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Miccetta disse a sua mamma che Waxman, il vecchietto strambo che viveva sull’altra sponda del fiume, gli aveva offerto un lavoretto per l’estate, lo stesso genere di faccende che già sbrigava per conto di Bodi, e che oltretutto Waxman non era poi così strambo e a dire il vero non era nemmeno tanto vecchio. Elodie chiese a Bodi cosa ne pensasse, ed entrambi decisero che andava bene, a patto che Miccetta desse a sua madre il cinquanta per cento dei guadagni e andasse a letto entro mezzanotte, cosa che Miccetta promise di fare pur sapendo che non sarebbe stato possibile.
“Il fatto è, Mamma, che ho delle commissioni da sbrigare per conto di Vern il drago, altrimenti quello mi trasforma il culo in un barbecue cajun.”
Non c’era modo di rivelare una notizia del genere.
“Ah, e poi ti volevo anche dire che il tuo ragazzo è un assassino di pietra.”
Un’altra faccenda della quale avrebbe dovuto occuparsi.
Prima il drago, poi il poliziotto corrotto.
Ma sapendo quel che sapeva adesso, Miccetta giurò a se stesso che non avrebbe più permesso a Regence Hooke di mettere piede in casa loro.
Waxman gli aveva mandato un WhatsApp per dirgli di portare una pizza meat lover, così Miccetta si fermò al Pearl Bar and Grill a prenderne due, extralarge, prima di attraversare il fiume. Il Pearl River era tranquillo a quell’ora tarda, e il rumore del fuoribordo di Miccetta era il più forte che si sentisse, fatta eccezione per un cabinato su cui stava impazzando una qualche festa, e dal quale pulsava un giro di basso che rimbombava per tutto il canale.
A Miccetta piaceva la sera, con la melassa del sole della Louisiana che gli ricadeva sul collo e sulle braccia. Gli piaceva anche l’acqua, per quel suo modo di cambiare colore così in fretta, verde rame un attimo prima, poi una lastra d’acciaio con ghirigori argentati a orlarne le increspature, e infine blu cielo. Si poteva uscire in barca, e fra le due sponde si trovava un santuario dove non v’era altro che il fiume: qualche minuto di pausa dal mondo. Miccetta passava lì quasi tutte le vacanze quando non stava trafficando o non era di turno. Si prendeva cura delle reti per i gamberoni oppure andava a caccia di vecchi pesci gatto nelle loro buche. E pensava che forse, quando fosse venuta l’ora, si sarebbe costruito una baracca nei meandri della palude, là dove i turisti non ficcavano mai il naso, e si sarebbe stabilito laggiù, per esistere e basta. Questo se non si fosse innamorato, che a ben vedere era sempre possibile. Charles Jr si innamorava ogni due settimane, ma non durava mai. Miccetta pensava di essere troppo morto di fame perché le ragazze potessero mai prenderlo seriamente in considerazione.
Un’altra questione che dava da pensare a Miccetta era quella di suo padre. La Mamma non riusciva neanche a parlarne. Un paio di volte ci aveva provato, si era davvero sforzata di raccontargli quella storia, ma ogni volta che Elodie apriva bocca per dire il suo nome, le veniva un nodo in gola e cominciava a piangere come se le lacrime non dovessero finire mai. Erano arrivati al punto che Miccetta non affrontava più l’argomento perché se provava a concentrarsi sui ricordi che ruotavano intorno a Papà si sentiva sussultare lo stomaco e per poco non gli veniva da vomitare. Poteva essere che le sue interiora si ricordassero qualcosa che il resto di lui aveva dimenticato.
Stasera però Miccetta non aveva tempo per quelle meditazioni senza scopo. Doveva consegnare due pizze a dei non-umani.
E anche i bignè fritti.
Waxman aveva richiesto un sacchetto dei famosi bignè fritti alle spezie di Bodi.
“Merda, mi sono scordato i bignè.
Gran bella figura già la prima sera, imbecille.”
