I tre banditi

1.

Udiva la diligenza, il suo lontano cigolio, il rombo attutito. Ha quasi un’ora di anticipo, pensava. E perché mai, se era partita da Contention in orario?

Il suo nome era Pat Brennan. Era snello, si poteva quasi definire alto, con un viso molto abbronzato e piacevole sotto la tesa calata sugli occhi, e se ne stava in piedi accanto alla sella posata sul terreno, nella tipica postura di chi va molto a cavallo: un’anca più in alto dell’altra. Nella mano destra teneva un fucile Henry e aveva il sole in faccia; con gli occhi socchiusi, guardava su per il pendio, verso la strada malridotta che scendeva tortuosa tra gli alberi di yucca, simili a giganteschi ragni.

Abbassò l’Henry, a calcio in giù, e lo lasciò cadere di traverso sopra la sella, badando a tenere la mano destra lontana dalla Colt, che portava nella fondina legata alla gamba. C’era il rischio di farsi sparare, a starsene sul ciglio della pista delle corriere, in mezzo al nulla e con un fucile tra le mani.

Poi, all’improvviso stagliarsi della diligenza contro il cielo, sovrastata da una nuvola di polvere, si sentí sollevato e sorrise a se stesso, alzando un braccio per farsi notare, mentre la vettura passava tra gli alberi.

Quando gli venne incontro, ondeggiando in un frastuono di legno traballante, ferro e tre coppie di cavalli, Brennan alzò entrambe le braccia; ma si sentí perduto, non appena vide che il conducente non faceva il minimo tentativo di fermare i cavalli. Brennan arretrò in tutta fretta, e la diligenza lo superò veloce, mentre il conducente, da solo a cassetta, si piegava in avanti e si abbassava per guardarlo.

Brennan portò le mani alla bocca, a coppa, e gridò: – Rintooooon!

L’autista si sporse all’indietro, le redini alte tra le dita e lo stivale che pestava sul pedale del freno, in parte voltandosi per guardare oltre il tettuccio della Concord. Brennan si gettò la sella sulla spalla e s’incamminò verso la diligenza che si stava arrestando con gran fracasso.

Vide il nome della compagnia, Hatch & Hodges, e – appena sotto – «Number 42» tracciato a stencil sulla vernice della portiera; poi, da un finestrino laterale, scorse un uomo che lo guardava avvicinarsi con aria irritata. Alle spalle dell’uomo colse il volto di una donna dai tratti morbidi e un cappellino con la piuma, i cui occhi cambiarono subito direzione non appena lo sguardo di Brennan li superò per alzarsi su Ed Rintoon, il conducente.

– Ed, per un attimo ho pensato che col cavolo che ti fermavi.

Rintoon, un tipo sui quarantacinque dalla barba non fatta e la pelle indurita dalle intemperie, si era alzato; teneva un ginocchio sul sedile e guardava in basso, verso Brennan, con lieve sorpresa.

– Ti avevo preso per un poco di buono, ad agitare le braccia in quel modo.

– Mi serve solo un passaggio.

– Che ti è successo?

Brennan fece un sorrisetto, e col pollice indicò un punto indefinito dietro di sé. – Ero andato da Tenvoorde a cercare di comprare qualche vitella e ci ho rimesso il cavallo. Mai scommettere, con lui.

– Conducente!

Brennan si voltò. L’uomo che era apparso al finestrino si stava adesso sporgendo per metà dalla portiera, e guardava Rintoon.

– Non ti pago per passare la giornata con… – lanciò un’occhiata a Brennan, – con il primo che capita.

Rintoon si sporse a sua volta per guardarlo. – Willard, non ha neanche un briciolo di ragione, perché non è lei a pagarmi.

– Ho riservato questa diligenza, e nel prezzo sei compreso anche tu! – Era un giovanotto senza cappello, i capelli lunghi scompigliati dal vento. Alcune ciocche gli erano volate sopra le orecchie, e lanciava occhiatacce a Rintoon col volto ormai paonazzo. – Quando pago per una diligenza, mi aspetto un servizio degno di questo nome.

– Willard, adesso si dia una calmata, – disse Rintoon.

– Mister Mims!

Rintoon sorrise appena, sbirciando Brennan. – Pat, voglio presentarti mister Mims –. Tacque, per poi aggiungere: – Fa il contabile.

Brennan si toccò la tesa del cappello, voltandosi verso la diligenza, e scorse di nuovo la donna. Sembrava sulla trentina: i suoi occhi, adesso, erano enormi e spaventati e non lo guardavano.

Lo sguardo di Brennan passò poi su Willard Mims, che scese dalla diligenza e puntò un dito in alto, contro Rintoon.

– Fratello, hai chiuso! Giuro su Dio che questa sarà la tua ultima corsa su tutte le diligenze del Territorio!

Rintoon si abbassò fin quasi a risedersi. – Vorrà scherzare.

– Vedrai se scherzo o no!

Rintoon scosse il capo. – Dopo dieci anni di fedele servizio, al boss non farà piacere vedermi andar via.

Willard Mims lo fissò in silenzio. – Il tempo di arrivare a Bisbee e avrai già abbassato la cresta, – disse poi, con voce più calma.

Ignorandolo, Rintoon si rivolse a Brennan. – Metti la sella qua sopra.

– Hai sentito cosa ho detto? – sbottò Willard Mims.

– Ha detto che quando arriviamo a Bisbee avrò abbassato la cresta, – rispose Rintoon, allungando una mano per afferrare il pomolo della sella che Brennan aveva appena sollevato.

– Farai bene a ricordartelo!

– Senz’altro, Willard, ma adesso salti a bordo –. Lanciò un’occhiata a Brennan. – Anche tu, Pat.

Willard Mims si irrigidí. – Te lo ricordo ancora una volta. Questa non è una vettura passeggeri.

Brennan sentí montare la rabbia, ma solo per un istante, perché vide come Rintoon stava affrontando la situazione. – Vuole che me la faccia tutta a piedi? – disse con calma. – Sono solo quindici miglia, fino a Sasabe.

– Non ho detto questo, – rispose Mims, spostandosi verso la portiera. – Se vuole un passaggio, salga a cassetta –. Si voltò a guardare Brennan, mentre saliva sul predellino. – Avessimo voluto compagnia, avremmo preso la corsa regolare. È abbastanza chiaro, per lei?

Brennan passò a Rintoon il fucile Henry. – Sissignore, – rispose a Mims, senza guardarlo; poi fece l’occhiolino al conducente e mise un piede sulla ruota, per salire accanto a lui.

Un momento più tardi erano già partiti, dapprima lentamente, tra sobbalzi e ondeggiamenti; poi, quando i cavalli ebbero preso velocità, la strada parve farsi più liscia.

Brennan si sporse verso Rintoon. – Mi chiedevo, in effetti, – disse in mezzo al rumore, accostando la bocca alla faccia grinzosa del conducente, – perché la diligenza fosse in anticipo di quasi un’ora. Ed, sono in debito con te.

Rintoon gli lanciò un’occhiata. – Ringrazia mister Mims.

– Ma chi è, quello?

– Il genero del vecchio Gateway. Ha sposato la figlia del boss, e quindi la più grossa miniera di rame del paese.

– E quella ragazza è sua moglie?

– Doretta, – rispose Rintoon. – È la figlia di Gateway. Destinata a restare zitella, non fosse arrivato Willard a salvarla dal suo destino. Insignificante come una parete a calce.

– Ma non troppo insignificante per Willard, eh?

Rintoon lo guardò di traverso. – Patrick, non c’è niente di insignificante nelle proprietà del vecchio Gateway. Ecco il punto. Quattro anni fa ha comprato metà del pacchetto azionario della Montezuma Copper Mine per duecentocinquantamila dollari, e ha già triplicato il valore del suo investimento. Ti viene in mente qualcuno che ha tutti questi soldi?

Brennan scosse il capo. – Dov’è che li ha presi, tanto per cominciare?

– Dicono che viene da una famiglia ricca, e che è diventato ancora più ricco usando il cervello e investendo bene i suoi soldi.

Brennan scosse di nuovo il capo. – Troppi quattrini, Ed. Troppe preoccupazioni.

– Non è certo Willard a preoccuparsi, non è il tipo. Ha iniziato come contabile della compagnia. Adesso è direttore generale, fin dal giorno del matrimonio. Il vecchio ha scelto Willard perché, tra tutti quelli che aveva attorno, era l’unico con un minimo di eleganza, e sapeva che ad aspettare ancora si sarebbe ritrovato una figlia zitella per l’eternità –. Si fece più vicino. – E poi, Pat, Willard non si rivolge al vecchio come fa col resto del mondo.

– Non mi è sembrata cosí brutta, – disse Brennan.

– Hai passato troppo tempo a Sasabe Creek –. Rintoon lo sbirciò di nuovo. – Cos’è che dicevi? Che hai perso il cavallo scommettendo con Tenvoorde?

– Be’, sono andato da lui a cercare di acquistare qualche vitella…

– A credito, – disse Rintoon.

