Palazzo di Westminster, Londra, inverno 1484.

La minaccia di Enrico Tudor dalla Bretagna monopolizza l’interesse di tutta la corte. Lui è solo un ragazzo e qualsiasi re meno geloso di uno York avrebbe dato poco peso alla sua lontana pretesa al trono d’Inghilterra per via materna. Ma sul trono c’è un re del casato di York e Riccardo sa che Enrico Tudor sta programmando un’invasione, cercando in Bretagna l’appoggio del duca che lo aveva protetto tanto a lungo e contattando la Francia, la vecchia e inveterata nemica dell’Inghilterra, per ottenere il suo aiuto.

Sua madre, Margaret Beaufort, la mia amica di un tempo, rimugina nella casa di campagna, imprigionata dal marito secondo le direttive di Riccardo, e la sua futura sposa, Elisabetta di York, è quasi la prima dama della corte, balla ogni notte nel palazzo in cui aveva trascorso l’infanzia, i polsi scintillanti di braccialetti, i capelli sfavillanti sotto una retina d’oro. Ogni mattina, quando ci riuniamo nelle stanze che danno sul grigio fiume invernale, le arrivano doni. Ogni mattina bussano alla porta e un paggio porta qualcosa per la ragazza che tutti ora chiamano principessa Elisabetta, come se Riccardo non avesse approvato una legge che la dichiara illegittima e le impone di portare il cognome del primo marito della madre. Lei ridacchia nell’aprire il pacchetto e mi lancia un’occhiata colpevole. Quei regali non sono mai accompagnati da biglietti, ma tutte sappiamo chi le invia quei ninnoli preziosi. Ricordo ancora l’anno scorso, quando Riccardo dava a me un dono per ognuno dei dodici giorni delle festività natalizie. Me ne rammento, tuttavia, con indifferenza. Ora neppure i gioielli m’interessano.

La festa di Natale è l’apice della sua gioia. L’anno scorso era un oggetto della nostra pietà, dichiarata illegittima e richiesta come sposa da un traditore, quest’anno non ha fatto che ballonzolare verso l’alto, come un leggero ed economico tappo di sughero in acque agitate. Ora andiamo insieme a provare i vestiti, come se fossimo madre e figlia, come se fossimo sorelle. Stiamo vicine nella stanza del guardaroba, mentre ci puntano sete e filati d’oro e pelli e nel grande specchio argentato vedo il mio volto stanco e i capelli sbiaditi avvolti negli stessi accesi colori della sorridente bellezza in piedi accanto a me.

Riccardo le regala apertamente gioielli che s’intonano ai miei, lei porta un copricapo simile a una coroncina d’oro, diamanti ai lobi e zaffiri al collo. A Natale la corte è splendida, tutti indossano i loro abiti migliori e ogni giorno ci sono spettacoli e attività sportive e giochi. Elisabetta partecipa a tutto, è la regina della festa, la campionessa delle competizioni. Io siedo sul trono, il baldacchino ufficiale sopra di me, la corona pesante sulla fronte, e appiccico un indulgente sorriso sul volto mentre mio marito si alza per ballare con la più bella ragazza del palazzo, le prende la mano e la conduce via per parlare, e poi la riporta, il viso infuocato, nella sala. Lei mi lancia un’occhiata, come se volesse scusarsi, quasi sperasse che non m’interessasse che tutti a corte e pian piano in tutto il regno pensino che sono amanti e che io sono stata messa da parte. Ha la grazia di vergognarsi, ma capisco che il desiderio è troppo forte per consentirle di fare un passo indietro. Non può dirgli di no, non può trattenersi. Forse è innamorata.

Ballo anch’io. Quando suonano un ballo lento e dignitoso lascio che Riccardo mi conduca sulla pista da ballo e i danzatori seguono i nostri passi sciolti. Riccardo mi fa ballare a tempo, tanto che non devo preoccuparmi del ritmo della musica. Solo lo scorso Natale la corte era in pompa magna, un nuovo re sul trono, una nuova ricchezza da spartire, nuovi tesori da acquistare, nuovi abiti da sfoggiare, e a mio figlio era venuta un po’ di febbre ed era morto per nulla più di una leggera febbre e io non gli ero accanto. Non ero al castello, stavo festeggiando a corte e ora non ricordo neppure cosa stessimo festeggiando.