Era troppo tardi per tornare indietro. Waxman lo aspettava non appena avesse fatto buio, cosa che era imminente. Avrebbe sempre potuto fare un salto a comprarli una volta che i capoccia si fossero spartiti le pizze.
Miccetta aveva attraccato al molo di Waxman cento volte, ma stasera era diverso. Stasera era trepidante. D’improvviso l’odore delle pizze gli fece rivoltare lo stomaco e pensò che per la prima volta in vita sua gli stesse venendo il mal di mare.
“Carne bruciata” pensò. “Potrei esserci io, in quel cartone.”
Ma Miccetta era un marinaio fino al midollo. Ingoiò la bile e mise un piede sulle assi, facendo il suo tipico giochetto nel quale lanciava il cappio della corda intorno al palo con la punta della scarpa. Non funzionava dappertutto, ma il molo di Waxman era perfetto, e Miccetta fu rincuorato nel vedere che quel numero gli riusciva anche coi nervi a fior di pelle.
“Potrei essere un ottimo fattorino per il vecchio Vern” pensò. “Il migliore.”
Sembrava che Vern se ne fosse andato, dato che c’era solo Waxman ad aspettarlo sotto il tendone a righe della veranda, con il querceto sullo sfondo e una familiare di birra a penzolargli fra le dita.
«Ti sei scordato i bignè fritti, vero o no?» disse, seduto sulla sedia. «Sento il profumo della pizza, ma niente bignè nel raggio di mezzo miglio.»
Miccetta ammise che era così. «Sì, me li son scordati, ma posso tornare a prenderli. Non c’è problema.»
Waxman ghignò. «Considerata l’alternativa, immagino di no. Comunque no, direi che la pizza basterà.»
Miccetta si rilassò un pochino, afflosciando leggermente le spalle. «Dov’è il capo?»
«Vern se n’è andato. Non gli va di passare due sere di fila così vicino alla civiltà. A ogni modo, non è il mio capo. Tu, invece, mi pare che di capi ne abbia almeno quattro. Magari cinque, contando Hooke.»
«Cinque, eh?» disse Miccetta. «Per forza poi non dormo bene.»
Waxman finì la sua birra e mise la bottiglia nella cassa del riciclaggio. «Magari posso aiutarti a chiarire un paio di cose. Farti un piccolo corso propedeutico, per così dire.»
Miccetta consegnò una delle due pizze nelle mani ansiose di Waxman. «Tipo Training Day?»
«Stai calmo, Denzel» disse Waxman. «No, e poi mica abbiamo una giornata intera. Tutto quel che abbiamo è il tempo che ti serve a seppellirmi.»
«Come, a seppellirla?»
Waxman rise. «Certo, a seppellirmi. A cosa diavolo pensi che serva tutta quella merda di drago?»
La faccenda era la seguente: i mogwai ogni tanto si ibernavano per ricaricare le batterie. Alcuni antenati di Waxman avevano scoperto, Dio solo sapeva come, che il terreno migliore per il riposo dei mogwai era la cacca di drago. A quanto pareva era ricchissima di vitamine e nutrienti, un super-cibo, per così dire. Più merda fresca finiva nel fosso, meglio ne usciva il mogwai.
Waxman diede ordine a Miccetta di scavare una fossa in un angolo del suo orto, dal quale aveva già rimosso banani, zucche e patate.
«Accidenti, giovane» disse Waxman, mentre Miccetta si dedicava a scavare la fossa al mogwai nel terreno soffice di argilla e fondi di caffè, «tre mesi di nanna e tornerò come nuovo. Tutti i fastidi e i dolori sistemati. Specialmente con un bravo ragazzo come te a concimarmi.»
Miccetta stava tentando di tagliare una radice con la pala. «Siamo sicuri, Waxman? A me fa strano, mi sembra tanto di scavare la fossa per un morto. Mica voglio ritrovarmi accusato di omicidio di primo grado perché magari un pescatore con l’occhio fino ci vede.»
