Cinquantadue

Luca Betti. La villa.

Con il passare delle ore, quasi inconsciamente, mi sono lasciato sopraffare dalla disperazione. Il pensiero, insopportabile, che qualcuno possa fare del male a mia figlia, ha fiaccato tutte le mie risorse mentali. Sono crollato in uno stato di semi incoscienza, una sorta di dormiveglia dettato sia dalla stanchezza fisica sia da una condizione di stallo psicologico. Da un tempo che non riesco a valutare sono rinchiuso con Marco in questa specie di cantina, un buco asfissiante, senza finestre, illuminato artificialmente. All’improvviso, la mia attenzione viene risvegliata da una specie di rumore persistente, quasi ipnotico. Con grande sforzo, riesco ad aprire gli occhi e a destarmi, almeno parzialmente, dal mio torpore, tornando a concentrarmi sull’orribile realtà.

Marco è piegato in una posizione strana, quasi allungato a terra, col braccio destro teso e il piede che colpisce, ripetutamente, l’anello di metallo fissato al cemento armato, quello al quale è assicurata la manetta che imprigiona la sua mano destra.

“Marco, che stai facendo?” gli dico quasi risentito. “Piantala, è inutile.”

Lui non risponde, continua a concentrarsi nello sforzo. I colpi vengono assestati in maniera ragionata, sempre nello stesso punto e allo stesso modo. Il suo intento deve essere quello di far cedere il supporto collegato all’anello.

“Marco, è inutile, non serve a niente…” insisto.

“Prova a stenderti da quella parte,” risponde lui, “dovresti arrivarci con la gamba sinistra. Inizia a colpire anche tu, dal lato opposto.”

“Ma lo vuoi capire che è inutile, cazzo!” urlo esasperato, “è acciaio affogato nel cemento armato! Come diavolo pensi di poterlo smuovere a calci?”

“È fissato con un tassello. Se riesco ad allentarlo, forse riesco anche a estrarlo. Fai come ti ho detto, inizia a colpire dall’altra parte.”

“No! E poi, anche se ce la facessimo, a che servirebbe? Sono armati, sono in tanti. Pensi di fermarli da seduto, con una sola mano libera? Lascia perdere, mi stai solo facendo impazzire con questo rumore!”

Marco si ferma e mi fissa dritto negli occhi. “Luca, ora stenditi a terra, allunga la gamba, prendi la distanza giusta e inizia a colpire col tallone. Se non lo fai, quando riuscirò a liberarmi, giuro che ti ammazzo con le mie mani.”

Chiudo gli occhi tentando di ricacciare indietro la disperazione e le lacrime. Ma non ci riesco.

“Marco, ho paura. Ho paura per Sara… Non sono come te, non sono mai stato forte come te. Se dovessero farle del male io… Io non…”

“Luca, basta! Adesso ascoltami! Guardami negli occhi e ascoltami attentamente… Comunque vada,” mi dice, “non toccheranno mai tua figlia. Sarebbe troppo pericoloso per loro, qualcuno potrebbe fare due più due e mettersi a indagare sul serio. Lei è al sicuro, credimi, siamo noi che siamo nella merda, quindi ora smetti di piagnucolare e vedi di darmi una mano!”

“Perché l’hai fatto?” gli domando piangendo. “Perché mi hai tradito? Io avrei dato la vita per te…”

Marco mi guarda e all’improvviso vedo qualcosa di diverso nei suoi occhi. Un’espressione nuova, forse più solenne, più colpevole. “Perché io sono diverso da te, Luca. Io non sono una brava persona.”

“Ne abbiamo passate tante… siamo sempre stati amici…”

Adesso piagnucolo in maniera talmente patetica che non posso fare a meno di provare vergogna.

“Se può fare qualche differenza,” mi dice continuando a fissarmi con quei suoi maledetti occhi azzurri, “non ho mai smesso di volerti bene. Nemmeno quando ho deciso di venderti per salvarmi il culo. Nemmeno quando ti ho pugnalato alle spalle tradendo la tua fiducia. E anch’io avrei dato la vita per te.”

Piango come un bambino, come un idiota, come uno che non ha più niente da perdere. Poi, però, cerco di riacquistare un contegno e annuisco, senza riuscire a parlare. Un groppo in gola me lo impedisce. Mi distendo, a fatica, e allungo la gamba sinistra fino a toccare l’anello che blocca la mano destra di Marco. Sferro qualche colpetto di prova e cerco una posizione che mi assicuri un minimo di stabilità. “Vai,” dico al mio amico, “sono pronto.”