermarono a pochi metri dalle donne, che non avevano fatto un movimento né pronunciato una sola parola.

Angsman scese a terra. Hyde si agitò inquieto sulla sella, prima di impugnare il pomo per smontare, ma fu bloccato dalla mano di Billy Guay che gli stringeva il braccio.

– Cazzo, Ed, guarda la più giovane! – disse Billy a voce alta ed eccitata, ma impersonale come un commento durante uno spettacolo di spogliarello. – Farebbe la sua figura anche in città, – aggiunse, e saltò giù per piazzarsi di fronte al pony della ragazza.

Angsman guardò prima Billy e poi la ragazza, intenta a scivolare senza fatica dal pony privo di sella. La salutò in inglese, con garbo, e si toccò il cappello in omaggio all’altra donna, ancora sul pony e che, in risposta, si lasciò scappare una risatina stridula. La ragazza non aprí bocca e lo guardò.

¿Como se llama? – disse lui in spagnolo, e aggiunse qualche altra parola.

La ragazza parve rilassarsi leggermente e rispose: – Sonkadeya, – spiccando bene le sillabe.

– Cazzo vuol dire? – fece Billy Guay, andandole vicino.

– È il suo nome, – gli disse Angsman, poi riprese a parlare in spagnolo alla ragazza.

Anche lei ribatté con qualche frase in spagnolo, ma si capiva che la sua lingua madre era un dialetto apache cui spesso tornava, vista la difficoltà a combinare le due lingue per farsi capire dai bianchi. Quando cercava le parole giuste, finiva per aggrottare la fronte e passare con gesto nervoso le mani sull’abito di pelle di cervo, unto e bisunto. Era paffutella, e i suoi capelli – oltre al vestito – avevano urgente bisogno di una bella lavata, ma aveva un volto dolce e attraente, che contrastava in maniera curiosa con quanto di primitivo si leggeva nel suo modo di parlare e di vestire. Quei tratti avrebbero potuto appartenere a una donna bianca, cosí come la carnagione, ma i capelli lucidi di unguento e l’odore di fumo che le stava incollato addosso erano decisamente apache.

Quando la ragazza finí di parlare, Angsman si voltò a guardare Hyde. – È un’Apache Warm Springs. Mimbreño, – spiegò. – Dice che stanno tornando a casa.

– Chiedile se c’è dell’oro, da queste parti, – disse Hyde.

Angsman lo guardò, e spalancò gli occhi. – Forse non hai capito. Ho detto che è una Mimbre. Sta tornando a casa dopo una partita di caccia guidata da suo padre. E suo padre è Delgadito, – aggiunse.

– Cazzo, sbaglio o gli Apache sono tranquilli, adesso? – chiese Hyde con aria indifferente. – Di che ti preoccupi?

– La pace l’ha firmata Cochise, – rispose Angsman. – Questi sono Mimbre, mica Chiricahua, e il loro capo è Victorio. Lui, la pace, non l’ha accettata mai. Guarda, Ed, non è per spaventarti, – disse poi, tornando a guardare la ragazza, – ma il suo braccio destro militare è proprio Delgadito.

Billy Guay se ne stava di fronte alla ragazza, i pollici nel cinturone, e la guardava attentamente. – Io la so far smettere, una guerra, – disse sorridendo.

– E chi ha parlato di guerra? – disse Hyde. – Non stiamo per fare un bel niente.

– Mica la devi far smettere, Ed, – disse Angsman. – Tu pensa a finirla. E pensa alla tua vita.

– E tu non preoccuparti, che alla mia vita ci penso io. E penso che ormai è quasi agli sgoccioli, e non vale una cicca. Lo corriamo, il rischio, altro che, – ribatté Hyde. – Se l’oro si trovasse a ogni angolo di strada, non varrebbe più un accidente.

– Io continuo a sapere come si fa a farla smettere, la guerra, – disse ozioso Billy Guay.

Hyde lo guardò impaziente. – Che accidenti vuol dire, ’sto discorso? – Poi vide come stava guardando la ragazza e, appena comprese a cosa stesse pensando Billy Guay, rilassò la fronte e si sfregò la barba. – Vedo che hai capito, Ed, – disse Billy, sorridendo. – Ce la portiamo con noi, la signorina, e non ci sarà Delgadito o Ulysses S. Grant che tenga –. Poi guardò la vecchia sul pony. – Anche se non vedo il motivo di prenderci quella zavorra.