Waxman gesticolò con una fetta di pizza piegata fra le dita. «Puoi stare tranquillo, Miccetta. Ci sono due lettere dentro, sul tavolo. Una è una lista della spesa per la tua prima consegna a Sua Maestà Draghesca, e l’altra è per il mio avvocato giù a Slidell. Dice che sono andato in vacanza in Alaska e tu sei il custode legale della mia proprietà mentre sono via. In più la casa è tua, se per caso non dovessi tornare. Ma sta’ tranquillo, ché torno, quindi non farti strane idee.»
Miccetta riuscì a tranciare la radice e tirò via il tentacolo nodoso dalla terra umida. «Non ho tempo per le idee» disse. «Cinque capi, si ricorda?»
«Mi sa che hai ragione» disse Waxman. «Meglio darci dentro, allora.»
«Mi piacerebbe, signore» disse Miccetta. «Ma è difficile? Essere il fattorino di Vern?»
Waxman rimuginò meditabondo, come ripensando a qualcosa. «Be’, un po’ sì. A volte è proprio una lucertola bisbetica; anche se tecnicamente non è una lucertola. Io lo chiamo Signore di Highfire, ironicamente, perché non è più un signore, ma ci sono volte che gli tornano in mente quei tempi e si mette ad abbaiare ordini, che io ignoro, ma che a te invece converrà stare a sentire se vuoi la tua bella squama.»
Miccetta scagliò via una zolla pesante e fangosa dal buco. «Che genere di ordini?»
«Mah, sai com’è, robe da vecchiette. Tipo che gli viene voglia di cereali per la prima colazione o vestiti nuovi alle quattro del mattino, e ti spara un messaggio del tipo: “Mi servono una dozzina di magliette di Flashdance appena possibile”. Cazzate così.»
«Gli piace proprio, Flashdance, eh?»
«Cacchio, se gli piace. Quel drago è fissato con Flashdance.»
«Nessun problema. Ho un account su Amazon. Qualsiasi cosa gli serva, la faccio arrivare in due giorni.»
Waxman divorò un’altra fetta di pizza, senza sforzarsi di nascondere la sua doppia fila di denti taglienti come lamine. La sua masticazione faceva il rumore che potrebbero fare delle rane passate in un frullatore. Miccetta si dovette impegnare parecchio per riuscire a non fare smorfie.
Waxman deglutì. «No. Usa il mio account. Ci sono tutti i dettagli sulla scrivania, insieme ad altre istruzioni. Amazon è organizzato con una carta di debito, quindi puoi ordinare tutto quello che serve. È la stessa carta che uso da Bodi, e anche all’emporio. Guarda però che quando torno mi controllo per bene gli estratti conto, quindi non stare a comprarti qualche bambola gonfiabile o qualunque altra cosa su cui voi giovani buttate via i soldi oggigiorno.»
«Non butterò via un centesimo» promise Miccetta. «Solo magliette di Flashdance.»
Waxman lo guardò stringendo gli occhi. «Fai l’impertinente, giovane?»
«Chiedo scusa» disse Miccetta. «L’abitudine. Mi ero dimenticato che son cambiate le cose, dato che non è umano e tutto il resto.»
«Be’, di certo non sono il classico vecchietto inoffensivo della palude, quello è poco ma sicuro. Un paio di quei tizi me li son mangiati, quando hanno cominciato a venire a ficcare il naso da ’ste parti, in cerca del mio oro. Non ce l’ho nemmeno, io; ce l’ha Vern, l’oro che era in quel sottomarino.»
Miccetta tenne gli occhi sulla fossa. «Se li è mangiati?»
«Mica del tutto» disse Waxman. «Solo la carne.»
«Per favore, Waxman» disse Miccetta, sentendo un altro accenno di nausea. Sperava sinceramente che fosse soltanto l’argomento della conversazione e non il soffio del drago che gli divorava le budella. «Deve per forza parlare così? È troppo, per me.»
Waxman richiuse il cartone ormai vuoto della pizza. «Scusa, giovane. È solo che mi fa piacere poter essere me stesso in tua presenza, dopo tutto questo tempo.»
«Quello non è un problema» disse Miccetta, scendendo sempre più nella fossa. «Giusto le storie sul mangiarsi la gente. Qualsiasi altra cosa va benissimo.»
