20

Vern si svegliò con la sensazione di essere passato attraverso quel genere di malevola macchina infernale che avrebbe potuto sognarsi solo Stephen King. Stava così male che gli pareva addirittura probabile che fosse morto davvero e si trovasse nell’inferno dei draghi. I ricordi e la personalità non significavano nulla per chi era imprigionato in quello stato di fuga, c’era solo la fatica penosa del dolore. No, non era vero. Non era tutta agonia; c’erano parti di lui che si sentivano indolenzite e nauseate, per esempio il cervello. Se Vern avesse dovuto scegliere un aggettivo per descrivere la sensazione che aveva al cervello, avrebbe optato per “sbucciato”. Il che non era mai una bella cosa quando si parlava di cervelli. Si sentiva anche il culo sbucciato, e in genere quella sensazione non lasciava presagire nulla di buono neanche per i culi.

Vern non aveva altra scelta che sopportare, cosa che fece per circa mezza giornata, fino a che le cellule del suo corpo non si rigenerarono abbastanza da farlo passare da “con un piede nella fossa” a un mero “gravemente ferito”. E dopo forse altra mezza giornata rientrò in possesso delle sue facoltà, non tutte, ma abbastanza da trovare l’energia per esclamare: «Per la verga pulsante di Azazel!».

Che era stata un’imprecazione popolare, ai suoi tempi.

Aprì le sue varie palpebre, che gli parvero tutte ricoperte di sabbia, e si trovò davanti Elodie Moreau che lo guardava preoccupata.

«Sembra il giorno della marmotta» disse Vern. «Se lo ricorda, Ricomincio da capo? Sono bloccato in questo sogno nel quale io sono convalescente e lei è lì che mi guarda.»

«Non è mica un sogno, signor Vern» disse Elodie. «Siamo tutti e due qui, quello è sicuro.»

«Uno di noi due puzza come una friggitrice» le fece notare Vern. «Immagino che sia io.»

Elodie gli sollevò la testa e gli infilò la cannuccia della tazza in bocca, e mentre Vern succhiava gli disse: «Eh, mi sa di sì. Abbiamo cercato di riempirla d’olio in tutte le maniere possibili. Ne ha bevuto un bel po’ mentre dormiva, e Miccetta ha pure preso in prestito il mio pennello da cucina. Ormai è come un’oca a Natale, con tutto il grasso che le ha pennellato addosso. Senza offesa».

«Ci mancherebbe, signorina Elodie. Si direbbe che stia funzionando.»

«Ci abbiamo anche impregnato le bende per le ali» proseguì Elodie. «Però ho pensato che magari per quei tessuti lì fosse meglio qualcosa di un po’ più raffinato, visto che sembrano molto delicati. Così Bodi ha comprato un po’ di olio di cocco di prima scelta.»

«Be’, accidenti» disse Vern. «Sono finito in una gran bella SPA.» Si guardò intorno nella stanzetta. «Dove siamo, a proposito? Niente memory foam, oggi?»

Elodie sorrise, leggermente imbarazzata. «In realtà, signor Vern, è nella nostra vasca da bagno. Sembrava il posto migliore, visto che almeno così riuscivamo più o meno a sommergerla. Ho provato a renderla un pochino più comoda, con degli asciugamani e uno di quei cuscini da viaggio per il collo.»

Vern si sistemò e sentì lo sciabordio dell’olio intorno ai fianchi. «Ottima idea. È sua?»

«No, Everett sta pensando per tutti quanti. Dio solo sa come, ma il ragazzino è riuscito a trascinare sia me che lei fin nella canoa e a portarci a casa, evitando i vari tutori dell’ordine che hanno preso d’assalto la sua isola. Dovrebbe vedere quel posto adesso: sembra Disneyland, sembra, con tutte quelle luci e la gente in tenuta da astronauta.»

Vern sospirò. «E un altro rifugio è andato in fumo, per così dire. Bodi come sta?»