Brennan annuí. – Anche se avevo intenzione di pagargliene una parte in contanti. Gli ho detto di fissare un interesse onesto, e l’avrei saldato in due anni. Mi ha risposto di no. Quattrini sonanti. Niente soldi, niente vitelle. Per chiudere l’affare mi servivano trecento dollari, ma ne avevo solo cinquanta. Poi, quando stavo per andarmene, mi ha detto: «Patrick, – lo sai come parla, – voglio darti la possibilità di averle gratis, quelle vitelle», e non faceva altro che occhieggiare la mia bestia. «Tu giocati la tua cavalla e i cinquanta dollari, io ci metto tutte le vitelle che ti servono, e la facciamo correre contro uno dei miei».

– E ne hai buscate, – disse Ed Rintoon.

– Non sai quante.

– Pat, non ti riconosco più. Perché non hai comprato cinquanta dollari di vitelle e sei tornato a casa?

– Perché me ne servivano altre, più un buon toro da monta. Avrei potuto comprare il toro, ma poi non avevo vitelle da fargli montare. È quello che ho detto a Tenvoorde. Questo affare è buono come il bestiame che mi vende, gli ho detto. Se chiede tutti quei quattrini per un toro da monta e delle vitelle, allora sa bene che sono fertili. Sa bene di poterli ottenere, quei soldi.

– Ma giù a Sasabe hai già del bestiame, – disse Rintoon.

– Non quanto pensi tu. L’inverno è stato brutto, e ho un sacco di lavori da fare.

– Chi bada al tuo gregge, adesso?

– Ho ancora quei due ragazzi messicani.

– Non saresti dovuto andarci da Tenvoorde, e lo sai.

– Non avevo altra scelta. È l’unico, nelle vicinanze, che ha i vitelli che voglio io.

– Ma una scommessa del genere… Come hai fatto a cascarci? Lo sapevi che avrebbe avuto un cavallo più veloce del tuo.

– Be’, era l’unica scelta che avevo.

Proseguirono in silenzio per una decina di minuti. – Da dov’è che vengono? – chiese infine Brennan.

Rintoon sfoderò un sorrisetto. – Luna di miele. Willard ha costretto il titolare dell’agenzia a organizzare una corsa speciale, solo per loro due. Ha scatenato un gran casino, mentre Doretta cercava di nascondersi.

– Allora, – fu la volta di Brennan a sorridere, – sono in debito con mister Mims, altrimenti me ne starei ancora ad aspettare, con tanto di sella e Henry.

Più tardi, raggiunta la sommità di un’altura fitta di pini, si ritrovarono di colpo in vista della stazione di cambio di Sasabe e del torrente che le scorreva alle spalle. Uscirono dal boschetto e attaccarono a discendere la collina punteggiata dal mesquite.

Rintoon consultò l’orologio. L’arrivo della corsa ordinaria era previsto per le cinque. Fu sorpreso di scoprire che erano appena le quattro e dieci. Poi gli tornò in mente che era stato Willard Mims a prenotare una corsa speciale.

– Io scendo qui a Sasabe, – disse Brennan.

– E come fai ad arrivare a casa?

– Mi faccio prestare un cavallo da Hank.

Via via che si avvicinavano, Rintoon prese a strizzare gli occhi per scrutare i tre edifici in adobe e il corral sul retro. – Non vedo nessuno, – disse. – Di solito Hank è sullo spiazzo. Lui, o suo figlio.

– Non ti aspettano prima di un’ora, – disse Brennan. – Ecco tutto.

– Diamine, stiamo facendo tanto di quel casino che chiunque verrebbe a vedere.

Rintoon diresse i cavalli verso gli edifici, rallentando la loro corsa man mano che Brennan premeva il pedale del freno. Gli animali si fermarono esattamente davanti all’adobe principale.

– Hank!

Rintoon mosse lo sguardo dal vano della porta a tutto lo spiazzo. Chiamò ancora Hank, ma senza ottenere risposta. Aggrottò la fronte. – Questo cazzo di posto sembra deserto, – disse.

Brennan vide gli occhi del conducente spostarsi sul canne mozze e sull’Henry, posati a cassetta. Poi Rintoon guardò di nuovo verso lo spiazzo.

– Ma dove accidenti è andato a finire Hank?

Dall’adobe giunse un rumore. Uno stivale che raspava per terra, o qualcosa di simile, e un istante dopo un uomo apparve sulla soglia. Aveva una barba scura con qualche traccia di grigio e un gran bisogno di essere spuntata. Li stava osservando con calma, quasi con indifferenza, e allo stesso tempo li teneva sotto il tiro di una Colt.

Uscí sullo spiazzo, seguito da un secondo uomo che impugnava una doppietta. Il barbuto puntò la Colt sulla portiera della diligenza, mentre la doppietta era rivolta verso Brennan e Rintoon.

– Buttate le armi, voi due, e scendete –. Indossava abiti da lavoro, sporchi e stinti dal sole, e reggeva la doppietta con una certa disinvoltura, come se la situazione non fosse insolita. Aveva almeno dieci anni meno del barbuto. Brennan sfilò il revolver dalla fondina. – Piano, – disse l’uomo con la doppietta, e sorrise quando vide Brennan gettare la pistola oltre la ruota.

Rintoon, che non portava revolver, non si mosse.

– Se hai qualcosa, lassù a cassetta, – gli disse il tipo con la doppietta, – tiralo fuori.

Rintoon borbottò sottovoce. Abbassò una mano a prendere l’Henry di Brennan, che stava accanto al suo canne mozze, col dito che già gli scivolava sul grilletto. Lo sollevò esitante. – Non fare pazzie, – gli sussurrò Brennan muovendo appena le labbra.

Rintoon si alzò e si voltò, ancora esitante, poi lasciò cadere il fucile. – C’è altro?

Rintoon scosse la testa. – Nient’altro.

– Allora scendi.

Rintoon voltò la schiena, si piegò per scendere, il piede alla ricerca della ruota sottostante, e chiuse la mano sul canne mozze. – Non farlo! – bisbigliò Brennan.

Rintoon borbottò qualcosa che somigliava più a un ringhio. Brennan si sporse verso di lui, come per dargli una mano a scendere. – Hai due colpi. Metti che quelli siano più di due.

Rintoon grugní. – Occhio, Pat! – E afferrò il canne mozze.

Brennan lo vide voltarsi di nuovo e saltare giù dalla ruota, un lampo ad altezza uomo che usciva dalle tozze canne della doppietta, e allo stesso tempo un solo colpo di pistola a squarciare il silenzio. Vide Rintoon accasciarsi al suolo e il canne mozze cadergli accanto, e di colpo si rese conto dell’odore di cordite e dell’uomo alla finestra dell’adobe.

– Be’, cosí risparmiamo tempo, – disse quello con la doppietta, e si guardò attorno mentre il terzo uomo usciva dall’edificio. – Chink, giuro che l’hai beccato a mezz’aria.

– Me l’aspettavo, che il vecchio cercasse di giocarci qualche tiro, – disse il tizio chiamato Chink. Indossava due cinturoni incrociati, bassi sui fianchi e carichi di proiettili, e la sua seconda Colt era ancora nella fondina.

Brennan saltò giù e voltò Rintoon con cautela, sollevandogli la testa da terra. Guardò dapprima la figura immobile e poi Chink. – È morto.

Chink se ne stava a gambe divaricate, e restituí a Brennan un’occhiata indifferente. – Altro che.

– Non c’era bisogno di ucciderlo.

– Prima o poi l’avrei fatto lo stesso, – disse Chink alzando le spalle.

– Perché?

– È cosí che va il mondo.

Il barbuto non si era mosso. – Chiudi il becco, Chink, – disse infine, a bassa voce. Poi lanciò un’occhiata al tipo con la doppietta e gli disse, col medesimo tono: – Billy-Jack, tirali fuori di lí, – indicando col capo la diligenza.

2.

In ginocchio accanto a Rintoon, Brennan li scrutò con attenzione. Osservò Billy-Jack aprire lo sportello della diligenza, vide la sua bocca aprirsi in un sorrisetto quando Doretta Mims scese per prima. Lo sguardo di lei cadde su Rintoon, ma ne fuggí all’istante. Willard Mims esitò, poi scese a sua volta, precipitoso e quasi inciampando, mentre Billy-Jack gli puntava contro la doppietta. Si mise accanto alla moglie, fissando a occhi sbarrati il cadavere di Rintoon.

È lui, stava pensando Brennan nel guardare il barbuto, è lui quello da tenere d’occhio. È lui che dà gli ordini, e non sembra uno che perde la testa… E poi quello chiamato Chink…

Brennan spostò gli occhi su di lui. Se ne stava con un fianco in avanti, il cappello sulla nuca e la mano libera che ne tormentava la cordicella ben tirata sotto il labbro inferiore. Con l’altra mano reggeva la Colt .44 a canna lunga, puntata verso il basso ma pronta a sparare.

Non gli parrebbe vero che qualcuno ci provasse, pensò Brennan. Muore dalla voglia. Ha due pistole e pensa di essere in gamba. Be’, magari lo è davvero. Ma è anche giovane, il più giovane dei tre, ed è un tipo ansioso. Continuò a guardare Chink e gli passò per la mente che non era il caso di provare neanche a rollarsi una sigaretta, con quello in giro.

– Billy-Jack, – disse il tipo con la barba, – sali sul tetto della carrozza.

