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Hooke si svegliò il pomeriggio successivo sentendosi come se fosse appena finito il dodicesimo round della Rissa nella Giungla. Magari quel pensiero era dovuto alla vista della mano destra fasciata come il pugno di un pugile, per non parlare delle fitte che gli martellavano il cranio, tanto che pareva ci fosse dentro Alì a volare come una farfalla, massacrandogli le orbite con i suoi fulminei jab.

“Dio Cristo” voleva dire Hooke, ma il suo desiderio di infrangere il Secondo Comandamento fu stroncato sul nascere da una bocca più asciutta della sabbia in un secchio antincendio, che gli rendeva quasi impossibile schiudere le labbra.

Quel che uscì dalle suddette labbra non pareva lingua umana, bensì un ringhio animale, ma fu sufficiente ad attirare l’attenzione di un’infermiera sull’altro lato del paravento che lo separava dal resto di quella piccola corsia.

L’infermiera era Elodie Moreau, e aveva l’aria di una che avrebbe potuto dormire per cent’anni, se solo gliene avessero dato l’opportunità.

“La ragazza sta da cani” pensò Hooke. “Vuoi vedere che mi son fissato con la donna sbagliata?”

Ma poi Elodie gli sorrise e i dubbi di Hooke si dissiparono all’istante.

«Ausiliario Hooke» disse. «È tornato fra noi, grazie a Dio.»

Hooke non era scemo abbastanza da vedere chissà che in quel ringraziamento al Signore; era una formalità pura e semplice. Ma erano tante le relazioni nate da un qualche trauma. Magari poteva succedere anche stavolta.

Elodie gli versò lentamente un po’ d’acqua nel gargarozzo riarso, e quando Hooke ebbe la sensazione che la libagione fosse sufficiente, chiese: «Quanto ho dormito?».

«Tutta la notte» disse lei. «E quasi tutta la mattina. Russava come un cinghiale, fra l’altro. Mai sentito un baccano simile.»

“Sta saggiando i miei limiti” pensò Hooke. “La gente si fa coraggio, e ti prende a calci quando sei già per terra.”

«Stia attenta, signorina infermiera» disse, gentile ma con una certa fermezza nel tono. «Persino i tutori dell’ordine hanno dei sentimenti.»

Elodie fece un passo indietro. «Mi scusi tanto. Mi sa che devo lavorare un po’ sul mio modo di trattare i pazienti.»

«Dipende dal paziente» disse Hooke, senza aggiungere altro. Magari la settimana prossima, se la questione Carnahan fosse passata in cavalleria, avrebbe potuto fare una capatina alla baracca di Elodie e ringraziarla per bene.

«Telefonate per me?» chiese poi.

«Niente, ma ho chiamato Lori» disse Elodie.

Hooke grugnì. Lori era la segretaria che condivideva con il sindaco, tale signor Shine. L’amministrazione di Petit Bateau non poteva permettersi una seconda segretaria, per cui la verità era che Hooke si occupava di quasi tutte le comunicazioni e le scartoffie da solo, anche se Lori rispondeva al telefono ogni mattina nei giorni feriali.

«Le manco?» chiese Hooke.

«Lori si chiedeva dove fosse, così le ho detto che l’ha morsa un serpente e che era qui a riposarsi un po’. Niente di che, in ufficio. Lori dice che ieri sera c’è stato un po’ di trambusto sul fiume, giù a valle; probabilmente qualche poco di buono che pescava con la dinamite.»

“Cazzo” pensò Hooke. “’sta gente se ne fa di storie. Han già deciso che pescavano con la dinamite.”

«Ho detto a Lori che sarà convalescente almeno per qualche giorno ancora. Magari una settimana.»

«Una settimana? Non ce l’ho mica una settimana per starmene qui steso a letto.»

Era vero. Hooke sentiva che il tempo era un lusso del quale in questo caso aveva pochissima disponibilità.

Per come la vedeva lui, era andata così: Ivory lo spedisce nel bayou per fare giustizia e liberarsi di Willard Carnahan. Per Ivory la cosa ha senso, dato che Hooke è il suo uomo nella palude. Poi però il boss di New Orleans decide di approfittare dell’occasione per incastrare Regence mandando una spia a fare un video di Hooke che porta a termine il lavoro assegnatogli dallo stesso Ivory.

Una rete bella intricata, pensò Hooke.

Adesso però tutta quella situazione si era trasformata in un disastro: la spia di Ivory era morta o ridotta malissimo, e il boss sapeva che Hooke l’aveva scoperto e voleva vendetta.

“Sempre che fosse Ivory” pensò Hooke, “perché se non era lui non ho la minima idea di chi andare a cercare.”