«Il resto te lo spiego fra qualche mese, anche se per allora sarai del tutto indipendente, oppure sarai bell’e stecchito.»
Il che spalancò la porta alla domanda che Miccetta aveva cercato di porre. «Ma secondo Lei Vern potrebbe ancora darmi fuoco?»
Waxman appoggiò con cura la giacca alla sedia. «Potrebbe, giovane. Senza dubbio. Gli umani gli hanno massacrato tutta la famiglia, e hanno usato le pelli come armatura. Cacchio, gli umani hanno ucciso quasi tutta la sua razza, a parte lui. E anche Vern ha la sua bella collezione di scalpi, per così dire. Tu però hai l’opportunità di renderti indispensabile. Non fare tardi, non rispondere e non dire un cazzo di niente a nessuno, perché ogni persona a cui lo dici è una faccenda in sospeso e Vern non sopporta di lasciare faccende in sospeso.»
Waxman si tolse la camicia, rivelando un torso solcato da pieghe ondulate di pelle simile a cera, e fessure orlate che avrebbero potuto essere branchie. «Vern ha abbandonato la via dell’eremita, in questi ultimi cinquant’anni. Gli piace un po’ troppo il lusso. La TV via cavo, eccetera. Devi fare in modo che tutto arrivi senza intoppi. Ogni suo desiderio è un ordine.»
«Capito» disse Miccetta. «Lui mi dice “salta” e io gli faccio: “Quanto in alto, capo?”.»
«Esatto. Come siamo messi con le serate, nella tua agenda?»
«Bene» disse Miccetta. «Mamma fa il turno tardi fino a ottobre, per cui dalle otto in poi sono libero come l’aria.»
«Potrebbe funzionare proprio bene. Fino al tramonto Vern non avrà bisogno di te, e cominci domani.»
Miccetta sapeva che non avrebbe dovuto chiedere, ma alla fine della fiera era un uomo d’affari. «Ma secondo lei magari Vern me lo scuce qualche dollaro, ogni tanto?»
Waxman tirò indietro la testa e si mise a ridere, coi denti che gli vibravano come un rasoio elettrico. «Sei unico, Moreau, sei veramente unico. Qualche dollaro, dice. Ma non capisci, giovane? Vern odia gli umani, li odia proprio tanto. E non è un odio superficiale, tipo uno che odia il pollo. Questo è odio vero. Se io torno e tu respiri ancora, allora sarà un grande risultato per l’umanità.» Waxman sbuffò. «Qualche dollaro? Cazzo, giovane. Meglio che ti rimetti a scavare e la pianti di fare domande da scemo.»
Miccetta obbedì.
Miccetta scavò circa un metro e mezzo, a occhio e croce, ed era più che esausto quando Waxman finalmente gli disse di smettere.
«Così dovrebbe andare, giovane» disse il mogwai. «Perché non ci scambiamo di posto? A meno che non voglia fartelo tu, il pisolino sottoterra.»
Miccetta decise che un pisolino sottoterra non gli andava proprio, e saltò saggiamente fuori dalla fossa, sebbene a quel punto gli arrivasse alle spalle. Restò sorpreso nel trovare Waxman nudo come un verme, fatta eccezione per una fetta di pizza a coprirgli le pudenda.
«La mangia, quella?» chiese Miccetta, nel tentativo di sollevarsi un po’ l’umore, lievemente cupo giacché non soltanto si ritrovava schiavo di un drago, ma gli toccava pure seppellire vivo il vecchio Waxman.
«Nah» disse Waxman, «me la assorbo con calma nelle prossime settimane. Mettimela tutta sopra. La seconda pizza, dico. Ci sono delle bistecche nel frigo. Portami anche quelle. E una mezza dozzina di bottiglie di fertilizzante Baby Bio. Caccia dentro tutto.»
Waxman saltò nella fossa con entusiasmo, neanche fosse diretto a Disney World – non quella Disneyland farlocca che c’è in Europa, quella seria di Orlando. Le spalle del mogwai erano un tantino troppo larghe per la buca, ma lui si sistemò bene sul fondo e disse allegro: «Alé, giovane, ricoprimi di merda».
