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Hooke era un poliziotto corrotto, su quello non c’era dubbio, ma c’erano vari livelli di corruzione. Una cosa era l’agente di pattuglia che ogni tanto si faceva offrire il caffè, ma quando ti ritrovavi un tutore dell’ordine che sistematicamente abusava del potere conferitogli dalla legge per, che so, far fuori un corriere su richiesta di un principino della mafia, be’, quello era tutto un altro livello di corruzione.

Quel che rendeva particolare Regence erano le sue intenzioni. Qualsiasi poliziotto si fosse mai seduto a testimoniare di fronte al Congresso, e fosse mai stato interrogato da una commissione affari interni, prima o dopo aveva borbottato rosso di vergogna nel microfono una dichiarazione tipo: “Signora, sono entrato in polizia per aiutare la gente. Non so esattamente quando le cose siano cambiate”.

Per Regence Hooke invece non era mai cambiato nulla. Sin dal primo giorno, per lui l’obiettivo era stato la sua prosperità – anzi, a dire il vero, da prima ancora del primo giorno. Era una storia biblica, a ben vedere, quella delle circostanze che avevano plasmato le ambizioni di Regence. Suo padre era un sedicente predicatore di Homestead, Florida, che non era mai riuscito ad attirare molti fedeli a causa della sua rigida e fanatica aderenza ai dettami letterali della Bibbia, soprattutto i primi capitoli. Jerrold Hooke magari avrebbe avuto miglior fortuna in Mississippi, ma la gente della Florida preferiva il suo Gesù all’acqua di rose, quello che non puntava il dito contro i loro cappotti con il collo di pelliccia in chiesa perché il Levitico vietava di indossare abiti fatti con tessuti diversi tra loro. E quelli del Nord venuti a godersi la pensione non tolleravano un predicatore che strappava loro di mano i cheeseburger poiché Esodo proclamava che era proibito consumare carne e latticini nello stesso pasto.

Il giovane Regence non aveva altra scelta che aderire alla linea da Vecchio Testamento del suo paparino, e la cosa gli causò non poche pene durante l’adolescenza. Tutto quel che riguardava la birra e lo sport era proibito, e Dio solo sapeva, cazzo, che per un adolescente erano tutto. Regence, come da manuale, prese la strada della ribellione tout court e finì sculacciato, letteralmente sculacciato, nel cortile di casa, con i suoi amici che guardavano, per l’insolenza con cui, in barba al Deuteronomio, era stato un figlio dissoluto e ubriacone. Il giovane Regence, con la faccia rossa quanto il culo, pensò: “Affanculo ’sta merda. Voglio vederlo morto e sepolto, ’sto bacchettone”.

Jerrold Hooke apostolo però era sempre più infiacchito da quanto poco fregasse alla gente delle sue prediche, e finì per attaccarsi al vino liturgico, dopodiché da lì al bourbon il passo fu breve. E tra il bourbon e il disprezzo di sé c’erano solo poche ore di sonno. Quel disprezzo, come di solito accade, fu poi trasmesso alla moglie e ai figli. Selma Hooke cedette una sera dopo che quel pio ubriacone le aveva sciorinato in faccia otto ore di predicozzo, e se ne andò portando con sé la figlia, Martha Mary, senza farsi mai più sentire.

Regence, invece, non se lo portò.

Era un ragazzo difficile, lui.

Ce l’aveva scritto addosso: un grumo di risentimento grosso come un giocatore di football, con un mare di violenza a ribollire appena sotto la superficie. Selma Hooke sapeva che sarebbe giunto il giorno della resa dei conti, e non voleva che Martha Mary ne fosse testimone.

Il giorno della resa dei conti arrivò circa sei mesi più tardi. Sei mesi di padre e figlio a vivere da soli nel retro di una bottega di legno da due soldi adibita a luogo di culto, con la vernice che si sfaldava e un campanile che era poco più che una pila di pedane. I fedeli erano limitati alle schiere dei senzatetto, degli ubriaconi e dei drogati. E persino quelle povere anime pensavano che il vecchio Jerry Hooke stesse perdendo il controllo, a giudicare da com’era ubriaco quasi tutti i giorni, e da come prendeva a cinghiate quel ragazzino per infrazioni in gran parte inventate delle sue innumerevoli regole.

Sembrava che Jerrold fosse ogni giorno più pazzo di Gesù. Cominciò a credere sul serio di essere stato scelto da Dio per fare qualcosa di super-speciale che avrebbe reso importante la sua esistenza per ben più di quella dozzina di comparse di Walking Dead che bazzicavano la sua chiesa.