Brennan alzò gli occhi e guardò l’uomo salire dal mozzo della ruota fino a cassetta e poi chinarsi sul sedile del conducente. È il terzo nella linea di comando, pensò. E continua a guardare la donna. Ma non lo devi sottovalutare. Ha un’arma di grosso calibro.

– Frank, quassù c’è solo una vecchia sella.

Il tipo con la barba, Frank Usher, alzò gli occhi a sua volta. – Guardaci sotto.

– Non c’è niente neanche lí.

Lo sguardo di Usher si spostò prima su Willard Mims, poi su Brennan. – Dov’è la posta?

– Non ne ho idea, – rispose Brennan.

Frank Usher guardò di nuovo Willard Mims. – Dimmelo tu.

– Non è la corsa regolare, questa, – disse esitante Mims. Poi il suo volto si rilassò e fu quasi sul punto di sorridere. – Avete commesso un errore. La corsa regolare non passa prima di un’ora –. Continuò, con voce sempre più eccitata. – Quella che volete voi è la diligenza che arriva alle cinque. Questa qui, invece, l’ho noleggiata io –. Adesso sorrideva. – Io e mia moglie stiamo giusto tornando dalla luna di miele, e sa com’è…

Frank Usher guardò Brennan. – È vero?

– Certo che sí! – Mims iniziava ad alzare la voce. – Vada a controllare l’orario.

– Lo sto chiedendo a lui.

Brennan fece spallucce. – Non ne ho idea.

– Non sa proprio un bel niente, questo, – disse Chink.

Billy-Jack scese dalla diligenza. – Va’ dentro a cercare un orario, – gli disse Usher, poi fece un cenno del capo a Doretta Mims. – Portati dietro la donna. Falle preparare del caffè e qualcosa da mangiare.

– Cosa ne avete fatto di Hank? – disse Brennan.

Gli occhi inespressivi di Frank Usher si spostarono su di lui. – E chi sarebbe?

– L’addetto alla stazione, qui.

Chink sorrise e agitò il revolver puntandolo ben oltre l’adobe principale. – È laggiù, nel pozzo.

– Ti basta, come risposta? – disse Usher.

– E il figlio?

– Con lui, – disse Usher. – C’è altro?

Brennan scosse lentamente il capo. – Basta cosí –. Erano entrambi morti, l’aveva capito, e di colpo provò una violenta paura di quell’uomo barbuto, del suo sguardo spento e della sua voce bassa; gli ci volle un certo sforzo di volontà per mantenersi calmo. Vide Billy-Jack che prendeva Doretta per un braccio. Lei guardò implorante il marito, cercando di resistere, ma Mims non fece il minimo cenno di volerla aiutare. Con uno scossone, Billy-Jack la trascinò via.

– Lo troverà, quell’orario, – disse Willard Mims. – Gliel’ho detto, la diligenza passa alle cinque. Capisco come avete fatto a sbagliare –. Adesso Willard sorrideva. – L’avete presa per la corsa regolare. Accidenti, noi ce ne stavamo solo andando a casa, a Bisbee. Vedrà che alle cinque in punto arriva quella del servizio passeggeri, con la posta.

– Ha la lingua lunga, – disse Chink.

Billy-Jack apparve sulla soglia dell’adobe. – Frank, cinque in punto, cazzo! – Agitava un foglio di carta gialla.

– Visto? – Willard Mims sorrideva, tutto eccitato. – Senta, se ci lasciate andare ripartiamo subito –. Alzò la voce. – E giuro su Dio che non diremo una sola parola su quello che abbiamo visto.

Chink scosse la testa. – È un bel tipo, questo.

– Senta, giuro su Dio che non diremo niente!

– Le credo, – disse Frank Usher, poi guardò Brennan e lo indicò col capo. – Dov’è che l’ha trovato?

– Ci siamo appena incontrati, – disse Brennan.

– Ed è d’accordo con lui?

– Se dicessi di sí, – rispose Brennan, – lei non mi crederebbe, e avrebbe anche ragione.

La bocca di Frank Usher fu come sfiorata da un sorriso. – È da stupidi anche starne a parlare, non crede?

– Penso di sí, – disse Brennan.

– Sa cosa vi succederà? – gli chiese Usher con tono piatto.

Brennan annuí senza rispondere.

Frank Usher lo studiò in silenzio. – Paura? – gli chiese poi.

– Certo, – annuí di nuovo Brennan.

– Almeno è sincero. Devo dargliene atto.

– Non conosco momenti migliori per essere sincero, – disse Brennan.

– Quell’accidente di pozzo finirà per traboccare, – disse Chink.

Willard Mims aveva ascoltato incredulo, gli occhi spalancati. – Un momento! – disse in fretta. – Cosa gli date retta a fare? Ve l’ho detto, giuro su Dio che non dirò una sola parola di questa faccenda. Se non vi fidate di lui, allora tenetelo qui! Non conosco quest’uomo, e comunque non ho intenzione di parlare per lui.

– Sarei più propenso a credere a lui, piuttosto che a lei, – disse Frank Usher.

– Ma se non c’entra niente, con noi! L’abbiamo raccolto in mezzo al deserto!

Chunk si portò la .44 all’altezza del petto, gli occhi su Willard Mims. – Attacca a correre verso il pozzo, – gli disse, – e vedi se riesci a farcela.

– Amico, sia ragionevole!

Frank Usher scosse il capo. – Di mandarvi via non se ne parla, e nemmeno di tenervi in bella vista quando arriverà la diligenza. Può mettersi a urlare fino a perdere la testa, ma le cose stanno cosí.

– E mia moglie?

– Mica è colpa mia se è una donna.

Willard Mims fu sul punto di aprire bocca, ma tacque. Spostò lo sguardo sull’adobe, poi di nuovo su Usher. Abbassò la voce, da cui era scomparsa ogni traccia di eccitazione. – Lo sa chi è? – Si accostò al barbuto. – È la figlia del vecchio Gateway, che guarda caso possiede la terza più grossa miniera di rame dell’Arizona. E sa quanto vale, quella miniera? A tutt’oggi, settecentocinquantamila dollari –. Lo disse lentamente, senza staccare gli occhi da Usher.

– Venga al sodo, – disse Usher.

– Amico, ma se ce l’ha proprio davanti agli occhi! Lei si ritrova tra le mani la figlia di un milionario. La sua unica figlia! Quanto crede che sarà disposto a pagare, per riaverla?

– Non lo so, – disse Usher. – Quanto?

– Qualunque cifra! Ve ne state qui ad aspettare di fare una rapina da quattro soldi, mentre avete una miniera d’oro tra le mani.

– Come faccio a sapere che è proprio sua figlia?

Willard Mims guardò Brennan. – Lei ci ha parlato, con il conducente. Non gliel’ha detto?

Brennan esitò. Se quel tizio voleva usare la moglie come pedina di scambio, erano fatti suoi. Avrebbero comunque guadagnato tempo, ed era la cosa più importante. Quindi annuí. – Giusto. Sua moglie è Doretta Gateway.

– E lei come c’entra, in questa storia?

– Sono il direttore generale della Montezuma, per conto di mister Gateway.

Adesso Frank Usher taceva, e guardava Mims. – Immagino, – disse alla fine, – che lei sia disposto a recapitare un messaggio.

– Certamente, – ripose subito Mims.

– E noi non la rivedremo mai più.

– E per salvarmi la pelle lascerei qui mia moglie?

Usher annuí. – Ne sarebbe capace, secondo me.

– Allora è inutile star qui a discutere –. Mims alzò le spalle e, al solo guardarlo, Brennan capí che stava recitando. Si prendeva un bel rischio.

– Possiamo discuterne, invece, – disse Frank Usher, – perché se lo facciamo, lo facciamo a modo mio –. Lanciò un’occhiata verso la casa. – Billy-Jack! – Poi si rivolse a Brennan. – Voi due andate a sedervi contro il muro.

Billy-Jack uscí dalla casa e, da dove erano seduti, Brennan e Willard rimasero a osservare il capannello dei tre banditi. Era Frank Usher a reggere il peso della conversazione. Dopo qualche minuto Billy-Jack rientrò nell’adobe e ne uscí con l’orario giallo e una busta. Usher prese il tutto e scrisse qualcosa sul retro della busta, usando la portiera della Concord come appoggio.

Poi andò loro incontro, piegando il foglio nella busta. La chiuse e la porse a Willard Mims, assieme alla matita. – Ci scriva sopra il nome di Gateway e dove possiamo trovarlo. Ah, scriva anche personale e urgente.

– Posso vederlo io, e dirglielo di persona, – disse Willard Mims.

– È quello che farà, – disse Frank Usher, – ma non a modo suo. Dovrà fermarsi sulla strada principale un miglio prima di Bisbee e consegnare la busta a qualcuno di passaggio. Nel biglietto c’è scritto che lei ha qualcosa da dire a Gateway su sua figlia, e che lui dovrà farsi vedere da solo. Quando uscirà, lei gli racconterà tutto per filo e per segno. Se il vecchio dice di no, non rivedrà più sua figlia. Se dice di sí, deve portare cinquantamila dollari in contanti, suddivisi in tre sacche da sella, in un posto sull’altra riva del Sasabe. E deve portarli da solo.

– E se non ha tutti quei contanti sottomano? – disse Mims.

– Cazzi suoi.