Un’idea in realtà avrebbe dovuto averla, e lo sapeva, ma i postumi dell’avvelenamento ancora gli annebbiavano il cervello. La situazione era critica, ma Hooke sapeva che era necessario sistemare le cose. Il fatto che Ivory gli fosse andato contro interferiva con il suo piano di andare contro Ivory, che era sempre stato il suo obiettivo a lungo termine.

«Bisogna che stia a riposo» disse Elodie, cercando di assumere un tono fermo. «L’abbiamo appena staccata dalla dialisi. Il medico vuole tenerla in osservazione nel caso in cui si ripresentino i sintomi.»

Hooke si tirò su, con uno sforzo considerevole, e si sedette sul letto. «Mi aiuti almeno ad alzarmi, signorina Elodie, devo fare una telefonata.»

«Non le ho neanche detto della fisioterapia» obiettò Elodie. «Vuole perdere completamente l’uso del braccio? Perché è quello che rischia se va a fare una telefonata.»

«Mi metta l’opuscolo sotto il cuscino» disse Hooke. «So badare a me stesso.»

Elodie fece un altro tentativo di dissuadere Hooke. «Guardi che non dovrebbe proprio camminare» gli disse. «Non nelle sue condizioni.»

Hooke riuscì a far penzolare le gambe oltre il bordo del letto. «Dolcezza, ho condotto una pattuglia da una parte all’altra di Ramadi con una commozione cerebrale, per cui penso di poter arrivare al telefono.»

Elodie trasalì leggermente a quel vezzeggiativo, ma riuscì a ignorarlo. «Potrebbe restare cieco!»

«Be’, in quel caso» disse Hooke. «Tornerò sicuramente a letto.»

La ragazza di certo stava facendo del suo meglio per salvargli la vita, doveva riconoscerglielo. Anche se non era esattamente tenera nei suoi confronti, perlomeno non ancora.

“Intensificherò i miei sforzi. Magari potrei mandare il ragazzino all’ospedale per qualche settimana così da avere campo libero. Adesso, però, c’è da dedicarsi alle operazioni di contenimento con il re di New Orleans.”

Pensare a Ivory peggiorò non poco l’umore di Hooke, tanto che si dimenticò del suo debole per Elodie Moreau. «Accompagnami un po’ fino al mio telefono, donna» sbottò, tirandosi via la flebo dal braccio. «Ho del lavoro da fare, io.»

Elodie era capace di una certa sfacciataggine, e gli rispose a tono: «Il suo telefono è lì nell’armadietto. Uno come lei, che ha condotto una pattuglia da una parte all’altra di Ramadi, sarà ben in grado di guadare un paio di metri di linoleum».

Hooke prese in considerazione l’idea di dare un pugno all’infermiera con la mano buona, poi ci ripensò. Era una clinica, non un vicolo buio, e un pugno a un’infermiera difficilmente si traduceva in una bella figura sui giornali. E poi, conciato com’era, avrebbe potuto addirittura mancarla e finire col culo per terra. Così sorrise nella maniera più dolce possibile per un uomo come lui, e disse: «Le chiedo scusa, signorina Moreau. Oggi sono un po’ scontroso. Sarà tutto il veleno che ho in corpo».

«Non c’è nessun bisogno di scusarsi, signor Hooke» disse Elodie, il suo lampo d’ira svanito così come si era acceso. «Sono un pochino scontrosa anch’io, per cui direi che siamo sulla stessa barca.»

“Ancora no” pensò Hooke, “ma presto lo saremo.”

Hooke entrò nella sala ricreativa con passo incerto, guardando in cagnesco un vecchietto con la fronte aperta fino a che quello non se la diede a gambe infilandosi la sua rivista di armi e tiro sotto il braccio.

Hooke mandò un messaggio a un vecchio cercapersone, e dieci minuti dopo gli arrivò una telefonata dal proprietario del dispositivo. Regence avrebbe preferito sedersi a parlare con Ivory Conti in persona nel suo hotel rétro in perfetto stile mafioso, ma il boss gestiva le proprie imprese criminali nello stesso modo in cui aveva gestito il suo studio di consulenza finanziaria a Wall Street, ovverosia come un vero business. Se un agente di strada desiderava prendere un appuntamento con il capobranco, ci volevano sei mesi per trovare un buco libero in agenda, e anche lì, probabilmente, si sarebbe trattato di cinque minuti via FaceTime. Per cui Hooke avrebbe dovuto accontentarsi di una telefonata.

Ciò detto, dato che Hooke era uno degli sbirri preferiti di Ivory, si meritava perlomeno un tirapiedi di primo livello, la Rolls-Royce delle guardie del corpo: il gemello.

Il gemello unico.

Storia tragica. Vedete, fino a poco tempo prima c’erano stati due gemelli, cosa che per definizione è considerata la norma, fino a che uno non divenne la prima vittima delle mire espansionistiche di Ivory, quando venne abbattuto a colpi di pistola davanti a un circolo ricreativo del centro storico da una sicaria adolescente.