Quando l’uragano Andrew passò irruento sulle Bahamas puntando dritto verso la Florida, Jerrold sentì di aver finalmente trovato il suo veicolo.

Disse al figlio, al quale davvero non sarebbe potuto fregare un accidente: «Resteremo fianco a fianco nel tempio, dovesse crollarci intorno, e allora vedranno».

A quel punto, però, a Regence cominciò a fregare ben più di un accidente, giacché se aveva capito correttamente i vaneggiamenti del padre, si sarebbero rifugiati in una chiesa fatta di compensato e chiodi arrugginiti mentre il resto dei loro concittadini veniva evacuato e si levava di torno.

“Ma vaffanculo” pensò Regence.

E così si rivoltò contro suo padre.

O perlomeno ci provò. Regence era grosso, ma Jerrold era più grosso ancora. Il figlio mise a segno un bel colpo prima che San Paparino apostolo lo mandasse a dormire con un colpo di Bibbia.

Regence si risvegliò sull’altare della chiesa, con l’Armageddon che gli mulinava intorno e quel pazzo furioso di suo padre che si stagliava nudo sopra di lui, invocando il Signore affinché gli mostrasse un segno.

“Un segno?” pensò Regence. “Un Cristo di segno? Ma allora mi prendi per il culo.”

E poi che cazzo ci faceva suo padre con il culo di fuori?

Nulla sembrava avere un minimo di senso, e Regence sapeva che l’uragano che imperversava, dando l’impressione che il mondo si stesse rivoltando sottosopra, li avrebbe senz’altro spediti entrambi in qualsiasi aldilà ci fosse stato. E se l’idea del paradiso avrebbe anche potuto essergli di conforto in quel momento, mentre Andrew tutt’intorno scartava la chiesa come un cioccolatino, riducendola a una montagna di stuzzicadenti, Regence sperava almeno per metà che tutta quella faccenda del paradiso fosse una cazzata, in modo tale che l’ultimo pensiero di suo padre potesse essere qualcosa del tipo: “Oh, diavolo. Mi sono sbagliato”.

Fu allora che un frammento dell’uragano Andrew atterrò su padre e figlio, spedendoli entrambi dritti nello scantinato, dove si ritrovarono senza fiato e coperti di macerie mentre la furia degli elementi passava loro sopra. Miracolosamente, entrambi gli Hooke sopravvissero.

Perlomeno sul momento.

Regence fu il primo a ricomporsi, e si levò in piedi stagliandosi sul padre pensando: “Magari aveva ragione papà. Magari è stato Gesù a salvarci”.

Poi Jerrold Hooke aprì gli occhi e disse: «Regence. Peccato che il Signore non ti abbia preso. La mia sopravvivenza sarebbe sembrata ancor più miracolosa. E poi sarei stato una figura tragica per i fedeli».

Al che Regence raccolse un’asse spezzata e la piantò nel cuore del padre neanche fosse stato un vampiro, dopodiché gli si sdraiò accanto sul pavimento fangoso e aspettò i soccorsi.

E in quel momento, sdraiato in quello scantinato con il cielo che si strappava a brandelli sopra di lui, il giovane Regence si rese conto che nessun male veniva per nuocere – a patto di essere disposti ad approfittare del caos.

“Ho un dono” si rese conto Regence. E quel dono era che riusciva a mantenere la calma mentre il mondo intero, intorno a lui, usciva di senno. Anni dopo un suo mentore in Iraq gli citò un passaggio che gli era sembrato assolutamente perfetto: «”Se riesci a mantenere la calma quando tutti intorno a te la perdono…”».

Il resto di quella vecchia poesia inglese davvero non faceva al caso di Regence, così Hooke prese quel che gli serviva e completò il pensiero come segue: “Se riesci a mantenere la calma quando tutti intorno a te la perdono, allora c’è da far dei gran bei soldi”.

Ma stasera nel bayou del Pearl River, con la sua corpulenta mole rannicchiata a due metri di profondità e il suo cabinato che gli rovinava addosso, Regence Hooke sapeva che c’era in ballo ben più del contante. I traumi della sua infanzia gli avevano fatto dono del sangue freddo, che lui aveva impiegato per balzare via dai guai. O perlomeno da quel guaio in particolare. C’erano un sacco di altre opzioni, quella sera, sul menu dei guai, una delle quali era il serpente al quale Hooke per poco non diede un involontario pugno in faccia mentre si trascinava a riva sulle nocche, un altro l’alligatore lungo tre e metri e mezzo che, svegliatosi di soprassalto per l’esplosione, smaniava per addentare il culo a qualcosa ma era troppo stordito per avventarsi sull’Ausiliario Hooke. E come se non bastasse, quando Regence si trascinò finalmente fuori dalla melma rimestata, si trovò faccia a faccia con un cinghiale dagli occhi iniettati di sangue, che squadrò la sua espressione da assassino e decise di distogliere lo sguardo e battere in ritirata.