Era un quadretto bizzarro e raccapricciante: un vecchio signore con l’aria da folletto, con insetti e lumache che già gli strisciavano verso le mutande fatte di pizza. Miccetta aveva un’ultima domanda. «Waxman, non è mica pazzo, vero?»
Waxman ghignò. «Pazzo? Sono stanco, ecco cosa sono. Che domanda è?»
«Be’» disse Miccetta, «sa com’è, se per caso è pazzo, allora la sto per seppellire vivo.»
«Cazzo, giovane» disse Waxman, «con tutta la roba che hai visto nelle ultime ventiquattro ore, se c’è un pazzo mi sa che sei tu.»
«Giusto» disse Miccetta. «direi che ha senso tanto quanto il resto.»
«Bene, allora, caro il mio Miccetta, meglio che ti dai da fare. Una volta che quella merda di drago si disidrata, non riesci a spostarla nemmeno col martello pneumatico.»
«Signorsì, Waxman» disse Miccetta. «Dorma bene, direi.»
Waxman chiuse gli occhi. «Cazzo, giovane. Sono già a metà strada.» Il mogwai sorrise beato e quell’espressione non lasciò il suo volto neppure quando Miccetta Moreau riempì la fossa con un quarto di tonnellata circa di cacca di drago.
Miccetta cercò di distrarsi osservando le proprietà della merda di drago.
“L’odore non è poi così tremendo. Ha un non so che di frutta secca.
“Per quel che riguarda la consistenza, direi tipo yogurt gelato.”
«Ehi» disse poi Waxman, aprendosi un varco tra gli escrementi con le mani, «un’altra cosa.»
Miccetta per poco non se la fece addosso, e lasciò cadere la pala. «Cosa? Ha cambiato idea?»
Waxman scosse il capo. «Nah, giovane, sono convinto. Però portami il completo in tintoria. Fallo lavare a secco, mi raccomando. Neanche una goccia d’acqua sul mio velluto.»
«Va bene» disse Miccetta, «lavato a secco.»
«Adesso la smetto di ciarlare» disse Waxman. «Mi sa che seppellirmi potrebbe essere più facile se la smettessi di darti ordini.»
“Forse” pensò Miccetta, ma in realtà non faceva alcuna differenza.
Vern aveva una strana sensazione nel profondo dello stomaco, come se ci fosse dentro una creatura viva, raggomitolata, intenta a rosicchiarlo dall’interno.
Questa cosa si chiamava timore. Semplicissimo. Una di quelle emozioni estreme: paura e aspettative.
Non riesco a crederci, Highfire, pensò. Ti stai fidando di un umano, cazzo. Quand’è che imparerai?
Wax l’aveva convinto la sera prima con tanto liquore e un paio di succulente bistecche di cinghiale cotte alla perfezione, bruciate fuori, e al sangue al centro.
«Ti sei portato la borsa da viaggio, Vern?» gli aveva chiesto il mogwai.
«No» disse Vern. «Sono uscito di corsa per andar dietro al ragazzino.»
«Immaginavo» disse Waxman. «Poco male. Ho una bella borsa che mi avanza, proprio qui. Con una bella tracolla e tutto quanto.»
«A cosa mi serve una borsa?»
Waxman a quel punto aveva poggiato sul tavolo la sua sinistra borsa da medico. «Per liberarti di questa roba. Non ho più voglia di ammazzare, Vern. Siamo tutti anime, no? Per cui seppelliscila ben bene sottoterra, lontano da casa mia. Non ho voglia che quella roba mi si infiltri nell’orto. O, meglio ancora, vaporizza tutto quanto. Usala per allenarti al tiro al bersaglio, ma mi raccomando, non inalare i vapori; quella roba lì ti fa marcire le interiora.»
Vern tirò a sé la borsa. «Allora è davvero finita? Chiudi qui la tua carriera di assassino?»
Waxman aveva già levato il calice. «Legittima difesa a parte, fratello. Un brindisi?»
