CAPITOLO DUE
UN SEGNO
Alla Scuola per future mogli e madri di Colle Carrozza, quel giorno Brystal imparò quale fosse la quantità adatta di tè da servire a un ospite, che tipo di antipasti cucinare per una cena formale e come piegare un tovagliolo per presentarlo a forma di colomba… insieme ad altre materie entusiasmanti.
Verso la fine delle lezioni, Brystal aveva alzato gli occhi al cielo talmente tante volte che aveva i bulbi oculari indolenziti. Di solito era più brava a nascondere la sua frustrazione durante le ore di scuola, ma senza il conforto di un bel libro ad aspettarla a casa, trovava davvero difficile celare il suo nervosismo.
Per provare a distrarsi, ripensò all’ultima pagina dei Racconti di Remus Rattibus che aveva letto la notte precedente, prima di addormentarsi. L’eroe della storia, un topo di campagna di nome Remus, era aggrappato a una roccia in bilico su uno strapiombo mentre combatteva contro un drago feroce. Le sue zampette cominciavano a essere stanche del continuo balzare da un masso all’altro cercando di evitare il respiro infuocato del drago. Con le ultime forze che gli erano rimaste, Remus aveva lanciato la piccola spada contro il nemico, sperando di ferire la bestia e guadagnare tempo per scalare la parete e mettersi in salvo.
«Signorina Evergreen?»
Come per miracolo, la spada di Remus aveva perforato l’occhio del drago. La creatura era scattata indietro ululando di dolore, e aveva illuminato il cielo notturno con lingue di fuoco incandescenti. Mentre Remus scendeva lungo la parete del crepaccio, però, il drago aveva agitato la coda appuntita come una frusta, facendogli perdere la presa dalla roccia a cui era aggrappato. Remus era caduto nel baratro, muovendo freneticamente le zampe in cerca di qualcosa, qualsiasi cosa, a cui aggrapparsi.
«Signorina Evergreen!»
Brystal si drizzò sulla sedia come se fosse stata punta da uno spillo invisibile. Tutte le sue compagne di classe si voltarono verso il suo banco e la fissarono con in volto la stessa espressione contrariata. La loro insegnante, la signora Piumeis, le stava lanciando un’occhiataccia dalla cattedra, le labbra serrate e una delle sottili sopracciglia inarcata.
«Ehm… sì?» domandò Brystal con occhi grandi e innocenti.
«Signorina Evergreen, sta prestando attenzione o è di nuovo in giro per il suo mondo immaginario?» domandò la signora Piumeis.
«Sono attentissima, ovviamente» mentì lei.
«Allora di certo mi sa dire qual è il modo più appropriato per gestire la situazione che ho appena finito di spiegare, vero?» la sfidò l’insegnante.
Brystal non aveva idea di quale fosse la materia di discussione. Le altre ragazze ridacchiarono, pregustando già il rimprovero cui sarebbe andata incontro. Per fortuna, però, Brystal conosceva la risposta a qualunque domanda le avesse rivolto la signora Piumeis, indipendentemente dall’ambito.
«La cosa migliore sarebbe chiedere al mio futuro marito che cosa fare?» rispose.
La signora Piumeis fissò Brystal per qualche istante, senza battere ciglio.
«È… corretto» ammise l’insegnante, sorpresa.
Brystal tirò un sospiro di sollievo, mentre le sue compagne sbuffarono con disappunto. Aspettavano sempre trepidanti i momenti in cui Brystal veniva ripresa per la sua distrazione. Anche la signora Piumeis sembrava delusa di non aver avuto alcun motivo per rimproverarla. Si sarebbe lasciata andare sulla sedia, se il corsetto non gliel’avesse impedito.
«Continuiamo…» annunciò la signora Piumeis. «Ripassiamo la differenza tra legare un nastro per capelli e i lacci da scarpe, e i pericoli in cui si può incappare se si fa confusione.»
Le studentesse esultarono e questo fece deprimere Brystal ulteriormente. Sapeva di non poter essere l’unica ragazza a desiderare una vita più eccitante di quella a loro riservata, ma guardando le compagne tendere il collo in avanti per osservare al meglio i nastri e i lacci da scarpe si chiese se fossero attrici fenomenali o se avessero davvero subito un lavaggio del cervello.