Hooke si fece strada a manate fra giunchi e canne, con la rabbia che montava a ogni passo. Era incazzato per la barca, sì: adesso come faceva a convincere Elodie con quel gran gesto? Ed era incazzato per i diecimila dollari di potenza di fuoco che l’avevano seguita sul fondo del fiume. Ma i proiettili e le navi si potevano sempre ricomprare, e da quelle parti ce n’erano in abbondanza. A dire il vero, il gommone di Willard Carnahan era ormeggiato dietro l’angolo e Hooke ci avrebbe scommesso il distintivo che l’avrebbe trovato con gli scomparti belli pieni di armi. E poi una bottiglia del liquore di contrabbando di Willard per scrollarsi di dosso il freddo era proprio quel che ci voleva.

Quel che in realtà aveva scosso la compostezza di Hooke era la sua stessa confusione. Cosa diavolo era appena successo? Per quel che aveva capito lui, la granata gli era tornata indietro come un tappo di sughero attaccato a una cordicella. Nella sua lunga e variegata esperienza con proiettili di ogni tipo, non gli era mai capitata una cosa del genere, cazzo. Quella granata mica funzionava con un radiocomando. Andava nella direzione in cui la lanciavi.

Fino a oggi.

Afferrò due rami di cipresso e si tirò su per poi lasciarsi ricadere sull’argine del fiume.

“Dignità zero” pensò. “Sdraiato sulla pancia come un cadavere spiaggiato. Oltretutto sono completamente esposto.”

Anche se, a essere onesti, la mancanza di dignità lo preoccupava di più.

“Se mi sparano due colpi in testa adesso finisce che mi trovano così.”

Così Regence Hooke si alzò e si sfilò di dosso il giubbotto, e con quello probabilmente cinque chili di merda e melma.

«Vieni fuori, stronzo» gridò al tendaggio spettrale di muschio spagnolo. «Non sono ancora cotto.»

Era vero: Hooke era pronto al faccia a faccia. Il suo sergente istruttore ai tempi di Fort Polk una volta gli aveva detto: «Cazzo, tu sei come l’incredibile Hulk, vero, soldato Hooke? Più merda ti caccio addosso, più hai quel luccichio negli occhi. Mi piace, soldato. Sei una macchina per uccidere, tu, non è vero, ragazzo?».

E Hooke aveva risposto: «Signorsì, sergente. Una macchina per uccidere, quello sono».

Ma non l’aveva detto a pieni polmoni, come era stato addestrato a fare. L’aveva detto pianissimo, come se le parole gli fossero uscite dal cuore.

Il sergente istruttore per poco non si cagò nella mimetica, e da quel giorno in poi diede ben poco fastidio a Hooke.

E Hooke adesso aveva quello stesso luccichio negli occhi, e non c’era niente che gli sarebbe piaciuto di più che scatenare l’inferno in lungo e in largo su quell’isola dimenticata da Dio per dare la caccia al lacchè di Ivory.

Ma…

Ma c’erano state un paio di esplosioni che avrebbero attirato l’attenzione.

E la sua arma di riserva sarà stata senz’altro intasata di merda.

E magari il ragazzo di Ivory era già diretto verso Petit Bateau, l’approdo più vicino, su qualsiasi imbarcazione l’avesse condotto qui, dato che Regence aveva mentito, prima, quando aveva detto di averla vista passare.

La mossa più intelligente era risalire il fiume con la barca di Willard e magari arrivare prima di chiunque l’avesse filmato. Era quella, la mossa più intelligente.

«Mente sempre sveglia, sergente Regence» si disse, imitando il Colonnello Faraiji, suo mentore in Iraq. «Mantenere la calma.»

Hooke chiuse gli occhi e contò fino a dieci, inspirando profondamente col naso, che era una tecnica di rilassamento che aveva imparato da una puttana del Quartiere Francese. Quando riaprì gli occhi, l’assassino che aveva dentro per il momento si era rintanato in un angolo.

“Per il momento” pensò Hooke. “Ma qui è successo qualcosa, e tornerò per scoprire che cosa.”