Angsman lo afferrò per le braccia e lo fece girare su se stesso. – L’ho capito che hai il grilletto facile, ma stai dando fuori di testa. Non si minacciano gli Apache! – Poi lo spinse via in malo modo. – Fermati un attimo, Ed. Usa il buon senso, visto che ce l’hai, e lascia perdere le idee di ’sto ragazzo.

– Dobbiamo correrlo il rischio, Angsman. Qualunque rischio. Dopo tutta questa fatica, non vorrai mica fermarti per colpa di un’indiana qualunque o della sua ragazzina, – rispose Hyde. – Secondo me Billy ha avuto l’idea giusta. Te l’avevo detto che il coraggio non gli mancava. Facciamogliene usare un po’.

Billy Guay lanciò un’occhiata al cavallo di Angsman e vide che la pistola dello scout era dentro una fondina legata alla sella. Allora estrasse entrambe le sue e gliele puntò contro.

– Basta coi discorsi, Angsman, perché se sento ancora un’offesa nei miei confronti ti sparo qui su due piedi –. Alzò una pistola, la spostò di lato senza mirare e premette il grilletto. La vecchia indiana cadde dal pony senza un solo grido.

Nel silenzio assoluto, Hyde lo guardò esterrefatto. – Cristo, Billy! Che bisogno c’era?

Billy Guay scoppiò a ridere, ma la risata svaní fin troppo in fretta, come se solo allora si fosse reso conto di cosa aveva combinato. Rise di nuovo, stavolta in maniera forzata. – Cazzo, Ed. Era soltanto un’indiana. Che storie mi fai?

– Va be’, – disse Hyde, – ormai è andata, e non possiamo farci niente –. Ma si guardò attorno, innervosito, come se si aspettasse una soluzione a portata di mano. Oppure, se non una soluzione, almeno una giustificazione. Poi scorse l’equipaggiamento da cercatori d’oro, su uno dei muli, e l’ansia lasciò il suo sguardo. – Diamoci un taglio, – disse. – Abbiamo del lavoro da fare.

Billy Guay soffiò nella canna della pistola che aveva appena sparato e guardò Sonkadeya chinarsi per un attimo sulla donna a terra, poi rialzarsi senza la minima emozione in viso. La cosa gli dette da pensare, e lo rese ancor più nervoso. Poi agitò una pistola verso Ygenio Baca. – Ehi, mozo! Prendi una vanga e sotterra la vecchia. È da sciocchi farci beccare per via degli uccelli.

Lo scout cavalcava in silenzio. Sapeva benissimo cosa sarebbe accaduto, ma ignorava quando. Il suo sguardo strisciò sull’asprezza delle pareti del canyon, sugli alberelli cespugliosi, sui macigni sparsi qua e là. Immobilità assoluta. La parete sinistra era buia, le sagome rocciose gettavano ombra e si mischiavano l’una con l’altra; il pendio opposto era immerso nella foschia e appariva gelido, alla luce fievole del sole del tardo pomeriggio. Si sentiva invaso dalla tensione. Dalla certezza che qualcosa era vicino, anche se impossibile da vedere o udire. Solo il silenzio, lo scalpitio metallico degli zoccoli e la risataccia forzata di Billy Guay che lacerava la quiete e restava sospesa in quello spazio angusto, per poi spegnersi su per il canyon. Angsman la conosceva, quella sensazione. Andava di pari passo con la sua lunga attività di scout. Ma questa volta c’era una differenza. Mai prima d’ora era entrato in un canyon con un cosí forte sentore della presenza di Apache. Eppure, assieme a quella sensazione, avvertiva anche una forte speranza. Magari è solo fatalismo, pensò.

Vide due falchetti spostarsi in volo, planare e risalire, gettarsi verso un cumulo di sterpaglie a circa metà della ripida parete destra e, un istante prima di posarsi sui cespugli, rialzarsi di scatto, librarsi in cielo e scomparire alla vista. Adesso la sua certezza era assoluta. Si stavano ficcando in un’imboscata. E non c’era quasi più tempo di fare niente.

Lanciò un’occhiata a Hyde, che cavalcava al suo fianco. Impossibile trattenerlo, ormai. L’ultimo cerchio sulla sua mappa era a poca distanza dal termine del canyon.

– Rallenta, Ed, – gridò Billy Guay. – Non posso propormi alla signorina, qui, e tenere quest’andatura –. Poi scoppiò a ridere e allungò una mano per posarla sul fianco di Sonkadeya, lasciandogliela poi cadere sul ginocchio.

– Sissignore, Ed, – gridò di nuovo, – mi sa che abbiamo proprio fatto la mossa giusta.