«Il signor Irwin sta benissimo» disse Elodie. «È un eroe. Aveva sempre sospettato che l’Ausiliario Hooke trafficasse droga lungo il Pearl, e mentre lo spiava – una piccola bugia a fin di bene che ci è venuta in mente – si è ritrovato in mezzo a una sparatoria fra poliziotti corrotti, tutti coinvolti nell’organizzazione di Ivory Conti, stando a un’agendina trovata addosso a Regence Hooke.

«E quindi il signor Bodi Irwin è appena stato nominato ausiliario ad interim con voto unanime del consiglio comunale.»

Vern fischiò, ammirato. «E bravo Green Day. E Miccetta?»

«Tutto questo piano è farina del suo sacco. Si sta facendo un mazzo tanto, fa il turno al bar e poi porta qui l’olio. Sono veramente felice di vedere che quel ragazzo ha finalmente imparato a prendersi qualche responsabilità.»

Vern si lasciò scivolare nel suo bagno d’olio fino a sommergersi tutto fuorché le ali e il muso. Si sentiva meglio a ogni istante che passava; lo stomaco gli cresceva a vista d’occhio.

«Il naso non è poi messo malissimo» disse a Elodie.

La mamma di Miccetta si guardò nello specchio del bagno. «Oh, Signore, quella donna di sicuro mi ha fatto un gran male. Giuro che mi ronza ancora la testa. E a guardarmi in faccia sembra che sia appena uscita da uno di quei combattimenti nelle gabbie.»

Vern ridacchiò. «Scommetto che per Green Day non è un problema. Quell’uomo lì ha proprio una gran cotta per lei.»

«Ma sa, signor Vern, che anch’io ho una cottarella niente male?» ammise Elodie. «Ci conosciamo da una vita, e adesso che non c’è più Hooke a marcare il territorio…»

Quel particolare fece tornare alla mente di Vern che l’ultima volta in cui si erano visti aveva pisciato addosso alla signorina Elodie. «Ecco» disse Vern, calandosi un altro po’ nella vasca. «A proposito di marcare il territorio…»

Elodie respinse le scuse imminenti con un cenno della mano. «Oddio, no, signor Vern, ma si figuri. Ci stava salvando. Capisco benissimo, e comunque ero svenuta. I jeans però hanno perso un po’ di colore. A dire il vero non è male, come motivo. Tutti quei cerchi sovrapposti. Diventeranno i miei jeans “modello drago”.»

“Ha senso dell’umorismo” pensò Vern. “Adesso capisco da chi ha preso Miccetta.” Affondò completamente sotto il pelo dell’olio. “Pare che tutto vada a gonfie vele, a parte che per il vecchio Highfire. Lui è nei casini, e non di quelli divertenti.”

Vern sbatté le palpebre e attraverso la pellicola dorata vide il bagno di casa Moreau farsi convesso sopra di lui.

“Potrei starmene un po’ qui sotto” pensò, “assorbire un altro po’ di grassi.”

E per la millesima volta si ripromise di scoprire qualcosa riguardo il funzionamento del proprio organismo.

“Un drago non può semplicemente vivere e morire nell’ignoranza totale.”

C’erano dei medici, una volta, a Highfire, ma Vern aveva sempre snobbato le scienze in favore di attività che si potessero svolgere all’aria aperta, tanta era la voglia di dimostrare a suo fratello minore Jubelus che si sbagliava quando gli diceva che era uno spreco di spazio sul campo di battaglia. E così adesso non aveva nessuno a cui chiedere.

“Almeno per quanto ne so.”

Magari era giunto il momento di cercare un altro drago, assumere un ruolo più attivo riguardo il proprio futuro, anziché semplicemente oziare. Ma prima c’erano un sacco di questioni in sospeso che doveva risolvere.

“Devo riflettere a fondo su queste faccende” pensò Vern, chiudendo gli occhi.