– Ma perché non posso andarci io, da lui, a dirgli tutto?

– Perché Billy-Jack verrà con lei per riaccompagnarla qui a missione compiuta. E io non voglio che lo becchino.

– Ah.

– Qualunque sia la risposta di Gateway, – aggiunse Frank Usher.

Mims tacque per un istante. – Ma come farà a sapere la strada, il vecchio Gateway?

– Se dice di sí, allora Billy-Jack gli darà tutte le indicazioni.

– Quindi, se va tutto come dice lei, poi ci lascerà andare? Eh?

– Esatto.

– Quand’è che partiamo?

– Subito.

– Posso salutare mia moglie?

– A questo ci pensiamo noi.

Brennan vide Billy-Jack che arrivava dal corral con due cavalli. Willard Mims ne scelse uno, ed entrambi montarono in sella. Di colpo, Billy-Jack tirò le redini del suo, costringendo anche Mims a mutare direzione, poi mollò una pacca sul posteriore del cavallo di Willard, che partí di gran carriera, e piantò gli speroni nei fianchi della sua cavalcatura.

Frank Usher rimase a guardarli a occhi socchiusi. – Quello si gioca la moglie ai dadi e pretende anche di darle un bacio d’addio –. Lanciò un’occhiata a Brennan. – Me lo sa spiegare?

Brennan scosse il capo. – Quel che vorrei sapere io da lei, invece, è perché ha chiesto solo cinquantamila dollari.

Frank Usher fece spallucce. – Non sono avido, io.

3.

Chink si voltò, mentre i due cavalli guadavano il torrente tra gli spruzzi e si facevano sempre più piccoli lungo la pista. Guardò Brennan e poi Frank Usher. – Questo qua non ci serve, Frank.

Gli occhi inespressivi di Usher si spostarono veloci sul bandito. – Tu va’ a prendere i cavalli, che a lui ci penso io.

– Tanto vale farlo fuori subito, – disse Chink.

– Lo portiamo con noi.

– Perché?

– Perché lo dico io. Ti basta?

– Frank, possiamo farlo correre verso il pozzo e cercare di beccarlo tutti e due.

– Prendi i cavalli, – disse secco Frank Usher, e fissò Chink fino a quando il pistolero non si decise a voltarsi e andare via.

– Vorrei seppellire quest’uomo, prima di andarcene, – disse Brennan.

Usher scosse il capo. – Lo getti nel pozzo.

– Non è il suo posto, quello!

Usher guardò fisso Brennan per un lungo istante. – Non forzi la mano alla fortuna. Nel pozzo ci va a finire comunque, che ce lo butti lei o Chink.

Brennan si caricò in spalla il corpo inerte di Rintoon e attraversò il cortile. Al suo ritorno, Chink stava uscendo da dietro l’adobe con tre cavalli già sellati. Frank Usher era vicino alla casa, e anche Doretta Mims apparve sulla soglia.

Usher la guardò. – Le toccherà montare come noi. Non abbiamo selle da donna.

Lei uscí, senza rispondergli né guardarlo.

– Ne stacchi uno e spari agli altri, – gridò Usher a Brennan, indicando la diligenza con la testa.

Qualche minuto più tardi la stazione di cambio di Sasabe era deserta.

Seguirono il corso del torrente in direzione ovest per quasi un’ora, prima di dirigersi a sud, verso le colline. Altre cinque miglia e sarei a casa, aveva pensato Brennan mentre si allontanavano dal torrente. E i suoi occhi indugiarono sulla lunga e poco profonda conca del Sasabe fin quando il gruppo non raggiunse una sacca che s’inerpicava tortuosa tra le colline, e la valle del Sasabe scomparve alla vista.

Frank Usher guidava il gruppo in fila indiana: Doretta Mims, seguita da Brennan, e Chink a chiudere la processione. Chink cavalcava scomposto, ondeggiando a ogni movimento della sua cavalla bigia: morsicava pigro la cordicella del cappello e teneva d’occhio Brennan.

Brennan, invece, teneva d’occhio la donna. Per quasi un miglio, mentre risalivano il corso del torrente, aveva notato che tremava in silenzio, e si era reso conto che piangeva. Già quand’era salita a cavallo sembrava sul punto di scoppiare in lacrime: si era tirata giù le sottane con gesto quasi disperato, poi si era seduta aggrappandosi al pomolo con entrambe le mani, mordendosi il labbro inferiore e non guardando nessuno. Chink aveva accostato il cavallo al suo per dirle qualcosa, e lei aveva voltato la testa in fretta, mentre il colore le saliva dalla gola al viso.

Scesero in una barranca fitta di salici e pioppi, e seguirono un altro torrentello che infine scomparve in lontananza tra le rocce. Dopo di che iniziarono di nuovo a salire. Per qualche tempo cavalcarono nella soffice semioscurità degli alberi, seguendo i tornanti della pista che si inerpicava sempre più ripida; infine uscirono allo scoperto e attraversarono un pendio nudo e ghiaioso, sovrastati da vette di arenaria che la luce del sole ormai calante colorava di un gelido rosa.

Si stavano avvicinando all’altro versante del pendio, quando Frank Usher disse: – Siamo arrivati.

Brennan guardò oltre Usher e riuscí finalmente a scorgere, nella pineta ormai vicina, una baracca di pietre e legno, battuta dalle intemperie e incastrata proprio sotto la ripida parete di arenaria. Su un lato della baracca c’era una tettoia coperta di pelli. – Chink, – sentí dire da Frank Usher, – fagli accendere il fuoco, mentre io dico alla donna di preparare la cena.

Non c’era stato tempo di mangiare ciò che Doretta aveva preparato alla stazione di cambio, e adesso Frank Usher e Chink si buttarono sul cibo con ingordigia, accovacciati a una decina di metri dalla tettoia sotto la quale stavano Brennan e la donna.

Brennan prese un piatto di carne secca e pane raffermo, ma Doretta Mims non toccò cibo. Gli rimase accanto, volgendogli in parte la schiena, e continuò a fissare tra gli alberi il nudo pendio da cui erano venuti. – Farebbe meglio a mangiare qualcosa, – le disse a un certo punto Brennan, ma lei non rispose.

Alla fine del pasto Frank Usher ordinò a Brennan e Doretta di entrare nella baracca. – Stanotte restate qui, e se cercate di avvicinarvi alla porta vi spariamo addosso senza tante storie. Chiaro?

La donna entrò in tutta fretta. Quando Brennan entrò a sua volta, la vide addossata alla parete opposta, quasi in un angolo.

La baracca aveva un tetto di sterpi ed era priva di finestre. In quell’oscurità Brennan riusciva a malapena a distinguere Doretta Mims. Avrebbe voluto andare a sederle accanto, ma gli venne in mente che quasi di sicuro la donna aveva la stessa paura di lui che di Frank Usher e Chink. Cosí si ricavò uno spazio contro la parete cui avevano appoggiato le selle, piegando una coperta da cavallo per puntarci sopra il gomito, e si sistemò sul pavimento in terriccio. Vediamo se si riprende da sola, pensò; dopo, magari, le verrà anche voglia di parlare.

Si rollò una sigaretta e l’accese, scorgendo per un attimo il volto impietrito della donna alla luce del fiammifero, poi si sdraiò del tutto, con la testa su una sella, e fumò al buio e in silenzio.

Ben presto la baracca fu nell’oscurità più completa. Non riusciva più a scorgere la donna, anche se nella sua immaginazione poteva sentirne la presenza. Fuori, Usher e Chink avevano aggiunto legna al fuoco da campo di fronte alla tettoia, e il suo caldo bagliore illuminava l’entrata priva di porta della baracca.

Passeranno la notte attorno al fuoco, pensò Brennan, e uno dei due resterà sveglio a turno. Mi basterebbe mettere il naso sulla soglia, e bam. Magari Frank avrebbe mirato basso, ma Chink sparava per uccidere. Il pensiero di Chink lo mandava in bestia, ma visto che non poteva farci nulla si limitò a fumare lentamente la sua sigaretta e a cercare di rilassarsi. Vacci piano, pensava. Si sentiva responsabile per la donna, e nemmeno una volta fu sfiorato dall’idea che lui non c’entrava proprio niente. Era una donna, ed era sola. Tutto qui.

Mentre spegneva la sigaretta sul pavimento, la udí muoversi. Rimase immobile e si rese conto che stava venendo verso di lui. Poi la sentí inginocchiarsi al suo fianco.

– Lei sa cosa hanno fatto a mio marito?

Brennan ne immaginava il volto tirato, gli occhi sbarrati nell’oscurità. Si tirò su lentamente e, quando le toccò il braccio, la sentí irrigidirsi. – Si sieda qui, starà più comoda –. Si spostò per lasciarle spazio sulla coperta. – Suo marito sta bene, – le disse.

– E dov’è?

– Non gliel’hanno detto?

– No.

Brennan tacque per un istante. – Uno di loro l’ha portato a Bisbee a vedere suo padre.

– Mio padre?

– Per chiedergli di pagare un riscatto.

– Allora mio marito sta bene –. Era sollevata, si capiva dal tono della voce.

Qualche attimo dopo, Brennan riprese a parlare. – Perché non cerca di dormire? Può appoggiare la testa su una di queste selle.