Sonkadeya non resistette più. Lasciava ondeggiare la testa al ritmo del pony, lo sguardo fisso avanti a sé. Poi però spostò gli occhi dall’una all’altra parete del canyon, e sulle sue labbra apparve la lievissima traccia di un sorriso.

Angsman si chiese quanto gliene importasse, di quel che stava per succedere. Di Hyde o Billy Guay non gliene fregava nulla, e non conosceva abbastanza bene Ygenio Boca da provare qualcosa per lui, in un senso o nell’altro. Fin dall’inizio, Ygenio si era assunto lo stesso rischio di loro tre. Poi pensò alla sua, di vita, ed ebbe la strana sensazione che, forse, gliene fregava poco pure di se stesso. Tentò di immaginarsi la propria morte, ma ogni volta si vedeva intento a osservare il suo medesimo cadavere, ed era ovvio che non poteva andare cosí. Pensò a quanto è difficile estraniarsi da una situazione per vedersi morti, e la conclusione fu questa: se non puoi essere lí a preoccuparti della tua morte, che diavolo ti preoccupi a fare? Il problema è che se decidi di fregartene finisci per rimetterci la pelle, e di conseguenza riprese a scrutare le pareti del canyon.

Guardò Hyde sprofondato nella sua mappa e voltò il capo per osservare Billy Guay che cavalcava accanto a Sonkadeya, la mano sulla gamba di lei. Potevano farli secchi tutti quanti, in quel preciso momento, e loro neanche si sarebbero accorti da dove gli stavano sparando. Oppure potevano prenderli di sorpresa. Tornò a guardare di fronte a sé, e vide il canyon restringersi a meno di una quindicina di metri di larghezza. Certo che potevano prenderli di sorpresa!

Toccò dolcemente la criniera del cavallo con una briglia, per spingere l’animale verso la parete destra. Si mosse con lentezza, spostandosi piano piano, cosí che Hyde e Billy Guay, immersi in altri pensieri, non se ne potessero neanche accorgere. La scelta è tra beccarsi un proiettile in testa o farla franca, pensò.

Adesso avanzavano molto più a ridosso della parete in pendenza. Si voltò sulla sella per osservare Billy Guay, che ancora rideva e palpeggiava Sonkadeya. E quando riprese a guardare davanti a sé, vide la mezza dozzina di Apache appostati sulla pista, a una decina di metri di distanza. Buffo, perché di fronte aveva quegli indiani armati e mezzi nudi, e dietro di sé udiva la risata incessante di Billy Guay.

Poi le risa cessarono. – Oh, mio Dio! – gemette Hyde, e in quel preciso istante spronò il cavallo, tirando forte le redini per spostarsi bruscamente sulla sinistra. Si udí l’esplosione di un fucile di grosso calibro, e cavallo e cavaliere andarono giù.

All’improvviso, Angsman si sentí strattonare le braccia dietro la schiena, mentre tre Apache correvano verso Hyde ormai a terra. Qualcuno lo tirò con forza fino a farlo volare sopra il posteriore del suo cavallo. Atterrò sui piedi, barcollò e vide un guerriero che trascinava Hyde per una gamba, riportandolo indietro. Hyde urlava e si sorreggeva sull’altra gamba, che rimbalzava sul terreno sconnesso.

Billy Guay era riuscito a divincolarsi, e stava a poca distanza dagli Apache che lo tenevano sotto il tiro di archi e carabine. Aveva le mani sul calcio delle pistole, e il volto carico di paura e indecisione.

Angsman torse il collo verso di lui. – Non ci pensare neanche, figliolo. Non hai una possibilità che è una –. Tempo quindici secondi, ed era già tutto finito.

A terra, Hyde si dimenava, gemendo e premendosi il buco nella coscia, che la pesante pallottola gli aveva trapassato per poi colpire al ventre il cavallo. Angsman si chinò a guardare la ferita e vide che Hyde stringeva ancora la mappa, schiacciata contro la gamba e sporca di sangue. Alzò gli occhi e si trovò di fronte Delgadito. Al suo fianco c’era Sonkadeya.

Delgadito non era in costume di guerra. Indossava una camicia di cotone, rossa e scolorita, priva di bottoni e tenuta ferma in vita dal cinturone pieno di cartucce. Il suo volto magro sembrava quasi ridicolo sotto il malconcio cappello a tesa larga che gli stava appollaiato sulla testa, almeno di due taglie troppo piccolo. Ma Angsman non rise. Lo conosceva, Delgadito, il braccio destro militare di Victorio e forse il più abile capo della guerriglia apache. No, Angsman non rise.