Brystal sapeva che non sarebbe stata una buona idea confidare a nessuno i suoi sogni e le sue frustrazioni, ma non c’era bisogno che dicesse nulla perché la gente notasse quanto era diversa. Era come un lupo di un branco differente, le altre allieve potevano fiutarlo. E visto che il Regno del Sud era un posto davvero inospitale per le persone che eccedevano dalla norma, le compagne di classe di Brystal le stavano lontano, come se essere diversa fosse una malattia contagiosa.
Non ti preoccupare, un giorno si pentiranno delle loro azioni… pensò Brystal. Un giorno rimpiangeranno di non essere state più carine con me… Un giorno sarò celebrata per le mie differenze… Un giorno saranno loro a essere infelici, non io…
Per evitare altre attenzioni, Brystal rimase silenziosa e più attenta possibile per il resto della lezione. L’unica volta che si mosse fu per accarezzare con delicatezza gli occhiali da lettura nascosti in una falda del vestito.
Quel pomeriggio Brystal si incamminò verso casa a passo più lento del solito. Ad aspettarla c’erano solo faccende e lavoretti, perciò decise di passare per la piazza principale di Colle Carrozza, sperando che il cambio di panorama la aiutasse ad allontanare i problemi dalla mente.
Ai lati della piazza svettavano quattro edifici imponenti: il Castello degli Alastair, la cattedrale, il tribunale e l’Università di Legge; lo spazio restante era occupato da una miriade di mercati e negozi affollati. Al centro della piazza c’era un’aiuola fiorita con una statua di Re Alastair I che sovrastava una piccola fontana. La statua raffigurava il sovrano a cavallo con la spada puntata in avanti verso un prospero futuro, ma a onor del vero quell’effigie riceveva più attenzioni dai piccioni che dai cittadini a passeggio per la città.
Mentre Brystal superava l’Università di Legge, osservò le mura di pietra e le cupole di vetro dell’edificio con grande invidia. In quel momento, Barrie era lì dentro, in una stanza da qualche parte, alle prese con il suo esame. Brystal poteva giurare di sentire l’ansia del fratello trasudare dalle pareti, ma allo stesso tempo avrebbe dato qualsiasi cosa per poter essere al suo posto. Si fermò a recitare una preghiera per lui prima di passare oltre.
Brystal non aveva altra scelta che oltrepassare il tribunale mentre si dirigeva verso casa. Era un palazzo tetro con grosse colonne e un tetto triangolare. Su ogni colonna era scolpito il ritratto di un Alto Giudice, e le sculture guardavano in basso verso i cittadini con lo stesso disappunto di un genitore deluso, un’espressione che Brystal conosceva davvero bene. Mentre osservava i volti sopra di lei, sentì montare dentro una rabbia improvvisa. Uomini come loro, uomini come suo padre, erano la ragione per cui viveva una vita così infelice.
In un angolo della piazza, tra l’università e il tribunale, c’era la biblioteca di Colle Carrozza, un edificio piccolo e modesto se paragonato agli altri, ma che agli occhi di Brystal sembrava una reggia. C’era una placca nera con un triangolo rosso affissa sopra i portoni: un simbolo comune nel Regno del Sud, a ricordare che non era permesso l’accesso alle donne. Ma ciò non riuscì a placare il suo desiderio di varcare quella soglia.
Essere così vicina a un’infinità di libri e non potervi accedere era una vera e propria tortura per Brystal, ma quel giorno la sensazione era davvero insopportabile. La sua impotenza le suscitò una valanga di emozioni, e tutta la paura, i dubbi e la sofferenza che aveva cercato di reprimere la travolsero come una slavina. Aver preso quella strada per tornare a casa stava avendo l’effetto opposto di quello desiderato, e la piazza le sembrava una gabbia che si faceva sempre più piccola e angusta.
Brystal era così sopraffatta che faticava a respirare. Scacciò alcuni piccioni dalla statua di Alastair e si sedette sul bordo della fontana a prendere fiato.