E Vern, che dopo il suo pasto a base di cinghiale e liquore non provava alcun fastidio, ed era ebbro e ben disposto nei confronti della teoria delle anime del mogwai, brindò a quel proposito, pur non condividendolo.
La mattina dopo il drago aveva uno strato extra di rimpianto, oltre al disprezzo di sé che provava dopo ogni sbornia, e alle prime luci dell’alba si fiondò fuori dalla casa galleggiante di Wax, falciando l’acqua tiepida del fiume e lasciando che gli si insinuasse nei recessi della corazza, con la sensazione che stesse per vomitare sott’acqua da tanto che era ansioso.
“Che cazzo mi è saltato in mente?
“Un umano domestico.
“E pure un ragazzino.”
E poi:
“Questo cazzo di fiume è inquinato come la merda. Si sente solo sapore di diesel e di piscio.”
Cosa che di certo non aiutava un drago che già aveva un filo di nausea.
C’era stato un tempo in cui quell’acqua era più dolce di una limonata.
Stamattina era decisamente acidissima. Non c’era da stupirsi che la pelle gli stesse diventando grigia, a passare tutto il giorno fra gli scarichi delle barche insieme agli alligatori. Quando i raggi del sole colpivano il pelo dell’acqua nella maniera sbagliata, il fiume sembrava tutto una grande chiazza arcobaleno. Poi stava invecchiando, quello non c’era modo di negarlo. C’era un limite ai millenni che un drago poteva vivere prima che il corpo cominciasse a cedere. C’era stato un tempo in cui avrebbe potuto volare per un giorno intero e soffiare montagne di fuoco per puro divertimento, ma adesso Vern dubitava di poter stare in aria più di sei ore senza che gli venissero le palpitazioni.
Così era cominciata quella giornata per Vern, col morale sotto le zampe. E non fece che peggiorare.
“Il mio unico amico se ne va per tre mesi sottoterra.”
Ma avrebbe potuto restarci degli anni.
Avrebbe potuto restarci per sempre.
Capitava spesso che i mogwai si trovassero talmente bene sottoterra che abbandonavano completamente la propria forma fisica e si lasciavano assimilare. Wax una volta gli aveva raccontato, in quella fase depressiva post-interramento durante la quale era ancora ebbro di fango: «Cazzo, Vern. Ma sai che là sotto smetti di pensare? Sparisce tutto, sai? E non c’è altro che pace. Un’eternità di pace, volendo. Mica male come prospettiva».
Un’eternità di pace. Non era per niente male, come prospettiva.
Così Vern tornò a casa e si infilò nella baracca, ignorando gli alligatori sulla riva che lo salutavano con le mascelle spalancate, e sentendo il proprio umore rabbuiarsi a ogni passo fra i giunchi.
“Dio” pensò. “Eccolo che arriva.”
Quel che stava arrivando era uno dei suo momenti bui. Era normale aspettarsi che qualsiasi creatura dotata di mezzo cervello ogni tanto si sentisse un po’ giù, specie in una situazione come la sua. Tutti coloro che amava erano stati assassinati, e lo stesso valeva per tutti coloro che non gli dispiacevano. Persino la maggior parte delle creature che odiava erano morte. Sua madre era stata tagliata a pezzi e trasformata in trofei di caccia, mentre la testa di suo padre aveva adornato la saracinesca di un castello per circa dieci minuti, finché Vern non aveva raso al suolo l’intero borgo. Si era infuriato, aveva distrutto, si era infuriato un altro po’. Per anni il suo lutto l’aveva fatto esplodere in prolungati accessi di piromania che l’avevano ridotto pelle e ossa, e a quel punto si era sentito la mente emaciata quanto il corpo, come se neanche quella avesse più la forza o la volontà di andare avanti. E quando la prima ondata di solitudine gli era atterrata sul petto come un macigno, Viverna, Signore di Highfire, aveva avuto la sensazione di restarne schiacciato.
Il mondo che un tempo era stato suo gli si era rivoltato contro. Peggio ancora, si era dimenticato di lui.