– Non sono stanca.

– Lo sarà presto, se non dorme.

– Dovevano sapere fin dall’inizio che stavamo arrivando, – disse lei.

Brennan non rispose.

– Non è cosí?

– Non saprei, signora.

– Altrimenti come facevano a sapere chi è mio padre?

– Può darsi.

– Uno di loro, magari, sarà capitato a Contention e avrà sentito mio marito quando ha noleggiato la carrozza. Magari è stato anche a Bisbee, e sapeva che mio padre… – La voce le si spense: si era resa conto di parlare più a se stessa che a Brennan.

– Mi sembra che stia un po’ meglio, adesso, – disse Brennan dopo una pausa.

– Sí, credo di sí, – rispose lei.

– Suo marito tornerà domani mattina, – le disse Brennan.

Lei gli sfiorò il braccio. – Davvero, mi sento meglio, mister Brennan.

Fu sorpreso che si ricordasse il suo nome. Rintoon l’aveva citato una sola volta, ore addietro. – Mi fa piacere. Adesso perché non cerca di dormire?

Lei si adagiò sulla coperta, pian piano, e per qualche minuto vi fu silenzio.

– Mister Brennan?

– Sí, signora?

– Sono cosí dispiaciuta per il suo amico.

– Chi?

– Il conducente.

– Oh. Grazie.

– Lo ricorderò nelle mie preghiere, – disse lei, e non parlò più.

Brennan fumò un’altra sigaretta e rimase seduto, immobile, per quella che gli parve una mezz’ora buona, fin quando non fu sicuro che Doretta Mims si era addormentata.

Quindi strisciò sul pavimento, fino alla parete opposta. Sullo stomaco, avanzò poi verso la porta, rasente il muro. Tenendo il volto vicino all’apertura, riuscí a scorgere, sulla destra, il fuoco che si stava spegnendo. Dietro di esso, avvolto in una coperta, era sdraiato un uomo.

Brennan si alzò lentamente, abbracciato alla parete. Mosse la testa di qualche centimetro per vedere il lato del fuoco più vicino alla tettoia, e udí all’istante l’inconfondibile scatto del cane di un revolver. Di colpo ritirò la testa e tornò alla sua sella, accanto a Doretta Mims.

4.

Al mattino portarono fuori Doretta Mims per farla cucinare; poi, mentre mangiavano, la rispedirono nella baracca. Al termine lasciarono andare la donna e Brennan sotto la tettoia.

– Era per caso una testa, quella che ho visto spuntare dalla porta stanotte? – disse Frank Usher.

– Se lo era, – rispose Brennan, – perché non le ha sparato?

– C’è mancato poco. Le è andata bene che è scomparsa, – disse Usher. – Qualunque cosa fosse –. E se ne andò tra gli alberi, verso il punto in cui avevano lasciato i cavalli.

Chink si sedette su un ceppo e prese a rollarsi una sigaretta.

A qualche passo da Doretta Mims, Brennan si appoggiò alla parete della baracca e cominciò a mangiare. Vedeva il profilo della donna ogni volta che lei girava la testa per guardare il pendio attraverso gli alberi.

Forse è davvero un po’ scialba, pensò. Il naso non è cosí dritto da restare impresso, e i capelli… se non li tirasse indietro in quel modo sembrerebbe un po’ più giovane e allegra. Potrebbe curarli di più, in effetti. Anche l’abbigliamento, peraltro, per far capire che è una donna.

E ne provò compassione, vedendola mordersi il labbro inferiore e stare sempre con gli occhi puntati tra gli alberi. Per qualche motivo che non si sapeva spiegare, benché si rendesse conto che la simpatia non c’entrava niente, sentiva di esserle molto vicino, come se la conoscesse da un sacco di tempo, come se gli bastasse guardarla negli occhi – non solo in quel momento, ma sempre – per capire cosa stesse pensando. Cosí realizzò che era proprio simpatia, in un certo senso, ma senza traccia di compassione. Se la immaginava ragazzina, poi adolescente e un po’ timida, cosí come ne immaginava vagamente il padre. E adesso era una ragazza sensibile, che temeva di dire la cosa sbagliata; che temeva di parlare a sproposito anche se questo significava arrovellarsi, invece di sapere con precisione cos’era capitato a suo marito. Che aveva paura di sembrare sciocca, mentre gli uomini come suo marito non facevano altro che parlare a vuoto. Ma sebbene le toccasse starlo a sentire, non avrebbe mai detto nulla contro di lui, perché era suo marito.

È questa la donna giusta, pensò Brennan. Quella che sta sempre dalla tua parte, non importa il perché. Una che ha qualcosa dentro, pensò guardandola, e non soltanto in superficie. Il tipo di donna, forse, che devi perdere per apprezzarla sul serio.

– Signora Mims.

Lei lo guardò, gli occhi ancora carichi di ansia a forza di guardare tra gli alberi.

– Arriverà, signora Mims. Tra poco.

Tornò Frank Usher, e fece loro cenno di entrare nella baracca. Poi parlò a Chink per qualche minuto e il pistolero s’incamminò tra gli alberi.

– Uno di loro va a mettersi di vedetta in attesa di suo marito, – disse Brennan alla donna, senza voltare la testa e guardando fuori dalla soglia della baracca.

Quando Chink uscí dal boschetto, qualche tempo dopo, Frank Usher era in piedi accanto alla tettoia. Il barbuto andò incontro al pistolero.

– Arrivano?

Chink annuí. – Iniziano ad attraversare il pendio.

Qualche minuto più tardi due cavalli apparvero alla vista, tagliando il dislivello. Quando uscirono dal boschetto, Frank Usher gridò: – Legateli laggiù, all’ombra! – Poi, assieme a Chink, guardò i due uomini scendere di sella e attraversare la radura verso di loro.

– Tutto sistemato! – gridò Willard Mims.

Frank Usher attese che si fossero avvicinati. – Che ha detto?

– Che porterà lui il denaro.

– È vero, Billy-Jack?

Billy-Jack annuí. – Ha detto proprio cosí –. In mano aveva il canne mozze di Rintoon.

– Ti è parso che volesse fare scherzi?

Billy-Jack scosse la testa.

Usher si passò le dita tra la barba, continuando a fissare Mims. – E riesce a raggranellare tutti quei soldi?

– Ha detto di sí, anche se gli ci vorrà quasi tutto il giorno.

– Il che significa che verrà domani, – disse Usher.

Willard Mims annuí. – Esatto.

Gli occhi di Usher si spostarono su Billy-Jack. – Gli hai detto come arrivare?

– Come hai detto tu, dritto all’imboccatura di quella barranca piena zeppa di salici. Poi uno di noi lo porta qui.

– Sicuro che riuscirà a trovarla?

– Gliel’ho fatto ripetere due volte, – disse Billy-Jack. – Ogni minima curva.

Usher guardò di nuovo Willard Mims. – Come l’ha presa?

– Secondo lei, come l’avrà presa?

Usher rimase in silenzio, gli occhi fissi su Mims. Poi riprese ad accarezzarsi la barba. – Sono io che faccio le domande, – disse.

Mims alzò le spalle. – Certo, è uscito di testa, ma non poteva farci proprio niente. È un uomo ragionevole.

Billy-Jack stava sogghignando. – Frank, domani a quest’ora saremo ricchi sfondati.

Willard Mims annuí. – Credo che abbiate fatto un buon affare.

Lo sguardo di Frank Usher non aveva ancora lasciato Mims. – Vuole restare qui o tornare indietro?

– Cosa?

– Ha sentito quel che ho detto.

– Vuol dire che mi lasciate andare… subito?

– Non abbiamo più bisogno di lei.

Gli occhi di Willard Mims saettarono verso la baracca, per poi tornare su Frank Usher. – Potrei tornare indietro ora, e portare qui il vecchio Gateway domani mattina.

– Certo che potrebbe, – disse Usher.

– Ascolti, preferirei stare con mia moglie, ma se questo significa far arrivare qui il vecchio Gateway il prima possibile, allora credo che farei meglio ad andare.

Usher annuí. – Capisco.

– Lei è stato corretto con me, e quindi, perdio, io farò altrettanto con lei.

Mims fece per andarsene.

– Non vuole vedere prima sua moglie? – disse Usher.

Mims esitò. – Be’, prima vado meglio è. Doretta capirà.

– Allora ci vediamo domani, eh?

Mims sorrise. – Su per giù alla stessa ora –. Esitò. – Tutto a posto se vado?

– Sicuro.

Mims arretrò di qualche passo, sempre sorridendo, poi si voltò e si incamminò verso il boschetto. Guardò indietro una volta, salutando con la mano.

Frank Usher rimase a guardarlo, gli occhi socchiusi ai raggi del sole. Quando Mims ebbe quasi raggiunto gli alberi, Usher disse, tranquillo: – Chink, spaccialo.

Chink aprí il fuoco, la .44 a metà strada fra la vita e le spalle, la lunga canna che si alzava leggermente mentre il pistolero continuava a sparare, fino a quando Mims non cadde a terra e rimase immobile, mentre le forti esplosioni sfumavano in un silenzio di tomba.

5.

Frank Usher attese che Billy-Jack si chinasse su Mims. Poi lo vide alzare gli occhi e annuire.