«Non ce la faccio più…» ansimò. «Continuo a ripetermi che le cose miglioreranno, ma non fanno altro che peggiorare… Se la vita non è altro che una serie di delusioni, avrei preferito non essere mai nata… Vorrei trasformarmi in una nuvola e volare via, molto lontano da qui…»
Si accorse di stare piangendo quando avvertì le lacrime scorrere lungo le guance. Alcuni passanti la notarono e si fermarono a osservare la scena, ma non le importava. Si coprì il viso con le mani e singhiozzò a dirotto davanti a tutti.
«Ti prego, Signore, ho bisogno di qualcosa di più della fede per andare avanti…» pianse. «Ho bisogno di qualcosa che provi che non sono solo un’ingenua… Ho bisogno di un messaggio che mi rassicuri che la vita non sarà sempre così terribile… Ho un bisogno disperato di un segnale…»
Ironia della sorte, quando smise di piangere, la prima cosa che vide fu proprio un segnale. Un bibliotecario vecchio e barcollante era uscito dalla porta principale dell’edificio con sottobraccio un cartello giallo acceso. Alzò le mani tremanti e lo affisse accanto all’ingresso della biblioteca. Brystal non aveva mai visto un cartello affisso fuori da quell’edificio, ed era davvero curiosa. Una volta che l’uomo fu rientrato, corse fino ai gradini d’ingresso e lesse le parole scritte sull’annuncio:
CERCASI DONNA DI SERVIZIO
A Brystal venne un’idea che le fece correre un brivido in tutto il corpo. Prima di ripensarci, e prima di rendersi conto realmente di ciò che stava facendo, la ragazza aprì i portoni dell’edificio ed entrò nella biblioteca di Colle Carrozza.
Vedere l’interno per la prima volta la disorientò a tal punto che le ci volle qualche istante per riuscire a elaborare tutto quello che c’era davanti a lei. Aveva passato anni a domandarsi che aspetto avesse l’interno della biblioteca, ma non aveva mai immaginato che potesse essere così incredibile. Era una sala circolare gigantesca con una moquette verde smeraldo e le pareti ricoperte di pannelli di legno. Il tutto era illuminato dalla luce naturale che filtrava dal soffitto di vetro. C’era un gigantesco globo d’argento al centro del pianterreno, e decine di studenti di legge erano seduti in poltrone sfarzose sistemate intorno a tavoli antichi. Ma la cosa più incredibile di tutte erano i tre piani di scaffali carichi di libri che si estendevano ai livelli superiori, un vero e proprio labirinto di sapere.
La vista di migliaia e migliaia di libri fece girare la testa a Brystal, come se avesse appena messo piede in un sogno. Non avrebbe mai immaginato che esistessero tanti libri al mondo, figurarsi nella sua biblioteca locale.
Brystal individuò l’anziano bibliotecario in piedi dietro a un bancone all’ingresso del salone. Il suo piano sarebbe finito in un disastro se non avesse giocato le sue carte al meglio. Chiuse gli occhi, fece un respiro profondo, si augurò buona fortuna e si avvicinò all’uomo.
«Mi scusi, signore?» disse Brystal.
Il bibliotecario era indaffarato ad applicare etichette a una nuova pila di libri e non si accorse subito di lei. Brystal sentì una scintilla di gelosia: non riusciva nemmeno a immaginare quanti libri avesse potuto toccare e leggere in tutta la sua vita.
«Mi scusi, signor Lanadozio?» domandò dopo aver letto la placca identificativa appoggiata sul bancone.
Il bibliotecario strizzò gli occhi e allungò la mano verso un paio di occhiali dalle lenti spesse che aveva lì accanto. Una volta inforcati, rimase a bocca aperta. Additò Brystal come se fosse un animale selvatico in libertà nell’edificio.
«Ragazzina, che cosa pensi di fare qui?» esclamò il signor Lanadozio. «Alle donne non è permesso entrare in biblioteca! Vattene subito prima che chiami le autorità!»
«In realtà la mia presenza qui è perfettamente legale» spiegò Brystal, sperando che il suo tono calmo riuscisse a tranquillizzarlo. «Vede, come recita l’Atto di Assunzione del 417, alle donne è concesso entrare in edifici riservati agli uomini per cercare lavoro. Quando ha affisso il cartello fuori, mi ha concesso il diritto legale di entrare per candidarmi per la posizione vacante.»