Vern non si riprese del tutto per un’altra settimana, e a quel punto il circo allestito nella palude aveva pressoché levato le tende, stando alle sue fonti. Il drago si svegliò, una sera, e trovò la vasca del tutto a secco e le ali libere dalle fasciature, così decise di sgranchirsi un po’ le vecchie ossa nella baracca dei Moreau. Era sempre rimasto nel bagno, anzi, era addirittura la prima volta che si avventurava al di fuori della vasca. Dopo un indecoroso capitombolo sulle piastrelle, scoprì che il pittoresco bagno non era un’anteprima accurata di casa Moreau, dato che il resto della baracca era in legno grezzo e formica logora, senza pretese ma pulito, a parte là dove Miccetta aveva lasciato i marchi dell’adolescenza. I principali articoli del ragazzino che contribuivano al caos erano vari caricabatterie che si snodavano come serpenti su ogni superficie, e bottigliette d’acqua infilate pressoché ovunque fosse possibile infilare una bottiglietta d’acqua – e anche in alcuni angoli nei quali sarebbe stato impossibile infilarle a meno che non fossero state accartocciate allo scopo.

«Ehi, giovane» borbottò Vern. «C’è il bidone giusto lì.»

La baracca era vuota, ma Vern sentiva l’odore di Miccetta poco distante.

«Ancora usa quel sapone tremendo» borbottò, prendendo un impermeabile da un appendiabiti e mettendoselo sulle spalle. Ritrasse le ali senza quasi sentire nulla, e Vern ringraziò la sua buona stella per il potere ristoratore dei grassi.

“Non so come funzioni la magia, Highlander” pensò. “Ma sono felice che funzioni.”

Vern sbirciò da dietro la zanzariera, per controllare che non ci fossero estranei, ma c’era solo un umano in vista: Miccetta, addormentato su una sedia in veranda, con un giornale aperto sulle gambe.

“Un giornale” pensò Vern. “Ma li fanno ancora?”

Si infilò nella porta e si sedette di fronte a Miccetta, leggendo il titolo in prima pagina al contrario:

IL MOSTRO DI HONEY ISLAND ERA

UN POLIZIOTTO CORROTTO IN COSTUME

«Ah» disse Vern. «Niente male.»

«Parte del mio piano» disse Miccetta, che a quanto pareva era sveglio. «Un bel pacchetto per far contenta la pula, con tanto di fiocco. Tutti quei filmati del mostro? Nient’altro che uno sbirro narcotrafficante con un costume da drago, che spaventava la gente per tenerla lontana dai suoi loschi affari. Hanno trovato un sacco di prove nel fiume, e io ho mandato una foto di Hooke con la sua pelle addosso al “Times-Picayune”, tanto per essere sicuri che la voce si spargesse.»

«Ingegnoso» disse Vern. «E i federali l’hanno bevuta?»

Miccetta si sfregò gli occhi. «Nah. Troppi buchi. Tipo, cosa ci faceva Hooke vestito da carnevale a New Orleans? Cose del genere.»

«Ma l’opinione pubblica è soddisfatta.»

«Esatto. È molto più facile non credere ai draghi, mi sa.»

Vern poggiò i piedi sul tavolino. «Sì, proprio come piace a me.» Poi gli venne in mente una cosa. «Una foto? Quando l’hai fatta una foto a Hooke con la mia pelle addosso?»

Miccetta farfugliò per un pochino, esitante, e poi vuotò il sacco. «Non era Hooke, capo.»

«Eri tu» disse Vern. «Non hai resistito, eh?»

«Lo sa come siamo noi giovani» disse Miccetta. «Non possiamo farci scappare l’opportunità per un bel selfie.»

«Spero solo tu non abbia firmato il tuo mandato d’arresto, con quella foto.»

Miccetta liquidò quell’idea con un cenno della mano. «Nah. Ne ho stampata una copia, l’ho infilata in un barile d’olio, l’ho messa nell’asciugatrice, e poi l’ho fotocopiata. Non si capisce chi sia la persona nell’immagine, ma intanto per l’opinione pubblica è un elemento in più.»

Vern lo scrutò stringendo gli occhi. «E così te ne sei andato in giro a bighellonare con la mia pelle addosso?»

Miccetta si stiracchiò, poi cambiò argomento. «Comunque, mentre lei guariva nella vasca, ho pensato. Ovviamente l’isola è bella che andata. I federali hanno una dozzina di telecamere sempre accese, giorno e notte, e ci sono ancora un paio di agenti che alloggiano al Pearl – proprio stile Mulder e Scully, la donna ha pure i capelli rossi. Roba da non crederci, eh?»