– Fallo sparire, – disse, e guardò il compagno che trascinava il cadavere tra gli alberi, fino al pendio, e poi lo lasciava andare. Il corpo senza vita iniziò a rotolare giù per la discesa, sollevando una nuvola di polvere, e scomparve tra i cespugli in basso.

Frank Usher si voltò per tornare alla baracca.

Quando raggiunse la bassa entrata, Brennan si fece da parte. Il barbuto vide la donna sul pavimento, il viso sepolto nell’incavo del braccio appoggiato a una sella, le spalle che si agitavano come in preda alle convulsioni. Singhiozzava.

– Che le succede? – chiese.

Brennan non rispose.

– Pensavo di farle un piacere, – disse Usher. Le andò vicino, la mano a coprire il calcio del revolver, e le toccò il braccio con la punta dello stivale. – Amica, non capisce di cosa si è appena liberata?

– Non sapeva cosa avesse combinato il marito, – disse sottovoce Brennan.

Usher lo guardò con una certa sorpresa. – No, a pensarci bene, credo proprio di no –. Abbassò lo sguardo su Doretta Mims e la toccò di nuovo con lo stivale. – Non sapeva che quello l’aveva appena venduta? Era venuta a lui, l’idea, per salvarsi la pelle –. Usher tacque per un attimo. – Ed era pronto a lasciarla qui, su due piedi… e mi ha fatto uno schifo…

Doretta Mims non singhiozzava più, ma rimase a testa bassa.

Usher continuava a fissarla. – Che razza di uomo ha sposato? Uno capace di farle una cosa del genere.

– Ha fatto una cosa sbagliata, certo, – disse Brennan, spostando lo sguardo dalla donna a Usher, – ma non mi sembra che assecondarlo e poi prenderlo a revolverate sia stato cosí giusto.

Usher gli lanciò un’occhiataccia. – Se non capisce la differenza, certo non gliela spiegherò io –. Gli voltò le spalle e se ne andò.

Brennan rimase a osservare la donna a terra per qualche istante, poi si avvicinò alla porta e sedette sulla soglia. Dopo un po’ udí Doretta Mims che aveva ripreso a piangere. E i suoi singhiozzi attutiti durarono per parecchio tempo, mentre Brennan guardava lo spiazzo illuminato dal sole, sul quale a turno appariva l’uno o l’altro dei tre fuorilegge.

Quando Frank Usher e Billy-Jack si allontanarono, Brennan valutò che fosse quasi mezzogiorno. A cavallo, i due attraversarono la radura e si infilarono tra gli alberi, mentre Chink, in piedi, li teneva d’occhio.

Si stanno innervosendo, pensò Brennan. Se devono restare qui fino a domani, vogliono essere certi che nessuno abbia seguito la loro pista. Ma ci vorrebbe il miglior cacciatore di tracce di tutta San Carlos per scovare i segni del nostro percorso da Sasabe.

Vide Chink che tornava a passo lento alla tettoia, guardava verso la baracca e si fermava nella sua solita posizione: un fianco in avanti, i pollici nei cinturoni incrociati.

– A quanti siamo? – chiese Brennan.

– Eh? – Chink si raddrizzò appena.

Brennan indicò col capo il punto in cui Mims era stato ammazzato. – Stamattina.

– Quello? Il settimo, – disse Chink.

– E tutti allo stesso modo? – gli domandò.

– Che vuoi dire?

– Nella schiena.

– Sta’ sicuro che, a te, ti becco da davanti.

– Quando?

– Domani, prima di partire. Contaci.

– Se il tuo boss ti autorizza.

– Tu non preoccuparti, – disse Chink. – In effetti, potresti anche provarci subito, a scappare. Non è certo come starsene lí ad aspettare la botta.

– Se devo aspettare, aspetto fino a domani, – disse Brennan.

Chink fece spallucce e se ne andò.

Dopo qualche minuto Brennan si rese conto che nella baracca era calato il silenzio. Si voltò a guardare Doretta Mims. La donna si era messa seduta e fissava la parete opposta con espressione stordita.

Brennan le andò accanto e si sedette di nuovo. – Signora Mims, mi spiace…

– Perché non mi ha detto i piani di mio marito?

– Non sarebbe servito a niente.

Lei guardò Brennan con aria implorante. – Magari l’ha fatto per tutti noi.

Brennan annuí. – Potrebbe anche darsi.

– Ma lei non ci crede, vero?

Brennan la guardò attentamente. Aveva gli occhi gonfi a furia di piangere. – Signora Mims, lei conosceva suo marito meglio di me.

La donna abbassò gli occhi. – Mi sento molto stupida a starmene seduta qui, – disse sottovoce. – In questi due giorni sono successe cose terribili, ma adesso riesco solo a pensare a me stessa. Non posso far altro che guardarmi e sentirmi molto stupida –. Alzò gli occhi su Brennan. – E lei sa perché? Perché adesso ho capito che di me, a mio marito, non importava niente; perché ho capito che mi aveva sposata per interesse –. Esitò. – Ieri ho visto uccidere un uomo innocente, e non riesco neanche ad avere il buon gusto di pregare per lui.

– Signora Mims, adesso cerchi di riposare.

Lei scosse il capo, sfinita. – Non m’importa di cosa mi succederà.

Cadde il silenzio, poi Brennan riprese la parola. – Quando avrà finito di piangersi addosso le dirò una cosa.

Lei riaprí gli occhi e lo guardò, più sorpresa che offesa.

– Senta, – disse Brennan, – sappiamo entrambi, io e lei, che suo marito l’ha sposata per i soldi; ma lei è viva e lui è morto, e la differenza sta tutta qui. Può lagnarsi della sua stupidità fino a domani, quando spareranno anche a lei, oppure può cominciare a pensare a come salvarsi la pelle. Ma le dico una cosa: per restare vivi dovremo darci da fare, io e lei assieme.

– Ma quel tipo ha detto che…

– E secondo lei quelli ci lasceranno andare, dopo che suo padre avrà portato i soldi? Hanno già ucciso quattro persone in meno di ventiquattr’ore!

– Non m’importa di cosa mi succede!

Lui la prese per le spalle e la fece voltare. – Be’, io a me stesso ci penso, e non ho intenzione di farmi piantare una palla nello stomaco, domani, solo perché lei passa le ore a compiangersi.

– Ma non posso certo darle una mano! – si lamentò Doretta.

– Come fa a saperlo? Dobbiamo tenere gli occhi aperti e metterci a pensare, e se ci capita l’occasione dobbiamo prenderla al volo, altrimenti è tempo perso –. Aveva il volto vicino al suo, e la stava ancora tenendo per le spalle. – Hanno intenzione di ammazzarci. Questo significa che non abbiamo niente da perdere. Veda di pensarci un po’ su.

La lasciò andare e tornò alla porta.

A pomeriggio avanzato si sentí chiamare fuori dalla baracca. Usher e Billy-Jack stavano tornando. Avevano ucciso un cervo mulo, e dal pomolo della sella di Billy-Jack ne pendeva un quarto posteriore. Ordinarono a Brennan di cucinarne quanto bastava per la cena, e di tagliare a strisce il resto per farlo seccare.

– Ma prima pensi alla cena, – disse Frank Usher, aggiungendo che la donna non era nelle condizioni di cucinare. – Non voglio rischiare di trovarmi della carne bruciata nel piatto solo perché quella soffre per suo marito.

Dopo cena Brennan portò la carne e il caffè a Doretta Mims.

Quando le offrí il cibo, lei alzò lo sguardo. – Non ho voglia di nulla, – disse.

Per un attimo Brennan s’inalberò, ma la rabbia sbollí subito. – Faccia lei, – disse. Posò tazza e piatto sul pavimento e uscí a preparare la carne da far seccare.

Quando ebbe finito, sulla radura era ormai calato il crepuscolo, e l’interno della baracca era buio. Entrò, si avvicinò alla donna e urtò col piede la tazza di stagno. Si chinò in fretta a raccogliere tazza e piatto, e anche nell’oscurità vide che Doretta aveva mangiato quasi tutto.

– Mister Brennan, mi spiace per il mio comportamento –. Esitò. – Pensavo che mi avrebbe capito, altrimenti non le avrei detto come… come mi sentivo.

– Non è questione di capire, – disse Brennan.

– Mi spiace di averglielo detto, – rispose Doretta Mims.

Le si avvicinò ancora e si inginocchiò sui talloni. – Ascolti. Forse capisco come si sente, magari più di quanto lei possa credere. Ma non è importante. Al momento quel che le serve non è tanto la mia comprensione, quanto un modo di restare viva.

– Non è colpa mia se mi sento cosí, – disse lei ostinata.

Per un attimo, Brennan tacque. – Lo amava? – le chiese infine.

– L’avevo sposato!

– Non era questa la mia domanda. Già che parliamo chiaro, mi dica solo se lo amava.

Lei esitò, abbassando gli occhi sulle mani. – Non ne sono sicura.

– Ma avrebbe voluto amarlo, più di ogni cosa.

Lei annuí lentamente. – Sí.

– Ha mai pensato, anche solo per un istante, che lui la amasse?

– Ma che razza di domanda!

– Risponda, per favore.

Esitò di nuovo. – No, mai.