Brystal sapeva che l’Atto di Assunzione del 417 era riservato alle donne con più di vent’anni, ma sperava che il bibliotecario non conoscesse la legge quanto lei. Il signor Lanadozio assunse un’espressione accigliata e la guardò con occhi di falco.
«Tu vuoi essere assunta come donna di servizio?»
«Sì» disse Brystal con un’alzata di spalle. «È un lavoro onesto, non è forse così?»
«Ma una ragazzina della tua età non dovrebbe essere occupata a imparare le regole della casa e a farsi corteggiare dai ragazzi?» domandò il signor Lanadozio.
Brystal avrebbe voluto ribattere, ma riuscì a trattenersi e a rimanere concentrata sul suo obiettivo.
«A essere sincera, signor Lanadozio» continuò, «un ragazzo è proprio il motivo per cui voglio questo lavoro. Vede, c’è questo Assistente Giudice per cui ho una cotta. Vorrei disperatamente che un giorno mi chiedesse di sposarlo, ma non credo che mi consideri una moglie adatta. La mia famiglia ha molti servitori, moltissimi, e lui non ha alcuna ragione di credere che io sia capace di gestire le faccende di casa. Ma quando verrà a sapere che riesco a pulire la biblioteca tutta da sola, e alla perfezione, mi permetta di aggiungere, si convincerà che potrei essere una moglie migliore di qualunque altra ragazza in città.»
Brystal giocherellò addirittura con i capelli e fece gli occhi da cerbiatto per assicurarsi di essere più convincente possibile.
«Capisco, ma temo che tu non sia la candidata ideale per la posizione» disse il bibliotecario. «Non posso averti in giro per la biblioteca mentre gli studenti di legge studiano. Una ragazza sarebbe una distrazione troppo grande per un gruppo di giovanotti come loro.»
«In tal caso potrei venire a pulire di sera, quando la biblioteca è chiusa» suggerì Brystal. «Nella maggior parte degli edifici il personale di servizio lavora al di fuori dell’orario di apertura. Posso cominciare quando lei se ne va, e le assicuro che la mattina dopo l’intera biblioteca sarà immacolata.»
Il signor Lanadozio incrociò le braccia e le lanciò un’occhiata sospettosa. Era quasi troppo convincente per potersi fidare.
«Non stai cercando di ingannarmi, vero?» domandò. «Non vuoi lavorare qui solo per essere a contatto con i libri, dico bene?»
Per Brystal fu come ricevere un pugno nello stomaco: il bibliotecario sembrava leggere le sue intenzioni con la stessa facilità di sua madre. Ma cercò di non far trasparire il panico sul volto, invece scoppiò a ridere e provò a utilizzare l’ignoranza dell’uomo contro di lui.
«Signor Lanadozio, sono una ragazzina di quattordici anni. Che cosa pensa che mi importi dei libri?»
A giudicare dal modo in cui si rilassò, il bibliotecario doveva aver abboccato. Ridacchiò tra sé e sé, come se fosse stato sciocco a pensare una cosa del genere. Brystal sapeva di essere molto vicina a convincerlo: mancava solo l’ultima stoccata per farlo cedere.
«Quanto paga la posizione, signore?» domandò.
«Sei monete d’oro la settimana» disse l’uomo. «Cinque giorni di lavoro su sette. Non si lavora nei fine settimana o durante le feste come il Sovrangraziamento e la vigilia di Alastairdanno.»
«Facciamo così, signor Lanadozio, dato che sta facendo un favore a me, ne farò anche io uno a lei. Accetto di pulire la biblioteca a solo tre monete d’oro la settimana.»
Quell’offerta era musica per le orecchie del signor Lanadozio. Si grattò il mento e annuì, pensandoci su, sempre più convinto.
«Come ti chiami, signorina?» domandò.
«Brystal Ev…»
Per fortuna Brystal si fermò prima di rivelare il suo cognome. Se il bibliotecario avesse saputo che era una Evergreen, suo padre avrebbe potuto scoprire che aveva fatto domanda per quel lavoro, un rischio che non poteva correre. E così Brystal gli diede il primo nome che le venne in mente, dando vita al suo alias.