Il giorno di Natale è un giorno sacro e andiamo in chiesa parecchie volte. Elisabetta è graziosamente devota, una sciarpa in mussolina verde sui capelli biondi, gli occhi bassi. Riccardo torna dalla cappella con me, tenendomi per mano.

«Siete stanca», osserva.

Sono stanca della vita stessa. «No», rispondo. «Aspetto con impazienza gli altri giorni di Natale.»

«Circolano alcune spiacevoli voci. Non voglio che prestiate loro ascolto, non c’è nulla di vero.»

Mi fermo e la corte si blocca dietro di noi. «Lasciateci soli», ordino senza voltarmi. La corte si disperde, solo Elisabetta mi lancia un’occhiata quasi volesse disobbedirmi. Riccardo le fa un cenno con il capo e lei mi fa una breve riverenza e se ne va.

«Quali voci?»

«Come ho detto, non voglio che le ascoltiate.»

«Allora sarà meglio che le senta da voi, così che non dovrò sentirle da altri.»

Alza le spalle. «C’è chi dice che ho intenzione di mettervi da parte per sposare la principessa Elisabetta.»

«Allora il vostro corteggiamento farsa ha avuto successo», commento. «Era un corteggiamento? O era una farsa?»

«Entrambe le cose», replica. «Dovevo screditare il suo fidanzamento con Enrico Tudor. Lui invaderà sicuramente questa primavera. Dovevo allontanare da lui i suoi parenti York.»

«Badate a non allontanare la parentela Neville», osservo. «Io sono la figlia del creatore di re. Molti nel Nord vi seguono solo per amor mio. Anche adesso lassù il mio nome conta più di ogni altra cosa. Non vi resteranno fedeli, se pensassero che mi trascurate.»

Mi bacia la mano. «Non me ne dimentico. Non lo dimenticherò. E non vi trascurerei mai. Voi siete il mio cuore, anche se siete un cuore infranto.»

«È questa la voce peggiore?»

Esita. «Si parla di veleno.»

Nel sentir menzionare l’arma di Elisabetta Woodville mi irrigidisco. «Chi sta parlando di veleno?»

«Alcuni pettegolezzi dalla cucina. Un cane è morto dopo avere leccato del cibo caduto da un piatto. Sapete quanto la corte ami fare di un granello di sabbia una montagna.»

«Per chi era quel piatto?»

«Per voi.»

Non dico nulla. Non provo nulla. Neppure sorpresa. Per anni Elisabetta Woodville è stata mia nemica e ancora oggi, che vive libera e in pace nella contea del Wiltshire, sento i suoi grigi occhi puntati sulla mia nuca. Lei mi considererà ancora la figlia dell’uomo che aveva ucciso il suo amato padre e il fratello, ma ora mi vedrà anche come la donna che è d’intralcio a sua figlia. Se fossi morta, Riccardo otterrebbe una dispensa dal papa e sposerebbe sua nipote Elisabetta. Allora il casato di York sarebbe riunito, Elisabetta Woodville tornerebbe a essere la regina madre e la nonna del prossimo re d’Inghilterra.

«Non smette mai», sussurro.

«Chi?» Riccardo pare sorpreso.

«Elisabetta Woodville. Suppongo sospettino che abbia tentato lei di avvelenarmi.»

Lui scoppia a ridere, quella impetuosa risata che non sento da tanto tempo. Mi prende la mano e mi bacia le dita. «No, non sospettano di lei. Ma non importa. Vi proteggerò. Mi assicurerò che siate al sicuro, ma dovete riposare, mia cara. Tutti dicono che avete un aspetto esausto.»

«Sto abbastanza bene», ribatto cupamente e a me stessa prometto: Sto abbastanza bene per impedire a sua figlia di salire sul trono.