“Ormai pulisco le strade che una volta erano mie” pensò, parafrasando l’accattivante crooner Chris Martin.
“Sono come i ratti giù nei loro buchi, ad accapigliarsi per due scarti.”
Ma non era neppure come i ratti, perché i ratti erano ratti.
Plurale.
Lui era un drago. L’unico.
Il giorno dopo la sepoltura, Miccetta caricò la spesa sulla barca, distribuendo bene la zavorra dell’acqua minerale, dell’olio da cucina e degli altri oggetti pesanti e fischiettando come uno dei sette nani mentre lavorava, in modo tale da illudere almeno una parte di sé che si trattasse di una serata normale. Controllò gli indicatori del fuoribordo, dopodiché salpò dal molo del bar.
Il Pearl River era avvolto dalla solita falsa quiete che ne caratterizzava le serate, ovverosia una quiete che durava finché uno non si metteva a fare attenzione, e a quel punto le orecchie cominciavano ad accorgersi del vento che sospirava fra i pizzi del muschio, del gracidio delle rane che rimbalzava da un capo all’altro della palude, dei grilli che impazzivano e dei gufi che bubolavano esultanti come bifolchi che avessero appena trovato una cassa di Budweiser. E sotto tutti quei rumori c’era la costante sinfonia dell’acqua, il suo sibilare contro l’argine e il suo gorgoglio nell’intrico delle radici dei cipressi. Di solito Miccetta non faceva caso a tutto questo, ma ne diventava parte. Di solito la palude gli si avvolgeva intorno come una coperta, eppure stasera si sentiva visibile come un insetto gigantesco su un parabrezza piccolissimo.
“’sto cazzo di drago” pensò.
Intanto, però.
Intanto, però, c’era una parte di lui, quella infantile, forse, abbastanza entusiasta all’idea di lavorare per una creatura mitologica.
Un cazzo di drago.
Sempre che tenesse la testa a posto e si rendesse indispensabile, come gli aveva suggerito Waxman.
“Prima che seppellissi Waxman” gli disse la sua vocina.
“Sì, prima che mi chiedesse di seppellirlo.”
Se si fosse reso indispensabile, allora magari il drago avrebbe potuto aiutarlo a risolvere la faccenda di Hooke. Dopotutto Hooke aveva dei giri loschi nella palude, e se Vern non era il re di quella palude allora Miccetta era il nonno di un alligatore.
“E io mica sono il nonno di un alligatore.”
Miccetta sentì un raggio di luce far breccia nel suo avvilimento.
Magari Vern avrebbe potuto aiutarlo.
“Alquanto improbabile” gli disse la sua vocina. “Vern odia l’intero genere umano.”
Miccetta doveva ammettere che era così, ma sua mamma non gli diceva forse che con il suo fascino avrebbe potuto convincere gli uccellini a scendere dagli alberi? Di sicuro riusciva a convincere i turisti a sganciare qualche dollaro. A dire il vero l’unico che si era dimostrato immune al suo fascino era proprio Regence Hooke.
Magari il vecchio Vern avrebbe finito con l’affezionarsi al suo fido Miccetta.
Non sarà stato un gran piano, ma era qualcosa di affine a una speranza, e Miccetta era deciso a restare aggrappato a quella sensazione, se non altro per superare la serata.
Miccetta era un po’ troppo entusiasta e fece un paio di deviazioni lungo gli affluenti sbagliati prima di raggiungere l’alloggio di Vern. Quando finalmente arrivò, trovò la baracca deserta. Sul tavolo c’era una squama, a fare da fermacarte su un biglietto.
“La merda è sul retro” diceva il biglietto, per poi aggiungere una breve lista della spesa che includeva vodka, l’ultimo numero della guida tv, e un affetta verdure che Vern doveva aver visto in qualche televendita.
Del drago, nessuna traccia.
Miccetta si infilò in bocca la squama, pensando: “Questo lavoro è meno entusiasmante di quanto sperassi”.
E poi: “Mi sa che alla fine Vern non ha poi tutta ’sta gran voglia di aiutarmi”.