«Mi chiamo Bailey. Brystal Eve Bailey.»
«D’accordo, signorina Bailey» disse il signor Lanadozio. «Se puoi cominciare domani sera, sei assunta.»
Brystal non riusciva a trattenere l’eccitazione. Il suo corpo cominciò a tremare come se qualcuno le stesse facendo il solletico dall’interno. Allungò la mano verso l’altro lato del bancone e strinse quella fragile del bibliotecario.
«Grazie, signor Lanadozio, grazie di cuore! Le prometto che non la deluderò! Oh, perdoni la stretta, spero di non averle fatto male! A domani!»
Brystal praticamente fluttuò fuori dalla biblioteca e prese la strada che portava nella campagna verso est. Il suo piano era andato meglio di quanto avesse sperato. Mancava solo un giorno e avrebbe avuto accesso a migliaia e migliaia di libri. E senza nessuno in biblioteca a controllarla, avrebbe potuto facilmente portarne qualcuno a casa, dopo aver finito di pulire.
Quella prospettiva era davvero entusiasmante, Brystal non ricordava l’ultima volta che si era sentita così felice. Ma la sua euforia svanì di colpo quando vide apparire casa Evergreen all’orizzonte. Per la prima volta realizzò quanto quella situazione fosse impraticabile. Non c’era modo per lei di lavorare di sera alla biblioteca senza che la sua famiglia notasse la sua assenza: aveva bisogno di una scusa plausibile che spiegasse perché doveva uscire di casa la sera per tornare poi di notte fonda. Una bugia così spettacolare che le permettesse non solo di ottenere l’approvazione della sua famiglia, ma anche di evitare qualunque ulteriore sospetto. Se fosse stata scoperta, le conseguenze sarebbero state catastrofiche.
Brystal strinse i denti e si concentrò sulla sfida che la aspettava. Riuscire a ottenere un lavoro in biblioteca era solo la prima delle imprese impossibili di quel giorno.
Quella sera a casa Evergreen era tempo di festeggiamenti. Un messaggero dell’Università di Legge aveva annunciato che Barrie aveva passato l’esame col punteggio più alto della classe. Brystal e la signora Evergreen prepararono un vero e proprio banchetto per festeggiare la vittoria di Barrie, completo di una torta al cioccolato che Brystal aveva fatto tutta da sola. Quando gli Evergreen si sedettero al tavolo per mangiare, Barrie indossava già la sua nuova toga da Assistente Giudice.
«Come sto?» domandò alla sua famiglia.
«Sembri un bambino in abiti da adulto» lo schernì Brooks.
«Non è vero, stai benissimo» disse Brystal. «Sei nato per quell’uniforme.»
Brystal era davvero fiera del fratello, ma era specialmente grata di avere una scusa per essere felice. Ogni volta che pensava al suo nuovo lavoro in biblioteca le si dipingeva un sorriso gigantesco sul volto, ma nessuno si domandò perché sorridesse così tanto. Tutti i membri della famiglia erano similmente eccitati: dopo qualche bicchiere di sidro frizzante, anche Brooks divenne meno acido del solito.
«Non posso credere che il mio piccolino sia diventato Assistente Giudice» esclamò la signora Evergreen con le lacrime agli occhi. «Sembra ieri che indossavi le mie camicie e condannavi i tuoi giocattoli ai lavori forzati in giardino. Santo cielo, come vola il tempo!»
«Sono davvero fiero di te, figliolo» disse il Giudice Evergreen. «Stai mantenendo viva la tradizione e alto il nome di famiglia.»
«Grazie, padre» disse Barrie. «Hai qualche consiglio per la mia prima settimana in tribunale?»
«Per il tuo primo mese ti limiterai a osservare i casi, quindi fai attenzione a ogni piccolo dettaglio dei procedimenti» disse il Giudice. «Poi ti verrà assegnato il tuo primo caso dalla parte dell’accusa. Non importa quali siano i crimini, devi richiedere il massimo della pena, o il Giudice a supervisione del processo penserà che tu sia un debole, e si schiererà con la difesa. E quando ti verrà assegnato il tuo primo caso per la difesa, il segreto è…»
Il Giudice Evergreen si fece silenzioso quando lo sguardo gli cadde su Brystal. Si era quasi dimenticato della sua presenza.