Vern fischiettò la sigla di X-Files e si rese conto che la zanna mancante gli stava ricrescendo. Era ancora un po’ tozza, ma era solo questione di tempo.

«Esatto, capo» disse Miccetta.

«Adoravo quella serie, quando ogni settimana c’era un mostro diverso» disse Vern. «Poi hanno cominciato a inventarsi tutto un cazzo di mondo parallelo e ho perso interesse.»

«Troppa politica» disse Miccetta, non perché avesse mai visto X-Files, ma perché ne avevano già parlato una volta.

«Esatto, troppa politica» disse Vern. «Sparate a ’sto chupacabra e basta, Cristo, e risparmiatemi l’uomo che fuma.»

«Muori, chupacabra» disse Miccetta, con le dita a mo’ di pistole.

«Comunque, giovane. Ti ho interrotto. A che cosa hai pensato?»

«Ho pensato: l’isola per il momento è troppo rovente, ma quanto potranno mai fermarsi quegli agenti, pagati dallo Stato? Un paio di mesi, massimo, dopodiché possiamo tornare operativi. Highfire e Moreau Vol. II: Roba che scotta

«Bel titolo. Mi vedo già il poster» disse Vern.

Miccetta si sentì incoraggiato. «Comunque, la Mamma dice che è il benvenuto a casa nostra e può fermarsi fino a che non si calmano le acque, e finché tutto torna alla normalità, insomma. Può dormire nel mio letto. E prima di Natale starà già nuotando con gli alligatori. Cosa ne pensa, capo? Ha senso, come piano, o no?»

«Quasi» disse Vern, «se strizzi gli occhi. Se non lo esamini troppo da vicino.»

Miccetta ci rimuginò un po’. «La pelle» disse infine.

«Già» disse Vern, «la pelle. L’agente Scully la analizzerà e capirà che non è una pelle di alligatore, giovane. Quindi perlomeno le telecamere, per un bel po’ di tempo, non andranno da nessuna parte.»

Miccetta non era ancora pronto ad ammettere la sconfitta. «Posso occuparmene io, delle telecamere: magari infilare l’obiettivo nel culo di un cinghiale, o semplicemente scassarle ogni paio di settimane.»

«Nah» disse Vern, «così non faresti che attirare l’attenzione, e tempo un attimo ci ritroviamo con un satellite a farci le foto dallo spazio.»

«Va be’, allora ci trasferiamo su Honey Island. Passiamo da un’isola all’altra, come la gente famosa, no?»

«Negativo. Devo levarmi di torno – come minimo passare il confine.»

Miccetta capì che piega stesse prendendo la conversazione; era esattamente quel che aveva temuto.

E anche Vern, a dire la verità.

«Quindi dobbiamo andarcene?» chiese il ragazzino.

Vern per poco non gli disse di sì. Per poco. Ma l’esilio avrebbe funzionato unicamente in solitaria.

«“Dobbiamo”? Sarebbe bello, giovane. Sarebbe bello davvero. Ma bisogna che voli via senza farmi notare. Niente passeggeri, non per le lunghe distanze.»

Miccetta si coprì la faccia con le mani, e Vern si chiese cosa stesse succedendo là dietro.

«Quando parte?» chiese il ragazzino, le parole soffocate.

«Presto» disse Vern. «Le autorità allargheranno il raggio delle indagini, e la prima fermata lungo il fiume siamo noi.»

«Dove va?»

Vern sbuffò. «Non saprei, esattamente. Sud America, credo. Meglio cambiare giurisdizione, sai com’è? Mi sembra la cosa più logica. E poi voglio essere sicuro di essere davvero l’ultimo, e il Sud America potrebbe essere un buon posto da cui cominciare le ricerche. Mi sono sempre detto che le voci su Internet erano le solite cazzate, come quel gatto che suona la tastiera, ma dopo che hanno beccato me ho cambiato un po’ atteggiamento. È ora di indagare.»

Miccetta aprì un pochino le dita, scoprendo gli occhi. «E il mio lavoro?»

«Te la caverai» disse Vern. «So che Waxman voleva lasciarti la casa galleggiante. Quel posto è una reggia. Tutto quello che c’è nascosto dentro è tuo e di tua mamma.»

