Castello di Baynard, Londra, gennaio 1477.

Le festività natalizie sono terminate, ma molti restano a Londra, intrappolati dal cattivo tempo. Le strade per il Nord sono impraticabili e Middleham è ancora sepolta dalla neve. Penso che il castello è al sicuro, circondato dai grandi fiumi del Nord, protetto dalle bufere di neve, come lo è mio figlio dietro le sue spesse mura, al caldo davanti a un crepitante fuoco con i doni che gli ho inviato sparsi sul tappeto di fronte a lui.

A metà gennaio sento bussare silenziosamente alla porta del mio appartamento, un sommesso crepitio che indica che a bussare è Giorgio. Mi rivolgo alle mie dame: «Vado nella cappella, da sola». Loro mi fanno un inchino e io mi alzo, prendo il messale e il rosario e mi avvio, seguita da Giorgio, ed entriamo insieme nella cappella buia e vuota. Un prete sta ascoltando le confessioni in un angolo della chiesa, un paio di signorotti borbottano i loro peccati. Giorgio e io ci infiliamo in una delle alcove e finalmente lo guardo.

È pallido come un uomo annegato nella disperazione, gli occhi incavati. Tutta la sua disinvolta bellezza è scomparsa. Sembra allo stremo delle forze. «Cosa c’è?» gli chiedo.

«Mio figlio», risponde con la voce rotta. «Mio figlio.»

La mia mente corre a mio figlio, al mio Edoardo. Prego Dio che sia al sicuro nel castello di Middleham, intento a scivolare con la slitta sulla neve, ad ascoltare gli attori, a gustare un boccale di birra natalizia. Prego Dio che stia bene, che non sia stato colpito dalla peste o dal veleno.

«Vostro figlio? Edward?»

«Il mio piccolo, Richard. Il mio amato Richard.»

Mi porta una mano alla bocca e sotto le dita sento le labbra tremare.«Richard?»

Del piccolo orfano di Isabella si occupa una balia, una donna che aveva nutrito con il suo latte sia Margaret sia Edward. Non c’è alcun motivo sul perché il terzo figlio di Isabella non debba crescere bene nelle sue mani. «Richard?» ripeto. «Non Richard?»

«È morto.» A stento riesco a sentire il suo sussurro. «È morto.» Incespica. «Ho appena ricevuto un messaggio dal castello di Warwick. È morto. Il mio bambino, il figlio di Isabella. È andato in cielo per stare con sua madre, che Dio benedica la sua piccola anima.»

«Amen», mormoro. Sento la gola chiudersi, mi bruciano gli occhi. Vorrei gettarmi sul letto e piangere per una settimana per mia sorella e il mio nipotino e per la durezza del mondo che si porta via, una dopo l’altra, tutte le persone che amo.

Giorgio mi cerca la mano e la stringe con forza. «Mi riferiscono che è morto all’improvviso, inaspettatamente.»

Malgrado il dolore, indietreggio, tirando via la mano dalla sua presa. Non voglio sentire ciò che dirà. «All’improvviso?»

Annuisce. «Stava crescendo bene. Mangiava, ingrassava, iniziava a dormire tutta la notte. La sua balia era Bessy Hodges, non l’avrei mai lasciato, se avessi pensato che non stava bene. Ma stava bene, Anna, non me ne sarei mai andato via, se avessi avuto un qualche dubbio.»

«Capita che i neonati deperiscano improvvisamente», affermo debolmente. «Lo sapete.»

«Dicono che stava bene all’ora di andare a letto e che è deceduto prima dell’alba.»

Rabbrividisco. «I neonati possono morire nel sonno», ripeto.

«È vero», ammette Giorgio, «ma io devo sapere, se si è semplicemente addormentato, se è una morte innocente. Parto ora per Warwick. Scoprirò la verità e, se scovassi che qualcuno lo ha ucciso, versando del veleno nella sua piccola bocca addormentata, allora mi vendicherò uccidendolo, chiunque sia, per quanto importante sia la sua posizione, per quanto grande il suo nome, chiunque abbia sposato. Lo giuro, Anna, mi vendicherò di chiunque abbia ucciso mia moglie, soprattutto se avesse ucciso anche mio figlio.»

Si gira verso la porta, ma io l’afferro per il braccio. «Scrivetemi subito», gli chiedo. «Scrivetemi in modo che solo io comprenda. Ricordatevi di dirmi anche se Margaret ed Edward sono al sicuro.»

«Lo farò», promette. «E se lo ritenessi necessario, vi invierò un avvertimento.»

«Un avvertimento?» Non voglio capire.

«Anche voi siete in pericolo, e pure vostro figlio. Non dubito affatto che questa sia un’aggressione contro di me e la mia famiglia. Non solo contro di me, anche se colpisce me profondamente; questo è un attacco contro le figlie del creatore di re e i suoi nipoti.»

Rabbrividisco e impallidisco nel sentirlo esprimere ad alta voce il mio timore. «Un’aggressione contro le figlie del creatore di re?» ripeto. «Perché mai qualcuno dovrebbe attaccare le figlie del creatore di re?» chiedo, anche se conosco la risposta. «Questa primavera saranno sei anni che è morto. I suoi nemici lo hanno dimenticato.»

«Una nemica non ha dimenticato. Nel suo scrigno dei gioielli ci sono due nomi scritti con il sangue su un pezzetto di carta. Lo sapevate?»

Annuisco.

«Sapete di chi sono quei nomi?»

Aspetta che io scuota la testa.

«Sono i nomi, scritti con il sangue, di Isabella e Anna. Isabella è morta, sono sicuro che premedita di uccidere anche voi.»

Tremo di paura. «Per vendetta?» chiedo in un sibilo.

«Vuole vendicare la morte di suo padre e di suo fratello», risponde. «Lo ha giurato a se stessa. È il suo unico desiderio. Vostro padre ha ucciso suo padre e il figlio di lui, lei ha ucciso Isabella e suo figlio. Non nutro alcun dubbio che ucciderà voi e vostro figlio Edoardo.»

«Tornate presto», lo imploro. «Tornate a corte, Giorgio. Non lasciatemi sola nella corte della regina.»

«Ve lo giuro.» Mi bacia la mano e se ne va.

«Non posso recarmi a corte», dico a Riccardo, in piedi davanti a me, in un sontuoso abito di velluto, pronto ad andare a Westminster dove siamo invitati a cena. «Non posso. Ve lo giuro.»

«Eravamo d’accordo», ribatte con calma. «Avevamo concordato che, finché non sapremo se sono verità o dicerie, avreste frequentato la corte, avreste fatto compagnia alla regina quando invitata, vi sareste comportata come se nulla fosse accaduto.»

«Qualcosa è accaduto», ribatto. «Avrete saputo che il piccolo Richard è morto?»

Annuisce.

«Stava crescendo bene, era nato forte e ora muore, a soli tre mesi? Muore nel sonno senza motivo?»

Mio marito si gira verso il caminetto e sistema un ciocco con la punta dello stivale. «I neonati muoiono», osserva.

«Riccardo, io credo che l’abbia ucciso Lei. Non posso andare a corte e sedermi nel suo appartamento e sentire il suo sguardo su di me mentre si chiede che cosa io sappia. Non posso andare a cena e mangiare il cibo della sua cucina. Non ce la faccio a vederla.»

«Perché la odiate?» mi domanda. «La moglie del mio amato fratello e la madre dei suoi figli?»

«Perché ho paura di lei», rispondo. «E forse dovreste temerla pure voi, forse dovrebbe averne paura pure lui.»