E poi ne restò solo uno: un picchiatore creolo africano di nome Rossano Roque. Rossano era un patito di arti marziali. Era in grado di abbattere un albero a mani nude, o perlomeno così si diceva. In quinta elementare lo avevano soprannominato Cavalletta, come il protagonista della serie Kung Fu, poi quand’era più grandicello era diventato El Cava. Ed El Cava era rimasto. Solo Ivory chiamava l’energumeno Rossano.

«Cosa c’è di tanto urgente, sbirro?» chiese El Cava. «Ho da lavorare, io.»

La cosa lo rassicurò. Rossano era il solito stronzo incazzoso, per cui fin lì tutto regolare.

«Rilassati, Roque» disse Hooke, cercando di apparire disinvolto, come se non fosse stato in ospedale con un morso di serpente.

«Potresti spiegarmi cosa sta succedendo, Regence? Se ho i federali addosso non ci facciamo certo una bella figura né io ne te.»

“‘I federali addosso’” pensò Hooke, sogghignando. “Qualcuno ha guardato troppo The Wire.”

«Se tu avessi i federali addosso ne sarei al corrente, e un attimo dopo lo sapresti anche tu» disse Hooke. «Non sei manco in fondo alla lista, da tanto che sei un pesce piccolo.»

El Cava tirò su col naso all’altro capo della linea, e Hooke poteva immaginarsi la sua espressione tutta incazzata. Era tipico di quei soggetti: volevano tutti la libertà e la notorietà. Difficile avere entrambe.

«Bene» disse poi. «È così che mi piace, Hooke. Anonimato, capisci?»

«Sei saggio, bello mio. Bisogna tenere un profilo basso. Quei mafiosi di una volta erano dei cazzoni. Gioielli, feste eleganti… È facendo gli spacconi che si son fatti pizzicare. Preferisco di gran lunga il tuo stile: basso profilo. Rossano Roque, niente di speciale.»

Roque esalò un respiro esasperato. «Sai, Hooke, non riesco proprio a capire per quale motivo mi stai stuzzicando. Sei corrotto, ti teniamo per le palle. Allora com’è che oggi all’improvviso chiacchieri tanto?»

Hooke decise di vuotare il sacco circa le proprie condizioni. «Magari è il veleno residuo che mi fa comportare come un matto. L’infermiera mi ha detto che sarebbe potuto succedere.»

«Ti ha morso qualcosa?»

«Mi ha morso un serpente. Stupido, eh, per uno con la mia esperienza? Però succede. Volevo solo assicurarti che nonostante la mia momentanea interdizione, il lavoro assegnatomi dal signor Conti è stato completato. Ma non è che lo sapevi già?»

«Lo so adesso. E mi hai chiamato al telefono per quello? Non potevi mandare un emoji? Tipo un pollice su, o qualche cazzata del genere?»

«Certe volte le comunicazioni non vanno per il verso giusto» disse Hooke. «E a quel punto la gente si dimentica il proprio ruolo, e da lì al caos il passo è breve. Ho ragione o no?» Hooke ascoltò con attenzione. Il fatto era che stava blaterando cose senza senso, a meno che l’altro non avesse il codice, e il codice era che Ivory aveva sguinzagliato una spia. E se fosse stato davvero così, allora senza dubbio se ne sarebbe occupato il responsabile della sicurezza.

El Cava però sembrava perplesso. «Ma che cacchio, Hooke? Mi sa che ne hai ancora un bel po’ di quel veleno in circolo, perché stai dicendo delle cazzate che non stanno né in cielo né in terra. L’unico che si sta dimenticando il proprio ruolo sei tu, francamente. Io sono il capo, e tu sei il mio cane. Un cane intelligente, quello te lo riconosco. Un cane di quelli che puoi portare ad America’s Got Talent, ma pur sempre un cane. Quindi, messaggio ricevuto: lavoro completato. E il signor Conti ti è molto grato, e te lo dimostrerà in busta paga. Possiamo chiuderla qui? Possiamo evitare di sproloquiare in mezzo ai civili quando potrebbero esserci dei laser a rimbalzare sulle finestre? A patto che il problema del signor Conti sia stato risolto, i dettagli non gli interessano. Sono stato chiaro, Hooke?»

El Cava era stato chiarissimo. Il suo capo Ivory sapeva meglio di tanti altri come le prove, di qualsiasi genere, tendessero a riversarsi su Internet. Molti dei suoi amici banchieri di Wall Street erano stati affondati da video fatti con il cellulare o email recuperate chissà dove.

“Magari mi sbagliavo” pensò Hooke. “Magari non è Ivory quello che cerco.”