Miccetta annuì. Sperava che Elodie si trasferisse con lui a casa di Waxman, anche se con la sua nuova storia d’amore non sembrava probabile. Però in quel modo si sarebbe ritrovato con una casa tutta sua sulle rive del fiume, il che gli apriva un mondo di possibilità.

«E lei, capo? Lei se la caverà? Ha perso un amico. Il vecchio Wax era un personaggio mica da ridere.»

Vern fece spallucce. «Non sto bene da un sacco di tempo, giovane, ma con te alle mie dipendenze sto davvero molto meglio.»

«E allora rimanga» disse Miccetta. «Può raccontarmi di Waxman. Per superare la cosa. Posso farle tipo da terapista.»

Vern rise. «Non posso permettermelo, un terapista.»

A Miccetta non piacque quel commento. «Non è mica questione di soldi, capo.»

«Lo so, ragazzo» disse Vern. «Scherzavo. Sei stato impagabile per me. Non ho mai avuto un umano domestico come te. Oserei dire addirittura che sei il mio socio. Socio di minoranza, ovviamente.»

Miccetta si tolse le mani dal volto, e sorrise. «Socio? Mi piace, ’sta cosa.»

«A dire il vero» disse Vern, «in qualità di socio, sarà tuo dovere morale occuparti dei miei affari mentre sono all’estero.»

«Perché, ha degli affari, capo?»

«Certo che ho degli affari. Per prima cosa, l’immobiliare.»

Miccetta rise. «Non parlerà mica della baracca?»

«Sì che parlo della baracca. Ma ho anche del capitale, e non posso portarmelo dietro.»

«Capitale nel senso di contanti

Vern ghignò. «Come fossero contanti, ma lucidi. Lucidi e confederati.»

Poi Miccetta si rese conto di una cosa che aveva detto Vern.

«Aspetti un attimo, capo» disse. «Ha detto “mentre sono all’estero”. Desumo che allora ha intenzione di tornare?»

«Desumi? Be’, ma puttana la rana coperta di lana» disse Vern, tutto serio in volto. «Immagino che quel termine sia merito della signorina Ingram. Magari se tu desumi io sottintendo, eh? Non sono mica scemo come sembro.»

«Allora torna.»

«Non è quello che ho detto?»

«Son mica sicuro, capo.»

«Neanche io. Però sì, ho intenzione di tornare. O di farti venire da me una volta che finisci gli studi.»

Miccetta sgranò gli occhi. «Gli studi? Gli studi? Non mi sarà mica diventato cattolico, adesso!»

Vern si sporse in avanti, come se stesse per impartirgli una perla di grande saggezza. «La maggior parte degli studi non valgono un cazzo, quello non è un segreto. La scuola in generale è un sistema fallito perpetuato dagli educatori: “Quel che abbiamo vi serve come il pane, per cui lasciatevelo vendere”.»

«Appunto» disse Miccetta. «Sono anni che dico esattamente la stessa cosa.»

«Però» disse Vern, alzando un dito, «questa signorina Ingram mi sembra un’insegnante come si deve. Per cui voglio che prendi il diploma.»

«Il diploma!» esclamò Miccetta. «E per cosa, per pulirmici il culo?»

Vern non aveva ancora finito. «E…»

«E? Che altro s’inventa, adesso?»

Vern si appoggiò allo schienale e incrociò le braccia, in attesa che il ragazzo smettesse di fare lo spaccone, cosa che avvenne solo dopo un minuto buono, quando Miccetta finalmente si calmò.

«Bella scenata, complimenti» disse Vern, col disappunto stampato sul muso. «Non esattamente una condotta consona a un socio, per quanto di minoranza.»

Miccetta era talmente imbronciato che gli era sparito il collo. «Va be’, ho capito, ma anche lei mi parla di studi. Non ho mica tempo io. Ho un sacco di roba da fare, cazzo.»

«Hai un sacco di roba da fare sì, cazzo: hai da gestire i miei affari, e hai da scoprire tutto quel che riesci a proposito della mia draghitudine.»

«“Draghitudine” non è manco una parola.»