«A pensarci bene, sarà meglio continuare questa conversazione in separata sede» disse. «Non vorrei che venisse ascoltata da orecchie indiscrete.»
Quelle parole resero Brystal nervosa, ma non perché si fosse offesa. Dopo un pomeriggio passato a pianificare, stava aspettando il momento più adatto per assicurare il proprio futuro alla biblioteca e quella avrebbe potuto essere la sua unica occasione.
«Padre? Posso dire una cosa?» domandò.
Il Giudice sbuffò, come se prestare attenzione alla figlia fosse un compito molto gravoso. Gli altri Evergreen osservarono Brystal e il padre con occhi nervosi, temendo che la cena sarebbe terminata sugli stessi toni della colazione.
«Sì, che c’è?» domandò il Giudice.
«Ho pensato molto a quello che hai detto questa mattina» esordì Brystal. «Non voglio infrangere la legge, forse avevi ragione a dire che non dovrei mangiare insieme a voi.»
«Ah, davvero?» disse il padre.
«Sì, e credo di avere trovato la soluzione perfetta» continuò lei. «Oggi dopo scuola mi sono fermata alla Casa per i bisognosi di Colle Carrozza. Hanno pochissimo personale, e se per te va bene, vorrei cominciare a lavorare lì come volontaria la sera dopo la scuola.»
«Vuoi andare a prenderti le pulci in una casa per poveri?» domandò Brooks incredulo.
La signora Evergreen alzò una mano per zittire il figlio. «Grazie, Brooks, ma ce ne occupiamo io e tuo padre» disse. «Brystal, è davvero generoso che tu voglia aiutare i meno fortunati, ma io ho bisogno del tuo aiuto qui a casa. Non riesco a gestire tutte le faccende e a preparare la cena da sola.»
Brystal abbassò il capo e si guardò le mani, in modo che la signora Evergreen non potesse leggere la disonestà nei suoi occhi.
«Ma non ti abbandonerò, mamma» spiegò. «Dopo la scuola rientrerò a casa e ti aiuterò a cucinare e a pulire, come sempre. Quando sarà ora di cena, uscirò per qualche ora per dare una mano alla Casa per i bisognosi. E di notte tornerò a casa e laverò i piatti prima di andare a dormire, come sempre. Perderò un’ora o due di sonno, ma per il resto non cambierà nulla.»
Tutti i presenti si fecero silenziosi, mentre il Giudice Evergreen pensava alla richiesta della figlia. Brystal avvertiva come un peso invisibile sullo stomaco, che diventava via via sempre più pesante. I trenta secondi che passarono prima della risposta le sembrarono ore.
«Sono d’accordo, bisogna fare qualcosa per evitare altri incidenti come quello di stamattina» disse il padre. «Hai il permesso di lavorare la sera alla Casa per i bisognosi, ma solo se non aumenterà il carico di lavoro di tua madre.»
Il Giudice Evergreen sbatté la forchetta sul tavolo come fosse il martelletto in tribunale, segnando la fine della seduta. Brystal non riusciva a crederci: avrebbe davvero lavorato in biblioteca! Il peso sullo stomaco svanì e realizzò di doversi allontanare dalla famiglia prima di cominciare a saltare su e giù dalla gioia.
«Grazie mille, padre» disse. «Ora, se volete scusarmi, darò a te e Barrie un po’ di privacy, in modo che possiate discutere liberamente della vita in tribunale. Tornerò dopo il dessert per sparecchiare.»
A Brystal venne dato il permesso di uscire dalla stanza, e corse di sopra in camera sua. Una volta chiusa la porta dietro di sé, cominciò a danzare di gioia in giro per la stanza, cercando di non fare rumore. Mentre piroettava, scorse qualcosa nello specchio che non vedeva da quando era bambina. Invece di una ragazzina triste e sconfitta in una ridicola uniforme scolastica, vide una giovane donna felice, con occhi pieni di speranza e guance rosee. Era come se davanti a lei ci fosse un’altra persona.
«Sei una ragazza cattiva, Brystal Eve Bailey» sussurrò al suo riflesso. «Una ragazza davvero cattiva.»