– Se è cosí, – disse Brennan, quasi con brutalità, – allora cos’è che ha perso, oltre a un pizzico di orgoglio?

– Lei non capisce, – disse Doretta.

– Ha paura di non trovare più un altro uomo. È cosí? Anche se lui l’aveva sposata per denaro, almeno l’aveva sposata. Mims è stato la sua prima e ultima occasione, fino a ora, cosí lei ha colto la palla al balzo.

– Ma cosa sta cercando di fare? Di togliermi anche quel poco rispetto di me stessa che mi è rimasto?

– Sto cercando di toglierle dalla testa questo stupido modo di fare! Pensa di essere troppo insignificante per trovare un uomo?

Lei si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo.

– Pensa che non la vorrà nessuno perché si morde il labbro e non riesce a dire più di due parole per volta?

– Mister Brennan…

– Ascolti, lei è una donna come tutte le altre. Anzi, è molto più donna di tante altre, ma deve rendersene conto! Deve farci qualcosa!

– Non è colpa mia se…

– Basta con questa colpa! Non è colpa sua, ma nemmeno degli altri. Ha passato la vita ad aspettare che le capitasse qualcosa. Certe volte, invece, bisogna darsi una mossa e prendere ciò che si vuole.

All’improvviso la tirò a sé, le circondò le spalle con le braccia e la baciò, premendo le labbra sulle sue fino a quando non la sentí rilassarsi, e capí che anche lei lo stava baciando.

Le sfiorò le guance con le labbra. – Ce la caveremo, – le sussurrò. – Al momento opportuno dovrai fare esattamente quello che ti dirò io, e vedrai che ne usciremo vivi –. I capelli di lei gli sfiorarono la guancia, e Brennan si rese conto che Doretta aveva annuito.

6.

Durante la notte aprí gli occhi e strisciò verso il vano della porta, la cui silhouette si scorgeva nel buio. Tenendosi vicino alla parete frontale, guardò fuori, oltre la fiamma bassa del fuoco. Uno dei tre, una sagoma in ombra che non riuscí a riconoscere, sedeva col viso rivolto alla baracca. Non si muoveva ma, da come era seduto, Brennan capí che era sveglio. Non c’è tempo da perdere, pensò, ma non c’era niente che potesse fare.

Il sole era ancora sotto la linea degli alberi, quando Frank Usher comparve sulla soglia. Vide che Brennan era sveglio e disse, voltandosi: – Porti fuori la donna.

Doretta aveva gli occhi chiusi, ma li riaprí appena Brennan le sfiorò la spalla. Era chiaro che non stava dormendo. Lo guardò calma, i tratti del viso appena in ombra.

– Stammi vicina, – le disse lui. – Qualunque cosa facciamo, stammi vicina.

Andarono sotto la tettoia, e Brennan riaccese il fuoco, mentre Doretta preparava il caffè e la carne di cervo.

Brennan si muoveva con lentezza, come se fosse stanco e avesse abbandonato ogni speranza, ma i suoi occhi erano all’erta, e li tenne per quasi tutto il tempo sui tre uomini. Li osservò mentre mangiavano, si rollavano le sigarette accovacciati in semicerchio e parlavano tra loro, anche se erano troppo distanti perché potesse udirli. Infine Chink si alzò e svaní tra gli alberi. Ritornò col suo cavallo, già sellato, e s’infilò di nuovo nel boschetto, verso il pendio.

Sta facendo proprio come ieri mattina, pensò Brennan, ma stavolta aspetta Gateway. Ieri era a piedi, mentre oggi è a cavallo, il che significa che va ad aspettarlo più giù. E chissà dov’è andato Frank, ieri mattina. Ah, sí: è andato dai cavalli. All’improvviso Brennan sentí salirgli l’eccitazione, nel profondo dello stomaco, e tenne lo sguardo fisso su Frank Usher.

Un istante più tardi Usher si alzò e si avviò verso il boschetto, voltandosi per gridare qualcosa a Billy-Jack a proposito dei cavalli. Brennan non riusciva a credere ai suoi occhi.

Ora. È il momento. Lo sai, non è vero? Ora o mai più. Che Dio mi aiuti. Che mi faccia venire in mente qualcosa! E, di colpo, fu proprio cosí. Non si poteva neanche chiamare un’opportunità, ma era meglio di niente, e gli era venuta in mente perché era l’unica cosa a essergli rimasta impressa di Billy-Jack, a parte il canne mozze. Non faceva altro che guardare Doretta!

Lei era davanti alla tettoia, e Brennan le andò incontro, dando la schiena a Billy-Jack che sedeva col fucile di Rintoon in grembo.

– Va’ dentro la baracca e inizia a sbottonarti il vestito, – le disse quasi in un sussurro, e la vide strabuzzare gli occhi. – Forza! Billy-Jack ti verrà dietro. Fingi di essere sorpresa. E imbarazzata. Poi fagli un bel sorriso –. Lei esitò e prese a mordersi il labbro. – Cazzo! Fa’ come ti ho detto!

Poi si versò una tazza di caffè senza guardare Doretta che si avviava. Nel posare la tazza, vide lo sguardo di Billy-Jack che la seguiva.

– Ne vuoi un po’? – gli disse Brennan. – Ne è rimasta una tazza.

Billy-Jack scosse il capo e puntò il canne mozze su Brennan, non appena lo vide avvicinarsi.

Brennan bevve un sorso di caffè. – Non vai dentro a dare un’occhiata? – Indicò col capo la baracca.

– Che vuoi dire?

– La donna, – disse con tono pratico Brennan, bevendo un altro sorso di caffè.

– Che ha? – chiese Billy-Jack.

Brennan fece spallucce. – Pensavo che faceste a turno.

– Cosa?

– Insomma, andiamo, non sarai mica cosí ingenuo. Devo farti un disegno? – Brennan sorrise. – Oh, adesso capisco… Frank non ti ha detto niente, e neanche Chink. Se la tengono tutta per sé…

Gli occhi di Billy-Jack si fiondarono sulla baracca e tornarono su Brennan. – Sono andati con lei?

– Be’, so solo che Frank c’è andato ieri mattina e Chink ieri pomeriggio, quando tu non c’eri –. Bevve un nuovo sorso di caffè e gettò via il fondo della tazza. – A me non importa niente, – disse poi, voltandosi, e tornò lentamente alla tettoia.

A testa bassa, prese a grattare via i residui di cibo dai piatti, guardando di sottecchi Billy-Jack. Fattelo entrare bene in quella testa dura, pensò. Ma alla svelta. Forza, muoviti, razza di animale!

Eccoci. Vide Billy-Jack avviarsi pian piano verso la baracca. Cristo, cerca di muoverti! Poi Billy-Jack scomparve alla vista, oltre l’angolo.

Perfetto. Brennan posò il piatto di stagno che aveva in mano e si mosse in fretta, senza rumore, su un lato della baracca, strisciando contro i tronchi grezzi fino a raggiungere l’angolo. Prima di guardarsi attorno, tese le orecchie. Billy-Jack era entrato.

Avrebbe voluto assicurarsi, in qualche modo, che Billy-Jack stesse guardando Doretta, ma non c’era tempo. Si mosse di nuovo lungo la facciata della baracca, e a un tratto si ritrovò al suo interno. Vide la nuca di Billy-Jack, lo vide voltarsi, vide per un attimo il volto di Doretta, vide la doppietta che si spostava su di lui. Fece scattare una mano sulle tozze canne del fucile, spingendole e tirandole con violenza avanti e indietro, mentre chiudeva l’altra sul ponticello del grilletto prima di sbatterlo sul polso di Billy-Jack.

Un colpo esplose assordante dalle canne ficcate sotto la mascella del bandito. Fumo, una chiazza vermiglia. Brennan, che gli stava sopra, cercò di strappargli la doppietta dalle dita serrate e di togliergli anche il revolver. Poi tornò in posizione eretta.

Udí il respiro affannoso di Doretta, per quanto glielo permetteva il ronzio nelle orecchie. – Non lo guardare! – le disse, mentre già si voltava verso la porta e si ficcava il revolver nella fondina vuota.

Frank Usher stava attraversando di corsa la radura, pistola in pugno.

Brennan apparve sulla soglia portando la doppietta in posizione di tiro. – Frank, fermo lí!

Usher si bloccò di colpo, ma un secondo dopo stava già prendendo la mira, il revolver all’altezza del viso, e Brennan premette il secondo grilletto del canne mozze.

Usher gridò e andò a terra, afferrandosi le ginocchia e rotolando su un fianco. Poi alzò la mano che ancora impugnava la Colt.

– Non farlo, Frank! – Brennan aveva lasciato cadere il canne mozze per impugnare il revolver di Billy-Jack. Vide la pistola di Usher pronta a sparare e aprí il fuoco a sua volta, mirando proprio al centro della figura semisdraiata; udí la secca, robusta esplosione e vide la Colt di Usher alzarsi dritta verso il cielo, e il barbuto cadere riverso sulla schiena.

Brennan esitò. Levalo subito di lí, si disse. Chink non è sordo.

Si avvicinò velocemente al corpo di Usher e lo trascinò nella baracca, mettendolo accanto a Billy-Jack. Si ficcò la pistola di Usher nella cintura. – Forza! – disse poi a Doretta, la prese per mano e corse via dalla baracca, attraverso la radura, verso il punto di sosta dei cavalli.