«Forse lo è, o forse no» disse Vern, «ed è esattamente quel genere di cose che devi verificare. Per come la vedo io, ci sono un sacco di conoscenze delle quali nessuno di noi due è in possesso, ma che uno di noi due deve acquisire. E poi, per come funzionano i mercati oggi, sarei uno stupido ad assumere un socio di minoranza senza uno straccio di laurea.»

Miccetta per poco non cadde dalla sedia. «Una laurea? Mi tocca pure andare all’università, adesso?»

«Ci puoi scommettere» disse Vern. «Ho bisogno di sapere come funzionano i mercati, e come funziono io. Quindi devi fare una doppia specializzazione: economia e commercio, e scienze dei draghi.»

«Economia e commercio e scienze dei draghi? Ma si può?»

Vern annuì, con una sicurezza esagerata. «Certo che si può: puoi fare tutto, oggigiorno. Puoi prenderti una laurea in Guerre Stellari, caro il mio Obi-Wan Moreau.»

«Figata» disse Miccetta.

«Quindi, per prima cosa ti fai dare ripetizioni da questa signorina Ingram, dopodiché porti il tuo culo ossuto all’Università di New Orleans per un paio d’anni, e nel frattempo tieni d’occhio il mio portafoglio titoli.»

«Cioè tengo il suo tesoro in una buca?»

«Sì, meno quel che ti serve per la tua borsa di studio e per il tuo stipendio. Tieni bene i conti, mi raccomando. Voglio sapere dove finisce ogni centesimo.»

Erano un sacco di informazioni a lungo termine per un ragazzo che raramente pensava al di là della prossima busta paga. «Ci posso pensare?»

L’espressione di Vern diceva no, e la sua voce fece altrettanto. «Negativo, giovane. Questa qui è la classica occasione di quelle che capitano una volta sola nella vita, ragazzo mio. Nei prossimi anni avrò voglia di viaggiare, e avrò bisogno di un laureato al mio fianco. Per cui queste sono le mie condizioni.»

«Non sono mai stato portato per la scuola, capo» si lamentò Miccetta.

«Ma chi cazzo sei? Huckleberry Finn? Accetta l’offerta e basta, Cristo santo.» Vern gli porse la mano. «Hai cinque secondi di tempo. Dopodiché l’offerta scade.»

Miccetta guardò bene la gigantesca mano squamosa e gli artigli sulla punta di ogni dito, artigli che non tanto tempo fa erano stati sul punto di tagliargli la gola. Sembrava una vita fa, sembrava fosse stato un altro Vern, e si rese conto che tendergli quella mano era stato un passo da gigante per Vern, e che stringergliela gli avrebbe cambiato la vita. E poi sapeva che, se non avesse stretto la mano a Vern, sarebbe stata la fine del suo rapporto con il drago, il che era impensabile.

Miccetta aspettò tre secondi, poi gli strinse la mano. «Cazzo, capo. L’università. Pensavo fossimo tipo gli eroi di un film d’azione, tutto intrighi e salvataggi impossibili. Adesso invece mi tocca studiare?»

Vern stava cominciando ad appassionarsi al suo ruolo di mentore. Gli disse: «I veri eroi sono gli studenti».

Cosa che fece scoppiare entrambi a ridere per quasi un minuto.

Vern fischiò attraverso il buco sempre più stretto fra le zanne, quando Bodi Irwin gli spiegò la Fase Uno del piano.

«Cazzo, roba audace» disse, «un passaggio dai narcos. E tu come cazzo le sai, tutte ’ste cose, Green Day?»

Bodi era al contempo orgoglioso e offeso, il che si tradusse pressappoco nell’espressione di un uomo con lo stomaco troppo gonfio. «Andiamoci piano con questo “Green Day”. Adesso sono l’Ausiliario Irwin. Non l’ho neanche messa, la maglietta dei Green Day, vedi? Ho il cappello, e cazzi vari. E comunque queste cose le so perché fino a ieri non ero un tutore dell’ordine e l’erba da qualche parte dovevo pur procurarmela.»