Delgadito fissò gli uomini bianchi, si guardò attorno senza fretta e disse: – Salve, Angs-mon. Ce l’hai, un cigarillo?

Angsman pescò tabacco e cartine dal taschino della camicia e li porse all’indiano. Delgadito si rollò una sigaretta, in maniera abbastanza improbabile, e rese la busta di tabacco a Angsman, che se ne rollò una a sua volta; poi si sfregò un fiammifero sull’unghia del pollice e le accese entrambe. I due uomini tirarono una robusta boccata e fumarono in silenzio. Infine Angsman disse: – È bello fumare di nuovo con te, Sheekasay.

Delgadito annuí, e Angsman disse ancora: – Sono passati cinque anni, da quando abbiamo fumato assieme a San Carlos.

L’Apache scosse appena il capo. – Da allora, io e te abbiamo fatto uscire il fumo da altre cose, – e aggiunse qualche parola in dialetto mimbre.

Angsman lo guardò di scatto. – Eri a Big Dry Wash?

Delgadito sorrise per la prima volta, e annuí. – Come va la tua ferita, Angs-mon? – chiese, sorridendo ancora di più.

D’istinto, Angsman si portò la mano al fianco, là dove una pallottola l’aveva beccato quel giorno di due anni prima a Dry Wash1, e sorrise anche lui.

Lo sguardo di Delgadito esprimeva il massimo dell’ammirazione cui possa arrivare un Apache. – Tu sei un grande uomo, Angs-mon, – disse l’indiano. – A me piace combattere te. Ma adesso tu hai fatto cosa molto sciocca e io devo fermarti. Non voglio farti del male, Angs-mon, perché a me piace combattere te, ma adesso tu devi andare a casa e smettere di fare lo sciocco e portare via questo vecchio prima che il cattivo odore entri nella sua gamba. E diglielo tu a questo vecchio, Angs-mon, cosa lo aspetta se ritorna. Digli che l’amuleto che porta nella sua mano è fasullo. Fagli vedere che non potrà leggere mai più il suo amuleto a causa del suo sangue –. Per un istante, il suo sguardo raggiunse la sommità del canyon. – Forse questo è l’unico modo, Angs-mon. Col sangue.

Angsman non si mostrò grato per la loro libertà, perché la gratitudine non è un’usanza apache, ma disse: – Sulla strada di casa farò capire bene le tue parole a questi uomini.

– Le mie parole, dille al vecchio, – rispose Delgadito, poi la sua voce si fece gelida. – Al giovane le dirò io –. E spostò gli occhi su Billy Guay.

Angsman deglutí a fatica, pur di restare impassibile. – Non c’è niente che posso dire.

– La madre di Sonkadeya parla al mio orecchio, Angs-mon. Cosa potresti dire? – Delgadito si voltò con decisione e si allontanò.

Angsman salí a cavallo e se ne andò senza aggiungere altro. Nelle orecchie aveva i gemiti di Hyde, al quale la sella sfregava sulla ferita aperta. E quei gemiti stavano già annullando l’urlo che aveva in testa, e che continuava a riecheggiare senza fine. L’urlo di Billy Guay, che veniva trascinato su per il canyon.

Angsman sapeva cosa avrebbe fatto. Aveva sempre la sua vecchia sella e l’altrettanto vecchia carabina, ma sapeva cosa avrebbe fatto. La gamba di Hyde sarebbe guarita, e l’avrebbe spinto a tornare lassù l’anno seguente o quello dopo ancora. E se non era lui sarebbe stato qualcun altro. Il Sudovest era pieno di gente come Hyde. E, allo stesso modo, ci sarebbero stati altri Billy Guay. Tipi dalla bocca e dal grilletto facile, destinati tutti quanti a finire cadaveri, prima o poi, in una rancheria di Mimbre. Angsman sarebbe tornato a Fort Bowie. Certo, ogni tanto ci si annoiava, laggiù, ma le cose da fare non sarebbero mancate mai.

You Never See Apaches…, apparso per la prima volta con il titolo Eight Days from Willcox in «Dime Western Magazine», settembre 1953.

1La battaglia di Big Dry Wash (17 luglio 1882) fu l’ultima combattutatra gli Apache e l’esercito regolare degli Stati Uniti, e vide la pesante disfatta di un gruppo di Apache White Mountain guidati da Na-tio-tish. L’esercito riuscí a sconfiggere gli Apache grazie ai consigli del famoso scout di origine tedesca Al Sieber (1844-1907), del quale il personaggio di Angsmanè una rivisitazione neanche troppo mascherata [N.d.T.].