Nel fitto dei pini Brennan si fermò, si buttò a terra e tirò a sé Doretta, sulla sabbia calda. Poi rotolò sullo stomaco e allargò i rami dei cespugli per guardarsi alle spalle, oltre la radura.

Sulla destra c’era la baracca. Di fronte aveva ancora pini, ma più radi, e riusciva a vedere il pendio, sgombro e sabbioso. Chink sarebbe arrivato di là, lo sapeva benissimo. Non c’era altra strada.

7.

– Possiamo andarcene prima che torni, – disse Doretta, al suo fianco. Nella sua voce era evidente la paura.

– No, – disse Brennan, – dobbiamo farla finita. Quando Chink ritorna sistemiamo questa faccenda una volta per tutte.

– Ma come fai a saperlo! Come puoi essere sicuro che…

– Ascolta, non sono sicuro di un bel niente. Ma so cosa devo fare –. Lei tacque, e lui le disse, a bassa voce: – Spostati più indietro, e sta’ giù.

E nell’esplorare con lo sguardo la radura colse, oltre gli alberi, un’ombra scura in movimento sul pendio. Eccolo. Doveva essere lui. Più guardava, più la figura si faceva grande, più sentiva di nuovo quel nodo pungente allo stomaco.

Adesso ne era sicuro. Chink era a piedi e si tirava dietro il cavallo. Non procedeva in linea retta, ma risaliva il pendio in diagonale. Entrerà nel punto più fitto del bosco, pensò Brennan. Spunterà da dietro la tettoia e non riuscirò a vederlo fino a che non girerà l’angolo della baracca. È cosí. Non è in grado di risalire il pendio sul retro della baracca, quindi spunterà dalla parte anteriore.

Valutò sui venticinque metri la distanza dal suo punto d’osservazione alla facciata della baracca, e col pollice tirò indietro il cane del revolver che teneva davanti a sé.

Vi fu un silenzio di tomba per una decina di minuti. Poi Brennan udi un «Frank?» provenire dal retro della baracca. Ancora silenzio. Poi: – Ma dove cazzo sei?

Brennan attese. Sentiva in mano la liscia e pesante impugnatura in noce hickory della Colt, il dito che sfiorava il grilletto. Si era fatto l’idea di aprire il fuoco non appena avesse visto Chink girare l’angolo. Era pronto. Ma il suo piano andò in fumo.

Andò in fumo quando scorse Chink scivolare – di colpo, senza preavviso – attorno all’angolo della baracca e appiattirsi contro il muro, la pistola puntata contro il vano della porta. Brennan aveva il mirino sul cinturone di Chink, ma non riusciva a premere il grilletto. Non era cosí che doveva andare. Vide Chink avanzare lento verso la porta.

– Butta il fucile, ragazzo!

Chink si mosse, e Brennan premette il grilletto con un millisecondo di ritardo. Sparò di nuovo, e udí il proiettile conficcarsi con un tonfo nella cornice della porta. Troppo tardi. Chink era dentro.

Brennan espirò lentamente, quasi rilassato. Ben ti sta. Hai aspettato troppo, e ti sei ficcato ancor più nei guai. Era come se lo vedesse, Chink, che guardava Usher e Billy-Jack. Almeno avrebbe avuto qualcosa a cui pensare. Guardali bene. Poi guarda quella porta dalla quale dovrai pure uscire, prima o poi.

Mi fa piacere che li veda in quelle condizioni, pensò. Ma quanto riuscirà a resistere, a una vista del genere? Certo, può sempre mettere una coperta su Billy-Jack e tenere duro un altro po’. Ma al calar del buio… Se resiste cosí tanto, forse può sperare di farcela. E in quel momento gli dispiacque di non aver premuto il grilletto in tempo. Insomma, devi farlo uscire di lí, ecco cosa.

– Chink!

Nessuna risposta.

– Chink, vieni fuori!

All’improvviso, dal vano della porta giunse una scarica di proiettili. Brennan si appiattí al suolo e udí le pallottole che saettavano tra le foglie, sopra la sua testa.

Non sciupare tutto, pensò, rialzando gli occhi. Arretrando, si spostò di qualche metro per cambiare posizione. Dev’essere sulla soglia, alla mia sinistra, a giudicare dall’angolazione del tiro.

Mirò al bordo interno della cornice della porta e gridò: – Chink, esci fuori e beccati questa! – Vide il lampo e sparò appena più in alto; armò di nuovo il cane e sparò di nuovo. Poi silenzio.

Va’ a saperlo, adesso, pensò. Caricò la pistola e gridò ancora: – Chink! – ma non vi fu risposta. Non fai altro che scavarti una fossa più profonda, pensò.

Forse l’hai beccato. No, è quello che vuol farti credere. Entra da quella porta e lo scopri subito. Adesso si metterà ad aspettare. Se la prenderà comoda e cercherà di aumentare le sue possibilità di fuga. Aspetterà fino a tarda notte? È la sua carta migliore… ma a quel punto non potrà più contare sul suo cavallo. Avrei potuto farlo scappare, il cavallo. E Chink sa bene che se rimane a piedi la sua vita non vale più un accidente, anche se riesce a tagliare la corda. Quindi, più aspetta, meno potrà contare sul cavallo.

Okay, cosa faresti al suo posto? Mi metterei a contare gli spari, pensò subito. Senti cinque colpi di fila e tenti una sortita, e nel frattempo il tipo che spara prende un’altra pistola. Ma anche a prenderne un’altra ci vuole del tempo.

Valutò la distanza dalla porta all’angolo della baracca. Tre lunghi passi. Fuori tiro in meno di tre secondi. Ammesso che ci stia pensando. E se ci provasse davvero, avresti solo quel lasso di tempo per prendere la mira e sparare. A meno che…

A meno che non sia Doretta a sparare quei cinque colpi. Ci pensò a lungo, fino a convincersi che la cosa era fattibile senza mettere la donna in pericolo. Prima però era necessario mettergli quell’idea in testa, a Chink.

Rotolò su un fianco per sfilarsi dalla cintura la pistola di Usher. Poi, impugnandola con la sinistra, svuotò il tamburo contro il vano della porta. Silenzio.

Sto ricaricando, Chink. Mettitelo bene in testa, dietro quegli occhi da gatto. Sto ricaricando, e tu hai tutto il tempo di combinare qualcosa.

Spiegò la situazione a Doretta, con calma: come dovesse aspettare una decina di minuti prima di sparare la prima volta, poi contare fino a cinque e sparare di nuovo, e cosí via fino a esaurire i colpi. Nascosta dietro il grosso tronco di un pino, avrebbe fatto spuntare solo la pistola, da là dietro.

– E se non esce? – chiese lei.

– Allora penseremo a qualcos’altro.

I loro volti erano vicini. Lei si fece più avanti, chiuse gli occhi e lo baciò lieve. – Aspetterò, – disse.

Brennan si mosse tra gli alberi, in cerchi ampi, tenendosi ben discosto dai margini della radura. Quando arrivò al punto in cui le piante erano meno fitte era proprio davanti al nascondiglio di Doretta, e passò veloce da un tronco all’altro, tenendosi nell’ombra fin quando non fu di nuovo nel fitto del bosco. Restavano solo pochi minuti, quando uscí dagli alberi sul lato più lontano dalla tettoia, e lí si gettò in ginocchio, tenendo lo sguardo fisso sull’angolo della baracca.

Lo sentí partire, il primo colpo, e conficcarsi nella facciata della baracca. Uno… poi il secondo… due… li stava contando senza muovere gli occhi dalla facciata… tre… quattro… sta’ in guardia… Cinque! Adesso, Chink!

Passi affrettati sulla sabbia compatta… e quasi subito lo vide sterzare brusco dietro l’angolo della baracca, per poi fermarsi e appoggiarsi al muro, respirando a fatica ma convinto di essere in salvo. Allora Brennan si alzò.

– Un colpo da davanti per te, Chink.

Vide il suo sguardo sorpreso, la fugace espressione di shock, un buon secondo prima che Chink facesse lampeggiare il revolver all’altezza del fianco. Il dito di Brennan si irrigidí sul grilletto. All’esplosione, Chink fu scaraventato contro il muro, lo sguardo stupefatto ancora dipinto sul viso, anche se era già morto prima di toccare terra.

Brennan ripose il revolver nella fondina e passò davanti a Chink senza guardarlo, girando poi l’angolo della baracca. Di colpo si sentí stanco, ma era quel genere di stanchezza che faceva piacere, come lo sfinimento e la soddisfazione di quando spingevi la tua ultima mucca giù per lo scivolo del mercato.

Gli venne in mente il vecchio Tenvoorde, dal quale solo due giorni prima aveva cercato di acquistare delle vitelle. Che ancora non aveva, peraltro.

E allora perché cazzo ti senti cosí soddisfatto?

Eppure gli restava difficile non sorridere. Non avere i soldi per comprare del bestiame gli sembrava proprio una cosa da niente. Vide Doretta uscire dal boschetto e si avviò per la radura.

The Captives, apparso per la prima volta in «Argosy», febbraio 1955. Da questo racconto, il film I tre banditi (The Tall T, 1957) di Bud Boetticher.