Erano riuniti nel soggiorno di casa Moreau, che era anche la cucina e la camera da letto di Elodie. Vern era schiacciato sull’unica poltrona, con un Moreau appollaiato su ciascuno dei braccioli. Bodi era rimasto accasciato per qualche minuto come un cacciatore, fino a che le ginocchia non gli avevano ceduto, costringendolo a tornare sul tavolino. Quando si rialzò per spostarsi, Elodie gli sorrise. L’impegno andava ricompensato.

«Se voi due piccioncini avete finito» disse Vern, «magari potremmo continuare. Corre voce che i federali stiano bussando in giro.»

«Chiudi il becco, Vern» disse Elodie, che si era ovviamente abituata ad avere un drago in salotto/cucina/camera da letto. «Bodi è ancora convalescente.»

Bodi apprezzò il sostegno. «Eh già, Vern, mica a tutti basta farsi il bagno in una friggitrice.»

«Bum» disse Miccetta. «Colpito e affondato, capo.»

Vern fece del suo meglio per mantenersi serio. «Muto, tu, Phi Beta Kappa. Non siamo neanche ancora usciti dalla palude. Perché non ti tieni le battute per quando sono al sicuro in Messico, cazzo?»

«A dire il vero non parliamo del Messico» disse Bodi. «L’idea era la Colombia. Il Messico al momento non ti offre un cazzo di niente, mi perdoni la volgarità, signorina Elodie.»

E, che diamine, se Elodie non arrossì un poco. «Ti posso perdonare quasi tutto al momento, Bo, visto che siamo in piena infatuazione iniziale.»

«“Bo”?» disse Miccetta. «Avete pure dei soprannomi, adesso?»

Vern gli diede una pacca sul ginocchio. «Lo vuoi un consiglio, giovane? Comprati delle belle cuffie a cancellazione del rumore, se non vuoi restare traumatizzato a vita.»

Miccetta era visibilmente in imbarazzo sul suo trespolo. Ormai non era più un bambino, ma tutti sono bambini quando si tratta delle birbonate della propria madre.

«Colombia, capo» disse, riportando la conversazione in acque più navigabili. «Perché ho trovato questo video. Per un paio di giorni ho cercato “avvistamenti di draghi” ed erano tutte cazzate, poi però ho provato con “gargoyle”.»

«Ma santo Dio!» disse Vern. «I gargoyle non sono neanche delle creature vere: sono statue. Se vuoi avvistare un gargoyle basta che te ne vai a New Orleans e guardi in alto.»

«Comunque sia, ci sono sempre più turisti che si avventurano nella giungla per vedere la Città Perduta, da quando i guerriglieri si sono dati un po’ una calmata.»

«La Ciudad Perdida» disse Elodie, esagerando l’accento per il piacere di Bodi.

«Mamma, per favore, mollaci» disse Miccetta. «Io sto lavorando, qui.»

«Scusa, caro» disse Elodie.

«Più turisti significa più video» continuò Miccetta, «e l’anno scorso su Internet è spuntato questo.»

Miccetta picchiettò sul telefonino una marea di volte, poi ci fece scorrere un dito, e a quel punto partì un video su YouTube. Il video era breve, la mano dell’operatore tremava, e c’erano parecchie ombre, ma si vedeva qualcosa che aveva l’aspetto di un grosso rettile che si lanciava in mezzo agli alberi. Qualcosa di grosso, con la testa a forma di incudine.

Vern si rizzò sulla sedia. «Ma sai che forse…» disse.

Miccetta lo fece partire un’altra volta.

«Potrebbe essere…»

«Potrebbe essere anche una cazzata» disse Bodi.

«Senza dubbio» concordò Vern. «Ma che altra scelta ho?» “Be’, devo andarmene comunque” pensò, “quindi tanto vale andare verso qualcosa, o no?”

Vern era ben più che lievemente ansioso. Era un sacco di tempo che non andava in cerca dei propri simili, e sapeva che molto probabilmente era diretto verso la rupe della delusione. Eppure…

«Okay» disse. «Okay, va bene. Quando parto?»

«Settimana prossima» disse Bodi, «se sei disposto a volare.»

«Cazzo, Green Day» disse Vern. «Sono nato per volare.»