Ma, anche lì, era più probabile che fosse Roque a prendere quel tipo di decisioni nel quotidiano, come ad esempio raccogliere un po’ di materiale compromettente su Hooke affinché gli restasse leale.

«Quindi non hai mandato un ragazzino a filmarmi mentre facevo il lavoro?» chiese.

«Ma no, cazzo» gridò Roque. Poi si rese conto di quel che la domanda implicava. «Scusa, mi stai dicendo che un ragazzino ti ha filmato?»

«Potrebbe essere» ammise Hooke. «Di certo aveva una telecamera. Sono abbastanza sicuro che sia andata in mille pezzi, ma è anche vero che oggigiorno le fanno belle robuste.»

«Hai per caso fatto il nome di Ivory mentre ti occupavi degli affari?»

«Ecco, questa è una domanda pertinente» disse Hooke. «Potrei aver riferito un messaggio del signor Conti, tipo “Questo è da parte di Ivory” o qualcosa del genere.»

«Be’, fantastico, cazzo» disse El Cava. «Veramente grandioso, porca puttana. Dovrei ammazzarti con le mie mani, Hooke. Sul serio.»

Hooke si mise a ridere di gusto a quella minaccia di morte. «Meglio che non mi minacci, compare, oppure mi sa che farai una reunion con tuo fratello, se capisci cosa intendo.»

«Merda» imprecò El Cava. «Ma tu guarda che cazzo di casino. Ti ho assegnato il lavoro, Hooke, perché mi avevi assicurato talento e discrezione. “Talento e discrezione”, parole tue.»

«Sono discreto» obiettò Hooke, sentendosi una fitta nel petto. «Sono stato discreto, ma lo è stato anche lo stronzo in mezzo ai cespugli.»

«E tu hai pensato che avessi mandato uno a tenerti d’occhio?» disse Rossano Roque. «Per tenerti al guinzaglio.»

«Mi è passato per la testa.»

El Cava si concesse un momento per valutare la situazione prima di parlare. «Ok. Ecco come la vedo io, sbirro. Magari l’ho mandato io, lo spione, nel qual caso Ivory ti tiene per le palle. A parte il fatto che ti tiene già per le palle, e lo stesso vale per tanti altri sbirri come te. Però ti sto dicendo che non ho mandato nessuno spione, nel qual caso hai un problema che se ne va in giro per la palude di Honey Island. Se fossi in te, mi comporterei come se non l’avessi mandato io, lo spione, e comincerei a cercarlo, perché tanto, anche se l’ho mandato io, ormai non ci puoi fare un cazzo di niente.»

Aveva senso, Hooke doveva ammetterlo, per quanto potesse ammetterlo solo a se stesso. Se Ivory avesse commissionato il video, allora sarebbe già stato sotto chiave nella famosa super-cassaforte nel suo ufficio, che Hooke non sarebbe mai riuscito a violare senza l’aiuto di uno specialista. Se invece Ivory non aveva il video, allora ce l’aveva qualcuno nella giurisdizione di Regence, e lui avrebbe fatto bene a risolvere quel casino prima che il video finisse nelle mani di Ivory.

«Il ragazzino che ti ha filmato» disse El Cava. «Se non l’ha mandato Ivory, sarà uno del posto, no?»

«Esatto» disse Hooke.

Roque continuava a dire cose sensate. «Non c’è qualche ragazzino del posto che può avere interesse a toglierti di mezzo? Uno che conosce bene il bayou?»

«Cazzo, Colonnello, ce ne saranno più di una ventina. Però so chi c’è in cima alla lista.»

“Miccetta Moreau” pensò Hooke, e immediatamente si rese conto che El Cava aveva ragione. “Lo stronzetto mi odia, a causa della mia futura relazione con sua mamma. Se è stato lui, allora è solo questione di tempo prima che quel video venga mostrato a una giuria di miei pari, se non peggio.

“‘E qui, Vostro Onore, può ammirare l’Ausiliario Hooke che spancia il contrabbandiere con il coltello. Si vedono chiaramente gli intestini.’

“Al che il giudice avrebbe detto: ‘Spegnete quella merda. Ho appena mangiato un burrito’.”

El Cava era in attesa di una reazione. «Allora» disse il sedicente ninja, «ti viene in mente nient’altro?»

Hooke si prese il suo tempo. «Ti dico una cosa sola, Cava» disse infine, «di sicuro non ho intenzione di parlare di burrito con un giudice.»

Il che lasciò Rossano Roque in piena confusione.

“Proprio come piace a me” pensò Hooke, per poi riattaccare senza dire altro.

“Miccetta Moreau” pensò Hooke, con il cuore che gli batteva quasi abbastanza forte da spezzargli le costole.

“Quel cazzo di Miccetta Moreau” pensò Hooke, mentre la vista gli svaniva dagli occhi.